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miércoles, 30 de octubre de 2019

E dopo tanta notte si presenta

A Milano, Mondadori Megastore, piazza Duomo 1, mercoledì 30 ottobre alle ore 18.30, presentazione del libro di Andrea G. Pinketts E dopo tanta notte strizzami le occhiaie (Arnoldo Mondadori Editore), illustrato dai dipinti di Alexia Solazzo creati in simbiosi con lo scrittore.
Interventi del critico letterario Antonio D'Orrico, del filosofo Giulio Giorello, del cantautore Omar Pedrini e di Simona Viciani, traduttrice italiana di Charles Bukowski. Letture interpretate da Angelo Donato Colombo. Il Maestro Zac interpreta le canzoni scritte a quattro mani con Pinketts. Conduce Andrea Carlo Cappi.

viernes, 25 de octubre de 2019

Tornatene a casa, Raskayu!

Pablo Picasso, Guernica  (1937)

Cronaca di Andrea Carlo Cappi

Prima di cominciare - scusandomi se per motivi tecnici in questo articolo manca qua e là un'accentazione corretta - vorrei ricordare le parole che sentii pronunciare da Manuel Vazquez Montalban quando presentò il suo libro dal titolo ironico ma dal contenuto molto serio, Autobiografia del General Franco. Il grande scrittore spagnolo dichiarò: "Para mi Franco es un asesino".
Ieri, 24 ottobre 2019, la salma del dittatore spagnolo Francisco Franco è stata esumata dalla sua tomba pubblica per essere traslata in un mausoleo privato: un evento di enorme importanza storica, di cui molti di sicuro non coglieranno il significato.
Un breve riassunto. Il generale Francisco Franco diede inizio il 18 luglio 1936 a un colpo di stato in Spagna, in quel momento una repubblica e una democrazia. Una repubblica perché aveva rigettato una monarchia a quei tempi non costituzionale, una democrazia perché si era liberata della dittatura di Primo de Rivera, fondatore della Falange, cioè un movimento non dissimile dal fascismo italiano.
Il colpo di stato di Franco, benché finanziato da un banchiere (ed ex-contrabbandiere) maiorchino che aveva conti in sospeso con la giustizia della Repubblica e voleva vendicarsi per avere passato qualche tempo in carcere, non ebbe successo completo al primo tentativo, dacché non tutte le città caddero subito in mano all'esercito golpista. Scoppiò così la Guerra Civile spagnola, che sarebbe durata fino al 1939 e fu, come insegnano gli storici, il laboratorio della Seconda Guerra Mondiale.
Le grandi potenze occidentali chiusero un occhio, come se si trattasse di una questione locale (un po' come in questi giorni per l'attacco turco contro i curdi), anche se nacquero le Brigate Internazionali che raccolsero in favore della Repubblica combattenti di mezzo mondo, fin dagli Stati Uniti. Consiglio un ripasso di Omaggio alla Catalogna di George Orwell e Per chi suona la campana di Ernest Hemingway.
Le potenze nazifasciste, cioè Germania e Italia, intervennero invece a favore di Franco con truppe, mezzi e finanziamenti. I fascisti conquistarono le Baleari, che furono teatro di gravi repressioni oltre che base di partenza dei bombardamenti sulla Catalogna da parte degli aerei italiani; pagine di storia che da noi non si raccontano molto spesso. I tedeschi diedero del loro meglio bombardando Guernica (il massacro reso magistralmente dal quadro di Picasso), mentre i loro complici spagnoli davano la colpa di quella strage di civili a fantomatici "dinamitardi comunisti" che avrebbero... fatto esplodere la città.
L'Unione Sovietica interveniva a sua volta, manovrando i movimenti marxisti a lei fedeli, perseguitando la sinistra non allineata con il Komintern e provocando danni irrimediabili. Il fronte repubblicano aveva infatti grossi problemi tra le sue file. C'era chi pensava che fosse il momento opportuno per fare la rivoluzione e si dedicò a uccidere preti e padroni (non tutti necessariamente colpevoli di qualcosa, ma vuoi mettere la soddisfazione di ammazzare impuniti chi ha il potere?) C'era chi obbediva ciecamente a Stalin, l'altro mostro dell'epoca, e cercava di sottomettere la Spagna a un regime di matrice diversa da quella di Franco. Con tanti fanatici al proprio interno e i nazi-fasci-franchisti all'esterno, nel 1939 la Repubblica venne sconfitta, condannando molti democratici all'esilio o alla repressione, spietata e prolungata. Di lì a poco aveva inizio la Seconda guerra mondiale, spostando i combattimenti dalla Spagna all'Europa e infine ovunque.
Nondimeno, Franco fu più abile degli altri dittatori dell'epoca. Non si lasciò trascinare nel nuovo conflitto, forse spinto dal banchiere maiorchino di cui sopra, pagato dai servizi segreti inglesi; forse consigliato dall'ammiraglio Canaris, capo del servizio segreto militare tedesco, avverso al nazismo. Il "generalissimo" seppe fare doppi giochi e alleanze opportune a livello internazionale, seppe persino ammorbidire certi aspetti della dittatura quando gli faceva comodo, aprendo il paese al turismo e al mondo. Anche se non risparmiava l'uso della garrota, uno degli strumenti più brutali per eseguire una condanna a morte.
