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viernes, 28 de septiembre de 2018

La Sherlockiana, Milano, 29-30 settembre



Promemoria di Andrea Carlo Cappi

"La Sherlockiana", ovvero la milanese Libreria del Giallo gestita per anni da Tecla Dozio e storico luogo d'incontro per autori, appassionati e neofiti della letteratura di genere, rivive per un fine-settimana alla Biblioteca Cassina Anna (via S. Arnaldo 17, Milano) con due appuntamenti, sabato 29 e domenica 30, dalle 15 alle 19, insieme a moltissimi ospiti. Il tema di oggi, sabato, è la genesi di un libro, la sua pubblicazione e la sua promozione. In particolare alle 15 si discuterà del passaggio dal dattiloscritto al libro stampato (o all'ebook). Ci sarò anch'io e, alla sua prima apparizione pubblica dopo un lungo periodo di convalescenza, vedremo Andrea G. Pinketts. Corre voce del possibile arrivo fuori programma del grande Jeffery Deaver. Ecco gli appuntamenti.





jueves, 27 de septiembre de 2018

Fernanda Wittgens: una donna contro l'idiozia

Leonardo da Vinci L'ultima cena, 1495-98

Osservazioni di Andrea Carlo Cappi


Chi cammina per Milano può imbattersi in una via Fernanda Wittgens e chiedersi distrattamente chi fosse costei. Ora uno spettacolo teatrale ne rivela la storia, attraverso le parole della donna che negli anni Quaranta salvò con pari coraggio opere d'arte e vite innocenti dalla distruzione della guerra e dalla follia degli uomini. Il miracolo della cena (regia di Marco Rampoldi, collaborazione drammaturgica di Paola Ornati) si limita a tre rappresentazioni, l'ultima delle quali stasera, 27 settembre 2018, al Teatro Grassi di Milano. Realizzato dal Piccolo Teatro in collaborazione con il Museo del Cenacolo Vinciano e interpretato da Sonia Bergamasco, meriterebbe in realtà una diffusione più ampia, poiché ciò che racconta trascende la storia milanese e si rivela di spaventosa attualità.
Può essere definito semplicisticamente come un atto unico, della durata di cinquanta minuti, basato sulla lettura di lettere e scritti di Fernanda Wittgens, ma anche su annotazioni di Leonardo e Goethe, documenti ufficiali e pagine di giornali e riviste, non ultima l'infame La difesa della razza, voce delle leggi razziali che il regime istituì nel 1938. In realtà, grazie anche alla recitazione intensa e coinvolgente dell'attrice, oltre all'attento montaggio di immagini sullo schermo alle sue spalle, la rappresentazione si converte nella vicenda epica di una donna che combatte contro l'idiozia inarrestabile degli esseri umani.
La Wittgens, nata a Milano e di lontane origini svizzere, laureata nel 1925, diviene nel 1928 "operaia avventizia" (ossia precaria) presso la Pinacoteca di Brera. Dietro insistenza del direttore di Brera e sovrintendente alle Gallerie della Lombardia, Ettore Modigliani, viene promossa nel 1931 a sua assistente e nel 1933 a ispettrice. Quando entrano in vigore le leggi razziali, il suo mentore - ebreo e per giunta antifascista - è costretto alla fuga, ma lei ne prosegue il lavoro.
I venti di guerra che spirano già nel 1939 minacciano le opere d'arte. Da un lato la parete del Cenacolo di Santa Maria delle Grazie con il leggendario affresco di Leonardo viene protetta con una muraglia di sacchi di sabbia e una tettoia; dall'altro la Wittgens mette in salvo i quadri delle pinacoteche milanesi portandoli in luoghi più sicuri. Ma la hybris fascista conduce l'Italia verso l'autodistruzione e anche Milano ne fa le spese, quando la collera di Dio rovescia sulla città quintali di esplosivo della Royal Air Force: "bombardamento terroristico" lo definisce la Wittgens, ed è vero, anche se avrebbe potuto essere evitato. Sfidando le bombe con enorme rischio personale, la Wittgens cerca di salvare il salvabile.
Con la stessa determinazione con cui protegge il patrimonio artistico, combatte la letale stupidità del potere portando in salvo uomini, donne e bambini ebrei in Svizzera. Vittima di una delazione, nel 1944 viene denunciata e condannata a quattro anni di carcere come "nemica del fascismo": la "giusta" riconoscenza che spesso gli italiani riservano ai loro connazionali migliori. Lei affronta San Vittore come "un esame di laurea", trovandovi atrocità e umanità al tempo stesso. Ma in capo a sette mesi, dopo che la madre ha scritto invano al Duce (e in verità grazie a un falso certificato medico che ne attesta la tisi) viene scarcerata. Alla fine della guerra Modigliani viene reintegrato nel suo ruolo. Ma una nuova battaglia contro gli imbecilli aspetta il sovrintendente e la donna che combatte al suo fianco.
La protezione del Cenacolo si è rivelata appena sufficiente. La parete con l'affresco di Leonardo è una delle poche rimaste in piedi di Santa Maria delle Grazie, ma le intemperie cui è stato esposto lo hanno danneggiato, impregnandolo di umidità. Un pomposo, sedicente esperto assicura che tutto si risolverà naturalmente, grazie all'aria "calda e asciutta dell'estate milanese" (a questa frase il pubblico in sala, che ben conosce l'afa dei mesi estivi in città, scoppia a ridere). Si fanno ipotesi deliranti, come quella di staccare l'affresco della parete; del resto secondo alcuni quel che resta dell'opera, a seguito dei restauri nei secoli, avrebbe ormai molto poco di leonardesco. Modigliani muore nel 1947, dopo aver scelto un capace restauratore che riporterà alla luce l'affresco originale, mentre la Wittgens, erede alla direzione di Brera e prima donna in Italia a occupare un ruolo del genere, continua la lotta contro l'ignoranza e l'arroganza. Alla fine è lei ad averla vinta: il Cenacolo viene restituito alla città. Qui si conclude lo spettacolo, anche se fino alla sua morte prematura nel 1957 Fernanda Wittgens mantiene il suo ruolo fondamentale a Milano, dove nel 1952 è riuscita persino a portare la Pietà Rondanini di Michelangelo.
Dalla scena, Sonia Bergamasco trasmette tutta la passione umana e artistica di una donna che sfida le convenzioni e convinzioni maschiliste del suo tempo, senza mai smettere di salvaguardare i valori della cultura e dell'intelligenza. Un messaggio che, a oltre sessant'anni dalla sua morte, ha un estremo bisogno di essere ribadito in tutta Italia.

viernes, 21 de septiembre de 2018

Neurofisiologia della comunicazione

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Un saggio di Fabio Viganò

L’emisfero cerebrale di sinistra è un sistema conservativo e difensivo di tutti i dati, di tutte le informazioni che incameriamo nel corso della nostra esistenza. È facilmente condizionabile e all’occorrenza duttile. Tenta di analizzare la realtà, ma non è in grado di fornire un’analisi obiettiva in quanto essa risulta essere fondamentalmente istintuale. Infatti il più delle volte ci propina informazioni falsate, alterate, sotto un certo punto di vista mendaci e del tutto errate.
Tale fenomenologia trova la propria spiegazione nel fatto che l’emisfero cerebrale sinistro è “dominato” dal rapporto stimolo-risposta immediata. Per questo motivo possiamo definirlo, a buona ragione, come una sorta di “giudice non veritiero”. Vediamo e cerchiamo di capire il perché.
È un potente programmatore che contiene in sé molte memorie diversificate di parecchi files di programmi che dovrebbero favorirci in procedure particolari, quali l’accumulo dei dati, il nozionismo, l’apprendimento e quindi un’acquisizione ragionata delle informazioni che servono per produrre una competenza specifica.
Tuttavia l’emisfero cerebrale sinistro fornisce informazioni chiuse, che servono in ogni caso al processo cognitivo, ma risultano stereotipate e insindacabili, almeno nell’eloquio di primo acchito e nella risposta immediata, istintuale a volte. Non potrà essere, data la sua peculiare natura, disponibile al dialogo e perciò favorirci in una comunicazione efficace. Ciò accade in quanto l’emisfero cerebrale sinistro è generalizzatore e quindi non in grado di analizzare i dati fornitici durante una comunicazione con l’interlocutore.

