jueves, 20 de mayo de 2021

Vita da pulp - L'editor non fa il monaco


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Riprendiamo il discorso sull'editing cominciato con L'effetto Samsa e proseguito con La mano del cerusico. Ci sono tre tipi di autrici e autori.
Chi ha bisogno di un editor e se ne rende conto.
Chi ha bisogno di un editor ma si crede infallibile, quindi non vuole che mani impure sfiorino la sua creatura.
E chi il lavoro di editing lo sa fare in proprio, quindi ha solo bisogno di una revisione.
Un esempio. Andrea G. Pinketts è uno scrittore che non ha bisogno di "editing", ma di un'attenta revisione, questo sì, perché scrive a mano al bar, interrotto di continuo da fan, corteggiatrici o gente che gli chiede una prefazione; inoltre usa molti giochi di parole e a volte a chi gli batte i testi o a chi cerca di correggerli in redazione sfugge qualcosa. Un giorno consegna un romanzo al suo editore, che decide (per insondabili ragioni di marketing) che il libro è troppo lungo e ne affida l'editing a un grande scrittore - Alan D. Altieri - con l'ordine di tagliarne centocinquanta pagine.
Chi conosce Pinketts sa che non si può tagliare neanche una riga di ciò che ha scritto, perché ogni frase è la diretta conseguenza dell'altra. Altieri fa il proprio lavoro, consapevole dell'assurdità della situazione. Pinketts (suo amico ed estimatore) rifiuta l'editing e il libro esce così com'è. Quindi anche senza un'opportuna revisione. In effetti, Pinketts rifiuta l'editing a priori, tranne quando la casa editrice asseconda la sua richiesta di affidarlo a me, che aderisco al suo modo di lavorare. Ora che di Pinketts rimangono i libri e i ricordi, sto curando la riedizione delle sue opere applicando il mio solito metodo, anche se quando ho un dubbio non posso più andare a chiedergli precisazioni al bar.

All'inizio della mia carriera, trent'anni fa, commettevo errori e avevo bisogno di editing. Raccolsi consigli, annotai ritocchi, memorizzai osservazioni. E feci bene, perché nel 1994 non solo mi trovai in un ruolo ibrido di revisore-editor per uno speciale de Il Giallo Mondadori ma, dal momento che uno dei racconti era mio, dovetti farlo anche su me stesso. Da allora è una mia pratica abituale per tutto quello che scrivo, e vi assicuro che sono severissimo. Ma, come ho già accennato, una revisione attenta da parte di qualcun altro serve sempre.
Come editor, mi è capitato di trovare minuscole ma imbarazzanti sviste in testi di bravissimi autori (per esempio, una breve frase da cui però si intuisce troppo presto chi sia l'assassino in un giallo). In un'occasione mi è capitato di notare un problema del genere in un romanzo americano che stavo traducendo per un'uscita simultanea e ho fatto in tempo a far correggere l'errore anche nell'edizione USA (per essere poi ringraziato nel libro successivo). Però in questo caso una tirata d'orecchi all'editor dell'edizione originale andrebbe fatta.
In ogni caso, l'editor non è onnipotente e non potrà mai trasformare in un capolavoro qualcosa di illeggibile in partenza.

Che ci sia o non ci sia un editor sul vostro cammino, imparare un uso equilibrato dell'autocritica è essenziale. All'inizio, ogni volta che finivo un racconto o un romanzo, temevo di avere scritto una boiata. Non amavo incondizionatamente la mia creatura. Cambiavo idea solo quando avevo un riscontro positivo dal pubblico. A lungo andare ho imparato che il mio modo di lavorare - mettendomi il più possibile nei panni dei lettori, chiedendomi se al loro posto sarei davvero soddisfatto - è una buona garanzia.
Certo, non si può piacere a tutti. Se scrivo un tie-in su un personaggio famoso, qualche fan potrà trovarlo non corrispondente alla propria visione. Se mi avventuro su un territorio nuovo, chi è abituato alla mia produzione abituale potrà restare perplesso nel vedere un risultato diverso dal solito. C'è poi chi ti stronca senza leggerti solo perché ha pregiudizi sulla collana che ti pubblica o il genere che frequenti.
Ma, se da una parte non bisogna essere così severi da cestinare tutto ciò che si scrive - come il protagonista di Rifkin's Festival di Woody Allen - dall'altra non bisogna convincersi che qualsiasi cosa si scriva sia automaticamente perfetta. Solo perché si è riusciti a pubblicare qualche racconto o un romanzo, non è il caso di diffondere nel mondo una genia di sventurati Gregor Samsa che credono di essere Brad Pitt.

