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sábado, 8 de marzo de 2025

Vita da pulp - 8 marzo in (profondo) rosso


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di
 Andrea Carlo Cappi

Quando possibile, sono solito dedicare un post all'Otto Marzo e quest'anno non mi posso esimere dal farlo nella mia rubrica "Vita da pulp", per la quasi-coincidenza di due cinquantennali. Il più importante su scala mondiale corrisponde alla prima Giornata Internazionale della Donna, celebrata dall'ONU nel 1975 (precedentemente decretato come Anno Internazionale della Donna, per dare inizio a una seria battaglia contro la disuguaglianza).
La data scelta fu la stessa in cui nel 1917 a San Pietroburgo - dove era stata prevista ma sospesa una "Giornata della Donna" - si era sollevata una manifestazione delle operaie tessili. All'epoca in Russia era in vigore il calendario giuliano, quindi l'effettiva data locale non era l'8 marzo bensì il 23 febbraio.
Già nel 1975 le Nazioni Unite riuscirono a ottenere qualche risultato importante. Per esempio in Spagna, nonostante fosse ancora al potere il dittatore Francisco Franco, furono abolite leggi anacronistiche che reprimevano le donne, il cui ruolo sociale era esclusivamente quello di mogli-madri-casalinghe soggiogate a un marito-padrone: tra queste l'obbligo di autorizzazione scritta da parte del coniuge se volevano aprire un conto corrente in banca. Il dittatore morì nel novembre dello stesso anno ed ebbe finalmente inizio il processo di democratizzazione della Spagna; non a caso da quelle parti stanno cominciando anche le commemorazioni relative.

L'altro cinquantennale, proprio il giorno prima, corrisponde a quello del celeberrimo thriller Profondo rosso di Dario Argento, che uscì nei cinema italiani il 7 marzo 1975. I protagonisti sono Marcus Daly, pianista inglese che vive in Italia (David Hemmngs), testimone di un brutale omicidio, e la giornalista di cronaca nera Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), donna - come si usava dire all'epoca - "emancipata" che non risparmia al suo compagno di indagini varie frecciate per certi suoi atteggiamenti tardo-maschilisti.
I personaggi femminili del film sono numerosi e tutti molto interessanti, ma tra questi potrebbe apparire secondario quello della scrittrice Amanda Righetti (Giuliana Calandra), già autrice nel 1956 di una raccolta di leggende urbane da cui Daly ricava indizi preziosi anche se non definitivi. Amanda è una delle vittime della catena di omicidi narrata in Profondo rosso, nel quale non abbiamo quindi il tempo di conoscerla a fondo. Ma a questo abbiamo rimediato lo scrittore-editor Mario Gazzola, la collaudata artista e neo-scrittrice Roberta Guardascione e io. Nel farlo, abbiamo appreso di cosa possa essere capace una donna, ancorché immaginaria.
Nel film si vedono inquadrature rivelatrici del contenuto del libro di Amanda Righetti, dal titolo Fantasmi di oggi e leggende nere dell'età moderna e si colgono piccoli ma significativi indizi sulla vita privata e la personalità dell'autrice. Sulla base di tutto ciò e con la complicità di Luigi Cozzi (a sua volta regista di culto, più volte braccio destro di Dario Argento e titolare della casa editrice Profondo Rosso oltre che del celebre Profondo Rosso Store a Roma) abbiamo raccolto un gruppo di autrici e autori esperti di thriller per "ricostruire" questo pseudobiblion. Ma potremmo dire che dall'aldilà Amanda Righetti abbia preso le redini dell'operazione.