Il rapporto del dittatore con la Spagna fu come le storie di violenza domestica che culminano nei femminicidi. Un giorno Franco le regalava fiori, treni, dighe, il giorno dopo riempiva le fosse comuni di oppositori del regime. Il paragone con il femminicidio non è campato in aria. Non a caso il ruolo della donna nella Spagna franchista era proprio quello di un contesto machista, con tanto di enciclopedia di regime in cui le si insegnava come essere una brava casalinga, ad avere rapporti sessuali per dare figli alla patria e, naturalmente, a essere cattolica osservante. Non parliamo poi di come veniva vista l'omosessualità. Da questo si capisce molto del senso liberatorio del cinema di Almodovar subito dopo la fine della dittatura.
Durante il suo dominio, durato trentasei anni, Franco impose persino la riconciliazione postbellica, fabbricando El Valle de los Caidos, un cimitero in cui erano sepolti tanto i "nazionalisti" (franchisti) quanto i repubblicani... anche se alle famiglie di questi ultimi defunti di rado veniva richiesto il permesso per trasferire le salme. D'altra parte era già tanto che potessero sapere dov'erano sepolti i loro cari: molti parenti dei desaparecidos della repressione non hanno tutt'oggi questo privilegio.
Ma alla sua morte nel 1975, benché Franco pensasse di essere sepolto accanto alla moglie in un mausoleo di famiglia, il suo corpo venne inumato proprio nella tomba di maggior lustro della Valle, dove lo stesso dittatore aveva fatto traslare la salma del suo predecessore Primo de Rivera. Solo che Franco - a differenza di Primo de Rivera - non era un caduto della Guerra Civile. Era la causa della Guerra Civile, morto nel suo letto grazie alla sua spregiudicata capacità di sfruttare a proprio vantaggio la Guerra Fredda.
Nel 1975 la Spagna tornò alla monarchia, ma contro ogni previsione il re Juan Carlos I non volle mantenere lo status quo. Creò un'assemblea costituente, che portò alla Costituzione democratica del 1978, restituendo alla Spagna molti diritti finora negati per quarant'anni, tra cui autonomie e lingue regionali, ripristinando basco, catalano e galiziano come lingue ufficiali (ce ne sarebbero altre ancora), legalizzando i partiti di sinistra, insomma riportando il Paese ai tempi della Repubblica. Nel 1981 la Spagna resistette a un tentato golpe militar-franchista, quando il 23 febbraio il colonnello Tejero occupò il parlamento. 
Sono passati 40 anni perché, attraverso la Ley de Memoria Historica del 2007 e una decisione parlamentare del 2012, si risolvesse l'aspetto più delicato: cosa ci fa il dittatore nella "Valle dei Caduti"?
In questi ultimi giorni il governo socialista è riuscito a portare a termine un lavoro durato anni, cioè l'esumazione del dittatore - rispettosa di ogni diritto umano - dal luogo in cui giacciono le vittime di guerra di ogni parte politica, perché fosse sepolto nella sua tomba di famiglia. Guarda caso, per scelta dei parenti del dittatore, il sacerdote che ha officiato la cerimonia privata della nuova sepoltura di Franco è figlio del golpista Tejero. Affari loro e dei nostalgici che fuori dal cimitero esibivano le loro vecchie bandiere.
Ciò che importa è la lezione di democrazia, rispetto e memoria storica in un Paese che molti all'estero accusano ingiustamente di neofranchismo. Questo solo perché la Spagna nega alla minoranza dell'indipendentismo catalano - da quarant'anni al potere nel governo autonomo - la facoltà di imporre una dittatura tangentista e razzista a più di metà della popolazione della regione, che non è d'accordo ma è costretta al silenzio, quando non alla paura di ritorsioni in ambito sociale, scolastico o lavorativo. Di questo all'estero non si parla. E non solo: la stessa dictadura catalanista intende occupare le zone limitrofe, già soggette a pesanti intromissioni politiche e linguistiche. Altra cosa di cui all'estero non si parla.
Le spinte indipendentiste continuano a sabotare il governo del socialdemocratico PSOE, vincitore delle ultime due elezioni, costringendo la Spagna al voto il 10 novembre 2019. Si assiste nel frattempo, come reazione contro instabilità e secessionismo, all'ascesa politica di Vox, movimento di chiara ispirazione franchista. "Un fascista è un liberale spaventato", dice saggiamente un altro grande scrittore spagnolo, Juan Madrid. Non a caso, in Italia, Salvini fa il tifo per Vox e dal raduno della destra plaude agli indipendentisti catalani.
Ma ieri la Spagna ha ridimensionato finalmente il suo ingombrante dittatore. 
E qui mi viene in mente un brano datato 1943 del cantante maiorchino Bonet de San Pedro, che da poco ho scoperto nelle mie ricerche per alcune storie che sto scrivendo. Bonet citava una canzone di Louis Armstrong del 1932, You Rascal You, il cui testo diceva "Sarò lieto quando muori, mascalzon". Nella sua Raskayu il maiorchino scriveva "Raskayu, quando muori che fai tu? Tu sarai un cadaver, niente più." Fu un successo, malgrado il brano fosse stato censurato dalla Radio Nacional, perché qualcuno aveva intuito un riferimento a Franco.
Ci sono voluti più di settant'anni, ma Raskayu oggi è solo un cadavere, niente più.