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker

Immagine: A. C. Cappi in una foto di Clara Stella

sábado, 15 de mayo de 2021

L'uomo che non seppe tacere

Disapprovazioni di Andrea Carlo Cappi

C'è qualcosa di nuovo oggi nel web: da qualche mese la premiata ditta Haters & Trolls ha adottato un nuovo modo per combattere la libertà di espressione. E per "libertà di espressione" non mi riferisco alle reiterate e urlate invocazioni di "democrazia" da parte di persone che sono solite calpestarla, ma si infuriano quando qualcuno tenta di frenare le loro deliranti fake news o i loro fanatici messaggi di odio e discriminazione. Mi riferisco alla cara vecchia possibilità di esprimere in modo educato e civile concetti sensati e ragionevoli.
Mi rendo conto che questi ultimi possono essere fuori moda.
Il metodo di soppressione, banale ma efficace, si basa sulle nuove tecnologie. L'hater, fingendosi un onesto utente, segnala un post a una piattaforma o a un social network che lo ospita, con la falsa accusa di spam o phishing o di contenere virus e malware. Per ovvi motivi di sicurezza, la piattaforma o il social network rimuove il post segnalato, perché - se fosse vero - potrebbe fare danni. In teoria dovrebbero essere fatti controlli, ma se sono affidati ad algoritmi... be', loro cosa ne possono capire? Per cui l'ignaro autore dei post riceve dalla piattaforma un messaggio automatico in cui viene informato che dopo la segnalazione di un certo post è stato effettuato un "controllo", a seguito del quale il post è stato rimosso.

Com'è cominciata? In gennaio ho aperto un nuovo blog, Kverse - Il mondo thriller di Andrea Carlo Cappi, dedicato al mio vasto ciclo di narrativa noir e spionistica, raccontando retroscena di storia e cronaca e parlando dei miei riferimenti letterari. Ho condiviso i primi post su Facebook (sul mio profilo, la mia pagina-autore e il gruppo corrispondente, come sono solito fare). Facebook è il mio principale mezzo di comunicazione con il pubblico e i miei post sono stati condivisi da miei lettori. Ma dopo pochi giorni qualcuno ha denunciato tali post come "spam". Sono stati rimossi anche dai profili dei miei lettori, trattati a loro volta come diffusori di spam (quindi ci penseranno due volte a condividerne altri) e da quel momento non posso più condividere su Facebook un post da quel blog perché appare immediatamente una finestra che afferma che il mio contenuto sia spam.
Ho segnalato il problema a Facebook, che immagino sia bersagliata ogni giorno da milioni di richieste simili, e ovviamente non ho mai ricevuto né risposte né soluzioni.
Stamattina invece ho trovato nella posta quattro messaggi della piattaforma che ospita questo blog: quattro post de "Il Rifugio dei Peccatori" sono stati rimossi perché segnalati come contenenti malware o virus (e ovviamente non contenevano ne l'uno né gli altri). Uno dei post incriminati e rimossi era la poesia "Il buio" di Fabio Viganò (con cui divido il blog), con la fotografia dell'ultimo premio letterario da lui vinto; un altro la pagina dei link alle sue poesie sul blog; un altro un mio articolo della serie "Vita da pulp" su scrittura e lettura al femminile, in cui mi dichiaravo una volta di più contro ogni forma di discriminazione; uno, guarda caso, era un altro articolo della stessa serie in cui raccontavo dell'attacco subito su Facebook Cercherò di ripristinare i testi scomparsi, che vuol dire perdere tempo a rifare lavori già fatti... e io non ne ho molto, quindi in ogni caso è un danno. Non grave, ma fastidioso. Ma forse l'hater sperava che, accusando quattro post a caso, l'intero blog fosse cancellato per sempre dalla rete.

Non so chi sia il responsabile. So che c'è qualcuno che mi odia, che ha dichiarato di volermi morto e che oltre dieci anni fa inserì informazioni false sulla mia pagina Wikipedia (il linguaggio usato era ben riconoscibile come quello che usava nel mondo reale). Credo anche che costui non sopporti che, malgrado tutti i problemi economici che lui stesso mi ha causato a suo tempo, io continui a fare lo scrittore e stia celebrando quest'anno trent'anni di carriera.
So anche che non piaccio a una certa categoria di persone di cui ho parlato in alcuni romanzi recenti, pubblicati sotto lo pseudonimo François Torrent da Segretissimo Mondadori. Ho ricevuto insulti molto pesanti in merito in un commento pubblico su Facebook, ma esiste la libertà di parola (per qualcuno) e anche quella di parolaccia.
In ogni caso, c'è gente a cui do fastidio e che ha deciso di perseguitarmi. Il che, se non altro, mi dice che sto facendo bene il mio mestiere di scrittore, anche se aumenta il numero di persone che mi vogliono morto, o perché scrivo libri scomodi o, semplicemente, perché esisto.

