jueves, 15 de abril de 2021

Vita da pulp - 180 anni in giallo

"I delitti della rue Morgue", illustrazione di Byam Shaw, 1909

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto, di Andrea Carlo Cappi

Giallo e noir sono due insiemi che - almeno nell'interpretazione che se ne dà in Italia - si sovrappongono, si confondono e si contrappongono. In realtà partono entrambi da una pubblicazione di esattamente centottant'anni fa a Filadelfia, Pennsylvania, USA: nel numero dell'aprile 1841 di The Graham's Lady's and Gentleman's Magazine esce il racconto I delitti della rue Morgue di Edgar Allan Poe, considerato la prima detective story nella storia della letteratura.
Insomma, il primo giallo, ovvero il primo noir, risale a centottant'anni fa.
Poe, il maestro dell'incubo, impiega a sorpresa un metodo scientifico dalla sconcertante razionalità. Nella sua storia appaiono per la prima volta un infallibile investigatore dilettante - il cavalier Auguste Dupin, consulente della Sûrété di Parigi - e un suo assistente-biografo-narratore di cui non conosciamo il nome: possiamo persino immaginare che sia lo stesso Poe in trasferta a Parigi (anche se non so se ci sia mai stato). La trama narra di un delitto tanto inspiegabile quanto brutale, di cui il detective trova una soluzione precisa, inequivocabile e sbalorditiva, persino con un tocco horror.
Dupin e il suo assistente tornano solo in altri due racconti di Poe. Uno è Il mistero di Marie Roget, ispirato a un vero delitto avvenuto a New York - il caso Mary Rogers - di cui Poe elabora la vicenda trasferendola a Parigi e anticipando quella che si rivelerà la vera soluzione anche nella realtà. A questo punto non solo la detective story come genere è già pienamente definita, ma si permette addirittura di interagire con la cronaca nera. L'ultimo racconto è La lettera rubata, in cui non viene commesso un delitto ma c'è ugualmente un mistero da chiarire, la cui soluzione rimane proverbiale.
In questa trilogia, Poe crea il modello detective/assistente-narratore poi ripreso pari pari da Arthur Conan Doyle con Sherlock Holmes e John Watson, poi da Agatha Christie con Poirot, che sarà affiancato negli anni da diversi comprimari su cui l'autrice farà variazioni geniali. Lo stesso abbinamento sarà riutilizzato in una variante originale pure da Rex Stout con la coppia Nero Wolfe e Archie Goodwin, che abbina un detective classico a un assistente-detective hardboiled.
Inoltre, già dal suo primo racconto con Dupin, Edgar Allan Poe propone un altro elemento che diverrà stereotipo: la polizia brancola nel buio e si deve rivolgere a un geniale detective privato che sa vedere oltre le apparenze. L'ambientazione parigina, oltre a essere esotica per il pubblico americano, consente persino di mettere in discussione le capacità di indagine della polizia senza offendere nessuno: Dupin, postmoderno ante litteram, non indaga solo sul mistero, ma anche sull'inchiesta infruttuosa degli investigatori ufficiali, evidenziandone le lacune.
Peccato che il detective di Poe, pur lasciando una traccia indelebile, si sia visto ben poco in azione, per quanto il mio amico Rino Casazza e io abbiamo aggiunto qualche altra storia al suo curriculum, portando Dupin a sfidare Holmes e affrontare un personaggio molto simile al Fantômas di Allain e Souvestre.

Il mystery, inteso come detective story, ha dunque centottant'anni. Buon compleanno. In tutto questo tempo il modello inventato da Poe è stato ripreso, rielaborato, imitato e spesso anche banalizzato, quando il giallo veniva ridotto giusto a un enigma artificiale risolto da un personaggio bizzarro.
In risposta a questa tendenza sono nati l'hardboiled con i detective privati "all'americana", il poliziesco che rivalutava l'operato delle forze dell'ordine (sia come singoli ispettori o commissari, sia come "distretti") e la storia criminale propriamente detta, oltre alle vicende di spionaggio. Naturalmente anche in questi filoni ci sono stati capolavori, ci sono stati onesti prodotti di buona qualità, ma anche sottoprodotti imitativi.
Come ripeto spesso, la parola "giallo" in Italia nasce da Il Giallo Mondadori mentre "noir" viene dalla Série Noire di Gallimard. Da noi "giallo" indicava qualsiasi tipologia di quelle sopraindicate, anche se era associato più spesso alla detective story classica. La definizione "noir" era riservata alle storie più dure e realistiche. Oggi si usa "giallo" quasi in senso dispregiativo e "noir" con una connotazione di qualità letteraria, con il paradosso che tutti vogliono scrivere gialli per dire poi che hanno scritto un noir. Com'è poi noto, a chi scrive spy story - in realtà uno dei sottogeneri più difficili - non viene data invece molta considerazione.

I generi si confondono. Se uno dei dogmi del "giallo" è che la soluzione non può ammettere l'intrusione di un elemento soprannaturale, nell'italian giallo (inteso come genere cinematografico e televisivo) a volte si sovrappone una dimensione inspiegabile, gotica e irrazionale, oltre a una forte componente horror.
In realtà - come in tutto - bisogna stabilire un patto con chi legge. Non si possono cambiare le regole a metà strada. Altre volte il patto è prestabilito dal contenitore. In Dylan Dog l'ignoto è di casa, mentre sarebbe fuori luogo in un romanzo de Il Giallo Mondadori, che nei suoi oltre novant'anni di esistenza ha manifestato un ampio ventaglio di scelte... ma ben poco di soprannaturale. Allo stesso modo, in Segretissimo non sono mai state troppo amate le storie che sconfinavano nel fantastico: ricordo un interessante romanzo sul confine tra i generi - Un agente dall'aldilà di George O'Toole - che negli anni Settanta fu spostato dall'editore nella collana Urania, dichiaratamente di fantascienza.
Ma, che il "giallo" sia una detective story classica a enigma o una storia criminale senza l'obbligo di scoprire l'assassino nel finale, deve sempre rispettare un obbligo di coerenza e precisione. Alla fine tutti i dettagli devono tornare.
Sono d'accordo che in una storia noir, così come avviene nella realtà, non sia obbligatorio che si faccia luce su ogni zona d'ombra. Si può arrivare alla fine senza una soluzione catartica, ci si può scontrare con l'impossibilità di portare i colpevoli davanti alla giustizia o di risolvere un mistero, ma tutto dev'essere motivato. In questo, l'esempio di Luigi Pirandello in Così è se vi pare è magistrale.
Per quanto mi riguarda, ho sempre il timore di scordarmi qualche dettaglio importante, come quello dell'autista degli Sternwood ne Il grande sonno di Raymond Chandler, esempio che cito spesso (chi lo ha ucciso? Non lo sapeva neanche Chandler). Dopotutto, se ripensate alla scena del Dottor Strange che ho menzionato la volta scorsa, chi scrive ha in testa così tante possibili varianti della propria storia che il rischio di confondersi tra l'una e l'altra è molto elevato.
Di come si possa risolvere questo problema parliamo prossimamente.

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

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