di Andrea Carlo Cappi
Come ho già scritto in questa serie di articoli, uno dei problemi di chi scrive è la continua dimostrazione della propria esistenza. Non è un problema da poco: se si cade nell’oblio – cosa che da noi può accadere in qualsiasi istante, data anche la scarsa memoria dei nostri connazionali – le case editrici perdono interesse.
È come ritrovarsi ogni giorno esordienti, con la differenza che certi editori possono anche puntare su un nome nuovo (salvo poi cancellarlo subito dopo, se non ha funzionato) mentre quando vedono un nome già noto commentano: «Ah, sì, lo conosco: non è famoso». Non è che vogliamo diventare popolari come se fossimo influencer, ma neppure possiamo essere tenuti nascosti ai nostri lettori e quindi costretti a smettere di scrivere.
In questo è determinante il contributo dei media. Nel senso che, omettendo sistematicamente di parlare di un’autrice o un autore, possono senza difficoltà consegnarlo alla damnatio memoriae. Ovvero: Chi è? Chi l’ha mai sentito? Boh. Gli altri non ne parlano, quindi non è uno importante. Perché dovrei parlarne io? Dopodiché anche chi ti conosce, nel silenzio generale, tende a dimenticarsi della tua esistenza.
Di autori invisibili è piena la storia. Per esempio, credo che siano sempre esistiti i ghostwriters, gli scrittori che lavorano per conto di altri autori o di celebrità che firmano i libri al loro posto. In Italia venivano chiamati negri (in Francia négres) e non perché restavano sempre nell’oscurità – anche se al buio tutti i gatti sono grigi e gli scrittori sono neri – ma perché richiamavano l’epoca della schiavitù negli Stati Uniti.
C’è il noto paradosso di Alexandre Dumas, per il quale vi rimando a un articolo del sempre prezioso Lucius Etruscus; si sa che il celebre romanziere, orgoglioso della sua quota di sangue haitiano négre, si serviva di négres per scrivere i suoi corposi libri. Ma si può aggiungere il caso di Sylvette Cabrisseau, la prima annunciatrice di colore della tv francese – poi anche cantante e attrice – la quale firmò tre romanzi di spionaggio con una protagonista modellata su di lei, in realtà scritti nientemeno che da Jean-Patrick Manchette; in Italia uscirono da Segretissimo, con splendide copertine di Carlo Jacono.
È probabile che Dumas fosse il direttore di una factory, come avviene oggi per i fumetti e le serie televisive, ma anche per la narrativa. Del resto da fine Ottocento fino agli anni Quaranta le avventure del detective Nick Carter (personaggio ripreso poi in parodia da Bonvi in una celebre serie a fumetti) furono sempre scritte da uno stuolo di autori anonimi che si firmavano collettivamente Nick Carter. La stessa modalità fu ripresa negli anni Sessanta quando un discendente del detective, l’agente segreto Nick Carter, divenne protagonista di una serie durata un trentennio, cui collaborarono nell’ombra – sotto il medesimo nome collettivo – parecchi autori, da Michael Avallone a Martin Cruz Smith.
Ma pure Erle Stanley Gardner, per reggere la richiesta di romanzi sul suo Perry Mason, ed Ellery Queen (già pseudonimo dei cugini Manfred Lee & Frederick Dannay), anche loro spinti dalla richiesta del pubblico, crearono le proprie factories in cui autori professionisti retribuiti, bravi ma anonimi, scrivevano romanzi che sarebbero stati pubblicati con il nome del marchio di fabbrica. Oggigiorno si parla invece di franchise e chi scrive nuovi romanzi di serie bestseller come quelle di Clive Cussler o James Patterson ha il suo nome in copertina come co-autrice o co-autore insieme al padre dei personaggi. Per quanto in altri casi siano stati usati pseudonimi collettivi anche per i co-autori, per esempio nel franchise di Tom Clancy.
Un’altra questione è quella degli pseudonimi. All’epoca d’oro dei tascabili statunitensi capitava che un autore, per esempio Donald E. Westlake, firmasse un contratto di esclusiva con un editore per produrre romanzi a cadenza fissa. Poi gli veniva offerta la possibilità di scrivere anche per un altro editore. Nessun problema: autori come questi hanno sempre storie da raccontare e la possibilità di scriverle (pagati) è sempre gradita. Solo che non potevano usare lo stesso nome del contratto preesistente. Ecco come nacque lo pseudonimo di Richard Stark, con cui Donald – noto soprattutto per i suoi gialli umoristici – firmò una celebre serie noir rimasta nella storia. Tanto che continuò a usare lo pseudonimo anche quando ormai si conosceva la sua metà oscura (fatto che ispirò sotto molti aspetti anche Stephen King). Nel frattempo riuscì a firmare romanzi con altri nomi ancora. Anche Jeffrey Deaver si considera allievo di Westlake-Stark e per analoghe necessità fece ricorso allo stesso espediente, firmandosi per qualche tempo William Jeffries.