Ma, a parte il mio problema personale, c'è un aspetto preoccupante in generale: lo stesso metodo può essere applicato, per esempio, a un'attività commerciale che ha bisogno di comunicare con il pubblico e reclamizzare o vendere i suoi prodotti. Se un concorrente decide di rimuoverla dal mercato, può utilizzare questo comodo espediente per boicottarne la comunicazione e mandarla in rovina. In un'era in cui i contatti via web con utenti e clienti sono essenziali, soprattutto nei casi di emergenza come quello del 2020-21, e danneggiare la pagina di un social network o un sito internet di un'azienda può farle perdere tutti gli investimenti fatti nella comunicazione, un simile boicottaggio si rivela un'arma devastante.
A mio modesto parere, i gestori di social network e piattaforme dovrebbero considerare che non solo in questo modo diventano strumenti di faide private o guerre commerciali in cui vince il peggiore, ma che tutto ciò fa loro perdere clienti, investimenti pubblicitari e attendibilità.

Aggiornamento: a seguito della mia segnalazione inviata sei ore dopo la cancellazione dei post, la piattaforma blogger ha dimostrato di essere più efficiente, seria e organizzata di altri nel settore. Al momento due dei quattro post "incriminati" sono stati riesaminati e resi di nuovo visibili. Spero che ciò accada anche per gli altri due.
Aggiornamento delle 14.41: restaurati anche gli ultimi due post, entro sette ore dal mio messaggio a blogger.com, che ringrazio per aver rimediato tempestivamente. Per una volta il gioco sporco degli hater non ha del tutto funzionato. Ma dove e come colpiranno, la prossima volta?


jueves, 13 de mayo de 2021

Vita da pulp - L'affare Disney

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi

Interrompo il discorso sull'editing per raccontare di una questione che in apparenza sta cominciando a risolversi, ma che ha destato un certo scalpore negli Stati Uniti. Ne ho letto nelle comunicazioni di un'associazione di cui faccio parte - la IAMTW - che raccoglie autori di tie-in, categoria di professionisti particolarmente interessata dalla vicenda. Il fatto si ricollega a quanto dicevo qualche settimana fa a proposito del "costo zero" della scrittura. Lo slogan è: "gli scrittori vanno pagati", #writersmustbepaid.

Com'è noto, l'immane società chiamata Disney negli ultimi anni ha acquisito di tutto, dalla Fox ai Marvel Studios, ottenendo la proprietà di marchi, serial e franchise: l'elenco comprende Star Wars, i supereroi della Marvel, ma anche Alien e, almeno in parte, Star Trek. A tutti questi marchi sono associati prodotti derivati, in particolare i tie-in, ovvero adattamenti in forma di romanzi o fumetti di sceneggiature cinematografiche, od opere originali basate sugli stessi personaggi.
Prima che qualcuno tra voi si lanci nei soliti slogan antiamericani, ricordo che anche grandi compagnie italiane acquisiscono altre compagnie (pensate alla Fiat con la statunitense Chrysler), perché è così che funziona il capitalismo. I problemi nascono quando vengono messi a rischio posti di lavoro. O, nel caso specifico della Disney, quando si mette in dubbio il diritto dei lavoratori a essere pagati secondo il contratto... perché, come ogni tanto occorre ricordare, anche gli scrittori sono lavoratori. Qualcuno però ha pensato di sfruttarli, guarda un po', a "costo zero".
E ancora: prima che qualcuno si lanci in una fanatica crociata contro Topolino o in generale i prodotti a marchio Disney, voglio ricordare che gli stessi scrittori coinvolti chiedono di non farlo assolutamente, perché ciò pregiudicherebbe i diritti d'autore che spettano ad altri colleghi. Quello che viene chiesto, anche dal sito Writers must be paid, è il semplice e doveroso rispetto dei contratti.
Perché qualcuno alla Disney - può essere stato un megadirettore, un manager o un burocrate, ma il furbo si trova sempre - ha sostenuto che la compagnia, nell'acquisizione dei diritti delle varie serie succitate, non avesse però acquisito l'onere di pagare ciò che spettava agli scrittori le cui opere diventavano di sua proprietà. Ovvero, non era tenuta a rispettare i contratti e pagare i diritti d'autore dovuti, solo perché era cambiato il proprietario. Quando si parla di pirateria del copyright bisognerebbe includere anche casi come questo.
Tra le persone più colpite, per darvi un'idea, c'è il leggendario scrittore di fantascienza Alan Dean Foster, autore anche della novelization - il romanzo basato sulla sceneggiatura - di Guerre stellari del 1977 (benché in copertina fosse accreditato come autore George Lucas, è ben noto che a scrivere il libro è stato Foster) e del primo sequel narrativo della saga, La gemma di Kaiburr (Splinter of the Mind's Eye); ma anche della novelization dei primi tre Alien e di moltissimi altri celebri film.
Stiamo parlando di un signore che si è ammazzato di lavoro, perché realizzare una novelization efficace non è scopiazzare una sceneggiatura. Vuol dire rendere sotto forma di romanzo qualcosa che è stato concepito per un altro mezzo. Vuol dire fare propri personaggi altrui: non a caso a volte chi scrive le novelization è anche autore, prima o dopo, di romanzi originali sullo stesso universo: oltre a Foster, mi vengono in mente John Gardner e Raymond Benson per quanto riguarda James Bond 007. Occorrono maestria, inventiva e professionalità, il che non è da tutti.

