jueves, 24 de septiembre de 2020

Vita da pulp - Se sapeste cosa c'è dietro...


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto, di Andrea Carlo Cappi

Un tempo chi scriveva faceva giusto quello: scriveva, possibilmente guadagnando da tale lavoro – perché di lavoro si tratta – un onesto compenso che lo affrancasse da altre attività a scopo alimentare. Talvolta si cominciava da racconti su riviste, facendosi un nome e creandosi un pubblico. Come ho già spiegato, il fenomeno era evidente nella letteratura pulp statunitense, ma la regola valeva per Edgar Allan Poe come per Ernest Hemingway o Charles Bukowski.

A loro volta gli editori, grandi o piccoli, si preoccupavano di pubblicare i libri, scegliendoli in base alla qualità e cercando di renderli visibili; i promotori presentavano i titoli alle librerie, che li ordinavano; i distributori consegnavano le copie; i librai le esponevano e le vendevano con cognizione di causa; i giornali ne parlavano, contribuendo a generare il passaparola. E i lettori leggevano. Sto idealizzando, beninteso: dubito che tutto funzionasse alla perfezione anche in passato. Di certo non è così che vanno le cose oggi. Per cominciare, molte case editrici hanno tre metodi per scegliere i libri.

Numero uno: comprare i diritti di libri stranieri inediti, millantati da qualche agente letterario come testi hot, ovvero sicuri bestseller che vengono contesi febbrilmente da direttrici e direttori di collana, al grido di È hot. È hot! È HOOOT!!! Spesso sono romanzi costruiti a tavolino e/o prodotti imitativi, destinati a un pubblico di massa che non ha esperienza del filone scopiazzato – pensate alla moda dei serial killer, a quella dei vampiri adolescenti, a quella dei thriller scandinavi scelti solo in base a motivazioni geografiche – ma che deludono invece gli appassionati che ne hanno già letto i maestri.

Viceversa, autori stranieri brillanti che hanno idee originalissime non vengono considerati perché non hanno un agente à la page. E, se un talent-scout li scopre tra le pubblicazioni all’estero, l’editore italiano per prima cosa controlla le vendite nel paese d’origine. Se non è un bestseller, non se ne parla. Non che un bestseller negli USA lo diventi automaticamente da noi. Ma pensate a quanti raffinati scrittori noir americani ebbero più fortuna in Europa che in patria: oggi rischierebbero di essere ignorati.

Ma intanto subdoli agenti presentano autrici e autori di media caratura come la nuova Agatha Christie, il nuovo John Le Carré e via dicendo. Se il libro non è ancora scritto per intero – o se fa acqua da tutte le parti – ne fanno leggere solo il riassunto o il primo capitolo o metà, illudendo i potenziali acquirenti che sia irresistibile fino all’ultima pagina. Ma a volte, quando capita un consulente editoriale sospettoso tipo Cappi, gli agenti concedono il libro completo.

Ricordo un thriller americano proposto alla Fiera di Francoforte come il capolavoro dell’anno. Il primo capitolo – che circolava via email – era evidentemente un bel racconto che doveva finire lì, sicché chiesi di leggere il resto. Quella sera fui chiamato a ritirare il dattiloscritto completo in via confidenziale all’aeroporto di Linate, per leggerlo in nottata. Come immaginavo, tutto il resto del libro era brodaglia allungata. Il mattino seguente la mia bocciatura echeggiò così forte fino in Germania che anche editori esteri lo lasciarono perdere. Nondimeno, oltre un anno dopo, uscì lo stesso anche in Italia. Si vede che era hot.

