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jueves, 27 de agosto de 2020

Vita da pulp - Una testa piena di gente

 


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto, di AndreaCarlo Cappi

Ogni tanto, nell’ambito della narrativa e della fiction in generale, si parla di appropriazione culturale, intendendo per esempio che chi ha un certo colore od orientamento sessuale non dovrebbe trattare personaggi diversi da sé, perché non sono di sua spettanza. Per quanto riguarda la scrittura, sarebbe come imporre di raccontare solo di personaggi tutti uguali a ciascuno di noi, cloni di noi stessi, che parlano e agiscono tutti allo stesso modo.

Immaginate la noia.

Ebbene, per chi si dedica alla narrativa, il Disturbo da Personalità Multipla non è un disturbo, ma una necessità. La sua testa – parafrasando il titolo italiano del libro di Daniel Keys su un celebre caso di MPD – è e dev’essere piena di gente.

Quindi secondo me, più che di appropriazione, bisognerebbe parlare di identificazione culturale. È inevitabile, del resto: chi scrive non può non identificarsi con i singoli personaggi. O, quantomeno, io non posso farne a meno, tanto con i protagonisti quanto con i personaggi secondari e terziari, uomini e donne che siano. E, aggiungo, tanto con quelli che ho inventato io quanto con quelli provenienti dagli universi di Martin Mystère o di Diabolik, su cui ogni tanto ho il piacere di lavorare.

Per esempio, è sempre molto gratificante per me ricevere da donne recensioni positive sia per i romanzi con le mie protagoniste ricorrenti, sia per quello in cui l’eroina è Eva Kant, ovvero una donna ideata da due donne, che segnò una svolta radicale nel fumetto italiano. Ma ho anche ricevuto apprezzamenti, in veste di traduttore, per il mio lavoro sui romanzi di Janet Evanovich con protagonista Stephanie Plum, editi da Salani; questo malgrado la convinzione altrove strisciante che un uomo non possa tradurre una donna che racconta di una donna.

Sarà che, per un certo periodo della mia vita nel mondo dell’editoria, sono stato anche una donna. Accadde più di venticinque anni fa: per guadagnare qualche soldo sfruttando ciò che so fare, mi proposi come traduttore a una nota casa editrice indirizzata a un pubblico femminile, ma non mi venne data la possibilità di fare una prova. Forse perché ero di sesso maschile? Il sospetto di essere stato vittima di una vaga, appena percettibile discriminazione è confermato biecamente dal fatto che di lì a poco mi ricandidai sotto mentite spoglie, inviando al mio posto una controfigura femminile. A lei venne subito offerto un test di traduzione (che feci io) e il conseguente ingaggio.

Così per un bel po’ fui un’apprezzata e richiesta traduttrice, anche se a presentarsi in redazione non ero mai io, che facevo il lavoro nell’ombra. Appropriazione culturale? Nel caso, non solo la mia grave colpa è caduta in prescrizione, ma ho riequilibrato io stesso la bilancia: quando anni dopo è capitato a me di assegnare traduzioni di libri (anche di autori e con protagonisti di sesso maschile) non ho mai avuto problemi ad affidarle a donne. Semplicemente, perché erano qualificate per farlo.

Avete presente il Metodo Stanislawskij, secondo cui un attore o un’attrice devono raggiungere il massimo livello di affinità con i personaggi che interpretano? Vale anche per la scrittura (e persino, quando possibile, per le traduzioni). Se nello scrivere entriamo non solo nei panni, ma anche nella fisicità, nelle percezioni, nei pensieri dei personaggi, non solo potremo renderli meglio sulla pagina, ma sarà più credibile tutto quello che raccontiamo, perché lo staremo vivendo con loro. Non a caso, uno dei miei personaggi si chiama Antonio Stanislawsky.

Un altro mio personaggio, che si fa chiamare Toni Black, ha la pelle nera, ed è più alto e più giovane di me di quindici anni. Fisicamente siamo diversi, ma quando scrivo di lui, ebbene, io ho la pelle nera, sono più alto e sono più giovane di quindici anni. Appropriazione culturale? Non direi proprio: Toni Black è uno dei miei personaggi più autobiografici, abbiamo parecchie esperienze in comune, comprese alcune che normalmente non si attribuiscono a un bianco. D’altro canto, se più bianchi riuscissero a vedersi anche come neri, se più uomini riuscissero a pensare anche come donne, o etero come gay (e viceversa per tutte le categorie citate, beninteso), forse molte cose che deploriamo nel mondo di oggi... non accadrebbero.

Ho idea che l’identificazione culturale andrebbe insegnata nelle scuole. Ma temo che gli scrittori pulp polivalenti non siano accreditati per dare suggerimenti sull’educazione civica.

Continua...

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Immagine: A. C. Cappi nella rielaborazione di una foto di Chiara Cadeddu

Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

1-Il Paradosso Strumpf

2-Fumo negli occhi

3-Una testa piena di gente

4-Giallosapevo

5-Le storie dentro di noi

6-Lo scrittore inesistente

7-Se sapeste cosa c'è dietro...

8-Al buio gli scrittori sono neri

9-Perché sono le donne...

10-Nato per perdere?

11-E' solo l'inizio




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