Interventi di Fabio Viganò e Andrea Carlo Cappi
È stata una strage. Morti innocenti, volute.
Pensano di aver compiuto un gesto eroico. Non lo hanno fatto e non lo faranno mai. Non ne sono capaci. Uccidere per creare il terrore non è che un gesto vile.
Siete dei vigliacchi e degli insulsi. Non usate la testa. Vi lasciate soltanto comandare da persone che -ne sono certo - mai si esporranno, mai agiranno in prima persona. Lo stratega che vi ha addestrato, colui che ha creato un piano così militarmente imprevedibile, lo prenderemo. Statene certi!
La Giustizia arriva sempre. La Giustizia non è la vendetta. Uccidevate in nome di Allah? Vi svelo un segreto: Allah, come la comunità islamica, non è con voi. Non può esserlo! Non foss'altro per le stragi da voi perpetrate. Avete compiuto un attentato con molte vittime persino in una moschea! Siete soltanto burattini manovrati da persone senza scrupoli. Trafficate in droga e invocate Allah? Strano: la droga è vietata dal Corano!
La differenza tra noi e voi sta nel fatto che noi crediamo in valori quali la Libertà, l’Uguaglianza dei Popoli, la Fratellanza. Voi non credete in niente! Ricordate bene una cosa: chi crede in valori come i nostri non muore mai! Vivrà per sempre nei giorni,negli anni,nei secoli a venire. Voi, a differenza delle persone che avete martirizzato a Parigi, siete già morti. La vostra ideologia vi rende morti che camminano, respirano, forse lavorano… ma non per costruire o creare, non per migliorare la Vita. Siete solo strumenti nelle mani di cultori di morte. Per questo motivo tutto il mondo oggi grida: "Vive la France, vive la Libertè”. (Fabio Viganò)
C'è un effetto collaterale a ogni attacco terroristico all'Europa. Diventiamo i nemici di noi stessi, quindi facciamo un favore all'ISIS (o ISIL, o IS, o Daesh, a seconda di quale sigla si preferisca usare).
Per prima cosa, siamo facili alla spettacolarizzazione del terrorismo: il confine tra doverosa informazione e sensazionalismo è molto sottile e, per quanto oggettivamente si possa cercare di riportare una tragica notizia, l'effetto è quello di moltiplicare il panico e aumentare l'eco dei gesti compiuti dagli assassini. In secondo luogo, ogni evento del genere scatena mille reazioni sui social network, diffondendo affermazioni spesso inesatte.
C'è chi afferma, per esempio, che i terroristi della Jihad siano stati organizzati, addestrati e finanziati dagli USA. Il che è un clamoroso equivoco. È vero che al-Qaeda discendeva a suo modo tanto dalla guerriglia afghana antisovietica sostenuta dagli Stati Uniti negli anni Ottanta, quanto da certi ambigui alleati dell'Occidente in Arabia Saudita e probabilmente non solo laggiù. Ma poi al-Qaeda si è evoluta in modo del tutto indipendente. Gli unici possibili retroscena complottistici dell'Undici Settembre sono che gli USA di Bush Jr. si aspettassero un attentato di minore entità che fornisse un casus belli per dare inizio a una campagna bellica in Medio Oriente. In Afghanistan contro i talebani, che quantomeno avevano a che fare con l'accaduto. Ma poi anche in Iraq contro Saddam Hussein, che non aveva molto a che fare con il terrorismo, disponeva solo di armi di distruzione di massa obsolete e inutilizzabili, risalenti a quando faceva comodo come baluardo contro l'Iran (stiamo parlando ancora degli anni Ottanta) e ormai era stato messo in ginocchio dalla Prima Guerra del Golfo. Non va dimenticato che Bush Jr. stava programmando anche una guerra contro l'Iran, che nulla può avere a che vedere con al-Qaeda e i suoi derivati, per il semplice fatto che questi sono sunniti, mentre l'Iran è sciita. E sunniti e sciiti sono nemici tra loro, anche se islamici e a loro volta avversi a Israele.
La colpa degli americani è di non avere capito una regola molto importante della politica internazionale. In un paese in cui convivono diversi gruppi etnici o religiosi, tenuti sotto controllo a forza per decenni da una dittatura, nel momento in cui il dittatore muore o viene rimosso esplodono odi "tribali" impossibili da controllare. È accaduto nell'Ex-Jugoslavia dopo la morte di Tito. È stato miracolosamente evitato in Spagna, dove solo dopo quarant'anni i catalani cominciano a reclamare indipendenza (ed espansionismo su territori limitrofi) per ora mantenendosi tuttavia sul piano democratico. È accaduto in varie repubbliche dell'ex-URSS. Ma è accaduto soprattutto nell'Iraq dopo la Seconda Guerra del Golfo e in Libia dopo la morte di Gheddafi.
