viernes, 11 de septiembre de 2020

Vita da pulp - Le storie dentro di noi


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto, di Andrea Carlo Cappi

A che età si decide di diventare uno scrittore o una scrittrice pulp? Forse quando ci rendiamo conto di avere tante storie dentro di noi. Nel mio caso avvenne a sei anni, ovvero mezzo secolo fa.

Ero sotto l’influsso di esperienze diverse: i primi libri di Salgari e la scoperta di Diabolik; al cinema, il mio primo Hitchcock, il mio primo 007 e i miei primi western, spaghetti e non. Di lì a poco sarebbero arrivati Tex, i fumetti Marvel, Il Giallo Mondadori, Urania e molto altro. Per Segretissimo avrei dovuto aspettare, dato che molti romanzi di quella collana erano considerati... troppo audaci per un ragazzino.

Credo che parte della spinta a diventare scrittore si debba a James Bond. Mi fu chiaro fin da subito che i film di 007 provenivano dai romanzi di un certo Ian Fleming e intuii che lo stile di vita del personaggio coincidesse con quello dell’autore; con la differenza, pensavo, che se scrivi libri nessuno cerca di ucciderti. Ignoravo due dettagli: che Fleming veniva da una famiglia di banchieri e che a volte gli editori possono essere letali quanto la SPECTRE.

D’altro canto, poiché fin dall’infanzia la mia testa continuava a secernere storie, fare lo scrittore mi è sempre sembrata la scelta più logica. E, dato che mi interessavano detective, spie e criminali, il mio campo doveva essere il giallo ad ampio spettro, seppur con qualche occasionale deviazione nel fantastico.

Raccoglievo ritagli di giornale su tutto quello che poteva essere utile per documentarmi. Tra le medie e il liceo riempii diversi quaderni di racconti. Li avrei dimenticati e riletti nel 1991, constatando che lo stile lasciava molto a desiderare, ma sorprendendo me stesso con trame e colpi di scena inattesi. In seguito ne avrei riciclati parecchi, riscrivendoli meglio di quanto sapessi fare prima. Le basi del mio primo racconto pubblicato (su Il Giallo Mondadori, nel 1993) e delle prime storie di Carlo Medina (uscite in SuperGiallo Mondadori dal 1994, poi raccolte nel 2003 nel volume Milano da morire, riedito da Oakmond dal 4 novembre 2020) risalgono a quando avevo quattordici-quindici anni.

Alla fine degli anni Ottanta il piano era pronto. Al liceo mi ero reso conto che saper scrivere in modo dignitoso mi era d’aiuto nel fare traduzioni. Pensai dunque di propormi come traduttore, intanto che cercavo di pubblicare qualcosa, benché fossi conscio che nessuno dei due lavori sarebbe stato molto remunerativo. Ci sarebbero voluti ancora qualche anno, qualche imprevisto e, alla fine, una serie di fortunate coincidenze perché il progetto si realizzasse. E non crediate che da allora sian sempre stato tutto rose e fiori. Questo però ve lo racconterò un’altra volta.

Ciò che mi interessa sottolineare oggi è che il motore di tutto sono le storie che affollano la mente di chi scrive pulp e i personaggi che, come diceva Pirandello, vengono a cercare l'autore. Non si scrive per diventare famosi, anche se una certa notorietà – come vedremo la prossima volta – si rende necessaria per non essere rimossi dal mercato. Non si scrive per diventare ricchi, anche se scrivere è un lavoro che dovrebbe essere retribuito, non sfruttato. Si scrive perché è una necessità irrinunciabile.

Le tecniche di scrittura si possono e si devono imparare. Ma a fare la differenza sono le idee, che nascono di continuo: quando si legge una notizia oppure un racconto altrui, quando si vede un film, quando capita qualcosa di insolito. Chi scrive narrativa popolare vive simultaneamente in parecchi universi: il proprio e quelli paralleli delle sue trame, in cui fatti e persone della vita reale trasmigrano di continuo, diventando qualcos’altro.

Per chi scrive pulp non esiste l’incubo della pagina bianca, non c’è il timore dell’ispirazione che non arriva. Semmai ne arriva troppa e su di noi incombe l’angoscia dell’orologio e del calendario. Specie quando si deve condividere il proprio tempo con attività a scopo di sussistenza e non ne rimane abbastanza per scrivere tutto ciò che si vorrebbe.

Forse è una sorta di tossicodipendenza: la ricerca di paradisi o inferni artificiali attraverso la narrazione. Può anche essere il desiderio di creare mondi in cui siamo noi a fare la parte di Dio. Può persino essere un tentativo di colmare spaventose lacune affettive: se i lettori ameranno i nostri personaggi, ameranno indirettamente anche noi. Ma, a mezzo secolo dalla mia scelta di vita e dopo quasi trent’anni di attività, sono certo di due cose: è per questo che sono nato e non intendo smettere di farlo.

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Immagine: illustrazione di Giovanna Pimpinella/Piantatastorta

Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

1-Il Paradosso Strumpf

2-Fumo negli occhi

3-Una testa piena di gente

4-Giallosapevo

5-Le storie dentro di noi

6-Lo scrittore inesistente

7-Se sapeste cosa c'è dietro...

8-Al buio gli scrittori sono neri

9-Perché sono le donne...

10-Nato per perdere?

11-E' solo l'inizio



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