Il fatto poi che esso sia in stretta correlazione con la funzione temporale, nonché contenga in sé l’area del linguaggio o area del Broca - localizzata a livello frontale, data dall’unione delle aree 44 e 45 del Brodmann, in stretta relazione con l’area del Wernicke, area 22 del Brodmann,sita nel lobo temporale, tramite il fascicolo arcuato - potenzierebbe ulteriormente l’ipotesi di una risposta pensata; cioè, anche se istintuale, non “compulsiva”, soprattutto in situazioni patologiche o impossibilitate, creando quindi una sorta di circuito chiuso di cui si è parlato precedentemente.
L’area del Broca - così detta dal nome dello studioso che nel 1861 descrisse il primo caso (paziente Tan) di perdita della facoltà del linguaggio articolato, detta afasia del Broca (se interessa quest’area), conseguente a una lesione cerebrale - è localizzata anteriormente all’area motoria corrispondente alla rappresentazione dei muscoli fono-articolari e ubicata nella circonvoluzione frontale inferiore sinistra, proprio dove sono depositati i programmi motori necessari per l’articolazione delle parole.
Di conseguenza un suo deficit funzionale (per causa vascolare, come un ictus, o causa traumatica o di altro genere) porterà a un disturbo di produzione del linguaggio parlato e scritto, mentre la comprensione linguistica sarà clinicamente nella norma. È in questo caso che parleremo di afasia di Broca.
L’area del Broca è costituita dalla pars triangularis e dalla pars opercularis. Secondo certe teoria, la pars triangularis, se interessata da eventi patologici determinerebbe l’afasia non fluente (o appunto afasia del Broca), come una sorta di limitata incapacità di interpretazione di stimoli e “programmazione dei condotti verbali”. La pars opercularis, posteriore alla pars triangularis, sarebbe la localizzazione principe deputata alla coordinazione degli organi coinvolti alla parola, quali le corde vocali, la faringe e il cavo orale.
Nell’area di associazione acustica, situata nella parte posteriore della circonvoluzione superiore temporale sinistra, in stretta connessione con l’area acustica primaria, avviene invece il processo di decodificazione del linguaggio, per cui gli stimoli uditivi sono trasformati in unità linguistiche, i fonemi. Una lesione a livello di tale zona si evidenzierà con un deficit selettivo della comprensione del linguaggio, sia parlato sia scritto, detto afasia sensoriale del Wernicke (Gianfranco Denes, Neuropsicologia del linguaggio, 2010).
Le due aree, del Broca e del Wernicke, risultano essere in relazione tra loro tramite il fascicolo arcuato. Inoltre sarebbero importanti le strette correlazioni esistenti di aree come l’area uditiva, somatosensitiva, con l’area visiva primaria (area 17 del Brodmann), area visiva secondaria e terziaria (aree 18 e 19 del Brodmann), come documentato da diversi trattati di neuroanatomia (Carpenter, 1972; Delmas, 1986; Bergamini, 1983; etc).
Se è vero che l’uomo si differenzia dall’animale per la capacità nel raziocinare, è altresì vero che questi sia l’unico tra gli animali a tradurre in parola idee ed emozioni, quindi gli stati d’animo. Esiste una associazione tra pensiero, idea, emozione e capacità del linguaggio. Consisterebbe nella teoria associativa, basata sulle relazione strutturale anatomica. Nella teoria neoetica o globalista, il linguaggio sarebbe il risultato di attività d’insieme del parenchima cerebrale. L’afasia sarebbe così legata ad una lesione cerebrale delimitata, ma le sue manifestazioni cliniche sarebbero soprattutto il riflesso dell’adattamento della massa cerebrale di fronte alla lesione.
Il linguaggio consta dunque di due “versanti”: uno espressivo e uno recettivo. Il primo corrisponde alla capacità di esprimersi con parole, il secondo alla capacità di intendere,cioè di comprendere il significato delle parole udite. Avremo quindi,come detto precedentemente, due tipi di afasia: l’afasia motoria del Broca è interessato il versante espressivo, e l’afasia sensoriale o di comprensione o del Wernicke, in cui è interessato prevalentemente il versante recettivo (Manuale di Neurologia Clinica di Ludovico Bergamini, Ed. Cortina).
Potrebbero però esistere fattori scatenanti di natura polipeptidico-ormonale, come nel caso di un accesso d’ira, capaci di riportare un soggetto affetto da grave quadro clinico come il Morbo di Alzheimer,al terzo stadio della patologia - da tempo afasico - a uno stadio di regressione temporanea della malattia.
È stato descritto il caso di un soggetto anziano di sesso femminile, da tempo apparentemente afasico, che a seguito di una pratica notturna assistenziale, è caduto vittima dell’accesso d’ira conseguente al cambiamento doveroso della postura e alla fase di risveglio. Oltre all’aggressione verbale e fisica agli operatori, la paziente riprese a parlare in modo coerente e articolato, sempre alterato, come da tempo non aveva fatto. La manifestazione sorprese entrambi gli operatori in modo positivo.