Che la Disney ogni tanto abbia di queste cadute non è una novità: nel 2020 l'erede della società, Abigail Disney, si infuriò quando seppe del trattamento economico dei dipendenti dei parchi Disney e dei loro licenziamenti di massa a seguito della chiusura per Covid, a fronte di stipendi ultramilionari per certi manager della compagnia. Dopotutto, è il suo cognome a cui vengono lanciati anatemi ogni volta che qualcuno lucra sulla pelle dei lavoratori.
La levata di scudi di numerose associazioni, a partire dalla SFWA (che raccoglie gli scrittori di fantascienza), ha dato risultati. La notizia di questi giorni: per cominciare, sono stati riconosciuti dalla compagnia i diritti degli autori delle prime tre storiche novelization di Star Wars - Alan Dean Foster, James Kahn e Donald F. Glut - che verranno pagati il dovuto dalla Disney. E, almeno per ora, non è stato lasciato correre un pericoloso precedente negli Stati Uniti, ossia che gli scrittori possano anche non essere pagati.
Ma sappiamo che in Italia non è così e che oltretutto la lentezza della nostra giustizia garantisce una virtuale impunità a un editore disonesto che non rispetti i contratti e non paghi: uno scrittore dovrebbe spendere in avvocati molto più di quanto potrebbe mai riuscire a ricavare in un patteggiamento, dopo anni e infinite perdite di tempo. Ma da noi è opinione diffusa che gli scrittori non siano "lavoratori" e, com'è noto, vivano d'aria.

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

Immagine: copertina de "I gialli di Topolino" (Mondadori, 1960)

jueves, 6 de mayo de 2021

Vita da pulp - La mano del cerusico


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi

Ho la sensazione che la puntata precedente, L'Effetto Samsa, abbia creato qualche perplessità. Forse già dal titolo avete intuito che qualcosa non vi sarebbe piaciuto: ovvero, non è detto che la vostra opera sia un capolavoro assoluto che vi renderà ricchi e famosi e vi consegnerà alla Storia della Letteratura. Non è detto nemmeno che sappiate scrivere, anche se dopo anni di post sui social network pensate di avere una padronanza assoluta della lingua.
Supponiamo invece che non siate del tutto analfabeti, che sappiate scrivere una storia piuttosto originale e interessante, e che siate riusciti, rileggendola a distanza di tempo con lo stesso sguardo esigente che avete quando leggete un'opera altrui, a correggere da soli i difetti più evidenti. A questo punto potreste avere realizzato qualcosa di bello e, se siete alle prime armi, avete tutti i diritti a qualche imperfezione. Quindi avete bisogno di un po' di editing.

Nel campo cinematografico l'editing è il montaggio: tagliando qua e là, scegliendo, aggiungendo o spostando scene e inquadrature, si possono persino confezionare film diversi partendo dalla stessa sceneggiatura e dallo stesso materiale girato.
Nel campo letterario il lavoro ha molte più sfumature. A volte l'editing è una "semplice" revisione, una ripulitura del testo da ripetizioni, assonanze fastidiose, sviste di punteggiatura e, naturalmente, refusi. Aspetti non banali, che possono sfuggire alla più accurata rilettura e che vanno affrontati con molta attenzione. Altre volte l'editing comporta invece l'identificazione di piccole sviste (o persino grosse sviste) in una frase o in una trama. Altre volte ancora si avvicina proprio all'editing cinematografico e impone di spostare o eliminare paragrafi o interi capitoli. Oppure si rende necessario chiedere all'autrice/autore di riscrivere o correggere una o più parti, perché troppo prolisse oppure troppo sbrigative.
La mano dell'editor dev'essere quella del cerusico che sa dove intervenire ma anche dove non intervenire. L'editor migliore è quello che non fa percepire la propria presenza al lettore e, talvolta, neanche all'autore. Ma che, qualora il caso non abbia speranze, ha l'obiettività e il coraggio di dirlo al/alla paziente. Non c'è niente di offensivo: molti anni fa un medico mi disse che non avrei potuto praticare sport a livello agonistico e per fortuna non era mia intenzione farlo. Dopodiché non mi sono dedicato al calcio, aspettandomi di giocare in serie A e vincere il Pallone d'Oro.
Il problema con gli editor, però, è lo stesso che può capitarvi con la malasanità: se vi dicono che il vostro testo è in perfetta salute quando non lo è affatto, oppure se al romanzo viene amputato un paragrafo o un capitolo sano, il risultato può essere disastroso. Un po' come certi film in cui nella versione distribuita nelle sale la storia fa acqua da tutte le parti, ma poi quando se ne vede il "director's cut" si scopre che a forza di sforbiciarlo qualcuno lo ha completamente rovinato, solo perché l'ufficio marketing ha deciso che fosse meglio così ("Cosa volete che ne capisca il pubblico?")

