Stefano Di Marino a GialloLatino, 2014, foto A. C. Cappi |
Riflessioni di un celebre scrittore ignoto, di Andrea Carlo Cappi
Ho
già spiegato cosa intendo qui per “pulp”:
la narrativa popolare di ogni genere sulle riviste americane della
prima metà del XX secolo, che ha generato, per citare giusto
un paio di nomi, autori come Dashiell Hammett o Robert E. Howard. Pulp non significa “scrivere
male”, bensì raccontare storie con un forte contenuto di
azione e di emozioni.
Scrivo
queste righe alle 7.30 del mattino del 10 agosto 2021. Quattro giorni
fa a quest’ora il massimo esponente italiano della narrativa pulp si
era appena tolto la vita. È stata una delle rare volte che i
giornali (online, quantomeno) hanno parlato di lui, e nemmeno tanto.
Oggi qui lo chiamerò con iI suo soprannome abituale, “il
Prof”. In questi giorni ho scritto vari articoli per ricordarlo, ma
stavolta vorrei fare un discorso più ampio e qualche
chiarimento.
All’inizio
dell’estate, su Facebook, il Prof accennò con riserbo a
“problemi personali”. Visto ciò che scriveva, potreste
immaginarlo braccato da picchiatori di Las Vegas o sicari di Hong
Kong. O che avesse un male incurabile, o gli stessi problemi di Amy
Winehouse; no, stava bene, era un salutista, conduceva una vita senza eccessi. Ha avuto solo il
destino di un figlio unico con genitori in età avanzata; nel
suo caso, tutto in una volta, con dispiaceri, stress, problemi
burocratici ed emergenze finanziarie... che a loro volta procurano
altro stress: un autore pulp, per quanto di successo, non nuota
nell’oro.
In
un certo senso, questo è parte del problema, ma non solo per
questioni economiche. Lo sappiamo, il mercato italiano è quel
che è. Gli editori onesti in certe collane possono pagare poco
(anche se in altre collane a volte sprecano soldi per presunti,
inutili “bestseller”...
quante ne abbiamo viste, lui e io); gli
editori piccoli non possono quasi pagare se non a lunghissimo
termine, ma sono gli unici a pubblicare certi libri che ci interessa
scrivere; le uscite in ebook rendono pochissimo; e a volte capitano
anche gli editori disonesti.
Un
autore come il Prof, in grado di produrre parecchi romanzi e saggi ogni anno e
spaziare tra generi e tematiche, andrebbe considerato “un’eccellenza
italiana”.
I suoi libri dovrebbero essere sempre in catalogo, anche perché
chi lo scopre poi vuole leggere tutto di lui. Senonché i
titoli che escono in edicola – e solo perché in Italia
esistono e resistono i periodici di
narrativa di genere – sono disponibili
per uno o due mesi; vendono in quel periodo più di molti
romanzi di altri autori in libreria, poi sono acquistabili solo in
ebook. Quanto ai titoli da piccoli editori, con minori distribuzione
e visibilità, sono più difficili da reperire.
Posso
capire che parecchie uscite sotto pseudonimo in una collana
da edicola non siano più una “notizia”, se non perché
una serie made in Italy continua ad avere successo dopo oltre
venticinque anni e più di cento episodi; non è cosa da
poco. Ma, almeno quando lo stesso autore pubblica altrove un thriller
di tipo diverso o un saggio particolarmente interessante e
documentato... be’, forse i media dovrebbero parlarne.
Invece
è l’esatto contrario: si direbbe che tutti si siano messi
d’accordo per tacere. D’altra parte, se in Italia si sapesse che
il Prof pubblica libri che vendono migliaia di copie in poche
settimane, gli italiani comincerebbero a leggere solo lui.
Ecco dunque le sottili campagne di odio. Un anonimo sui bookshop
online mette un giudizio di una sola stella su ogni suo libro, per
abbassare la media dei voti dei lettori. Qualcuno dice a un editore:
«Perché lo pubblichi? Non sai che...» cominciando
a diffondere voci confuse ma diffamatorie.
A
tutto questo, come dico spesso, si aggiunge che, se un autore
proviene dalla gavetta e dall’edicola, è discriminato anche
quando pubblica in libreria un volume rilegato per una grossa casa editrice, il
che pesa su promozione, prenotazioni, distribuzione e vendite. Vi
faccio un esempio. Nel 1996 uscì da Sperling &
Kupfer I sette sentieri dell’Alleanza, firmato senza
pseudonimi: è un romanzo appassionante, che anticipa di sette
anni e schiaccia per superiorità e originalità il
mediocre, scopiazzato Il codice Da Vinci. Avrete sentito
parlare tutti del secondo, ma non del primo.
Provate
a mettervi nei panni di un narratore per cui la scrittura è
tutto nella vita, adorato dai suoi lettori ma ignorato e disprezzato
da una società che cerca di farlo dimenticare in vita, di
disperdere il suo pubblico, di soffocarlo, neanche fosse il peggiore
dei delinquenti. Punito per essere troppo bravo. E immaginate, mentre
combatte ogni giorno nella trincea dell’editoria, che si trovi
soverchiato da altri problemi che gli sembrano insormontabili. Si è
detto “suicidio”,
ma non è esatto. È stato il silenzio a ucciderlo.
Continua...
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker
Son d'accordo che Stefano fosse il più prolifico scrittore di narrativa di genere, una vera rarità. Non sapeva solo imbastore il ritmo, essenziale per le sue storie, ma aveva una capacità rara in uno scrittore "compulsivo" come lo definiva un mio amico, storico del Giallo italiano e amico di Pirani: sapeva evocare, creava atmosfere uniche, e in questo era veramente un grande scrittore, capacità di ricreare mondi lontani stando a casa, che lo metteva tranquillamente accanto ad autori come Salgari o come Jules Verne. Tuttavia Stefano era famoso, più che per i thrillers (anche magnifici: io ne lessi e recensii sulle pagine del mio blog, uno superlativo: Mosaico a tessere di sangue. Gli avevo chiesto il pdf, ma lui non lo trovava e così lo ordinai, ma mi arrivò 5 mesi dopo, probabilmente una delle ultime rimanenze in Italia), per le storie Spy. Ora, anche tu sei scrittore di segretissimo e ammetterai che lo spy action è stata un po' un'invenzione da edicola: in libreria c'è poca letteratura di questo genere, per cui uno come lui che era idolatrato dai suoi fan di Segretissimo, veniva per essere ignorato dal grosso del pubblico delle librerie. Non so se sia stato una carognata nei suoi conmfronti come tu adombri, o solo un prodotto dell'editoria italiana. Io penso che se lui si fosse rivolto solo ai thrillers, come Faletti, Lucarelli, Manzini, De Giovanni,Luceri e qualche altro, avrebbe avuto più possibilità di diventare famoso. Poi c'è il problema degli agenti letterari: era rappresentato da qualcunoi? Se stai in una scuderia accreditata hai più facilità di essere pubblicato. O no?
ResponderEliminarconcordo con Cappi. Dicevo la stessa cosa nel ricordo che ho pubblicato su Di Marino
ResponderEliminarUna lezione l'abbiamo imparata tutti: è bello parlare di libri ma è ancora più importante comprarli.
ResponderEliminarÈ il miglior tributo per chi vive del mestiere di scrivere.
Tutto vero, tutto esatto. Non amavo particolarmente gli scritti di Stefano, amavo Sergio incondizionatamente, ma era molto documentato e molto preciso. Un autore del genere, così prolifico, andava tutelato e protetto.
ResponderEliminarCerto, come no.