jueves, 3 de octubre de 2019

La Guerra Fredda secondo Giovanni Ingrosso


Recensione di Andrea Carlo Cappi

Presentazione del volume: giovedì 3 ottobre 2019, ore 19.00, Milano, Admiral Hotel, via Domodossola 16.

«Passato e presente sono contenuti nel futuro», diceva T. S. Eliot, «e il futuro è contenuto nel passato.» Questa è la chiave dell'esame che Giovanni Ingrosso – che già ho conosciuto e presentato come ottimo romanziere – fa dell'era della Guerra Fredda, unendo la conoscenza della storia alle sue capacità di narratore in questo saggio apparentemente breve (un centinaio di pagine) ma tanto denso quanto scorrevole. 
Chiunque scriva di quell'epoca – me compreso – non può fare a meno di andare a cercarne le radici indietro nel tempo: alla Seconda guerra mondiale, agli anni Trenta, talvolta alla Prima guerra mondiale. Ma l'autore di Un conflitto lungo cinquant'anni – Diversi sguardi sulla Guerra Fredda (edito da Il Cielo Stellato nella collana Quattro passi nella storia, 12,90€) va molto oltre. Con una brillante sintesi, riassume nei capitoli di apertura la storia precedente dei principali attori (USA, Russia, Regno Unito e Germania), identificando gli elementi che si riproporranno poi nel periodo 1946-1989. L'effetto è quello di guardare un grande quadro alla giusta distanza focale, anziché soffermarsi sui dettagli. Tratti e sfumature diventano molto più comprensibili.
Su questa base, Ingrosso può studiare equilibri e squilibri post-bellici, l'evoluzione della politica fino agli anni di Reagan e Gorbachev, le influenze reciproche tra politica ed economia (anche in chiave militare) e l'attività di intelligence; non a caso la Guerra Fredda è l'epoca che tutti percepiscono più legata al mondo dello spionaggio.
Ma l'autore non trascura i riflessi sull'arte e sulla cultura, elitaria o di massa – da La corazzata Potemkin a Rambo III passando per James Bond e Jackson Pollock, i Beatles e la fantascienza anni Cinquanta – e su come certe forme di espressione fossero modulate o interpretate in base a (o in funzione di) diverse necessità ideologiche o propagandistiche.
L'analisi sugli aspetti industriali ed economici è forse quella più stimolante, specie quando ci viene spiegato come proprio questi fattori abbiano determinato la fine della Guerra Fredda, esattamente trent'anni fa.
Ingrosso sottolinea infine un elemento importante che ha dominato tutto quel periodo: la paura. L'angoscia della contaminazione capitalista da una parte e dell'avvento del comunismo dall'altra. L'incubo dell'olocausto nucleare per entrambi i blocchi: una sensazione familiare anche per chi negli anni Ottanta non pensava solo all'edonismo reaganiano ma ricorda termini tecnici come MAD (sigla in inglese di mutual assured distruction, distruzione reciproca garantita) o le sequenze più agghiaccianti di The Day After di Nicholas Meyer.
Al termine della lettura vale ancora la citazione di Eliot su passato, presente e futuro. Quando l'autore parla di keynesismo militare, strumentalizzazione politica della paura e isolazionismo economico statunitense, ci offre spunti di riflessione sulla storia recente e sulla cronaca globale del momento in cui viviamo.

Berlino, 1979 (foto di Alessandro Cappi)