Quando l'editor lavora su un testo che già funziona alla perfezione, si deve limitare a una revisione linguistica, non deve toccare ciò che va bene. Ma non deve nemmeno abbassare la guardia, perché tra correzioni e ripensamenti chi lo ha scritto potrebbe essersi lasciato sfuggire qualche dettaglio. Lo scorso anno ho avuto un esempio di ottima revisione da Segretissimo: nella mia storia avevo modificato date e orari di un evento, ma in un punto era rimasto un riferimento a una versione precedente; chi ha rivisto il testo se n'è accorto e me lo ha segnalato, permettendo che il romanzo fosse pubblicato senza errori.
Tempo fa, altrove, mi è capitato invece un revisore incompetente che in un libro di duecentocinquanta pagine ha ripetuto una correzione sbagliata migliaia di volte. Poiché dovevo segnalare alla redazione ogni modifica con relativi numero di pagina e numero di riga delle bozze che stavo rileggendo, ho vissuto una domenica da incubo. Avrei voluto colpire ogni volta le dita del cerusico di turno con un martelletto. Ma falangi, falangine e falangette sarebbero state sbriciolate prima ancora che arrivassi a metà romanzo.
Posso fare altre orridi esempi. L'editor che mi ha tolto i congiuntivi e ha inserito formulazioni simili all'uso della lingua in televisione, perché la riteneva più adatta ai lettori degli anni Duemila (risultato: notte insonne a riscrivere le frasi originali sulle bozze cartacee, sperando che tutte le correzioni venissero inserite senza sviste nel testo pubblicato). Oppure l'editor che, al solo scopo di far vedere ai superiori che il mio romanzo aveva bisogno di editing, tagliò pezzi di dialoghi qua e là e persino paragrafi importanti nel mezzo di una scena, creando situazioni incoerenti e incomprensibili (risultato: notte insonne a riscrivere i pezzi mancanti sulle bozze cartacee). In casi come questi, l'unica cosa da tagliare sarebbe la mano del cerusico.
E infine l'editor più pericoloso: quello che avrebbe voluto scrivere libri a sua volta, ma non ne è capace, quindi segretamente odia chi lo fa e nel suo inconscio desidera punirlo. Pertanto riscrive tutto come piace a lui. Mi è capitato anche uno di questi, per fortuna prima che il libro fosse impaginato e, con tre giorni di lavoro imprevisto in un periodo già frenetico, ho potuto ripristinare il romanzo come lo avevo scritto io. E sono stato fortunato: se uno di questi autori mancati è abbastanza in alto nella gerarchia editoriale, può anche esigere che il romanzo venga rielaborato secondo i suoi dettami. In tal caso sarebbe da tagliare, direttamente, la testa del cerusico.
Una variante è la casa editrice soggiogata da sedicenti esperti di marketing, ovvero persone che non sanno niente di libri e pertanto sono pagati per occuparsene. Costoro vedono cosa ha avuto successo di recente e cercano di accodarsi, anche se arrivano in ritardo. Sono di moda templari esoterici, maghi bambini, vampiri adolescenti o amanti sado-maso? Il sedicente esperto prende il posto dell'editor e ti ordina di riscrivere il tuo romanzo per trasformarlo in un mediocre clone del bestseller (costruito a tavolino) dell'anno prima. Oppure decide che il tuo libro - compatto e privo di lungaggini - debba essere accorciato di metà perché così sarà più vendibile. Oppure ancora non sa esattamente che cosa diavolo vuole e continua a chiederti cambiamenti in corso d'opera.
Il fatto che anche nel mondo editoriale, come dappertutto, venga conferito potere decisionale a emeriti imbecilli non permette tuttavia che lo siate pure voi. Ne riparleremo la prossima volta.

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Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

viernes, 30 de abril de 2021

Callipigia (racconto del venerdì)

 

Come sa chi segue Vita da pulp, la malsana pulsione alla scrittura può cominciare in giovane età. Ai tempi del liceo ero solito tenere un "diario alternativo" in cui, oltre ad annotare fatti di vario genere, scrivevo brevi racconti, alcuni neanche disprezzabili o addirittura riciclati con successo in miei lavori successivi. Il mio commercialista - ai tempi mio compagno di scuola - sostiene tuttora che di quelle pagine bisognerebbe dare lettura pubblica. Quanto segue è un dialogo platonico (beninteso apocrifo) risalente al 1982 e ripescato dieci anni fa, quando ogni settimana pubblicavo un mio racconto nelle mie note di Facebook. Mi è tornato in mente oggi grazie alla Rubrica delle Parole Desuete di Giada Trebeschi e ho deciso di rispolverare questo brillante esempio di maieutica socratica.

