Uno dei più clamorosi equivoci sulla narrativa di genere riguarda... il genere di chi la scrive (nel senso di "chi dovrebbe scrivere cosa") e chi la legge (nel senso di "cosa andrebbe letto da chi"). Aldilà di quanto sappiamo accadere nella società, nel mondo del lavoro e altri contesti importanti - di cui però questa serie di articoli non si occupa in modo diretto - la distinzione di sesso e a volte persino la discriminazione sono più presenti e fastidiose di quanto si possa pensare. Comprese quelle che nascono dallo slogan "... perché sono le donne a leggere di più".
Di recente una signora che di editoria se ne intende mi ha raccontato un aneddoto: in un convegno pubblico, a un noto scrittore fu chiesta la sua opinione su due autrici di gialli; lui rispose che non ne leggeva di qualsiasi autrice, perché le donne – a suo dire – non saprebbero scrivere gialli. (Ho usato visibilmente il condizionale per evitare che qualcuno ritagli la frase, la decontestualizzi, me la attribuisca e scateni una crociata contro di me, come già accaduto in passato. Nel dubbio, vi metto i sottotitoli: non è in quel modo che la penso io). Voglio presumere che quella dello scrittore di cui sopra fosse una provocazione o una battuta, non una sua convinzione radicata.
Perché, quando si parla di giallo, uno dei primissimi nomi che vengono in mente anche a chi non li legge è quello di Agatha Christie, indubbiamente una donna... o quantomeno nessuno dei suoi due mariti lo ha mai messo in dubbio. Non sto a dilungarmi qui sui motivi per cui la lettura di Dame Agatha sia importante, istruttiva e da me consigliata. Subito dopo mi viene in mente Dorothy L. Sayers, che oltre a tradurre in inglese La Divina Commedia scrisse i gialli con protagonista lord Peter Wimsley... ma potrei continuare con Patricia Highsmith e un’infinità di altri nomi più o meno noti, in ambiti diversissimi della letteratura di genere.
L’aneddoto dello scrittore misogino mi ha rammentato però gli anni Sessanta in cui, come ho già raccontato, l’editoria italiana si tuffò sul giallo da edicola. Laura Grimaldi – scrittrice e futura direttrice de Il Giallo Mondadori e Segretissimo – pubblicò in quegli anni romanzi sotto pseudonimo straniero e maschile. Altro esempio: al lancio del loro leggendario Diabolik, Angela e Luciana Giussani si firmarono A. L. Giussani in modo da nascondere di essere due donne, forse temendo che il personaggio non sarebbe stato accolto altrettanto bene. Era perché il grande pubblico associava alle donne solo la detective story classica (Agatha Christie era ormai la firma più venduta in assoluto de Il Giallo Mondadori) mentre le storie criminali restavano appannaggio degli uomini? Oppure le donne - quantomeno quelle italiane - temevano di essere considerate autrici di serie B? Ai tempi di George Sand l’assunzione di un nome maschile poteva diventare un gesto di ribellione alle convenzioni e alle convinzioni sociali. Ma, a meno di necessità particolari – come nel caso di Jean-Patrick Manchette citato nella scorsa puntata – o di scelte personali, perché oltre un secolo dopo si dovrebbe essere obbligate/i a nascondersi dietro pseudonimi del sesso opposto?
Eppure è evidente che il fenomeno sussiste, producendo paradossi bizzarri. Non molto tempo fa a un'autrice di mia conoscenza fu chiesto di firmare un romanzo storico sotto pseudonimo maschile, cosa doppiamente assurda dato che per lo stesso editore ne aveva già pubblicato uno con il suo vero nome. Quindi perché non capitalizzarne la notorietà già acquisita? O forse l’editore voleva fabbricare un nuovo finto esordiente usa-e-getta, in base a un meccanismo che spiegavo in un'altra puntata? Ma perché uno pseudonimo maschile? Proprio considerando che, come vedremo tra poco, sono le donne a leggere di più. L’autrice, saggiamente, disse di no e pubblicò il suo libro altrove.
Diverso è il caso in cui l’ambiguità sia voluta dall’autore. Il mio amico J. A. Konrath cominciò a pubblicare i suoi romanzi con la poliziotta Jacqueline "Jack" Daniels (una donna con un nomignolo maschile) celandosi volutamente dietro le sole iniziali: prima che diventasse famoso negli Stati Uniti, il pubblico poteva pensare che si trattasse di un’autrice. Laddove è noto che J. K. Rowling, per non essere giudicata in base all'immensa notorietà acquisita con Harry Potter, si nascose dietro il nome e la biografia di un fantomatico signor Robert Galbraith al momento di pubblicare il suo primo giallo con Cormoran Strike, mantenendo il segreto finché le fu possibile... e uscendo poi allo scoperto per ovvi fini commerciali.