A differenza dell’emisfero cerebrale di sinistra, l’emisfero cerebrale destro risulta essere un ottimo rilevatore emozionale, specializzato nella gestione delle informazioni non-verbali che rappresentano la componente preponderante della comunicazione. Le informazioni non verbali vengono mediate dalle emozioni che, tramite il sistema nervoso neurovegetativo, tradiscono la razionalità intellettiva del parenchima cerebrale proprio perché spontaneamente e sinceramente incontrollabili.
Le emozioni,ben differenti dalle risposte istintuali,risultano essere veicolate ed elaborate da entrambi gli emisferi. È doverosa una precisazione. Bisogna tener presente che soltanto le emozioni che risultano essere sotto il dominio completo dell’emisfero destro possono definirsi spontanee e sincere. Soprattutto,  sanno essere informazioni uniche e irripetibili in quanto frutto di un momento determinato e unico che si sta vivendo. Sono sotto il controllo del sistema nervoso neurovegetativo quindi, come già detto, incontrollabili.
Un classico esempio di reazione neurovegetativa incontrollabile risulta essere rappresentato dalla causa-effetto del sentimento di gioia che determina dilatazione pupillare secondaria a stimolo emozionale esogeno (processo di midriasi). L’osservazione di un fatto gratificante determina una neurotrasmissione dai coni e bastoncelli della retina al ganglio ciliare, tramite fibre pregangliari. Da esso si dipartono quindi fibre postgangliari che fanno dapprima capo al chiasma ottico, ove una parte di esse diviene controlaterale, mentre la restante parte continua omolateralmente. Entrambe raggiungeranno le aree del Brodmann 17,18,19 (area occipitale primaria, area occipitale secondaria o paraoccipitale, area occipitale terziaria o perioccipitale), dopo essere passate di fianco alla sella turcica. In particolare,dapprima passeranno a lato del corpo genicolato anteriore, per poi passare a lato del corpo genicolato posteriore omolaterale, destro o sinistro che sia, sino a giungere nelle aree occipitali del Brodmann. Lì,la proiezione a livello di radiazione ottica con coinvolgimento delle aree corticali.
In questa dimensione analitica di estensione armoniosa di informazioni a livello del parenchima cerebrale, ben riusciamo adintuire le vere e serie potenzialità che il nostro cervello ci offre. Soprattutto, ci rendiamo conto di quanto poco si sappia al riguardo e di quanto poco, quindi, vengano sfruttate le nostre potenzialità.
Tornando all’emisfero cerebrale di destra,certamente vi è da aggiungere che esso non possiede il senso temporale. Mi spiego. Qualsiasi dato provenga dall’interno o dall’esterno del nostro organismo, sia esso esogeno o endogeno, dopo essere stato incamerato a livello dell’emisfero cerebrale sinistro viene rielaborato mediante un processo di analisi a livello dell’emisfero cerebrale destro. Tale analisi viene effettuata in tempo reale, ma con una procedura peculiare e abbastanza caratteristica, differente in tutti i sensi da quella espletata nel nostro emisfero cerebrale sinistro, luogo si potrebbe definire del processo istintuale discriminativo.
Il nostro cervello vive e opera grazie a leggi fisiche e a continui scambi energetici di materiale chimico, proveniente sia dall’esterno, sotto forma di alimenti e bevande, sia dall’interno, che si trasforma quindi in energia elettrica, generando il lavoro elettrochimico, secondo la nota legge,a partire dalla relazione: L=F•S, sino a giungere alla equazione di Nernst e all’equazione dell’equilibrio di Donnan.

L=F •∆x

L=P • A

L=P•∆V

L=∏•∆V

Lchim=∫da V1 a V2 • ∏ • ∆V

PV=nRT• V=nRT ovvero

∏=n • RT / V

Introducendo questo valore otterremo il valore chimico espresso a livello molare, per singola mole. Considerando una singola mole, cioè n=1 potremo scrivere:

∏=RT/V

Lchim/mole=∫ V1 a V2 • RT/ V •∆V

RT è K (costante) che può ergo essere tolta dall’integrale; ne discende quindi:

Lchim/mole=RT per ∫ da V1 a V2 • ∆V/V

Quindi otterremo:

L chim/mole=RT •1n •V2/V1

E poiché n/V=C,

V1/V2=C2/C1 e quindi

Lchim/mole=RT •1n C1/C2

Considerando il sistema di Donnan, C1 è la concentrazione della sostanza in α e C2 è la concentrazione della sostanza in β. 
Tale formula esprime il lavoro chimico compiuto per spostare una mole di una certa sostanza dalla fase α a concentrazione C1 alla fase β della concentrazione C2.Tale lavoro è uguale a una costante moltiplicata per il logaritmo naturale del rapporto tra le concentrazioni.
Consideriamo ancora il sistema di Donnan e sostituiamo il lavoro chimico per il sodio (Na) che diverrà quindi:

LNa=RT •1nNa α/Na β. Per il cloro (Cl) avremo:

LCl=RT •Cl α/ Cl β.

E il lavoro elettrico sarà quindi definibile dalla relazione:

Le=q(V1- V2)

In cui V1-V2 rappresenta la differenza di potenziale ∆E ai due lati della membrana, mentre q è la carica di un grammo ione monovalente.

q è eguale ad 1 Faraday, cioè a e•N, dove e è la carica unitaria dell’elettrone ed N il Numero di Avogadro (6,02x10 alla 23ma).

Per cui otterremo:

q=F=e•N=1,602x10 alla 19ma •6,02x10 alla 23ma pari a 96.500 Coulomb.

Se la carica dello ione non è monovalente, si avrà:

Le=zF• ∆E,dove z è la valenza.

Nel sistema di Donnan per ioni monovalenti come il Na+, appunto positivo, il lavoro elettrico sarà dato dalla relazione:

LNa+=zF•∆E Na+

Mentre per il cloro che risulta essere negativo avremo:

LCl=-F •∆ECl.

Analizzando il lavoro elettrochimico, detto anche potenziale elettrochimico, avremo che per un determinato ione, questo risulterà uguale alla somma del lavoro elettrico e del lavoro chimico per unità molare. Ne discenderà pertanto:

μNa+ =RT 1n (Na+)α/(Na+)β+F• ∆ENa+

In condizioni di equilibrio, essendo il flusso degli ioni uguale a zero, anche il lavoro elettrochimico sarà uguale a zero. Dunque otterremo:

μNa+= RT 1n(Na+)α/(Na+)β+F•∆ENa+=0

da cui discende:

RT •1n(Na+)α/(Na+)β=F• ∆ENa+ da cui

∆ENa+=RT/F • 1n (Na+)β/(Na+)α.

Questa è la cosiddetta equazione di Nernst per il sodio, che è analoga a quella degli altri cationi monovalenti.

Calcolando il lavoro elettrochimico per un anione monovalente quale il Cl:

∆ECl=RT/F•1n (Cl)α/(Cl)β.

Questa è la equazione di Nernst per il cloro. Essa descrive come il potenziale di equilibrio di uno ione dipenda dal rapporto fra le concentrazioni, per quello ione, fra due fasi di una soluzione. Nel sistema di Donnan considerato in precedenza, all’equilibrio (∆μNa+= 0 e ∆μCl=0) la differenza di potenziale elettrico che si è generata agirà allo stesso modo sui due ioni e quindi ∆ENa+=∆ECl, da cui, ricordando le equazioni precedenti otterremo:

RT/F•1n(Na+)β/(Na+)α=RT/F •1n (Cl)α/(Cl)β

Da qui, semplificando, avremo:

(Na+)β/(Na+)α=(Cl)α/(Cl)β.

Questa espressione costituisce la “condizione di equilibrio” secondo Donnan. In questa condizione il rapporto tra le concentrazioni in α e in β di cationi monovalenti risulta essere costante ed è inverso al rapporto tra le concentrazioni di anioni monovalenti. È il cosiddetto “rapporto di accumulo”. Dalla precedente equazione si osserva anche che in equilibrio il prodotto delle concentrazioni degli ioni diffusibili ai due lati della membrana risulta essere uguale, ovvero:

(Na+)β•(Cl)β=(Cl)α•(Na+)α

Esistono quindi variazioni di energia, che vengono descritte e definite dalla seguente relazione:

∆V=∆Ec=∆μ

come risulta intuibile la relazione ∆Ec=∆T, vera sia in condizione fisiologica che patologica.

