jueves, 16 de abril de 2020

Quattro chiacchiere con Luis Sepúlveda

Luis Sepúlveda nel 2014 (immagine da Wikipedia)

Intervista di Fabio Viganò


All'indomani della scomparsa a settant'anni in Spagna del grande scrittore cileno, lo ricordiamo con questa conversazione in riva al lago, in Italia nel 2004. Lasciato il Cile dopo avere conosciuto il carcere sotto il regime di Pinochet, all'epoca Luis Sepúlveda viveva a Gijón, Spagna.

Ne Il vecchio che leggeva romanzi d’amore ci suggerisce un modo per affrontare la lettura di un libro. Secondo Lei, quanti modi vi sono per leggere libri?

Si parla sempre di due tipi di lettori. Il primo è un lettore freddo, che considera la letteratura come una sorta d’informazione fondamentale per capire tante cose che altrimenti non si potrebbero comprendere utilizzando soltanto i mezzi di comunicazione di massa. L’altro tipo è rappresentato da coloro che hanno una grande passione per la parola. Preferisco questo secondo tipo di lettore, appassionato, che scopre insieme allo scrittore il potere fondamentale della parola. Si lascia sorprendere dalla parola, per la parola; si lascia catturare dalla forza poetica della scrittura. Questo è il modo di leggere da uomo libero. Mi spiego. Credo in un diritto fondamentale del lettore che inizia con lo scegliere un libro, cominciarne la lettura e poi magari chiuderlo, senza terminarlo. Non succede nulla! Nessuno è o deve essere obbligato, costretto a finire un libro che non gli piace. Questa è quindi una grande sfida per lo scrittore, che deve riuscire a carpire l’attenzione del lettore con argomenti interessanti e con personaggi affascinanti. Per concludere, ritengo esista un bellissimo rapporto di complicità tra scrittore e lettore. L'incontro tra l'uno e l'altro crea la letteratura. Quando uno scrittore termina di scrivere un romanzo, ciò che ha per le mani altro non è che un mucchio di fogli che andranno a una casa editrice e, se avrà fortuna, si trasformeranno in quel parallelepipedo bellissimo ch’è poi il libro. Ma è solo quando il lettore apre il libro e comincia ad ascoltare le parole dello scrittore che si verifica il momento magico della nascita della letteratura.

Qual è il suo rapporto con la poesia?

Bueno! Sono un poeta clandestino. Scrivo poesie, ma non le faccio leggere quasi mai. In primo luogo, perché ritengo sia la parte più importante della letteratura ma anche il genere più difficile della letteratura stessa. Inoltre, anche perché mia moglie è una grande poetessa. Questa è la competizione enorme che c’è a casa mia. Sono però un grande lettore di poesie. Quando lavoro, già nella parte della pura creazione letteraria di un romanzo, quando cioè i personaggi prendono vita propria e io mi trasformo nel cronista degli avvenimenti dei personaggi, leggo soltanto poesia. Leggo i miei poeti preferiti.

Per esempio?

Sono tanti. Sono un amante di Leopardi… Credo di conoscere tutta la sua opera. Ho avuto il piacere di leggerla in lingua originale. Leggere Leopardi in italiano è una grande fortuna. Tra i poeti di lingua spagnola, Mario Benedetti e i poeti del tempo della guerra civile come Antonio Machado, García Lorca e León Felipe. Mi appassiona anche una poetessa cilena praticamente sconosciuta in Europa, anche se ha vinto il premio Nobel per la letteratura: Gabriela Mistral.

A suo avviso la poesia e la letteratura in genere possono essere... pericolose?

Sì, sempre! Perché l’essenza stessa della letteratura, l’essenza della poesia è sovversiva. Questo appello alla immaginazione, alla sensibilità, all’intelligenza, a non permettere che la tua vita si riduca a due o tre cose, è idea sovversiva. Anzi, sovversivissima! Sotto questo punto di vista, la buona letteratura e la poesia sono state sempre nemiche del potere. Il potere ha sempre cercato di comprare artisti, poeti, ma per dominarli! Per fortuna lo spirito della letteratura e soprattutto della poesia è uno spirito che esiste soltanto se si possiede l’essenza stessa della libertà. In altro modo non può esistere.

