Per un fumatore di sigari è normale mantenersi lontano dagli altri. Lo era già prima che si parlasse di distanziamento sociale, anche perché se non si distanzia lui, lo fanno loro, di norma bofonchiando imprecazioni. Ora qualcuno però approfitta delle misure anti-Covid per proporre divieti di fumare all’aperto, anche per strada e a distanza di sicurezza (N.d.R. Questo articolo è stato scritto in Spagna nell'agosto 2020). Ha una sua logica: la differenza tra, poniamo, una sigaretta e un gelato da passeggio è che per fumare bisogna togliersi la mascherina antivirus, mentre per mangiare il gelato no. O sbaglio? Non so, di solito non mangio gelati da passeggio.
In ogni caso, le persone sagge d’ogni parte del mondo temono il fumatore, specie quello di sigari. Egli emana cattivi odori, porta malattie, viene da noi a rubarci il lavoro, distrugge le foreste pluviali e buca l'ozono. È persino corsa voce che il tabacco protegga dai coronavirus: in pratica un patto col diavolo. Il fumatore è la nuova strega e, dato che ha familiarità con le fiammelle, qualcuno potrebbe passare dal proibizionismo al rogo, anche per liberarsi del surplus di accendisigari.
Sono sensibile al tema perché spesso l’autore prolifico è anche un fumatore metodico. Non è obbligatorio, beninteso, ma dubito che Georges Simenon sarebbe riuscito a pubblicare centinaia di libri se non avesse potuto fumare in pace la sua pipa. Inoltre un vero scrittore non lavora solo quando è alla sua scrivania (o qualsiasi superficie utilizzi come supporto ai suoi strumenti), ma con la sua testa scrive sempre e dappertutto.
Quando è per strada, senza bisogno di essere Jack Kerouac. O nella vasca da bagno, luogo d’ispirazione dichiarato tanto per William Somerset Maugham quanto per Agatha Christie, la quale non fumava ma mangiava mele gettando i torsoli in acqua. O a un tavolino all’aperto di un bar, situazione ideale per Andrea G. Pinketts tra un sigaro e una birra; anche se a Milano, d’inverno, rischiosa per la salute. O su una spiaggia, meglio se deserta: Ian Fleming in Giamaica ne aveva una tutta per sé.
Se l’autore prolifico è anche uno scrittore pulp, eredita la fama di essere bevitore, oltre che fumatore. Non è obbligatorio e, sia ben chiaro, non bastano alcool e tabacco per diventare pulp. Ma forse è il momento di spiegare che cosa diavolo significhi pulp, dato che è un vocabolo su cui si sprecano gli equivoci.
In origine il termine indicava la pasta di legno impiegata nella fabbricazione della carta e, da qui, la carta a basso costo su cui dagli anni Venti si stampavano negli USA le riviste di narrativa popolare. Erano nate alla fine del secolo precedente, ma in quegli anni ce n’era davvero per tutti i gusti: giallo, avventura, fantasy, fantascienza, western, sport... Tutti i generi che sarebbero presto trasmigrati nel fumetto, nel cinema, nella televisione, per arrivare fino a Netflix e Amazon Prime. Prezzi modici e larga diffusione ne fecero un fenomeno di massa, anche se pulp magazine di solito non era un complimento: come dire... cartaccia e storiacce. D’altra parte fu proprio la letteratura pulp a descrivere in presa diretta l’America negli anni del Proibizionismo, quando a essere cattivi non erano i fumatori bensì i bevitori, per la gioia del crimine organizzato cui il Governo donava una nuova e vasta clientela.
Dalle riviste pulp fantastiche uscirono autori leggendari come il signore del weird H. P. Lovecraft o il maestro della sword and sorcery Robert E. Howard, creatore tra gli altri di Conan il barbaro. Da quelle noir – o, per meglio dire, hardboiled – a partire da Black Mask emersero Dashiell Hammett, ex-detective privato che di fatto anticipò lo stile asciutto di Hemingway; Raymond Chandler, scrittore colto e fitzgeraldiano; Erle Stanley Gardner, che con Perry Mason inventò il legal thriller e con un suo romanzo evidenziò una falla in una legge dello Stato della California, facendola modificare. Chi dice che un libro giallo non possa essere utile?