Queste variazioni di energia sono rappresentate dagli input e dagli output continui, molteplici, che si verificano a livello neuronale, tramite le varie tipologie sinaptiche cerebrali presenti nel nostro parenchima cerebrale.
In conclusione possiamo quindi affermare che sussiste, in virtù del continuo plasticismo cerebrale, una sorta di variazione energetica continua, determinata anche dall’interscambio di informazioni presente a livello di emisfero cerebrale sinistro ed emisfero cerebrale destro.
Tornando ad analizzare l’attività dell’emisfero cerebrale destro, si è precedentemente accennato alla sua capacità ad integrare tutti i dati provenienti dall’interno. Sarebbe riduttivo. Infatti,all’elaborazione dei dati fa seguito la capacità di formulazione di informazioni aperte.
Interessanti sarebbero inoltre da sottolineare ed evidenziare le modalità di percezione del mondo che lo circonda, partendo dall’unicità soggettiva recettoriale di ogni singolo individuo. L’emisfero di destra possiede una maggiore capacità di percezione dello spazio in senso globale. Cioè, è in grado di effettuare l’analisi globale di una persona, evidenziandone sia la mimica che la gestualità o addirittura la capacità di comprendere in modo anticipato le reali intenzioni della persona con cui si stia interloquendo. Questo ci è possibile anche e soprattutto perché il nostro emisfero cerebrale destro è in grado di analizzare la modulazione del linguaggio utilizzata, nonché l’intonazione di esso.
In tale modo l’emisfero cerebrale destro garantisce un quadro complessivo della situazione che risulta essere sempre vincolato strettamente all’empirismo, all’esperienza emotiva dell’incontro e quindi, in seconda battuta, della razionalità.
Questa sua capacità integrativa continua di flusso di dati permette di giungere alla conoscenza, proprio grazie all’analisi delle informazioni pervenutegli e quindi un’obiettiva capacità reale, senza dover essere legato ad inutili e pericolosi paragoni di giudizio peculiari dell’emisfero cerebrale sinistro, che abbiamo visto essere sede principe dell’istintività.
Bisogna inoltre tener presente un aspetto ulteriore. Cosa accadrebbe se pervenissero “nuove informazioni” riguardo dati già presenti a livello cerebrale? Verrebbero escluse in quanto riconosciute aprioristicamente inutili, perché preesistenti? La risposta non può che essere negativa. Infatti,qualora ci pervenissero nuovi dati e fossero contrastanti con quelli precedentemente acquisiti, questi verrebbero vagliati, valutati, confrontati e analizzati riguardo la loro veridicità. Quindi, in seconda battuta, integrati come migliorie delle informazioni preesistenti o come dati sostituti “ex novo”.
Ma è da sottolineare il fatto che, a differenza dell’emisfero cerebrale sinistro, il nostro emisfero cerebrale destro non va incontro a conflitti tra un’informazione e l’altra, in quanto per il nostro emisfero cerebrale destro ogni dato risulta avere una propria specifica individualità e quindi non paragonabile a nessun altro. Tutte queste sue peculiarità gli permettono di rimanere sempre in contatto con la realtà delle cose, in quanto è l’emisfero deputato e depositario sia di libertà sia di verità.
Bisogna sempre sottolineare che questo emisfero cerebrale non è e non assurgerà mai a ruolo di giudice, bensì risulterà essere un valido e serio valutatore. La capacità mnestica umana, localizzabile a livello talamico, farà sempre parte di un vissuto che - dotato per sua natura di divenire plastico - può essere generatore di piacere, quindi di sostanze oppioidi naturali prodotte dall’essere umano, quali le endorfine. Così la capacità mnestica verrà evocata consciamente o inconsciamente, oppure in caso contrario rimossa a livello inconscio.
Non ritengo sia possibile cancellare dal substrato empirico-culturale esperienze negative con il solo desiderio di “non voler soffrire”. L’effetto che si può sortire, casomai, sarà dato da un temporaneo allontanamento del brutto ricordo, che ritornerà alla mente quando meno l’individuo se lo aspetti. A volte un’idea con potere associativo ha anche potere evocativo. Grazie a queste funzioni l’essere umano, ogni essere umano, riesce a esprimere le più alte caratteristiche quali la conoscenza, i sentimenti più nobili e profondi, l’interesse altruistico per l’altro non mediato da secondi fini.

Nel caso di conflittualità il nostro cervello, a livello dell’emisfero cerebrale destro,non riconosce né vincitori né vinti, ma è in grado di recepire soltanto le ragioni dell’una e dell’altra parte. Solo in un secondo momento tali ragioni verrebbero ponderate affinché si possa giungere alla verità.
Emisfero destro ed emisfero sinistro comunicano tra loro principalmente attraverso un ponte di fibre nervose che prende il nome di corpo calloso. Esso consta di circa duecentomilioni di fibre di collegamento. Nella donna il numero delle fibre presenti nel corpo calloso risulterebbe essere superiore del venticinque per cento rispetto all’uomo.
Questa possibilità funzionale permette lo sviluppo e lo svolgersi delle nostre funzioni superiori, grazie al potere associativo di tipo corticale che possiamo descrivere con il termine di sinergismo interemisferico. In particolare i nostri lobi frontali realizzano la consapevolezza del nostro agito e agire quotidiano, incrementando i livelli di conoscenza durante l’intero arco della nostra vita, grazie al meccanismo di controllo descritto in precedenza.
Tenendo conto delle differenze esistenti tra i due sessi, non dobbiamo mai dimenticare che spesso nel dialogo emergono o possono emergere caratteristiche che rischiano di essere confuse o interpretate erroneamente come difetti caratteriali o carenze comunicative. L’uomo è più portato all’analisi di un evento a differenza della donna che esprimerà un concetto sintetico e intuitivo legato anche all’emozione del momento. Quindi,se le due parti non vorranno raggiungere entrambe la verità, nel processo di comunicazione si instaurerà inevitabilmente un processo di tipo conflittuale tendente a creare sempre più risposte chiuse, ermetiche, barriere difensive sempre più impenetrabili.
Nella donna sia il tempo di latenza che di trasmissione risultano essere inferiori rispetto all’uomo. Di contro,nel soggetto femminile, in genere, possiamo constatare una maggior capacità emotiva e maggiori difese. Infatti se per la donna il tempo di risposta risulta essere di 300 msec, nell’uomo il tempo di risposta è superiore o pari a 700 msec.
Ogni parola che noi recepiamo viene impressa nella memoria a lungo termine in modo diretto. Questo meccanismo si verifica a prescindere dalla natura del vocabolo, ovvero negativa o positiva, verrà comunque ricordato. Ne discende che una sola parola può essere sufficiente a produrre pensieri e stati d’animo differenti da quelli originari. In base alla prevalenza emisferica sarà importante la scelta del linguaggio da utilizzarsi e quindi la comunicazione all’esigenza dell’interlocutore,  per poter disinnescare il potenziale rischio di conflittualità. 

Bibliografia:
Mauro Mancia Fisiologia del sistema nervoso, Cortina Editore, Milano
Gianfranco Denes Neuropsicologia del linguaggio, 2010


viernes, 7 de septiembre de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 13

V. va de Velde Nave in alto mare, circa 1680

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

13-ANSIA 



L’ultimo tra i vari disturbi trattati in questa sede è rappresentato dal disturbo d’ansia generalizzato. A differenza della normale preoccupazione che ogni individuo può manifestare nel corso della propria vita, a seguito di eventi o situazioni, è fonte di stress significativo che interferisce con le attività lavorative e sociali di un individuo, determinando una profonda alterazione nello stile di vita quotidiano. Questa fenomenologia patologica può colpire anche il soggetto anziano. 

