Riscoperta di Andrea Carlo Cappi
Nel
1972, lo stesso anno in cui firma la regia del thriller Chi l'ha
vista morire?, Aldo Lado dirige
un altro film ambientato a Venezia, la città in cui è
cresciuto dopo avere lasciato la natia Fiume e in cui ambienterà
anche La disubbidienza.
E, ancor più che nelle altre pellicole da lui girate in
laguna, ne La cosa buffa rivela una simbiosi perfetta con la
città: portici, calli, ponti, gondole, vaporetti e clima sono
impiegati con effetti a volte disturbanti, a volte sentimentali, a
volte comici.
Il
film è una commedia basata sul romanzo omonimo del 1966 di
Giuseppe Berto, che collabora alla sceneggiatura dello stesso regista
e di Alessandro Parenzo. Il ruolo del protagonista è affidato
a Gianni Morandi che all'inizio degli anni Settanta ha abbandonato i "musicarelli" per ruoli cinematografici più impegnativi. E qui
incarna Antonio, giovanotto di provincia di scarse speranze,
laureando fuori corso in lettere, che vive con il padre ferroviere in
pensione e la sorella, campando con le centomila lire mensili da
maestro elementare nell'attesa di ereditare dal nonno morente una
somma che si rivelerà inferiore alle aspettative. Occhialuto e
imbranato, passa le sue serate nella cittadina di Badoere con l'amico
Benito (Fabio Gamba), che si dà arie da playboy e profondo
conoscitore delle donne.
Ottenuta
l'eredità, Antonio si avventura a Venezia, sognando di
conoscere una ragazza. Ne incontra una, la studentessa Maria (Ottavia
Piccolo), di cui si innamora, inaspettatamente ricambiato. Non si
libera delle sue insicurezze: abituato al ruolo di perdente, si
aspetta sempre il peggio. E, sotto certi aspetti, non si sbaglia:
aldilà delle sue paranoie, il vero problema è che Maria
è figlia di un noto e ricco imprenditore dei trasporti
(Riccardo Billi) e di una madre insopportabile e bacchettona
(splendidamente interpretata da Giusi Raspani Dandolo), avida
consumatrice di Fernet-Branca... che, a giudicare dal continuo
product placement, dev'essere
uno dei principali sponsor della produzione insieme al tè
Lipton, così come il whisky J&B lo era per i
poliziotteschi.
Lo
squattrinato Antonio decide di riprendere gli studi e laurearsi;
stanco di fare il pendolare in corriera da Badoere, affitta una
camera a Venezia. Quando la relazione tra i due giovani viene
scoperta, accetta di presentarsi alla famiglia della ragazza, evento
cui si prepara seguendo i consigli dell'amico Benito, comprandosi un "signor paltò" e andando dal barbiere, che gli infligge una "pettinatura 1930". Trova solo la madre ostile, dato che il padre è
pressoché invisibile fin quasi alla fine del film, ma sente
tutto il peso della differenza di posizione sociale.
Nondimeno
Maria sta scoprendo il sesso e cerca di avere un rapporto con
l'esitante Antonio nella camera in affitto. Quando finalmente lui sta
per cedere – dopotutto si dovranno sposare, pensa in uno dei
frequenti interventi della sua voce fuori campo – irrompe la madre
a salvaguardare la verginità della ragazza, ponendo fine alla
relazione. Il giovane finisce sedotto dall'affittacamere (Angela Goodwin) e successivamente dalla profuga ungherese Marika (Dominique Darel)
conosciuta nello stesso bar. Costei, apparentemente disinibita, è
in realtà a sua volta soggetta a decisioni altrui, succube
della cugina presso cui lavora in un albergo a Venezia.
Ricevuta
una lettera che Maria gli ha inviato clandestinamente, il giovane si
presenta dal padre di lei, con l'unico risultato di essere congedato
per sempre con un assegno da un milione, che strapperà e
getterà in un canale. Non gli resterà che tornare alla
sua mediocre esistenza di paese, fatta di sogni che non devono essere
mai realizzati.
In
una Venezia meno inquietante di quella che fa da sfondo tanto a Chi
l'ha vista morire? quanto a La
disubbidienza, come sempre con la colonna sonora di Ennio Morricone, Aldo Lado mette in scena una storia di formazione
e disagio con un umorismo sottile, a tratti grottesco, e persino
qualche suggestione felliniana, specie il finale in cui Antonio e
Benito salgono sulla giostra di paese vaneggiando di ragazze
straniere disponibili, fuggendo dalla loro realtà solitaria.
Su una cosa l'amico ha ragione: siamo nell'Italia post-boom
economico, ma sotto certi aspetti la società è rimasta
all'Ottocento, se non al Medio Evo come sostiene lui. Ma tutti
rimangono fissati nei ruoli che ritengono di dover interpretare,
nelle comode apparenze con cui credono di doversi mascherare.
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