Come se fosse esistita realmente, infatti, noi tre ideatori del progetto abbiamo "scoperto" la sua intenzione di pubblicare una nuova versione del proprio libro, arricchita di altre indagini, scoperte e rivelazioni, ma rimasta inedita a causa della fine prematura dell'autrice. Grazie a questo "dattiloscritto ritrovato", abbiamo ricostruito la sua vita e le sue esperienze di indagatrice dell'incubo, approfondendo tutto ciò che di lei viene accennato nel film.
Per quanto mi riguarda (ma credo che valga anche per Gazzola e Guardascione, dato che siamo stati noi tre a scrivere i capitoli in cui Amanda diventa vera e propria protagonista) la scrittrice si è convertita una persona "vera", che rispecchia la posizione della donna nella società italiana dagli anni Cinquanta agli anni Settanta. Un discorso che, attraverso gli scritti che le hanno attribuito soprattutto Claudia Salvatori e Giada Trebeschi, si estende in effetti alla figura femminile nella cultura occidentale.
Dopo oltre un anno di lavorazione Fantasmi di oggi e leggende nere dell'età moderna, ora in stampa, arriverà a giorni in anteprima al Profondo Rosso Store e sul sito della casa editrice, per poi entrare in distribuzione nazionale parallelamente alle varie celebrazioni per il cinquantennale del film. Si potrebbe dire che Amanda Righetti, che figura come autrice in copertina (anche se in appendice si svelano i ruoli di chiunque abbia collaborato) abbia scritto un libro profondamente femminista. E tutti noi, in questo Otto Marzo dal duplice cinquantennale, ne siamo orgogliosi.

(Nella foto in apertura: l'attrice Giuliana Calandra nel ruolo di Amanda Righetti in Profondo rosso; sotto, la copertina del libro, realizzata da Roberta Guardascione.)


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Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una settantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. Presiede la giuria del Premio Torre Crawford ed è membro di IAMTW e World SF Italia.

lunes, 3 de marzo de 2025

Vita da pulp - Tutti i miei fantasmi


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi

Da un certo momento in poi, si ha la sensazione che, tra le persone che hanno avuto importanza nella nostra vita, siano molte di più quelle ormai trasmigrate nell'aldilà. La questione non riguarda solo la propria famiglia, ma anche coloro che incontriamo lungo la strada ed eleggiamo a nostri maestri o compagni di viaggio.
Dal 2017 la campana sta suonando con allarmante frequenza. Lo notava già Andrea G. Pinketts, prima che lui stesso se ne andasse nel 2018: aveva da poco inaugurato una serie di video su YouTube e si trovava a snocciolare necrologi. Da allora la falce ha continuato a mietere gioiosa così tante persone cui ero affezionato, che in alcuni casi mi è capitato di scoprirne la scomparsa con mesi o addirittura anni di ritardo. L'aspetto inquietante è che mi capitano di continuo sotto gli occhi fotografie in cui il solo oggi ancora vivo sono io. Io, con tutti i miei fantasmi di cui coltivare la memoria.
Ne parlavo qualche anno fa con Aldo Lado, il regista e scrittore scomparso nel 2023: per lui (classe 1934) era una questione "generazionale" e ironizzava sul fatto che qualcuno lo intervistasse su certi vecchi film solo perché era l'unico superstite tra chi ci aveva lavorato. Ci si mette di mezzo anche la sensazione che il tempo scorra con sempre maggiore velocità: a volte mi rendo conto che, dall'ultima volta che ho parlato con una persona può essere trascorso un decennio, mentre a me sembra proprio ieri.