Ma vediamo, per meglio comprendere e intervenire in modo efficace da un punto di vista terapeutico, come l’ansia possa agire su di una persona. È subdola, invadente, sino a impossessarsi della vita della persona stessa. L’ansia pervade a tal punto l'esistenza dell’individuo sino alla massima concentrazione su fatti o eventi che rappresenterebbero i “bersagli dell’ansia”. 

L’oppressione è sempre presente, in crescita, sino a determinare lo scadimento della qualità della vita. Il soggetto risulta essere “in balia della quota d’ansia incombente”, costantemente in apprensione per il suo futuro, il suo stato di vita, la situazione finanziaria, rla possibilità che ai suoi familiari possa accadere qualcosa di spiacevole e nefasto. L’ansia preclude la possibilità di una vita serena. 
Può manifestarsi con tachipnea, tachicardia, irrigidimento del tono muscolare, sino a sfociare persino in un vero e proprio attacco di panico o altre fenomenologie psicosomatiche in grado di alterare ulteriormente lo stato di benessere fisico della persona. Riguardo al GAD (Generalized Anxiety Disorder o Disturbo d’ansia generalizzato) continuano a esserci pareri contrastanti a tal punto da farla apparire come un’entità patologica controversa. Secondo Goisman et al., 1999, quasi il 90% dei pazienti affetti da GAD ha avuto nel corso della propria vita almeno un altro disturbo d’ansia. 
Il GAD sarebbe, tra tutti i disturbi d’ansia quello associato con la più alta percentuale di comorbilità. Da un punto di vista terapeutico-farmacologico gli ansiolitici possono ridurre o eliminare lo stato d’ansia, ma possono alla fine rivelarsi una soluzione senza alcuna via di uscita. Il problema starebbe nel fatto che il farmaco sarebbe efficace sin quando assunto. La frequenza delle ricadute dopo che i pazienti sospendono l’assunzione delle benzodiazepine, per esempio, può essere stimata tra il 63-81% (Rickels et al., 1980, 1986). Le misure farmaco terapeutiche non affrontano i fattori che generano l’ansia. Per il disturbo d’ansia generalizzato i farmaci possono talvolta essere un fondamentale coadiuvante a breve termine degli interventi psicoterapeutici. I farmaci non devono essere presentati come la “risoluzione del problema”. Non lo sono! 
Sarebbe opportuno che i soggetti affetti da GAD imparassero a tollerare l’ansia come un segnale significativo nel corso della psicoterapia. Coloro i quali possiedono una forza dell’Ego sufficientemente valida giungono a considerarla come una finestra aperta sull’inconscio. Il trattamento deve iniziare con una valutazione psicodinamica approfondita, nella quale l’ansia venga considerata come una sorta di “punta dell’iceberg”. È necessario capire la paura del paziente e il ruolo dell’ansia in relazione alla struttura psichica del soggetto in trattamento. 

Soprattutto, nel trattamento risulta essere importante la tolleranza. È doveroso che il terapeuta sia tollerante nei confronti della persona affetta da ansia, specie quando focalizza la propria attenzione su sintomi somatici e altre preoccupazioni che parrebbero essere alquanto superficiali. Non lo sono per il paziente.
Dobbiamo sempre tener presente che ciò che per noi non è significativo o importante, per altri lo è! A riguardo possiamo aggiungere che il fatto di parlare e di rivolgere l’attenzione su “preoccupazioni superficiali” distrae il paziente da problematiche ben più profonde e disturbanti. 

Questo caratteristico schema difensivo di evitamento può essere legato a un attaccamento conflittuale insicuro dell’infanzia, così come a traumi precoci (Crits-Christoph et al., 1995). Come agire allora? Dopo essere entrati in sintonia con l’altra persona, ascoltandolo empaticamente riguardo le sue preoccupazioni o paure, il terapeuta può – allora e solo allora - cominciare a porre domande su relazioni familiari, eventuali difficoltà interpersonali e situazione lavorativa del paziente. Possiamo passare a questa fase in quanto la persona si fida di noi.La sua fiducia non deve essere mai tradita. I suoi problemi non devono essere mai sottovalutati o peggio “derisi”. La comunicazione perderebbe ogni efficacia e si peggiorerebbe il malessere del paziente. 

Mitigare lo stato di ansia deve essere l'obiettivo terapeutico. Sarebbe buona cosa utilizzare le fobie, di solito non reali, del soggetto in correlazione a una comunicazione “aperta”, dove il soggetto sia ricondotto, tramite sue scelte di pensiero convincenti e vincenti, sui “binari del razionale”. Ovvero l’ascolto attivo, l’utilizzo delle sue paure e la loro analisi, lasciando sempre all’individuo la scelta se le ritenga ancora fondate o infondate, per creare dal dubbio la certezza e la conseguente serenità. 

Il suo “star bene” non potrà essere immediato né duraturo. È necessario continuare e perseverare nel tempo con pazienza e calma. Molto importante è, nel parlare, evitare le frasi chiuse. Sarebbe opportuno che a ogni singola affermazione si chiedesse, appunto, il parere all’altra persona con interlocuzioni del tipo: “Mi sembra… Mi pare… Cosa ne pensa lei?” È possibile, tramite l’ascolto, sostenere la persona nelle traversie delle varie situazioni che sono motivo di ansia, così che le modalità di conflitto nelle relazioni comincino a emergere. 

È importante sottolineare che il soggetto non deve essere “forzato” nell’eloquio. L’atto del parlare, dialogando con il terapeuta, deve essere vissuto da parte dell’individuo affetto da GAD come evento liberatorio, dalla forte connotazione strettamente confidenziale e terapeutica. Quindi l’eloquio deve essere sempre spontaneo e vissuto come libera scelta. Se ne deduce inoltre l'importanza da un punto di vista clinico del capire quando poter intervenire nel modo più adeguato e consono possibile per poter essere più efficaci. 

Mentre le fonti dell’ansia vengono associate a conflitti ricorrenti, il paziente capisce che questa può essere controllata tramite la comprensione delle aspettative inconsce di fallimento nelle relazioni sociali e nel lavoro. Un esito positivo può anche essere rappresentato dalla capacità di “usare” l’ansia come segnale di un conflitto ricorrente che porti all’introspezione e a un’ulteriore discernimento tramite una metodica che fu tanto cara a Socrate: la maieutica. 


Bibliografia: 

-Valerio Monesi Istologia, Edizioni Piccin-Vallardi 
-Glen O. Gabbard Psichiatria psicodinamica, Raffaello Cortina Editore 
-Manglaviti-Marcenaro Deficit cognitivi nei pazienti psichiatrici 
-Giuseppe Guaiana: Riconoscimento dei principali sintomi e sottotipi di depressione, Roberto Cavallaro-Dipartimento di Neuroscienze Cliniche IRCCS Universitario Ospedale San Raffaele di Milano 
-Lodovico Bergamini Manuale di Neurologia Clinica, Edizioni Libreria Cortina di Torino

Leggi anche nel blog
Neurofisiologia della comunicazione



jueves, 6 de septiembre de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 12

Constable Branch Hill Pond, circa 1825

Vademecum per la cura della persona

di Fabio Viganò

12-MALATTIA DI ALZHEIMER

Una tra le patologie che più frequentemente, purtroppo, è possibile riscontrare nel soggetto anziano è rappresentato dalla malattia di Alzheimer . La si può definire come una tra le più gravi tipologie di demenza. Con l’aumentare dell’età media, aumenta anche la prevalenza della malattia di Alzheimer. Viene anche identificata con il termine di demenza presenile (di Alzheimer-Perusini). 
Insieme alla demenza senile si è soliti affermare che siano verosimilmente entità anatomo-cliniche non distinte fra di loro se non per il limite arbitrario dei 65-70 anni. Le lesioni anatomo-patologiche sono infatti le stesse per entrambe le forme (placche senili, alterazione neuro-fibrillare, degenerazione granulo-vacuolare, atrofia pigmentaria neuronale. La distinzione di entrambe parrebbe essere artificiosa. Quindi sarebbe più opportuno parlare solamente di una demenza senile tipo Alzheimer e non di due forme distinte. 
Si è soliti descrivere i due quadri patologici separatamente sulla base dell’importante dato dell’età di esordio della malattia e sulla presunta più marcata presenza nel quadro clinico dell’Alzheimer di difetti delle funzioni cognitive. 