Il nuovo governo iraqeno è prevalentemente sciita, proprio come il vecchio nemico, l'Iran. Così la futura ISIS, all'inizio un gruppo sunnita che si ricollega a quello chiamato per qualche tempo "al-Qaeda in Iraq" si presenta come tutore dei sunniti, anche se è portatore di una lettura intransigente della legge islamica, imposta con la violenza alla popolazione nei territori occupati.
Nel momento in cui la Primavera Araba arriva in Siria - sotto la dittatura di al-Assad, sciita, amico dell'Iran e di Hezbollah, partito armato sciita in Libano - si crea una ribellione che aspira alla democrazia. Ma al-Qaeda ha una filiale in Siria, Jabat al.Nusra, che cerca subito di entrare nel gioco. E nel contempo l'ex "al-Qaeda in Iraq", ancora formalmente (ma per poco) alleata di al-Qaeda, trabocca dall'Iraq in Siria dando vita all'ISIS (Stato islamico di Iraq e Siria) combattendo non solo contro al-Assad, ma anche contro i ribelli democratici, decimandoli, decapitandoli (anche in senso letterale) e occupando territori.
Da qui la nascita del sedicente Stato Islamico del califfo al-Baghdadi, leader dell'ISIS. E la situazione imbarazzante in cui si è trovato Obama. Dal momento che gli USA erano nemici dell'Iran e contrari alla dittatura di al-Assad, da che parte avrebbero dovuto intervenire gli Stati Uniti? Contro la dittatura, e quindi fianco a fianco di al-Qaeda e della nascente ISIS? O contro questi ultimi, a favore di una dittatura? Oltretutto, al-Assad è amico della Russia di Putin (a sua volta in buoni rapporti con l'Iran, a differenza degli Stati Uniti), motivo per cui probabilmente Obama si è accordato con Putin per dividersi le parti di sbirro cattivo (gli USA) e sbirro buono (la Russia) e convincere al-Assad a consegnare alla comunità internazionale le proprie armi chimiche perché fossero distrutte. In questo modo non poteva usarle lui e non potevano sottrargliele, come già avevano cominciato a fare, i gruppi jihadisti. La situazione critica ha portato poi a un necessario riavvicinamento tra Occidente e Iran, che non è piaciuto a Israele, ma era la cosa più saggia da fare nel corso del 2015.
Il nuovo governo iraqeno è prevalentemente sciita, proprio come il vecchio nemico, l'Iran. Così la futura ISIS, all'inizio un gruppo sunnita che si ricollega a quello chiamato per qualche tempo "al-Qaeda in Iraq" si presenta come tutore dei sunniti, anche se è portatore di una lettura intransigente della legge islamica, imposta con la violenza alla popolazione nei territori occupati.
Nel momento in cui la Primavera Araba arriva in Siria - sotto la dittatura di al-Assad, sciita, amico dell'Iran e di Hezbollah, partito armato sciita in Libano - si crea una ribellione che aspira alla democrazia. Ma al-Qaeda ha una filiale in Siria, Jabat al.Nusra, che cerca subito di entrare nel gioco. E nel contempo l'ex "al-Qaeda in Iraq", ancora formalmente (ma per poco) alleata di al-Qaeda, trabocca dall'Iraq in Siria dando vita all'ISIS (Stato islamico di Iraq e Siria) combattendo non solo contro al-Assad, ma anche contro i ribelli democratici, decimandoli, decapitandoli (anche in senso letterale) e occupando territori.
Da qui la nascita del sedicente Stato Islamico del califfo al-Baghdadi, leader dell'ISIS. E la situazione imbarazzante in cui si è trovato Obama. Dal momento che gli USA erano nemici dell'Iran e contrari alla dittatura di al-Assad, da che parte avrebbero dovuto intervenire gli Stati Uniti? Contro la dittatura, e quindi fianco a fianco di al-Qaeda e della nascente ISIS? O contro questi ultimi, a favore di una dittatura? Oltretutto, al-Assad è amico della Russia di Putin (a sua volta in buoni rapporti con l'Iran, a differenza degli Stati Uniti), motivo per cui probabilmente Obama si è accordato con Putin per dividersi le parti di sbirro cattivo (gli USA) e sbirro buono (la Russia) e convincere al-Assad a consegnare alla comunità internazionale le proprie armi chimiche perché fossero distrutte. In questo modo non poteva usarle lui e non potevano sottrargliele, come già avevano cominciato a fare, i gruppi jihadisti. La situazione critica ha portato poi a un necessario riavvicinamento tra Occidente e Iran, che non è piaciuto a Israele, ma era la cosa più saggia da fare nel corso del 2015.
