Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi
Proseguo idealmente il discorso cominciato nell'ultimo post, con un altro elemento della narrativa che ho sentito mettere in discussione di recente, ma di cui si parla da parecchio e che non riguarda soltanto le fiabe. Perché, tradizionalmente, eroi ed eroine devono essere caratterizzati da una singolare bellezza, invece di essere persone qualsiasi o addirittura con palesi difetti fisici?
Potremmo risalire al concetto greco di kalokagathia, la corrispondenza tra bellezza e bontà che faceva sì che spesso eroi bellissimi, per esempio Ulisse, affrontassero personaggi mostruosi come il Ciclope. Del resto è stata la cultura classica a codificare la bellezza nell'arte. Ma la malvagità che si riflette nell'aspetto fisico riappare in varie mitologie, in cui per esempio le creature malefiche sono raffigurate come ibridi spaventosi tra diverse specie di animali. Di recente ho dovuto ricostruire l'iconografia di Pazuzu, il demone di cui si parlava ne L'esorcista, per il mio serial in appendice a Martin Mystère. Per contro, ho incontrato la figura fondamentalmente buona di Melek Taus, l'Angelo Pavone, che vedete illustrato qui sopra da Carlo Velardi.
Il contrasto tra buono-bello e cattivo-brutto è una caratteristica ricorrente della narrativa popolare, che nel XX secolo si ritrova, per esempio, nei fumetti di Dick Tracy di Chester Gould, in cui gli avversari del detective sono caratterizzati da volti quantomeno bizzarri; o, come notava Umberto Eco, nei romanzi di Ian Fleming con James Bond - peraltro non descritto come "bello", a differenza di molti suoi interpreti sullo schermo - i cui nemici hanno solitamente un aspetto orrendo, per quanto possano essere ricchi e ben vestiti. Oggi tutto questo sarebbe considerato body shaming.
In generale una bellezza fuori dal comune pervade tutta la narrativa popolare e non aleggia solo su eroi ed eroine, ma talvolta anche su antagonisti che se ne servono come maschera ingannevole. Inoltre certi personaggi, oltre a essere avvantaggiati nell'aspetto, godono pure di forza fisica, intelligenza e, da un secolo a questa parte, persino di equipaggiamento tecnologico superiori alla media, larger than life. Il discorso parte dai libri illustrati, per arrivare ai fumetti, al cinema e alla televisione. E qui i sostenitori dell'equiparazione a ogni costo si inalberano: la gente normale non è tutta così.
Allo stesso modo si può deprecare che in buona parte della storia del cinema o della televisione si vedano figure che si muovono in scenografie sofisticate, indossando abiti eleganti o guidando auto di lusso, anziché apparire malvestiti in ambienti da sottoproletariato urbano. D'accordo anche su questo: non tutti vivono in questo modo. Tuttavia, se è più che lecito e occasionalmente doveroso esprimersi in termini di realismo, verismo o neorealismo, non bisogna neppure dimenticare che in certi momenti si ha anche voglia e bisogno di sognare.
Alfred Hitchcock prediligeva atmosfere raffinate ed eleganti, come quelle di Caccia al ladro o Intrigo internazionale, perché pensava a un pubblico che già vede lo squallore a casa propria e non se lo vuole ritrovare pure al cinema. Ciò, beninteso, non gli ha impedito di girare Frenzy, la cui ambientazione è l'esatto opposto del glamour.
La narrazione come sogno non va né rifiutata né cancellata, il che può implicare accidentalmente la bellezza dei protagonisti. Si pensa oltretutto che questa sia pretesa e imposta solo alle donne e che sia quindi tutta una questione di maschilismo. Ma, se vi capita sotto gli occhi qualche copertina di romance angloamericano, potete notare che vi appaiono donne bellissime abbracciate a uomini bellissimi, muscolosi e seminudi. Del resto, senza Jason Momoa sul cartellone, molte meno persone andrebbero a vedere i film di Aquaman. Se bisogna sognare, tanto vale sognare in grande.
L'inconfessabile, inammissibile verità è che, nello spazio di una storia immaginaria e indipendentemente dall'orientamento sessuale, a molti di noi piace identificarci in figure più avvenenti, affascinanti, possenti. E, attraverso di loro, possiamo persino desiderarne di altrettanto belle come partner. In un pomeriggio d'autunno nel 1970, all'età di sei anni, al Cinema Atlas di via Sansovino a Milano, avrei voluto essere Sean Connery e trovare in spiaggia Ursula Andress. Che poi a dire il vero ho incontrato, sempre bellissima, benché circa trentacinque anni dopo e non in Giamaica, bensì a Busto Arsizio in occasione del Film Festival.
La bellezza, peraltro, è un fatto molto soggettivo. Hitchcock considerava più bella Grace Kelly rispetto alla coeva Marilyn Monroe, che gli sembrava troppo vistosamente sexy; io avrei preferito Ava Gardner e in questo Hemingway mi avrebbe dato ragione. In ogni caso, sognare davanti a un libro o uno schermo non dev'essere proibito. Se non ci piace quello che vediamo allo specchio tutti i giorni, dobbiamo abituarci, non pretendere di imporlo a chiunque altro.
Continua...
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Membro di IAMTW e World SF Italia, vincitore del Premio Italia 2018 (miglior romanzo fantasy), cura le riedizioni di Andrea G. Pinketts con l'associazione omonima e per Delos Digital la collana in ebook Spy Game.
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