Proprio ieri, invece, mi è giunta la notizia della morte di una delle tante persone cui devo qualcosa: non una figura "pubblica" anche se suppongo che, trattandosi di un'insegnante, in parecchi la ricordino. Il suo nome è Tatiana Pedrotti e, tra il 1980 e il 1983, la ebbi come professoressa di italiano e latino al Liceo Einstein di Milano - ai tempi chiamato affettuosamente "il lager" - nella Sezione D. (Non è un caso se in alcuni miei romanzi compare una "Sezione D", anche se di tutt'altro genere.) Molti suoi studenti le sono rimasti legati negli anni ed è capitato più volte che ci trovassimo a casa sua per festeggiarne il compleanno: era nata il giorno palindromo 13/1/31. 
Con lei, a dire il vero, non avevamo avuto vita facile: come molti suoi colleghi all'Einstein, il voto più alto che assegnava era più o meno il 6, andando a scalare. Per questo fu indirettamente responsabile di una delle tante situazioni spiacevoli con i miei genitori, per i quali ogni scusa era buona per generare un deprimente clima punitivo, in modo da perpetuare il senso di inadeguatezza esistenziale in cui loro stessi erano stati allevati (poi non stupitevi se uno evita di avere figli).
Un venerdì di terza liceo, anziché starmene rinchiuso in casa a studiare come ogni pomeriggio, ero andato a vedere un film; il giorno dopo, all'ultima ora del sabato, "la Pedro" decise di interrogarmi e per una volta neanche la mia parlantina mi permise di arrivare al 6; sicché il resto del fine-settimana in famiglia fu dominato dal processo e dalla condanna per la mia trasgressione cinematografica. La verità era che a) non avrei preso la sufficienza nemmeno se fossi rimasto in casa a studiare b) ero andato a vedere un film di James Bond, personaggio cui anni dopo mi sarei dedicato come traduttore, saggista e persino editore, quindi c) avevo fatto benissimo ad andare al cinema, così come a coltivare tutti gli interessi che mi hanno permesso di campare fino a oggi.

Al contrario, "la Pedro" mostrava una mentalità molto aperta. Si potrà discutere sui suoi criteri di assegnazione dei voti, ma non sulle sue modalità di insegnamento, che invitavano a coltivare analisi, spirito critico e ironia. Tutto questo fu sempre più evidente quanto più ci si avvicinava alla maturità. Dopo la fine del quinto anno scolastico offrì addirittura, a chi fosse interessato, sessioni gratuite di "allenamento" all'esame, per le quali ci trovavamo in una saletta al pianterreno del liceo. Non è cosa da poco che un'insegnante lavori fuori stagione e fuori servizio, non pagata, solo per il bene dei propri allievi. Fu quell'ultima fase a cementare un'amicizia che andava oltre il normale rapporto tra docente e studenti.
Sono sicuro che parte della mia metodologia lavorativa derivi da lei e non escludo che la mia disponibilità - nei limiti del possibile - nei confronti di autori e autrici che considero un po' "miei allievi" sia figlia del suo esempio. Tutto questo non elimina un mio difetto di fondo: non mi rendo conto del passare del tempo e, sotto sotto, continuo a credere che siano trascorsi pochi anni da quando ho finito il liceo e che certe persone abbiano ancora tanto da vivere.
Tuttavia, a mia insaputa, forse sono già abbastanza vecchio da pensare che, quando si saranno estinti quasi tutti coloro che affrontano la vita con intelligenza e senso critico, resteranno perlopiù quelli che, credendosi infallibili, combinano solo disastri. Non mi sentirete dire "Dove andremo a finire?", ma solo perché in questi ultimi tempi ci siamo già finiti.

(Immagine realizzata con AI)

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Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una settantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. Presiede la giuria del Premio Torre Crawford ed è membro di IAMTW e World SF Italia.