La malattia di Alzheimer domina per frequenza. Di tutti i soggetti affetti da demenza, due terzi (Tomlinson e coll., 1970) sono affetti da questa forma, la cui prevalenza si può calcolare (Terry, 1976) in oltre il 3/1000 dell’intera popolazione. Nella patogenesi delle forme demenziali atrofico-degenerative senili e presenili sembra abbia importanza una vulnerabilità elettiva dei neuroni colinergici (dimostrata – Perry e coll. Nel 1977 – diminuzione della coli-acetil-transferasi, quindi deficit di sintesi del neurotrasmettitore acetilcolina). 
Fattori esogeni possono facilitare, e iniziare clinicamente, il decadimento demenziale. In linea di massima appare più protetto dalla demenza senile chi ha potuto usufruire nel corso della sua vita, e soprattutto in tarda età, di una situazione affettiva e socio-economica stabile. Si è infatti osservata maggior incidenza della demenza senile nei divorziati e nei celibi. Talora l’esordio del decadimento psichico coincide con la sindrome da sradicamento (depressione reattiva al cambiamento di città o di abitazione), oppure a seguito del pensionamento dell’individuo per limiti d’età. Le demenze presenili e la demenza senile son dunque malattie dovute a un processo degenerativo primario ed endogeno, atrofico degenerativo, del parenchima cerebrale. 

Un esempio tipico di demenza presenile è rappresentato, appunto, dalla malattia di Alzheimer-Perusini. Questa venne descritta all’inizio del Novecento (1907-1911) da Alzheimer e da Perusini (1910). Esordisce tra i 45 e i 65 anni. I soggetti prevalentemente colpiti appartengono al genere femminile. Da un punto di vista anatomo-patologico la malattia è caratterizzata da un’importante atrofia parenchimo-cerebrale localizzata a livello cortico-sottocorticale, talora prevalente nelle regioni anteriori o, cosa più frequente, nelle zona temporo-parieto-occipitale. 
La perdita dei neuroni avrebbe un'importanza pari al 55%, secondo gli studi condotti da Colon e collaboratori. Sarebbero presenti, durante il processo degenerativo, quadri descritti con il termine di totenladenbildug, ovvero, “quadro a cassa da morto”. In cosa consisterebbe? Nel fatto che cellule nervose andrebbero a “circondare” altre cellule nervose cronicamente ammalate. 

A livello istopatologico il quadro dell’Alzheimer Desease (AD) è rappresentato da: 
- Placche senili 
- Alterazione neurofibrillare 
- Degenerazione granulo-vacuolare 
- Atrofia pigmentaria 
Le placche senili sono formazioni rotonde situate all’interno della corteccia cerebrale, visibili con colorazione di tipo argento. Sono costituite da un nucleo centrale con un anello periferico formato da un groviglio di filamenti e piccoli granuli. 
L’alterazione neurofibrillare di Alzheimer è caratterizzata dal fatto che le neurofibrille paiono essere addensate, conglutinate in nodi, conseguenza del deposito della β-amiloide. 
La degenerazione granulo-vacuolare è a carico del citoplasma della cellula neuronale che risulta essere ricca e infarcita sia di vacuoli che di granuli. 
L’atrofia pigmentaria è caratterizzata dalla degenerazione neuronale con accumulo di lipocromo, colorazione bruno/ giallastra tipica delle cellule in fase degenerativa. 
La descrizione di alcune alterazioni è doverosa, almeno per far comprendere il come e sino a che punto la struttura citoarchitettonica di una o più cellule di un individuo colpito da AD ne venga profondamente, inesorabilmente alterata. 

La sintomatologia dell’Alzheimer viene, secondo Grünthal, distinta in tre stadi. 
Il primo dura circa un anno. È caratterizzato dalla progressiva comparsa di una demenza amnestica. Il malato ha scarsa coscienza della malattia. Il tono dell’umore è spesso esaltato, con euforia e affaccendamento iterativo (ripetere movimenti in modo insensato), inconsulto, che spinge il demente a fare e rifare azioni senza scopo, in modo, si direbbe, afinalistico. 
Il secondo stadio è caratterizzato dalla alogia (Reich), cioè dalla povertà di pensiero e dalla mancanza di spontaneità nel parlare. Più precisamente si verifica la perdita delle funzioni simboliche con conseguente comparsa di afasia sensoriale, agnosia, aprassia, alessia, agrafia. Persiste l’affacendamento iterativo. Si osservano sintomi verbali paleo-cinetici quali la logoclonia (ripetizione iterativa ed esplosiva di sillabe), la palilalia (ripetizione di parole già dette), l’ecolalia (ripetizione di parole udite). 
Nel terzo stadio osserviamo il manifestarsi del completo sfacelo mentale, con comparsa di paraplegia in flessione. La persona malata è a letto, sudicia. L’unica sua attività è costituita da manifestazioni motorie primordiali quali la suzione, la masticazione, la prensione e lo strofinamento. 
Il decorso della malattia è di durata variabile, da pochi a molti anni, e si conclude con la morte del malato a seguito di malattie intercorrenti.

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miércoles, 5 de septiembre de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 11

W, H. Hunt Il trionfo degli innocenti, circa 1884

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

11-TERAPIA DELLA DEPRESSIONE

Da un punto di vista terapeutico la prognosi è benigna. Una volta diagnosticata, per l’80% dei depressi, inclusi gli anziani, si può efficacemente curare la depressione con farmaci, psicoterapia e – attualmente in fase di sperimentazione – magnetoterapia (Oxford University) e terapia elettroconvulsivante. 
Le medicine sono efficaci nella maggior parte delle persone depresse. Quattro sono i gruppi di antidepressivi che vengono utilizzati e i cui risultati sono risultati essere efficaci: 
-triciclici 
-inibitori delle monoamine ossidasi (IMAO) 
-inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) 
-inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI) 
L’adesione alla terapia farmacologica gioca un ruolo importante, ma può costituire un problema con i pazienti anziani. Si stima che il 70% dei soggetti tralasci di assumere dal 25 al 50% dei farmaci prescritti. 

Da un punto di vista sperimentale la magnetoterapia parrebbe dare buoni risultati. La psicoterapia gioca un ruolo preponderante nella cura degli anziani che subiscono significativi cambiamenti di vita, mancanza di assistenza da parte della società, mancanza di capacità di affrontare la propria situazione. Poiché la maggior parte delle persone anziane vive da sola e gode di un sistema di assistenza inadeguato, è necessario uno “sforzo particolare” per individuare queste persone e offrire loro cure adeguate. 