Ora Obama viene spesso criticato per non essere intervenuto con maggiore decisione in Siria. D'altra parte gli americani e alcuni loro alleati sono ancora impegnati in Afghanistan e in Iraq. E sono sicuro che, se Obama facesse qualcosa di pìù che mandare droni a colpire bersagli selezionati, sarebbe accusato di essere un guerrafondaio e di massacrare bambini con il napalm come ai tempi della guerra in Vietnam.
Chi è intervenuto in Siria invece è Putin, che sa il fatto suo e ha due obiettivi precisi. Primo; combattere la guerriglia cecena alleata dell'ISIS (e viceversa). Secondo, sostenere l'alleato al-Assad combattendo l'ISIS e qualsiasi altra organizzazione ribelle (anche quelle anti-ISIS). Quindi Putin non è un sant'uomo, ma fa i propri interessi che, in qualche caso, possono coincidere con quelli dell'Occidente.
In tutto questo ci sono ulteriori complicazioni. I curdi, minoranza in tutti gli stati in cui rientra il territorio del Kurdistan, hanno creato zone indipendenti in Siria, spesso assediate dall'ISIS, come la città di Kobane, che ha offerto una resistenza eroica contro le truppe comandate da al-Shishani, che come dice il suo stesso nome di battaglia era in realtà ceceno. La Turchia, che non ama i curdi in generale e il partito armato curdo PKK in particolare, non ha fatto molto per aiutarli. E oltretutto civili curdi sono stati vittima di recenti e gravi attentati dell'ISIS in Turchia.
Ma non solo: dal momento che il cosiddetto Stato Islamico deve servire da "modello" per tutti i simpatizzanti, ecco che si è cominciato a parlare di ISIS anche in Libia, nel caos seguito alla fine del regime di Gheddafi. Un altro di quei casi in cui si stava meglio quando si stava peggio.
Mentre in Tunisia, uno dei paesi usciti meglio dalla Primavera Araba (non a caso alcune organizzazioni tunisine hanno appena ricevuto il Nobel per la Pace), l'ISIS è andata a colpire un museo e una spiaggia, due bersagli turistici molto visibili a livello internazionale.
E in Egitto ha messo una bomba su un aereo russo che partiva da una delle zone più tranquille, la meta turistica di Sharm el-Sheikh: non a caso ancora turismo e visibilità internazionale, con la sanguinosa ciliegina sulla torta di avere sterminato due centinaia di cittadini russi.
La notte scorsa, ancora Parigi. Come ho scritto in un mio libro pubblicato di recente, l'ISIS ha un complesso di inferiorità nei confronti di al-Qaeda e aspira ad avere un proprio Undici Settembre. Meno spettacolare, forse, ma intanto basta meno di una decina di kamikaze per fare centinaia di morti.
Ora in Europa si levano le consuete lamentele contro gli immigrati e, in particolare, i profughi. Che sono un problema quando sono tanti, ma non sono necessariamente terroristi. Specie quelli che stanno scappando dai terroristi e dalle loro leggi fondamentaliste.
In Francia, per esempio, dove c'è una vasta popolazione araba da molto prima che in Italia, i terroristi non sono immigrati, sono francesi di seconda o terza generazione. A volte sono emarginati con precedenti penali per spaccio di droga, falliti che in carcere incontrano un fanatico pronto a indottrinarli e a dare loro una ragione illusoria per vivere e per morire. Da questo punto di vista il traffico da tenere d'occhio alle frontiere, più che quello degli emigranti, è quello dei foreign fighters, cittadini europei che tornano dallo Yemen (dove si trova l'organizzazione "al-Qaeda nello Yemen") o dalle zone dell'ISIS tra Siria e Iraq (a cui si accede passando dalla Turchia) dopo l'addestramento. In Italia possiamo vantare persino jihadisti italiani purosangue, con tanto di marcato accento dialettale. Quindi diffidare dei profughi è solo un favore fatto all'ISIS, perché per loro chi fugge dal loro "paradiso" è un traditore e un nemico, al pari degli "ebrei e dei crociati", che saremmo noi occidentali.