CALLIPIGIA
Dialogo platonico scoperto durante i lavori della Metropolitana Milanese nei primi anni '80 del XX secolo

CALLIPIGIA: Buona serata, o Socrate. E' assai tardi. Perché ti sei trattenuto così a lungo al Liceo?

SOCRATE: Tutto può essere, fuorché una bella serata. Se sapessi cosa mi hanno riferito poche ore fa...

C: Di che si tratta?

S: Di un'accusa a me rivolta. Dicono che corrompo i giovani.

C: Ed è vero, questo?

S: Tutte palle. Ci si fa una canna ogni tanto, cosa vuoi che sia... Ma tu cosa ci fai da queste parti?

C: E' il mio solito turno, passo sempre di qui a quest'ora. Vuoi approfittare?

S. Quant'è la tariffa?

C: Dieci dracme.

S: Per le vacche del Sole Iperione! Sarai certamente ben informata sulle tariffe correnti, per presentare conti del genere.

C: E cacchio, certo che lo sono. Posso dire con certezza che questo è il prezzo giusto per le mie prestazioni.

S: Ciò m'interessa molto. Devi sapere che di economia non capisco una mazza e alla mia dichiarazione dei redditi pensa il commercialista. Ma dimmi: di certo avrai un criterio per stabilire quale sia il giusto prezzo.

C: E' chiaro: c'è la percentuale per il protettore, le spese per le calzature (non sai quanto si consumano), l'affitto, la svalutazione; e devo tirarci fuori qualcosa per la profumeria, il parrucchiere e la boutique.

S: Di certo hai ragione, tenendo conto di tutto. Ma... perdona la mia ignoranza, non sarebbe opportuno abbassare un poco il prezzo, tanto per incoraggiare la clientela? Tipo offerta speciale o saldi di fine stagione?

C: Forse sarebbe davvero opportuno. In effetti potrei fare così. Abbassare il prezzo a cinque dracme per qualche giorno, in modo da invogliare qualche nuovo cliente.

S: Ottima decisione, ne sono sicuro. Questo è invero un giusto prezzo per le tue prestazioni. Ma ho sentito dire, mi potrei anche sbagliare, che per lanciare un prodotto a volte si fa omaggio di campioni gratuiti, così che la clientela provi la merce e la trovi preferibile ad altre.

C: O Socrate, proprio ora mi è venuta un'idea brillante: potrei offrire prestazioni gratuite a qualche cliente, così mi farei pubblicità e spiazzerei la concorrenza.

S: Ragazza mia, la tua intelligenza fa invidia alle tue natiche. Sì, non ho dubbi. E dovresti cominciare quanto prima questa tua campagna di lancio.

C: Naturalmente. Proprio quello che pensavo: potrei cominciare da stasera.

S: Le tue argomentazioni m'hanno proprio convinto. Ecco dunque il giusto prezzo. Credo che approfitterò stanotte stessa della tua vantaggiosa offerta.

©1982-2011 Andrea Carlo Cappi

miércoles, 28 de abril de 2021

Vita da pulp - L'Effetto Samsa



Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi

Oggi affrontiamo uno degli aspetti più importanti nella vita di chi scrive, pulp o altro: l'Effetto Samsa. Ovvero, scriviamo qualcosa, poi guardiamo la nostra creatura e l'amiamo incondizionatamente, avendola generata noi, anche se a una persona normale ispira solo ribrezzo & repugnanza. Oppure - al contrario - d'un tratto la vediamo mostruosa e, agitando in aria un grosso bastone, la ricacciamo nella sua stanza... o meglio nel cestino sul desktop, l'equivalente letterario del cassonetto differenziato per il frutto del peccato.

In entrambi i casi, la reazione potrebbe essere sbagliata. Chi ha poca autocritica ritiene di avere appena concepito un'opera immortale, chi ne ha troppa non sarebbe soddisfatto nemmeno se avesse partorito un capolavoro. Subito dopo averla scritta, non è facile valutarla in modo oggettivo, né capire se la creatura si sappia reggere da sola sulle sue sottili zampette. Dunque si rende necessario un parere esterno. Pertanto autrici e autori aspiranti e/o emergenti sono soliti far leggere il proprio testo a parenti o amiche o amici, che tuttavia:
a) non hanno la minima voglia di leggerlo e si limitano a dire: "Sì, sì, è bello, da premio Nobel"
b) dotati di immenso spirito di sacrificio (o temendo di non saper rispondere a domande trabocchetto del tipo "ti è piaciuta la scena del bambino che morde la mela" quando nella storia invece c'è una mela che morde un bambino), leggono sul serio il testo, ma qualsiasi cosa ne pensino vi dicono: "Sì, sì, è bello, da premio Nobel"
c) per qualche ragione personale, godono nel farvi provare un senso di inadeguatezza e - che abbiano letto o meno il testo - vi dicono che potevate fare di meglio e che anzi, tutto sommato, dovreste dedicarvi invece al paracadutismo estremo
d) se si tratta di persone come i miei genitori, l'unico commento è "Sì, d'accordo, ma pensa a studiare".
Per ovviare a questi problemi, la prima fase è sospendere il proprio giudizio, tenere surgelato il proprio testo per un tempo adeguato, poi rileggerlo con gli occhi del pubblico, cioè come fate voi stessi quando leggete qualcosa scritto da altri. Il che implica tuttavia che voi per prime o per primi siate lettrici o lettori abituali, quindi che sappiate cosa significa. Se di norma invece non leggete libri, forse fareste meglio a non cercare di scriverne.