miércoles, 19 de febrero de 2025

Vita da pulp - La prigionia degli unicorni

Di Marino e Cappi nel 2009

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi

Di là dalla vetrina, tre paia di occhioni sgranati mi fissano con un'espressione che sembra voler dire: "Facci uscire!"
Spiacente, ragazzi, penso. Non sono qui per voi.
Mi trovo a Bologna, in piazza XX settembre, a mezzogiorno del 18 febbraio 2025. Poco più in là vedo il Parco della Montagnola, in cui sono state girate sequenze dei film di Diabolik dei Manetti bros, ambientate nell'immaginaria Clerville. Le circostanze ricordano però quelle dei romanzi di spionaggio che scrivo io. O che scriveva Stefano Di Marino, uno degli autori - di noir, thriller e molto altro - di cui ho raccontato di recente in un articolo su Il Post che ha destato un certo interesse.
Gli occhioni sgranati appartengono a tre unicorni di pelouche nella vetrina di un negozio sull'angolo della piazza. Ignoro cinicamente il loro sguardo supplichevole e mi accendo un mozzicone di toscano, mentre attendo l'avvocato con cui ho appuntamento. Non l'ho mai incontrato di persona e gli ho mandato un mio selfie scattato mezz'ora fa, appena sceso dal treno, perché mi possa riconoscere.
Suona il cellulare. L'uomo mi dà istruzioni per raggiungerlo: ha parcheggiato poco più avanti su quel lato della piazza, davanti alla libreria. Avanzo sul marciapiede e vedo qualcuno fare cenni dall'interno di una Mercedes. Attraverso la strada, mentre ripongo il toscano in un tubo di alluminio: quello che chiamo "il preservativo", dettaglio ripreso anche da Stefano, che lo citò nel suo thriller Il bacio della mantide.
L'uomo scende dall'auto e mi guarda. "Assomiglia a Stefano!" osserva, sorpreso.
"Spesso ci scambiavano l'uno per l'altro", ammetto. Forse più per quello che scrivevamo che per l'aspetto fisico, ma un noto editore, anni fa, non sapeva mai chi dei due fosse chi.
L'avvocato - mio coetaneo, capelli, baffi e barba bianca - apre il bagagliaio e ne tira fuori una borsa. Un'auto della polizia ci gira intorno: siamo vicini alla stazione, tradizionalmente un luogo di scambi loschi.
Richiuso il bagagliaio, l'uomo ci appoggia sopra la borsa, traboccante, di cui vedo il contenuto: tre computer (di cui due probabilmente non più funzionanti), un hard disk esterno, quasi trenta chiavette USB, una matassa di cavi di alimentazione da cui penzola un mouse. Traferisco cavi, hard disk e chiavette nel mio zaino, firmo una ricevuta, stringo la mano all'avvocato. Prendo zaino e borsa, mi sposto davanti alla libreria. Estraggo il mozzicone dal "preservativo" e lo riaccendo.
La polizia continua a girare intorno, ma non interviene. Da quando porto gli occhiali ho smesso di avere un'aria sospetta, mentre anni prima, tutte le volte che rientravo in Italia in aereo, il mio bagaglio veniva esaminato da cima a fondo e dovevo mostrare uno a uno i libri comprati in Spagna.
La consegna appena effettuata, in ogni caso, è assolutamente legittima. L'avvocato è uno dei tre procuratori degli eredi di Stefano Di Marino che si sono occupati della successione. Ciò che ho ritirato è il materiale informatico che si trovava a casa di Stefano dopo il suo suicidio, nell'agosto 2021, e che da allora è stato custodito in uno studio legale di Bologna. L'ho acquistato insieme ai diritti di tutte le sue "opere dell'ingegno" (narrativa, articoli, persino fotografie), dei quali sono ufficialmente titolare dallo scorso 11 febbraio 2025. Sono arrivato alla fine di un lungo e tormentato percorso durato tre anni e mezzo.

