Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi
Non è facile strappare le etichette, una volta che sono state appiccicate. Me ne rendevo conto una volta di più qualche giorno fa, mentre lavoravo alla nuova edizione del "romanzo di racconti" Il dente del pregiudizio di Andrea G. Pinketts, che uscirà a fine agosto nella nuova edizione Harper Collins Italia con materiale supplementare in appendice, come sempre a cura dell'Associazione Culturale che porta il nome dell'autore scomparso nel 2018.
Appena Pinketts, giornalista investigativo, raggiunse la notorietà come scrittore, venne subito "etichettato". Avendo inaugurato la sua attività narrativa su "Il Giallo Mondadori", fu classificato come "autore di gialli", il che - a chi non lo avesse letto - può far pensare che abbia scritto romanzetti sulla dieta dei poliziotti... vale a dire l'attuale pregiudizio del pubblico sul giallo italiano. ("Scrivi gialli? Qual è il piatto preferito del tuo commissario?" mi sono sentito dire tempo fa.)
Con la (ri)nascita dell'etichetta "pulp", che Quentin Tarantino aveva ripreso dalla narrativa popolare negli USA degli anni Venti-Trenta-Quaranta, Pinketts venne reinscatolato tra gli "scrittori pulp", anche se i cosidetti "cannibali" (dal titolo di una celebre antologia) avevano in realtà stili molto personali e diversi tra loro: mi basta pensare alla bravissima Alda Teodorani. In realtà Pinketts aveva letto gialli, noir, pulp (vecchi e nuovi) e molto altro, rielaborando però tutto in romanzi originali che partivano dal mistero per aggiungervi un tocco postmoderno, oppure in racconti surrealisti che sfuggono a qualsiasi definizione di genere.
L'ansia di etichettare era un tempo giustificata dalla necessità di stabilire in quale scaffale collocare un'autrice o un autore. Oggi vale sempre meno, dato che la maggior parte dei titoli pubblicati non arriva nelle librerie fisiche e si trova solo in quelle online, senza contare i volumi proposti solo nelle edicole in collane tematiche. Ma l'eccesso di etichette può arrivare a "cancellare" l'identità di chi scrive. E qui devo menzionare un altro amico, scomparso nel 2021, dei cui libri sto cercando di occuparmi a dispetto della complessa successione nella proprietà delle sue opere.
Come ho scritto altrove in queste pagine, il "problema di identità" ha gravemente afflitto Stefano Di Marino, noto soprattutto in edicola come l'autore di spionaggio "Stephen Gunn" di Segretissimo Mondadori. Stefano fu costretto a cambiare più volte nome e cognome per esigenze editoriali, al punto che talvolta persino il suo fedelissimo pubblico ignorava che fosse uscito un suo nuovo romanzo in libreria. E chiunque altro era del tutto all'oscuro dell'esistenza di un autore che, raccolte le eredità di Salgari e Scerbanenco, del feuilleton e del pulp (originale), ha coperto tutte le sfumature della narrativa popolare, diventando lo scrittore "di genere" più venduto in Italia: un successo senza eguali che tuttavia, rimanendo nascosto, non portava alcun riconoscimento o garanzia al suo artefice.
Oltretutto un autore italiano di Segretissimo è vittima di altre etichette apposte a tradimento: si ritiene che scriva storie in cui i "buoni" sono quelli che molta gente per motivi politici considera "cattivi" (e, dato che tali persone questi libri non li leggono, non possono certo coglierne le sfumature e le analisi); si pensa che scriva storiacce a base di sesso e violenza gratuiti, in un'ottica maschilista (dimenticando che in Segretissimo c'è una presenza crescente di autrici italiane, che ben poco hanno di maschilista). E tutto questo mentre ancora si deve combattere il pregiudizio principale del pubblico: la convinzione che in Italia nessuno sappia scrivere storie di spionaggio e di intrighi internazionali, da cui la necessità di nascondersi dietro pseudonimi stranieri in copertina.
Insomma, il "dente del pregiudizio" è difficile da estirpare. Del resto nel pubblico italiano la nostra presunta incapacità di scrivere gialli è stata smentita con fatica solo trent'anni fa, mentre sulla fantascienza tale percezione infondata persiste tuttora, a dispetto di firme illustri pubblicate anche all'estero. E pensare che negli anni Settanta in tv fu un giallo italiano, Dov'è Anna? scritto da Biagio Proietti e Diana Crispo, a raggiungere il record tuttora imbattuto di ventotto milioni di telespettatori; e che negli anni Sessanta-Settanta il nostro cinema di genere (di tutti i generi) non solo sbancò i botteghini nazionali, ma fece il giro del mondo, influenzando pure quello americano, dai registi del western a Tarantino. Se qualcuno era in grado già allora di scrivere quegli sceneggiati e quei film, perché il discorso non poteva valere per la narrativa?
E consideriamo anche il successo, a volte internazionale, dei fumetti italiani, a partire da Tex nel 1948, per arrivare a Martin Mystère, Dylan Dog e Nathan Never, passando per Diabolik; personaggio quest'ultimo del quale parliamo sabato 8 giugno 2024 alle 18.30 a "Best Movie Comics and Games", Superstudio Più, Milano, via Tortona 27... (In questa particolare occasione sono stato etichettato "fumettista", per me un grosso complimento, visto che - a parte innumerevoli contributi come narratore o saggista - come vero e proprio sceneggiatore di fumetti ho collaborato sinora solo a quattro albi di Martin Mystère.)
In realtà è almeno dai tempi di Salgari, che scrisse persino western e fantascienza oltre alle note avventure di pirati e di corsari, che noi italiani abbiamo dimostrato di saper affrontare la narrativa popolare in ogni forma, esattamente come ha fatto Stefano Di Marino in tutta la sua vita. E anche di saper creare nuovi generi, come Sergio "Alan" D. Altieri, per il quale si è dovuta coniare la definizione "thriller apocalittico"; o come Andrea G. Pinketts, autore di un genere tutto suo che si può definire solo "Pinketts". Forse in parte è colpa del pubblico che, convinto di saper riconoscere il prodotto dalle confezioni, tende a dimenticarsi dei contenuti. Forse in parte è colpa dell'editoria (insieme a chi produce televisione e cinema) che non sa esattamente cosa proporre e come impacchettarlo. Come diceva una vecchia pubblicità, "l'unica cosa storta è l'etichetta".
Continua...
(Immagine di apertura generata con AI; il poster di BOOM24 è di Leo Ortolani)
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato oltre una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Membro di IAMTW e World SF Italia, vincitore del Premio Italia 2018 (miglior romanzo fantasy), cura le riedizioni di Andrea G. Pinketts con l'associazione omonima e per Delos Digital la collana in ebook Spy Game.
No hay comentarios:
Publicar un comentario