A questo punto potreste subire la tentazione di far leggere la vostra opera a una scrittrice o uno scrittore professionista, che vi potrà dare consigli pratici (se siete disposti ad ascoltarne) e, soprattutto, trovarvi una casa editrice.
Per cominciare, la/il professionista (a meno che non sia alla direzione di una collana e per lavoro faccia selezione di testi, come capitava a me diversi anni fa) non può trovarvi una casa editrice, perché deve già darsi da fare a trovarne per sé: a trovare le case editrici dovrebbero essere le/gli agenti letterari, ma a volte non lo fanno nemmeno loro.
Inoltre la/il professionista riceve la stessa richiesta - "Mi leggi il mio romanzo?" - quasi da chiunque ne abbia scritto uno e le/gli abbia chiesto l'amicizia su Facebook. Dapprima la/il professionista si rende disponibile, ma dopo qualche tempo si trova subissata/o di richieste - che si sovrappongono a un'altra infinità di lavori gratuiti - e scatta il Paradosso Strumpf, Dice "La leggo appena ho un momento libero" e dopo due anni si rende conto che non ha ancora avuto un momento libero. Non ce l'ha con voi, è proprio che dopo decenni di notti insonni, non ce la fa più.
Il mio amico e noto scrittore Andrea G. Pinketts* è una fulgida eccezione: dedica gran parte della sua giornata a fare questo tipo di consulenze gratuite. Quando sostiene di avere dilapidato l'eredità della zia Olghina al gioco e nella vita dissoluta, nasconde - perché non pare abbastanza maudit per la sua immagine - il fatto che lavori tutti i giorni pro bono, aiutando nuove leve. Ma . col senno di poi - se avesse sottratto meno tempo alla scrittura per somministrare consigli o regalare prefazioni a tutti quelli che si accostavano al suo tavolino a Le Trottoir, probabilmente ci avrebbe lasciato il doppio dei romanzi.
Sentitevi un po' in colpa.
E rammentate che non tutti gli scrittori hanno l'eredità della zia Olghina.
Detto questo, dopo la fase di scrittura occorre in primo luogo imparare un opportuno dosaggio dell'autocritica e, in secondo luogo, arrivare a un testo il più possibile scevro da Effetto Samsa. Solo allora sarà possibile proporlo a qualcuno che possa giudicarlo o lavorarci sopra. Ne parliamo prossimamente.

*Nota molto posteriore: Anche se all'Associazione a lui dedicata siamo soliti parlarne al presente, Andrea G. Pinketts è deceduto nel dicembre 2018. Ma ogni tanto capita sui social network che qualcuno si chieda perché Pinketts non pubblichi più niente di nuovo da un po'. Forse le notizie sulla sua morte sono state largamente sottovalutate, cosa che a lui non piacerebbe affatto. Ma quantomeno si sa che è esistito, laddove di figure diverse - ma non meno importanti - della narrativa italiana, pochi sanno che sono esistite.

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

Immagine: A. C. Cappi in una foto di A. C. Cappi (include Effetto Samsa)

jueves, 22 de abril de 2021

Vita da pulp - La Legge di Goldwyn

A. C. Cappi al Bacardi (Bollate, MI) in una foto di Alberto Grifantini

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi

Chi scrive narrativa di genere ha diversi problemi da risolvere. Il fatto che si occupi di un prodotto di intrattenimento, di "paraletteratura", di "lettura ferroviaria" - o altri termini più o meno volutamente riduttivi - non significa che debba per forza rifilarci un sottoprodotto raffazzonato, approssimativo e sgrammaticato.
Il primo problema riguarda la trama. Come dicevo la volta scorsa, la nostra vicenda - possibilmente originale, su questo bisognerà fare un lungo discorso - specie se si tratta di un giallo, dev'essere solida, efficace e coerente. Il che non significa che al di fuori del giallo classico - per esempio in un noir nell'accezione comune della parola - si possa scrivere a casaccio, pensando che tanto il lettore non presti troppa attenzione ai dettagli. Per esempio, se un personaggio cambia comportamento a metà libro, deve avere un vero motivo per farlo, non la semplice distrazione di chi ne scrive.
Il secondo problema riguarda la qualità della scrittura. Stiamo lavorando a una storia di intrattenimento, ma questo non ci autorizza a scriverla male, anche se ciò non significa applicare le regole di ciò che in Italia si crede sia "scrivere bene". Di questo parlerò in un'altra occasione.
Il terzo problema è che, se volete scrivere una storia di intrattenimento, dovete scriverla in modo che sia davvero di intrattenimento.

