sábado, 28 de noviembre de 2015

"Nina" e l'angoscia della forza


È l'unico personaggio femminile in un testo che prevede due co-protagonisti maschili e la breve apparizione di altri due attori ma, come lascia intendere il titolo, tutto ruota intorno a lei. Persino il suo ingresso, atteso e ben preparato, è di per sé un evento determinante. Come altre opere del commediografo marsigliese André Roussin (1911-1987), Nina - alla francese, con l'accento sulla a - va oltre la tradizionale commedia leggera del théâtre de boulevard, unendo al divertimento interessanti riflessioni umane e sociali. La pièce, rappresentata per la prima volta nel 1949 e rappresentata varie volte anche in Italia, ha avuto una versione cinematografica nel 1959, con Sophie Desmarets, Jean Poiret (il marito) e Michel Serrault (l'amante), diretti da Jean Boyer che ne realizzò l'adattamento a quattro mani con lo stesso Roussin. Oggi viene portato in scena per la regia di Pino Strabioli e Patrick Rossi Gastaldi, con Vanessa Gravina nel ruolo eponimo, Edoardo Siravo in quello di Adolfo Tessier e Riccardo Polizzy Carbonelli in quello di Gerardo Dupuy, con la partecipazione di Carlo Di Maio e Fabio Masco nei ruoli collaterali. La scelta di tradurre i nomi in italiano come nelle vecchie traduzioni d'epoca dà un tocco di atmosfera d'epoca.

Il primo personaggio sulla scena è Gerardo, benestante, nullafacente e debosciato, perennemente in giacca da camera, che gestisce telefonicamente i suoi appuntamenti con varie donne, bellissime e perlopiù sposate, amandole tutte e in realtà nessuna. Una vita di disimpegno e piccole menzogne, di cui sta cominciando a stancarsi, tanto da accarezzare - più per la nobiltà romantica del gesto che per un reale desiderio - l'ipotesi di un suicidio con il piccolo revolver che tiene nel cassetto del comodino. Ma, s'intende, è troppo vile e pigro per mettere in atto il suo proposito. Così come per troncare a sua relazione con Nina Tessier, che attende nel pomeriggio e che si non amare veramente. 

Ma quando apre la porta della casa da cui si muove raramente, il centro della ragnatela di lusso in cui attende le sue amanti, si trova invece di fronte ad Adolfo Tessier, armato di pistola e desideroso di uccidere il rivale. Senonché Adolfo, impiegato ministeriale ipocondriaco e a sua volta privo di spina dorsale, sviluppa ben presto una strisciante ammirazione nei confronti di Gerardo, di cui ascolta voyeuristicamente le telefonate: vorrebbe essere come lui, il che incrina il suo intento omicida e nega all'annoiato playboy l'opportunità di passare a miglior vita per mano altrui.

Ed è a questo punto che entra in gioco Nina, in una scena che ribalta le situazioni della pochade: in questo caso, nascosto dietro una tenda è il marito, anziché l'amante. Fra le intrusioni occasionali di un ispettore di polizia (qui reso con una leggerissima e misurata caratterizzazione alle Clouseau) e di un altro marito tradito, con qualche equivoco divertente e dialoghi brillanti e a tratti paradollali, negli atti successivi emerge anche il lato sottilmente drammatico del testo.
Nina, dalla vita agiata ma insoddisfacente, si ritrova a fare da madre a un marito mediocre che ha avuto lei come unica donna della sua vita, e in fondo deve fare da balia anche all'amante che di donne ne ha avute troppe. Loro sono due adulti-bambini viziati, ognuno intrappolato nella propria routine. Lei è una personalità forte, che soffre di non potersi confrontare con qualcuno suoi pari e trova come sola rivalsa il potere che esercita come burattinaia dei deboli che ha intorno. Ed è lei l'unica in grado di vedere la verità, svelarla a tratti per quanto dolorosa, plasmarla quando le occorre. Ma anche così non riuscirà mai a ottenere davvero ciò che vuole.

In una storia in cui aleggiano tentati omicidi, suicidi e persino una coreografica scena da gunplay, Nina si rivela una donna tormentata che ride e cerca un piacere consolatorio nell'illusione dell'amore, ma anche tirannica e a tratti spaventosa nella propria lucidità e nella capacità di improvvisazione con cui riesce a dominare le situazioni critiche. Resa benissimo dal lavoro registico di Patrick Rossi Gastaldi e dall'interpretazione di Vanessa Gravina, affascinante e inquietante quando basta.
Mi ci è voluta una piacevole cena con la compagnia per convincermi che l'attrice non avrebbe estratto all'improvviso dalla borsetta una semiautomatica da autentica dark lady. In realtà l'unica nota oscura dopo la prima di ieri sera al Teatro San Babila di Milano era la notizia della morte quello stesso pomeriggio di Luca De Filippo, alla cui memoria è stata dedicata la rappresentazione.


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