Quali sono a suo avviso le utopie di oggigiorno?

L’utopia d’oggigiorno è, come ieri, rappresentata dal raggiungimento di una dimensione umana della realtà. Una società che non possegga un nome definito, ma che doni a tutti la possibilità di svilupparsi liberamente in base alle proprie capacità.

Come vive il rapporto tra il Cile e il suo vissuto?

È un buon rapporto. Non sono un patriota. Sono nato in Cile perché da qualche parte del mondo bisogna pur sempre nascere. È un rapporto di lontananza, perché abito in Europa, ma ci ritorno ogni anno per rivedere gli amici e la famiglia.Non sono d’accordo con la situazione politica del Cile di oggi (ndr: anno 2004) ma non la critico al cento per cento, perché mi rendo conto delle enormi difficoltà che il Governo cileno incontra nell’attuare un vero processo di democrazia.

martes, 14 de abril de 2020

Agente Nightshade - Mosaico Iran - Teaser



Prossimamente in edicola e ebook il nuovo romanzo di François Torrent (Andrea Carlo Cappi) "Agente Nightshade - Mosaico Iran". A un passo dalla guerra qualcuno conosce la verità, ma deve vivere per raccontarla.

viernes, 20 de marzo de 2020

Fai un gesto

FAI UN GESTO D’AMORE. ANCHE SE C’È SOLE.
STAI A CASA. AIUTACI AD AIUTARTI.
NON RENDERE TUTTO INUTILE.
OGNI MOMENTO PASSATO IN CASA,
IL VIRUS VIENE ISOLATO.
RESTIAMO UNITI MA DISTANTI!
AIUTA IL PERSONALE SANITARIO.
AIUTATE MEDICI E INFERMIERI AD
AIUTARVI AL MEGLIO.
RESTATE A CASA.GRAZIE.
LET ME SAY IT PROPERLY!
STAY AT HOME! THANK YOU.


sábado, 15 de febrero de 2020

Le stanze di Casal Balaguer


Fotografie di Andrea Carlo Cappi

In carrer de la Uniò, nel centro storico di Palma di Maiorca, di recente ha aperto le porte al pubblico uno degli storici edifici cittadini.



Costruito tre secoli fa, acquisito nel Novecento dal musicista, collezionista e mecenate Josep Balaguer, poi donato dalla famiglia al municipio, il palazzo è stato restaurato tra il 2009 e il 2016 su progetti degli studi architettonici Flores&Prats e Duch-Pizà, convertendosi in un centro culturale e in un museo.



Il suo cortile ospita un bar ed eventi musicali, ma l'aspetto più interessante è il primo piano, visitabile liberamente, che permette di tornare indietro di quasi un secolo, scoprendo e rivivendo gli interni di casa Balaguer, compreso il grande organo a canne che il proprietario vi fece installare alla fine degli anni Venti.








Guarda anche Connecting @ Casal Solleric

jueves, 6 de febrero de 2020

Pinketts & co. - Giallo a San Remo

Pinketts e Cappi a San Remo, 2017 (foto: Vienna)

Diciotto anni fa qualcuno - non ricordo chi - chiese ad Andrea G. Pinketts di scrivere un giallo-quiz a puntate sul Festival di San Remo. Lo scrittore non era nuovo ai pastiche su vip e personaggi televisivi, che ogni tanto gli venivano commissionati da giornali e riviste con cui collaborava. Ma in tale occasione volle trasformare il racconto in un'occasione conviviale e convocò due amici al bar: Davide Mangalavite detto "Il Fan", regista del film L'ultimo dei caimani ed esperto di cultura popolare, e me. Così, a un tavolino di un bar in via Foppa a Milano - quello vicino al Pam - improvvisammo a sei mani un divertissement in cinque brevissime puntate, che sarebbero state pubblicate durante il festival. Il racconto fu poi riproposto online in versione completa su un mio vecchio sito del quale restano vaghe tracce in qualche angolo di Internet. Qualche tempo fa mi è capitato di nuovo sotto gli occhi, sicché ho deciso di riportarlo alla luce, in occasione della 70ma edizione del Festival. (Andrea Carlo Cappi)

CHI HA AMMAZZATO PIPPO BAUDO?