Tutto questo non è Islam, non ha nulla a che fare con una cultura arabo-mediterranea, a volte anche laica, di cui l'Occidente è figlio e debitore. Dopotutto sono i numeri arabi quelli che usiamo per fare i conti, non i numeri romani, che sono decisamente più scomodi. Purtroppo i conti, delle vittime e del denaro, li fa anche chi ha interessi economici e di potere su tutto ciò che avviene in Medio Oriente e non solo: mercanti di armi e droga, strateghi che guadagnano tasse e potere dai territori occupati e che hanno bisogno di mantenere uno stato di guerra ininterrotto per conservare le une e l'altro. Ma evitiamo il complottismo da Internet, al pari di qualsiasi altra forma di fanatismo. (Andrea Carlo Cappi)
Chi è intervenuto in Siria invece è Putin, che sa il fatto suo e ha due obiettivi precisi. Primo; combattere la guerriglia cecena alleata dell'ISIS (e viceversa). Secondo, sostenere l'alleato al-Assad combattendo l'ISIS e qualsiasi altra organizzazione ribelle (anche quelle anti-ISIS). Quindi Putin non è un sant'uomo, ma fa i propri interessi che, in qualche caso, possono coincidere con quelli dell'Occidente.
In tutto questo ci sono ulteriori complicazioni. I curdi, minoranza in tutti gli stati in cui rientra il territorio del Kurdistan, hanno creato zone indipendenti in Siria, spesso assediate dall'ISIS, come la città di Kobane, che ha offerto una resistenza eroica contro le truppe comandate da al-Shishani, che come dice il suo stesso nome di battaglia era in realtà ceceno. La Turchia, che non ama i curdi in generale e il partito armato curdo PKK in particolare, non ha fatto molto per aiutarli. E oltretutto civili curdi sono stati vittima di recenti e gravi attentati dell'ISIS in Turchia.
Ma non solo: dal momento che il cosiddetto Stato Islamico deve servire da "modello" per tutti i simpatizzanti, ecco che si è cominciato a parlare di ISIS anche in Libia, nel caos seguito alla fine del regime di Gheddafi. Un altro di quei casi in cui si stava meglio quando si stava peggio.
Mentre in Tunisia, uno dei paesi usciti meglio dalla Primavera Araba (non a caso alcune organizzazioni tunisine hanno appena ricevuto il Nobel per la Pace), l'ISIS è andata a colpire un museo e una spiaggia, due bersagli turistici molto visibili a livello internazionale.
E in Egitto ha messo una bomba su un aereo russo che partiva da una delle zone più tranquille, la meta turistica di Sharm el-Sheikh: non a caso ancora turismo e visibilità internazionale, con la sanguinosa ciliegina sulla torta di avere sterminato due centinaia di cittadini russi.
La notte scorsa, ancora Parigi. Come ho scritto in un mio libro pubblicato di recente, l'ISIS ha un complesso di inferiorità nei confronti di al-Qaeda e aspira ad avere un proprio Undici Settembre. Meno spettacolare, forse, ma intanto basta meno di una decina di kamikaze per fare centinaia di morti.
Ora in Europa si levano le consuete lamentele contro gli immigrati e, in particolare, i profughi. Che sono un problema quando sono tanti, ma non sono necessariamente terroristi. Specie quelli che stanno scappando dai terroristi e dalle loro leggi fondamentaliste.
In Francia, per esempio, dove c'è una vasta popolazione araba da molto prima che in Italia, i terroristi non sono immigrati, sono francesi di seconda o terza generazione. A volte sono emarginati con precedenti penali per spaccio di droga, falliti che in carcere incontrano un fanatico pronto a indottrinarli e a dare loro una ragione illusoria per vivere e per morire. Da questo punto di vista il traffico da tenere d'occhio alle frontiere, più che quello degli emigranti, è quello dei foreign fighters, cittadini europei che tornano dallo Yemen (dove si trova l'organizzazione "al-Qaeda nello Yemen") o dalle zone dell'ISIS tra Siria e Iraq (a cui si accede passando dalla Turchia) dopo l'addestramento. In Italia possiamo vantare persino jihadisti italiani purosangue, con tanto di marcato accento dialettale. Quindi diffidare dei profughi è solo un favore fatto all'ISIS, perché per loro chi fugge dal loro "paradiso" è un traditore e un nemico, al pari degli "ebrei e dei crociati", che saremmo noi occidentali.
Tutto questo non è Islam, non ha nulla a che fare con una cultura arabo-mediterranea, a volte anche laica, di cui l'Occidente è figlio e debitore. Dopotutto sono i numeri arabi quelli che usiamo per fare i conti, non i numeri romani, che sono decisamente più scomodi. Purtroppo i conti, delle vittime e del denaro, li fa anche chi ha interessi economici e di potere su tutto ciò che avviene in Medio Oriente e non solo: mercanti di armi e droga, strateghi che guadagnano tasse e potere dai territori occupati e che hanno bisogno di mantenere uno stato di guerra ininterrotto per conservare le une e l'altro. Ma evitiamo il complottismo da Internet, al pari di qualsiasi altra forma di fanatismo. (Andrea Carlo Cappi)
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