Ho scritto nel già citato articolo su Il Post quali ritengo siano state le motivazioni del gesto estremo di Stefano Di Marino. Trattandosi di uno scrittore noto soprattutto per i suoi romanzi di spionaggio, in quei giorni nacquero persino "ipotesi di complotto", nel suo caso immotivate: le sue spy story, per questo ispirate a situazioni reali del nostro tempo, erano fondamentalmente di fantasia, a differenza delle mie, in cui alludo chiaramente alla serie di intrighi che da un decennio sta determinando il corso della politica mondiale (e trovo curioso ma non sorprendente che oggi - al di fuori della storica collana specializzata Segretissimo di Mondadori - agli editori faccia quasi paura l'idea di pubblicare romanzi di spionaggio, proprio quando la loro funzione informativa sarebbe fondamentale per il pubblico; in ogni caso sappiate che, se dovesse succedere qualcosa a me, non si tratterebbe di suicidio).
Sono certo che, prima di dare l'addio al mondo, Stefano abbia lasciato bene in vista il mio nome e il mio numero di telefono, dal momento che fui chiamato io come persona di riferimento per il riconoscimento della salma. Poiché mi trovavo in Spagna da settimane, la triste incombenza toccò alla mia fidanzata, rimasta a Milano per lavoro. Fui io tuttavia a dare telefonicamente alla polizia il contatto con una cugina, l'unica persona che conoscessi tra i parenti... e una dei pochi fra questi a conoscere veramente Stefano che, mi riferisce lei stessa, parlava di me "come di un fratello".
Non essendoci eredi diretti, la successione è stata complessa e ha riguardato soprattutto l'appartamento del defunto e quello che avrebbe ereditato di lì a poco dai genitori (il padre già deceduto e la madre ormai in fin di vita): ho già raccontato in questa rubrica come un gruppo di suoi amici volonterosi abbia provveduto a portare in salvo il materiale conservato da Stefano in casa sua (parecchie centinaia di scatoloni tra libri, dvd e reliquie dei suoi viaggi) nell'estate del 2023. Ma, quando i diritti di un autore sono divisi tra una dozzina di persone, diventa davvero difficile pubblicarne i libri.

Ora però il titolare dei diritti di Stefano sono io, il che mi consentirà di gestirli più agevolmente. Li ho acquisiti a un costo molto elevato per me, di certo inferiore alla loro importanza per il pubblico che lo ama e gli rimane fedele, ma nettamente superiore al loro attuale valore commerciale. Stiamo parlando, dopotutto, del più grande "celebre scrittore ignoto" d'Italia. Con un po' di fortuna, mi ci vorranno anni per rientrare della spesa. Non ho fatto tutto questo a scopo di lucro, bensì per rendere giustizia a un autore che non è stato sufficientemente riconosciuto in vita. So del resto, perché in tempi non sospetti lo disse ad alcuni amici, che avrebbe voluto che fosse fatto per lui ciò che viene fatto da qualche anno per un altro mio "fratello" scomparso, Andrea G. Pinketts. Ma, nel caso di quest'ultimo, c'era un'erede precisa: la madre, che ha dato vita all'Associazione Culturale intitolata allo scrittore, in cui sono parte attiva. Tra parentesi, potrebbero esserci novità interessanti che riguardano anche Pinketts e che sono emerse proprio nelle ultime settimane. Questo strano periodo della mia vita somiglia al season finale di una complicata serie tv.
Per Stefano ho dovuto condurre una battaglia lunga e paziente, che in certi momenti ho temuto fosse perduta. Ma sono stato sostenuto a spada tratta da quella sua cugina, sicura che lui avrebbe voluto che fossi io a occuparmi dei suoi libri. Per fortuna, una volta tanto nella mia vita, il season finale è stato un happy ending. Ora dovrò vedere come si svolgerà la prossima "stagione", che avrà inizio appena comincerò a esaminare il materiale ritirato a Bologna. Ma intanto presto torneranno disponibili numerosi ebook di Stefano Di Marino, rimasti in sospeso negli ultimi anni per l'impossibilità di rinnovarne i contratti; è in preparazione un'antologia-tributo cui partecipano scrittori e scrittrici di spionaggio made in Italy e che conterrà anche la riedizione di un suo racconto e di vari suoi scritti di saggistica; e, naturalmente, Segretissimo si appresta alla ripresa definitiva della sotto-collana Il Professionista Story, che potrà così celebrare nel 2025 il trentennale della serie Il Professionista firmata Stephen Gunn. 
Gli unicorni in vetrina a Bologna dovranno pazientare in attesa del loro turno: prima o poi sarà qualcun altro a liberarli dalla prigionia. Ma intanto Stefano Di Marino sta tornando per restare. Da anni i suoi libri mi chiedono "Facci uscire!" Ed è al loro richiamo che devo obbedire.

Unicorni in vetrina. Foto: A. C. Cappi

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Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una settantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. Presiede la giuria del Premio Torre Crawford ed è membro di IAMTW e World SF Italia.