Il problema più importante risiede, come sempre, in una diagnosi corretta di depressione. Non deve essere sottovalutato il fatto che la depressione risulti essere, come il diabete, una patologia cronica e, a volte ciclica.
Il “sentirsi meglio” rappresenta soltanto l’inizio di una sorta di sfida con il disagio, il cui vero risultato non può che essere rappresentato dallo “star bene”.
Per le persone che provano il primo episodio di depressione in tarda età la maggior parte dei medici prescrive una cura da sei mesi all’anno, dopo una terapia d’urto che abbia ottenuto il regredire della patologia. 
Per le persone che abbiano subito due o tre episodi depressivi durante la loro vita, la cura dovrebbe durare da due a tre anni dopo la regressione della malattia. Invece, per coloro i quali abbiano avuto più di tre episodi di depressione, la cura potrebbe durare per tutta la vita.
La cura che è in grado di far sentir bene una persona è la cura che va bene a quella persona.
Nel 1999 il dottor David Satcher pubblicò sulla Rivista di Medicina Generale degli Stati Uniti un rapporto riguardante la Salute Mentale, in cui si affermava che i disturbi mentali, come la depressione, sono vere e proprie malattie che possono essere curate in quanto le terapie sono efficaci. 


martes, 4 de septiembre de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico -10

Gistave Courbet Il graticcio, 1862

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò


10-STRATEGIE COMPORTAMENTALI 

L’individuo anziano non è dissimile dal soggetto giovane. Entrambi possono essere fragili e molto, troppo esposti al rischio di cadere in depressione. È opportuno quindi saper interpretare la comunicazione non verbale al fine di prevenire la caduta dell’individuo nel “precipizio depressivo”. 

Esistono basi teoriche che possono aiutarci. La depressione è causata da pensieri negativi che determinano il sentimento depressivo. Vi sono inoltre alterazioni caratteristiche del modo di pensare, di comportarsi e di sentire le emozioni. Nelle basi teoriche dobbiamo tener presente la “triade cognitiva”. Essa è rivolta: 
-Verso il Sé 
-Verso gli altri/il mondo 
-Verso il futuro 
Verso il Sé: il soggetto ha bassa autostima o inesistente: 
- “Sono inutile” 
- “Sono inadeguato” 
- “Non so far nulla.” 
Verso gli altri/il mondo: 
- “Le persone sono crudeli” 
- “Tutto è così difficile” 
- “È un mondo duro.” 
Verso il futuro: 
- “Sarò sempre così” 
- “Le cose andranno sempre male per me.” 

Esistono fattori di mantenimento che perpetuano la depressione, come gli errori di pensiero e comportamentali. L’individuo tenderà ad avere e assumere un pensiero negativista, non già di autocommiserazione, ma di estrema critica in senso non costruttivo bensì distruttivo. Tutto questo si rifletterà in un atteggiamento depressivo che risulterà essere osservabile e riconoscibile in quanto influirà a livello anche fisico. I pensieri divengono mere giustificazioni al porre fine alla propria esistenza. L’individuo assume posture inadeguate e non consone a ciò che era in precedenza. 
Bisogna tener sempre ben presente che ci si trova di fronte a una condizione nuova, che stravolge e travolge l’essere umano, cambiandolo in modo profondo e radicale. Il suo eloquio potrà essere incerto, quasi incespicato, con parole che parranno come far fatica a uscire dalle labbra. Sembrerà in balia dell’incertezza del vivere. Il tono di voce risulterà essere dimesso talvolta, a tal punto da parer essere flebile. Le spalle incurvate e la schiena china nel camminare esprimono una sorta di “lento abbandono” che potrà incrementare via via col passar del tempo, come se la persona si chiudesse inesorabilmente in sé stessa. E infatti accade proprio questo! 

Tra i comportamenti che perpetuano la depressione non soltanto dobbiamo annoverare la rimuginazione, ma anche il ritiro sociale e l’evitamento. Soprattutto nella persona anziana, non è infrequente l’atto del rimuginare. Questo accade sul vissuto e sull’affettività. Si manifesta, di solito, ripensando continuamente a eventi dolorosi o a persone care ormai scomparse, piante, che si continuano a piangere. Il ritiro sociale è un chiaro sintomo depressivo. Il mondo non esiste più, lo si fugge nel buio della propria camera, dentro un letto, senza parlare, cercando il sonno nella speranza di poter dimenticare il dolore. Dimenticare ed essere dimenticati. In un certo senso, il ritiro sociale, già iniziato con l’essere “silenziosi e invisibili” al mondo, assurge nell’intimità della propria stanza a una specie di “escamotage estremo” da una realtà invivibile e troppo dolorosa. Si ha l’evitamento. 
Teniamo a sottolineare che queste fenomenologie sono già presenti in una fase depressiva conclamata e non devono essere sottovalutate in nessun caso. Quali potrebbero essere le strategie terapeutiche da approntare, tenendo ben presente che il farmaco serve ma che è il soggetto che deve “crescere in autostima” con il supporto dei terapeuti? Nella fase iniziale della terapia possono essere utili, come strategie cognitive, la distrazione e il “contare i pensieri”. La distrazione consiste nel concentrarsi su ricordi piacevoli e focalizzare la propria attenzione su un’altra attività. Contare i pensieri consiste nel notare l’occorrenza dei pensieri negativi senza farci troppo caso. 

Per quanto riguarda le strategie comportamentali sarebbe opportuno il monitoraggio dei livelli di attività (diario) che: 
-Aumenta i sentimenti positivi 
-Riduce i sentimenti negativi 
-Riduce le sensazioni di stanchezza 
-Aumenta i livelli di energia 
-Aumenta la motivazione. 
Tra le strategie comportamentali ha un ruolo rilevante la suddivisione di un compito in piccoli passi (per esempio: incrementare le ore di lavoro gradualmente). I vantaggi risultano essere, anche se non immediati, visibili nel tempo, di giorno in giorno. 

La terapia cognitiva è efficace nel trattamento della depressione ed è una pratica semplice che determina in prima battuta l’incremento dell’autostima e di pari passo il “contenimento” del ritiro sociale in quanto il soggetto, di conseguenza, ha incrementato il grado motivazionale e, passo dopo passo, sta riscoprendo una nuova affettività nei confronti della vita. Da “dover vivere” si sta passando al desiderio di “voler vivere”.

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domingo, 2 de septiembre de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 9

William Hogarth Il manicomio, 1773

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò


9-DEPRESSIONE 

La depressione è anch’essa un disturbo affettivo grave che può portare a morte l’individuo tramite il suicidio, conseguenza ultima della fenomenologia depressiva. È un disturbo biologico del cervello determinato da abbassamento di un neurotrasmettitore: la serotonina.
La patologia depressiva influenza il modo di pensare, i sentimenti, i comportamenti e tutta la salute. È caratterizzata da deflessione del tono dell’umore, perdita degli interessi e della capacità di provare piacere, riduzione dell’energia con affaticabilità e stanchezza. Si possono inoltre riscontrare riduzione dell’attenzione e della concentrazione, riduzione dell’autostima e della fiducia in sé, idee di colpa e di inutilità, una marcata visione pessimistica del futuro, disturbi del sonno e dell’appetito, nonché idee o atti di auto- aggressività e suicidio. Vi è tutto un corollario di sintomatologia biologica caratterizzato da: 
-Perdita di interesse e di piacere nelle attività che normalmente ne sono fonte (anedonia) 
-Mancanza di reattività emotiva nei confronti delle circostanze e degli eventi normalmente piacevoli 
-Risveglio mattutino due o tre ore prima del solito 
-Peggioramento mattutino della depressione 
-Rallentamento psicomotorio 
-Perdita di appetito 
-Perdita di peso (più del 5% del peso corporeo nell’ultimo mese) 
-Mancanza o riduzione del desiderio sessuale. 