Il pulp trasmigrò poi nei libri tascabili, che in Italia uscivano in edicola nei periodici Mondadori: Il Giallo, Segretissimo, Urania. Certo, Agatha Christie, l’autrice più venduta de Il Giallo Mondadori, non era pulp, nel senso che non era hardboiled. Ma nella stessa collana uscivano l’inventore del police procedural Ed Mc Bain o il maestro del romanzo criminale Richard Stark, eredi di quella tradizione. Come lo erano gli autori francesi, inglesi e americani editi da Segretissimo, che raccontavano avventurose storie di spionaggio traendo spunto dalla cronaca internazionale. In comune costoro hanno il gusto per la letteratura popolare, accessibile a tutti ma non per questo banale.
Ai racconti delle riviste hardboiled si riferiva Quentin Tarantino quando intitolò Pulp Fiction il suo celebre film costruito su storie interconnesse tra loro. Ma a questo punto nell’Italia degli anni Novanta nacque l’equivoco, alimentato dall’ottima operazione di marketing di un editore che scelse per una propria antologia un titolo provocatorio e la definizione "pulp", creando un fittizio ma vendibile movimento letterario. Da quel momento. se un autore – per esempio Andrea G. Pinketts – pubblicava storie un po’ noir, un po’ strane e un po’ violente, veniva definito pulp. Bebo Storti ne fece in tv la parodia in tempo reale con il personaggio di Thomas Prostata.
Ma il vero pulp, inteso come narrativa popolare, è un’altra cosa. Spesso coincide con una grande prolificità, perché diventa uno stile di vita. Se possibile, l’autore cerca di farne il proprio lavoro o la propria attività principale. Non scrive per diventare ricco e famoso ma perché, dotato di fantasia inesauribile, ha sempre in testa mille storie che chiedono di essere raccontate. Era fatto così Emilio Salgari, che un tempo – pur non essendo un autore per ragazzi nel senso odierno del termine – giungeva in mano a giovani lettrici e lettori (sì, senza distinzione di sesso!) appena la scuola le/li alfabetizzava, educandole/li al piacere della lettura e aprendo loro la mente e gli orizzonti. Vari scrittori di lingua spagnola, da Juan Madrid a Paco Ignacio Taibo II, considerano Salgari la loro iniziazione all’impegno politico e sociale. Chi ha detto che un romanzo di avventura non possa essere utile?
Altra caratteristica dello scrittore di narrativa popolare, specie in Italia, è che dev’essere ignorato dalla maggior parte dei media, in modo da limitarne il numero di consumatori. Come il tabacco, esiste ma non se ne può parlare. Motivo: non è un rappresentante omologato della cultura, non è un soggetto controllabile. Si consiglia di affermare che scriva solo per un pubblico maschile e insinuare che sia pure maschilista, in modo da allontanare le lettrici, la quota di mercato più importante per qualsiasi editore. Uscendo perlopiù in edicola, le sue vendite non sono misurate ai fini delle classifiche, il che rende più facile occultarne il successo e, quindi, contenerlo e ridurlo a lungo termine.
L’obiettivo finale è farlo sparire dal mercato, cosa cui l’autore in questione si oppone sfruttando – come vedremo – la propria creatività. Esiste una sorta di proibizionismo anche nei confronti della narrativa popolare, perché la critica – per restare in tema – lo vede come il fumo negli occhi. Non siamo ancora al rogo della narrativa pulp, ma teniamoci pronti a tutto, come suggeriva Ray Bradbury in Fahrenheit 451. Chi ha detto che un romanzo di fantascienza non possa essere utile?
Immagine: A. C. Cappi in una foto di Catilina Sherman
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.
7-Se sapeste cosa c'è dietro...
8-Al buio gli scrittori sono neri
Conduco un programma culturale su radiocanale7, Racconti Urbani. Dunque scrivo con quel distacco che mi permette di avere ospiti di diversa cultura ed arte in radio. L'articolo centra il tema della letteratura pulp (e del tempo). Pulp, l'autore dell'articolo ne evidenzia bene il contenuto, è Emilio Salgari che scriveva tanto con immensa immaginazione e che si uccise per colpa degli editori. Pulp sono certi scrittori delle collane "Segretissimo" e "Il Giallo Mondadori" che continuamente fanno uscire storie e che non hanno tempo nemmeno di stare coi figli. Pulp è quella letteratura (e quegli scrittori) che non ha bisogno di salotti e frasi politicamente corrette per stare su La Repubblica ed essere considerata intellettuale. Lo scrittore Pulp è scrittore e sa di esserlo e ci campa pure. Spesso la sua bocca è l'edicola, porta infernale o paradisiaca della letteratura.
ResponderEliminarPierluigi Larotonda
Programma radio Racconti Urbani
Radiocanale7
Osservazioni acute e azzeccate. In effetti i miei... figli sono le mie storie. Di quelli in carne e ossa non ne ho mai avuti :)
EliminarA. C. Cappi