Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi
Un aspetto fondamentale della scrittura creativa, su cui vedo di continuo cadere non solo chi è alle prime armi ma anche autrici e autori qualificati come "bestseller", è quello del punto di vista, altrimenti noto con la sigla PDV. Oso dire che non potete scrivere narrativa se non sapete bene di cosa si tratti e come funzioni. Non è immediato: anche a me per averne un'idea precisa, pur avendo letto centinaia di libri, una trentina di anni fa fu necessario un opportuno chiarimento da parte dello scrittore Davide Pinardi, che ringrazio tuttora. Bisogna innanzitutto porsi la domanda: "Dal punto di vista di chi racconto una certa situazione?"
Un tempo si usava il cosiddetto "narratore onnisciente", vale a dire: "Chi racconta la storia sono io che scrivo; dall'alto della mia posizione io so tutto quello che è avvenuto prima, durante e dopo, e so cosa pensano, fanno e desiderano i personaggi; quindi seguitemi fiduciosi, miei piccoli lettori, mentre vi dico cosa succede nel mondo e quel che passa per la testa di ciascuno". Può ancora funzionare in un racconto breve in cui occorra sintetizzare in modo conciso sfondo e contesto, e ovviamente diventa necessario in un saggio. Ma in una narrazione lunga e complessa è meglio astenersene.
Se raccontiamo una storia in prima persona, non è difficile: il punto di vista coincide con quello del personaggio narrante, che quindi esprime solo ciò che vede, sente, pensa, ricorda; dunque chi scrive assume la posizione unica di questo personaggio e chi legge potrà vedere tutto solo attraverso i suoi occhi, ovvero nella soggettiva del personaggio-narratore (esiste anche la possibilità di più narratori in prima persona, ma non affrontiamo l'argomento in questa sede). Laddove in una vicenda raccontata in terza persona - pur evitando il ruolo di "narratore onnisciente" - non siamo obbligati a un singolo punto di vista, ma abbiamo la possibilità di assumere di volta in volta quello di diversi personaggi, cambiandolo a seconda delle necessità: è la cosiddetta soggettiva multipla. E qui le cose si complicano.
L'errore più ricorrente: in una scena cui partecipano due personaggi A e B, raccontare ciò che pensa, ricorda, vede o sente A dal suo punto di vista... e alla riga successiva ciò che pensa, ricorda, vede o sente B dal proprio punto di vista. In pratica saltellare di continuo tra la mente di A e la mente di B. Se poi - come vedo capitare spesso - non precisate nemmeno se l'uno o l'altro pensiero appartenga ad A o B (a volte è opportuno specificare il soggetto di una frase), di lì a poco chi legge non capisce più a quale personaggio ci si riferisca. Per voi che scrivete può essere perfettamente chiaro, perché lo sapete già, ma chi legge non è nella vostra testa. Se non prestate attenzione a come raccontate una scena, non riuscirà più a seguirvi.
Qualche anno fa mi è capitato di tradurre un autore spagnolo, fresco vincitore di un premio letterario a suo tempo prestigioso, che da quel momento per me ha perso qualsiasi valore... perché non si può premiare un romanzo scritto così male e pubblicarlo senza un editing rigoroso. Costui non solo continuava a passare a ogni riga dalla soggettiva di un personaggio a quella di un altro, ma spesso ometteva il soggetto di una frase, rendendo incomprensibile il testo e costringendomi a rileggerlo più volte per capire chi stesse facendo o pensando cosa. Anche perché, se l'avessi tradotto alla lettera, tutti avrebbero pensato che l'incapace fossi io. Senonché, costretto a specificare a ogni frase di chi fosse il mutevole punto di vista, dovevo anche evitare di ripetere continuamente il nome del personaggio di turno.
La mia raccomandazione: quando scrivete una scena, assumete la posizione di un unico personaggio (e a questo proposito vi rimando all'articolo precedente) e seguite l'intera scena dal suo punto di vista. Se avete necessità di informare chi legge anche di qualcosa che passa per la testa di un personaggio diverso, a tempo debito fate un bello stacco di una riga e vi trasferite in un altro punto di vista, ma senza correre di continuo tra A e B. Vi assicuro che per chi legge diverrà tutto molto più chiaro. E aggiungo che ci sono editori che, quando si trovano di fronte a un testo che non rispetta questa regola, lo spostano nel cestino senza perderci tempo, consci che renderlo leggibile richiederebbe un eccessivo lavoro di editing.
Detto questo, ci sono eccezioni che mi permetto io stesso, a patto che chi legge riesca a seguire tutto senza avere dubbi. Prendo due esempi su cui mi sono state fatte domande precise. Nel prologo al romanzo Eva Kant - Il giorno della vendetta, metto in scena un immaginario evento storico avvenuto secoli prima: all'inizio, come narratore onnisciente, racconto una battaglia tra due eserciti; quindi il duello conclusivo tra i rispettivi condottieri, esponendo il necessario punto di vista dell'uno e dell'altro; infine, di nuovo come narratore onnisciente, quali saranno le conseguenze nel futuro. Lo stile da cronaca antica, con tanto di elencazione di stampo medioevale, legittima il rapido passaggio da una modalità di narrazione all'altra; mentre il resto del romanzo sarà esposto in soggettiva multipla.
Un altro caso: nel romanzo Martin Mystère-Le guerre nel buio racconto in flashback il drammatico episodio di un incidente minerario realmente avvenuto (a cui aggiungo un elemento che si collega alla vicenda) dal punto di vista di un personaggio (immaginario, ma plausibile) presente alla tragedia. Dopo l'esplosione e il crollo della galleria, come narratore onnisciente riassumo invece in poche righe il bilancio delle vittime: non potevo mantenere il punto di vista di un minatore ormai morto nel disastro e sarebbe stato inopportuno fare uno stacco per inserire solo una brevissima conclusione dell'episodio. Viceversa, in Nightshade-Missione Cuba apro un capitolo da "onnisciente" con la storia dei cocktail dell'isola prima di "entrare" in un bar dell'Avana e raccontare l'incontro tra due personaggi dalla soggettiva della protagonista. Si può fare il paragone con una sequenza cinematografica in cui, all'inizio e/o alla fine, si assiste a una panoramica dall'alto che permette di comprendere meglio la scena.
Un altro caso tipico: una scena di omicidio viene seguita dal punto di vista della vittima; ma dopo la sua morte, nelle ultime due righe, la soggettiva passa a quella dell'assassino che si allontana indisturbato. Anche in questa situazione - a patto, vi ricordo, di specificare il soggetto delle frasi - chi legge non avrà dubbi su quale sia il punto di vista del momento. Ma, pure se vogliamo concederci qualche eccezione come quelle che ho appena esposto, ribadisco l'importanza della comprensibilità del testo, che fa parte del rispetto che chiunque scriva deve mantenere nei confronti di chi legge. A questo scopo, un uso corretto del punto di vista è e rimane una necessità irrinunciabile.
Continua...
(immagine: A. C. Cappi in una foto di Alfredo Martinelli dal Festival Torre Crawford 2022)
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford.
No hay comentarios:
Publicar un comentario