Questo è un aspetto delicato, che implica anche conoscere le regole di ogni singolo genere (quindi averne letto parecchio, non pensare che basti scopiazzare un paio di film o una serie tv). Una storia di genere può essere di puro intrattenimento e ha tutti i diritti di esserlo. Ma, se è costruita a tavolino, senza passione, diventa un gioco sterile: un romanzo di genere funziona se chi legge prova coinvolgimento e identificazione nei personaggi.
Se crea emozioni ed è ben costruita, la storua diviene intrattenimento intelligente anche se non ha altre pretese. I romanzi di Janet Evanovich con Stephanie Plum, che ho avuto il piacere di tradurre per qualche anno, raccontano (con una trama gialla e un pizzico di commedia) di piccoli conflitti umani e della vita quotidiana di una giovane donna del New Jersey, quindi in fondo della realtà di una figura in cui molte persone si possono riconoscere. Diviene, senza volerlo, un romanzo sociale. Vi sembra poco? Laddove in un fumetto di supereroi o di un albo della Bonelli, in cui dietro l'avventura più appariscente si può nascondere una viva e vitale commedia umana.
Una storia di genere offre quindi un enorme vantaggio: vi permette di raccontare qualcosa che vi sta a cuore in un modo più incisivo e coinvolgente per chi legge, rispetto a quando si scrive un saggio o anche una storia mainstream sullo stesso argomento... a meno di non essere un premio Nobel o giù di lì, ma suppongo che non sia questo il mio o il vostro caso. Il segreto è proprio che, se chi scrive infonde umanità ai suoi personaggi (anche se sta parlando di alieni in una storia di fantascienza) può far riflettere chi legge su questioni molto serie. L'importante è che il "messaggio" non prevalga in modo didascalico sull'intrattenimento.
Non arrivo a sottoscrivere completamente quella che potremmo chiamare "Legge di Goldwyn", da una frase attribuita al produttore Samuel Goldwyn della Metro-Goldwyn-Mayer: "Se devi mandare un messaggio, vai alla Western Union" (che all'epoca era leader americana del servizio telegrafico). Ma, se il tuo obiettivo è solo il "messaggio", non stai più facendo intrattenimento.

Porto come esempio la serie televisiva italiana del 1976 (all'epoca si definiva "sceneggiato" od "originale televisivo") che a tutt'oggi credo detenga il record assoluto per numero di spettatori alla sua messa in onda: ventotto milioni. Mi riferisco a Dov'è Anna?, scritto dall'infallibile duo Biagio Proietti e Diana Crispo, e diretto da Piero Schivazappa. Era il primo sceneggiato giallo della RAI ambientato in Italia - anziché all'estero come altri precedenti successi made in Italy - e in ogni puntata andava a toccare una tematica scottante in ambito sociale. Si era ancora ai tempi della Democrazia Cristiana al potere e certi aspetti non si potevano toccare: non venne realizzata una puntata in cui si parlava di prostituzione, anche se l'episodio viene raccontato per intero nella novelization scritta dagli stessi sceneggiatori, che divenne subito un bestseller.
L'impatto di Dov'è Anna? sul pubblico televisivo italiano fu tale che, dopo una puntata in cui si parlava di pazienti psichiatrici, fu cambiata una legge in proposito a furor di popolo. Ma l'efficacia dipendeva dal fatto che era un giallo e che il pubblico lo seguiva perché c'era una storia coinvolgente. Se Proietti & Crispo fossero partiti dall'idea di fare una serie su "problematiche sociali degli anni Settanta" basata solo sul "messaggio sociale", non l'avrebbe vista nessuno. Quantomeno non ventotto milioni di spettatori che volevano sapere dove fosse Anna.
Per questo ho scarsa tolleranza nei confronti dello scrittore che si presenta a un festival sul giallo (perché sa che la gente ci va e avrà pubblico), dopo aver scritto qualcosa che viene definito un giallo (perché sa che è di moda e la gente lo compra) però al microfono davanti a tutti dichiara "Sì, ma il mio non è proprio un giallo" (perché non vuole fare brutta figura di fronte agli amici "intellettuali" che ha invitato alla presentazione del libro). Primo, mi fai passare la voglia di leggerlo e, secondo, cosa ci vieni a fare a occupare un posto che potevi lasciare a chi i gialli li scrive veramente?
E poi c'è un quarto problema, che possiamo chiamare "Effetto Samsa", ma visto che mi sono dilungato sui primi tre, ne parlo la prossima volta.

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Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.