Un’altra volta arrivò un thriller spaventosamente mediocre e prevedibile: che l'assassino fosse lo psichiatra della protagonista si capiva dal secondo capitolo, appena entrava in scena, ma lo si scopriva ufficialmente solo quattrocento pagine di noia dopo, quando legava prevedibilmente la paziente al divano ed estraeva da un cassetto il prevedibile bisturi (tipico strumento di lavoro dello psichiatra); ma solo un attimo prima che il prevedibile poliziotto con cui l'eroina aveva un prevedibile rapporto tormentato sfondasse la prevedibile porta per abbattere il cattivo. Eppure il romanzo era così sbandierato dall’agente letterario che anche la mia stroncatura non bastò a rassicurare l’editore di turno: dopo di me dovette leggerlo anche Alan D. Altieri, che suggellò il mio giudizio con un sintetico ma esplicito Questo libro è una vera m... (immaginatelo scandito da un esperto di extreme warfare dal forte accento americano, dopodiché moltiplicate per cento e avrete una vaga idea).

Insomma, anche se il libro fa pena, le case editrici ci cascano e lottano per averlo con anticipi impossibili, fino a mezzo milione di dollari e oltre. Calcolate che alla spesa iniziale non solo va aggiunto il costo (in paragone ridicolo) della traduzione, ma soprattutto quello della stampa di innumerevoli copie con cui saturare librerie, supermercati e autogrill. Per essere efficace, l’impatto dell'uscita sulla popolazione dev’essere pari all’ingresso dei carri armati sovietici a Budapest nel ‘56 e a Praga nel ‘68. Se un editore non è abbastanza potente da imporre il libro a forza sul mercato, non riesce certo a rientrare dei costi e il cosiddetto bagno di sangue è inevitabile.

Metodo numero due: l’editore italiano vede che cosa funziona sul mercato e arruola un’autrice o un autore che si immetta in un filone collaudato, fabbricando un prodotto di routine come richiesto. Viene rifiutata, beninteso, qualsiasi cosa si discosti dagli stereotipi. Per forza poi si creano equivoci: se dico a un lettore di gialli che scrivo gialli, mi sento domandare quale sia il piatto preferito del mio commissario. Vagli a spiegare che i miei personaggi non sono commissari, bensì spie e killer internazionali, e che l’unico che si dedichi ai fornelli è un detective spagnolo senza licenza, appassionato di sobrasada maiorchina.

Metodo numero tre, il più sicuro da qualche tempo a questa parte: reclutare un personaggio pubblico, una star televisiva o un’influencer, con o senza apostrofo, e pubblicarne un libro eventualmente (ma non necessariamente) scritto da un opportuno ghostwriter. Nata a scopo di finanziamento per poi pubblicare anche buoni libri, tale pratica oggi pare invece la priorità. Nulla esclude che costei o costui possa scrivere benissimo, ma è un aspetto secondario. Anzi, se si tratta di un'analfabeta funzionale è meglio, perché il pubblico si identifica di più. Tant'è che si diffonde sui social network una nuova modalità di propaganda: Guarda che schifo di libro! Condividi se sei indignato! Dal momento che il target consiste in non-lettori attratti solo dal nome e dalla foto in copertina, la pubblicità funziona anche così.

Ah, sì: di tanto in tanto l’editoria italiana pubblica anche libri di gente che sa scrivere sul serio. Vale quanto scrisse Raymond Chandler a proposito della Hollywood degli anni d’oro: forse vi sembra che produca ben poco di valido, ma se sapeste cosa c’è dietro vi stupireste che esca anche quel poco.

E questo è solo il principio della filiera. Nelle fasi successive diventa anche peggio. Ma di questo (s)parlerò un’altra volta.

A proposito... condividi se sei indignato!

Continua...

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Immagine: A. C. Cappi in una foto di Effigie

Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

1-Il Paradosso Strumpf

2-Fumo negli occhi

3-Una testa piena di gente

4-Giallosapevo

5-Le storie dentro di noi

6-Lo scrittore inesistente

7-Se sapeste cosa c'è dietro...

8-Al buio gli scrittori sono neri

9-Perché sono le donne...

10-Nato per perdere?

11-E' solo l'inizio


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