L’episodio depressivo viene distinto in: 
- di gravità lieve o senza sintomi biologici 
- di gravità media o senza sintomi biologici 
- grave, senza sintomi psicotici o con sintomi psicotici. 

La depressione melanconica è un sottotipo di depressione con possibili basi neurobiologiche. 
La sindrome depressiva ricorrente è un disturbo caratterizzato da episodi ripetuti di depressione senza altri episodi di mania o ipomania. Il soggetto potrà presentare manifestazioni di distimia o di ciclotimia. Vi sono poi delle condizioni che “imitano” il disturbo depressivo ma che non devono essere confuse e mal interpretate 
La distimia è una depressione cronica dell’umore che dura da un minimo di due anni, non sufficientemente grave anche se mai da sottovalutare, in cui i singoli episodi non sono sufficientemente prolungati da giustificare una diagnosi di disturbo depressivo. 
La ciclotimia, invece, per definizione è una persistente instabilità dell’umore (più di due anni) in cui vi sono numerosi periodi di depressione e lieve esaltazione del tono dell’umore, nessuno dei quali è sufficientemente grave da giustificare una diagnosi di sindrome bipolare o sindrome depressiva ricorrente. 

Possiamo senza ombra di dubbio affermare che la depressione è una grave patologia che affligge ogni anno moltissime persone di ogni età, compresi i soggetti anziani. Vediamo ora quanto questo “disagio del vivere” sia diffuso nelle persone di età avanzata. 
La depressione nelle sue molteplici manifestazioni colpirebbe circa il 20% delle persone di età superiore a 65 anni (dati provenienti dagli USA). La maggior parte delle persone anziane depresse ha sofferto di episodi depressivi durante lunghi periodi della propria vita. Per altri la depressione si manifesta anche a 80 o 90 anni. La depressione negli anziani è strettamente associata alla mancanza di autonomia e all’invalidità e causa grandi sofferenze alle persone e ai loro familiari. 

Numerosi studi hanno dimostrato che la depressione è una malattia tipica del cervello; le cure risulterebbero essere efficaci solo quando la funzionalità cerebrale risulti essere integra e non deteriorata. Vediamo quindi di focalizzare le alterazioni biochimiche cerebrali che si possono osservare nella depressione. Sono svariate e sono: 
-disregolazione di certi mediatori chimici (neurotrasmettitori), quali la serotonina, la noradrenalina, la dopamina, l’acetilcolina e il sistema dell’acido gamma-aminobutirrico 
-alterazioni di diversi neuropeptidi, come l’ormone che regola il rilascio della corticotropina 
-alterazioni ormonali che comprendono l’aumentata secrezione di glucocorticoidi (con elevati livelli urinari di cortisolo libero e mancata soppressione del cortisolo plasmatico da parte del desametazone) e una risposta attenuata a vari test di stimolo dell’ormone della crescita (Grow-up Hormone), dell’ormone tireo stimolante (Thyroid-stimulating Hormone) e della prolattina 
-alterazioni del flusso ematico e del metabolismo cerebrale, evidenziabili con tecniche di visualizzazione cerebrale funzionale e rappresentate da aumento di sangue a livello della regione limbica e paralimbica e dalla sua riduzione nella corteccia prefrontale laterale. È importante sottolineare che nessuno di questi cambiamenti risulti essere presente in tutti i soggetti affetti da depressione maggiore, né alcuna alterazione risulta essere specifica per la depressione. 

L’elemento che meglio conosciamo, in ogni modo, è quello legato ai neurotrasmettitori che rappresentano il “bersaglio” dell’azione dei farmaci antidepressivi. Possiamo quindi identificare la depressione come una “malattia del cervello”, in riferimento alle alterazioni biochimiche che possono essere considerate come il risultato finale di un processo inesorabile, le cui conseguenze possono essere letali, indotto da condizioni eterogenee che comprendono problemi psicologici, sociali e fisici. 
Riguardo l’anziano, possiamo dire che nella vita può aver vissuto, come tutti, momenti di tristezza transitoria. Purtuttavia alcuni eventi (anche se non riferibili solamente all’individuo anziano), possono incidere, scalfire, “ferire” l’animo in modo profondo. Alcuni avvenimenti – principalmente di lutto, di perdita, di separazione affettiva, o quando il soggetto non vede una soluzione o una via d’uscita – possono rappresentare il punto di partenza di una reazione depressiva che può anche protrarsi nel tempo, determinando la depressione e, purtroppo, in certi casi, il suicidio. 

Analizzando la tematica con ampio respiro si deve ammettere che talvolta la depressione possa insorgere senza che si manifestino eventi tali. La depressione infatti può essere una conseguenza a pregressi stati patologici quali: 
-Malattie del sistema nervoso centrale, come il morbo di Parkinson, i tumori cerebrali, la sclerosi multipla, etc. 
-Patologie endocrine, come l’ipotiroidismo, il morbo di Cushing, etc. 
-Malattie infettivo/infiammatorie, come l’AIDS, la mononucleosi, l’artrite reumatoide, il lupus sistemico, etc. 
-Alcune malattie sistemiche, come le anemie e alcune ipovitaminosi. 
Altre cause scatenanti sono rappresentate dagli abusi di farmaci, di sostanze come l’alcool, l’assunzione/sospensione di psicostimolanti quali la cocaina. Il fenomeno depressivo si manifesta solitamente durante la sospensione o l’abbassamento del quantitativo introdotto della sostanza. 

Riguardo l’individuo anziano c’è da dire che molti soggetti , come i loro familiari, non sono in grado di capire che si tratti di depressione. Non sanno come si manifesti e non comprendono quindi quanto la malattia sia grave. In altri casi, invece, i sintomi depressivi sarebbero travisati e considerati come corollario sintomatologico di demenza. 
Molti non si fanno curare in quanto le terapie sono troppo costose, oppure perché si vergognano, per timore di venir “bollati” dalle altre persone, ed evitano di chiedere aiuto. Alla fin fine, imboccata la via del “disagio del vivere”, se non supportato terapeuticamente l’individuo giunge a “dover vivere”. Ovvero il vivere non è ormai che una situazione di estrema sofferenza. Il centro vitale è il disagio. La vita non ha più nessun senso. È una condizione penosa, una condizione di dolore quotidiano cui non si vede l'ora di porre fine. Non si pensa certo alle conseguenze. Non si riesce a “vedere” oltre al proprio star male. Il “farla finita” sembra proprio essere l’unica “soluzione di benessere”. 
Se la speranza è l’ultima a morire, ecco che in questo frangente la morte assume invece un significato totalmente liberatorio dalle catene della sofferenza. Non esiste niente o nessuno, solo il proprio insopportabile disagio, fardello troppo pesante da portare in un'esistenza che non ha più alcun apparente motivo di continuare. “Perchè soffrire", pensa il soggetto, "quando nell’altra vita si potrà certamente star meglio?”
Per questo hanno enorme importanza le terapie.

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