A volte però nelle scelte editoriali è sotteso un ragionamento sospetto. Pare che la percentuale di pubblico femminile sia superiore a quella maschile. Benissimo per le donne, un po’ meno per gli uomini come categoria. Ma ogni tanto c’è qualcuno che confonde ciò che la media delle donne è interessata a leggere con ciò che il pubblico femminile debba o possa leggere. E questa motivazione – "perché sono le donne a leggere di più" – viene usata per giustificare decisioni curiose. In pratica, per stabilire cosa donne e uomini siano tenuti a scrivere e a pubblicare, e cosa donne e uomini siano autorizzati a leggere.
Anni fa intervistai un’intelligente e simpatica scrittrice straniera di cui avevo appena letto un giallo piscologico interessante, ma prolisso e a tratti ripetitivo. Mi venne il sospetto che le fosse stato imposto di scriverlo in quel modo in quanto "donna che scrive per le donne" e che ci fosse dietro un orrido ragionamento da parte dell'editore. Dato che le donne – pur essendo quelle che leggono di più – hanno troppo da fare nella vita quotidiana e, secondo l'editore, poco tempo per seguire una trama complessa, l’autrice è obbligata a spiegare loro le cose sei volte... come se fossero un po' lente di comprendonio. Se fosse così, come lettrice mi offenderei. Le donne non sono forse multitasking? Per citare un'altra categoria di pubblico, mi viene in mente un’affermazione – credo di Luís Sepúlveda e cito a memoria – sui libri per bambini che dovrebbero essere scritti "per bambini", non "per cretini".
Viceversa c’è chi pensa che le donne non dovrebbero leggere romanzi di spionaggio, specie se editi in Segretissimo, perché sono solo roba da maschi, per non dire... maschilisti. Curioso: mia madre non ci faceva caso e leggeva sempre i romanzi di Gérard De Villiers, l’unico autore manifestamente (e forse provocatoriamente) maschilista della collana. Autore peraltro lanciato in Italia in grande stile sotto la direzione di una donna dichiaratamente molto di sinistra, la già citata Laura Grimaldi. Per quanto mi riguarda, nella celebre collana di Mondadori ho pubblicato un bel po' di romanzi con una donna come protagonista (e molte altre come comprimarie) che mi paiono graditi al pubblico femminile... quando per caso una lettrice, nonostante la propaganda negativa, viene a contatto con i miei libri. I primi titoli della serie Nightshade – giusto per farmi pubblicità – sono attualmente in riedizione da Oakmond Publishing (sotto la direzione editoriale di una donna) e le signore e signorine qui presenti sono invitate a leggerli: garantisco che non accadrà loro nulla di male.
Lo stesso ragionamento pseudofemminista (e sottolineo pseudo) si riflette sulle traduzioni. Ho già raccontato di quando all’inizio della mia carriera dovetti diventare una traduttrice sotto mentite spoglie. Purtroppo invece ero ormai ben noto quando, a proposito di un autore di cui avevo tradotto molti libri, la casa editrice mi comunicò: «La protagonista del prossimo romanzo è una donna, pertanto abbiamo pensato di farlo tradurre a una donna». Il sottinteso era che un uomo non avrebbe avuto la sensibilità necessaria per tradurre un uomo che racconta di una donna. Ma immagino che fosse una debole scusa per porre fine alla mia collaborazione, come poi è avvenuto, per i soliti giochi e giochetti di potere. Supponete però che a una traduttrice - in quanto donna - sia proibito tradurre un libro scritto da una donna con protagonista un uomo... Ma, chissà, forse è l'essere stato in qualche modo "discriminato sessualmente" a permettermi di comprendere meglio le donne che soffrono dello stesso problema.
Per fortuna altri editori non la pensano allo stesso modo: per alcuni anni ho tradotto con molto piacere – mio e del pubblico – i romanzi di Janet Evanovich (una donna) con protagonista Stephanie Plum (una donna). Del resto ho già spiegato che come autore scrivo spesso da un punto di vista femminile. Amo ricordare certe ottime recensioni del mio romanzo con protagonista Eva Kant e della mia saga sexy-horror Danse Macabre... recensioni firmate da donne che apprezzavano le mie protagoniste. O il commento di una giornalista che oltre vent'anni fa mi telefonò per dirmi in merito a un mio libro: "Finalmente un personaggio femminile credibile!"
Insomma, viviamo in un’epoca in cui discriminazioni o peggio sono ancora tangibili, ma l’editoria e i media non migliorano affatto la situazione. Se si scrive ciò che si vuole come si vuole e si incappa in qualcuno che presume di decidere cosa la gente debba leggere, possono sorgere problemi con il pretesto di "perché sono le donne a leggere di più". Siete sicuri di voler vivere in un mondo in cui c’è chi decide a quali idee preconfezionate dovete essere esposte/i? Come lettrici e lettori avete la possibilità di difendervi, scegliendo ciò che vi piace, non quanto vi viene imposto.
Continua...
Immagine: Selene Feltrin nel ruolo di Nightshade in una foto di A. C. Cappi
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.
7-Se sapeste cosa c'è dietro...
8-Al buio gli scrittori sono neri
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