Una vicenda ancora più complessa è quella di un celebre romanziere americano, sceneggiatore per Alfred Hitchcock e principale codificatore di quello che oggi si chiama police procedural. Per un aspirante scrittore, nascere negli USA con il nome italianissimo di Salvatore Lombino non pronosticava un destino favorevole. Il giovane lo fece cambiare legalmente in Evan Hunter ed ebbe successo con le sue opere mainstream. Interessato a scrivere polizieschi ma non a confondere le idee ai propri lettori su che tipo di libro stessero per acquistare, Salvatore-Evan inaugurò la serie 87mo Distretto sotto lo pseudonimo Ed McBain, destinato a diventare più famoso del nome legittimo.
Il personaggio principale dell'87mo Distretto, Steve Carella, è come l'autore di origine italiana, ma quando la serie fu pubblicata per la prima volta su Il Giallo Mondadori, per timore che non sembrasse abbastanza americano fu tradotto come... Steve Carell. Dato il suo successo nel giallo, Salvatore-Evan-Ed ebbe modo di scrivere anche altri romanzi del genere, firmati con un ampio ventaglio di pseudonimi. Quando ormai le molteplici identità dell’autore erano notissime, arrivò a pubblicare un romanzo a quattro mani... con se stesso: metà in stile Hunter, metà in stile McBain, giusto per illustrare quali fossero le differenze.
In Italia ci sono alcuni casi interessanti. Sergio D. Altieri, noto a Hollywood per la sua collaborazione con Dino De Laurentiis, sul suo primo romanzo pubblicato in Italia si vide mutato il nome in Alan D. Altieri, perché apparisse più americano; avrebbe conservato questa variante per tutta la sua produzione narrativa. Ma, sempre nel timore editoriale dell’esterofilia dei lettori italiani, persino l’americano David Baldacci sembrava troppo di casa nostra e inizialmente fu edito in Italia come David B. Ford.
Se negli anni Novanta i lettori italici cominciarono ad abituarsi al giallo di produzione nazionale, quelli dediti allo spionaggio erano ancora sospettosi, malgrado qualche autore interessante fosse già in attività dal decennio precedente. Sicché il mio amico e collega Stefano Di Marino, pur avendo già pubblicato ottimi romanzi con il suo vero nome, quando nel 1995 lanciò la sua serie Il Professionista nella collana Segretissimo di Mondadori adottò lo pseudonimo Stephen Gunn. Lo mantiene ormai – dopo venticinque anni di successo ininterrotto – come trademark e riferimento dei lettori, anche se è ormai ben nota la sua vera identità. Ma, quando nella stessa collana cominciò una serie nuova e diversa, si trasformò in Xavier LeNormand, anche perché in Segretissimo gli autori di maggior successo nei decenni sono stati quelli di scuola francese.
Come lui, vari autori italiani avrebbero adottato nomi esteri, dando vita a quella che viene chiamata Legione Straniera di Segretissimo. Fu in quella stagione, nel 2001, che venne approvato il mio progetto per la serie Nightshade. Pur pubblicando dal 1993 con il mio nome su Il Giallo Mondadori, per Segretissimo (la stessa redazione) dovetti scegliermi uno pseudonimo simil-francese e diventai François Torrent... anche se il nome è in realtà franco-maiorchino ed è quello di uno dei personaggi di contorno. La serie esordì nel marzo 2002 e un mese dopo in libreria pubblicavo il mio primo romanzo di Martin Mystère, autentico bestseller, firmato con il mio nome. Ma nessuno poteva collegare tra loro quelli che erano in apparenza due autori diversi. Ancora oggi, con la mia vera identità pubblicata esplicitamente nella biografia in appendice a ogni nuovo romanzo della serie Agente Nightshade in Segretissimo, c'è chi non riesce a fare due più due.
E qui emerge il problema degli pseudonimi e della settorializzazione. Ho molti lettori come autore dei romanzi originali con Martin Mystère e di quelli con Diabolik & Eva Kant, così come dei libri firmati François Torrent. Stiamo parlando di numeri che, per il mercato italiano, ancora oggi possono essere considerati da bestseller. Ma sono tuttora pochi – nonostante i titoli di Nightshade e Medina degli anni Novanta-Duemila siano in riedizione con il mio nome presso Oakmond Publishing – i lettori che collegano Cappi al suo alias. Il pubblico è frammentato e i mezzi di informazione non aiutano. E questo non vale solo per me.
Pochi giorni fa ho partecipato a un convegno pubblico su spionaggio espy-story a Treviso Giallo, un festival dove ero stato invitato per parlare, il giorno prima, di Diabolik. Per i partecipanti, compresi illustri accademici che ben ricordano gli autori classici di Segretissimo, è stata un’assoluta rivelazione l’esistenza di una scuola italiana della narrativa spionistica, nonostante questa sia cominciata quarant’anni fa. E nonostante uno dei suoi autori più significativi, Secondo Signoroni, già premiato autore di gialli, sia uscito nella collana di spy-story di Mondadori senza pseudonimo dal 1993. Perché di noi non si parla? Risparmiatemi la battuta: Be’, la collana si chiama Segretissimo, quindi voi dovete restare segretissimi, ah ah. L'ho già sentita.
Scrivo di intrighi, ma in questo caso dubito che ci sia dietro un complotto. C'è però una congiura del silenzio. Forse perché è d’oro, per qualcun altro: certi nomi devono restare nel buio, dove tutti gli scrittori sono neri.
Continua...
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.
7-Se sapeste cosa c'è dietro...
8-Al buio gli scrittori sono neri
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