Giallo-quiz surreale di 
Andrea G. Pinketts,
Andrea Carlo Cappi, Davide Mangalavite

1

San Remo, Festival dei Fiori, 9 marzo 2002.

Il Sindaco di San Remo, quando mi aveva assunto come investigatore privato incaricato della sicurezza del Festival, era stato chiarissimo: "Comunque andrà, dev'essere un successo!"
"Questa l'ho già sentita" avevo risposto.
E poi guarda cos'era successo.
Un corpo senza vita di lì a poco avrebbe emanato un cattivo odore che nemmeno tutte le mimose della Festa della Donna sarebbero riuscite a coprire.
Eppure il cadavere, in un tempo ormai lontano aveva persino cantato un obbrobrio che faceva più o meno così: "Viva le donne, viva le belle donne, che sono le colonne dell'amor!"
E a proposito di canzoni, il maccabeo era stato più volte presentatore e padre-padrone del Festival.
Era proprio lui il Pippo nazionale, nonché popolare, ma mai le stesse cose insieme.
Lo si poteva riconoscere dalle scarpe in vero cuoio e dalle tasche gonfie di euro di cui era stato testimonial a discarico. Infatti la prima a riconoscere il maccabaudo era stata un'attrice petulante convinta che fosse un direttore di banca.
A fianco del cadavere una copia di Baudolino di Umberto Eco: che fosse morto di noia?
Ma se Pippo era morto… chi era quel lungagnone trionfalistico sul palco dell'Ariston, affiancato da due sventolone? 


Pippo I, quello morto, era stato rinvenuto dietro le quinte, proprio lui che aveva giurato che sarebbe morto in prima linea, in prima serata o in alternativa in un vecchio palco della Scala.
Convocai gli indiziati al Casinò: uccidere Pippo era stato un azzardo. Le ultime persone che l'avevano visto erano nell'ordine: 
- il maestro Pippo Caruso, che nutriva una sorta di amore-odio, visto che da 40 anni di amicizia Pippo lo chiamava insistentemente D'Artagnan nonostante ormai avesse la stazza di Porthos 
- la moglie, Katia Ricciarelli, che per la nota imparzialità di Pippo era stata esclusa dalla competizione, cui voleva partecipare in coppia col Gabibbo con la canzone popolare: Passato lo Festival, gabbato lo Santo
- Antonio Ricci, nemico storico del "simpatico pennellone", cui nel '96 era stato attribuito un necrologio di pessimo gusto sull'allora vitalissimo Pippo. 
- Daniele Piombi che da 20 anni piombava a San Remo convinto che prima o poi gli avrebbero dato da presentare il Festival. 
Sulla tempia del cadavere si riscontravano i segni di un corpo contundente. A fianco due oggetti sospetti. Qual era l'arma? Un microfono… o una vecchia radio, notoriamente uccisa dalla TV? 


Commisi l'errore di ritenere colpevole la moglie, che in ogni delitto che si rispetti è la prima sospettata, e la torchiai: "Su, Katia, canta!"
Per tutta risposta lei eseguì a squarciagola Un bel dì vedremo, rompendo le finestre del Casinò.
Non poteva essere stata lei. Non avrebbe avuto bisogno di un microfono. Quanto alla radio, la Signora Katia, era già fin troppo radiosa di suo.
La folla era stata tenuta all'oscuro, visto che l'individuo identico a Pippo sul palco se la cavava quasi meglio dell'originale.
L'unico a subodorare qualcosa era il Gabibbo, con cui la Signora Katia si era confidata. Ma chi darebbe retta a un pupazzo rosso?
Non certo Vanna Marchi!
Il resto d'Italia sì.
Per cui imbavagliai il Gabibbo e lo chiusi in uno sgabuzzino, per evitare che scoprisse subito l'assassino, rubandomi il mestiere.
Antonio Ricci, nonostante gli antichi dissapori, non aveva alcun motivo per volere il Pippo defunto: senza il suo antagonista a San Remo si sarebbe sentito svuotato e tuttalpiù avrebbe potuto prendere in giro Mino Reitano.
Come sparare sulla Croce Rossa.
Quali possibili moventi avevano gli ultimi due indiziati per giustificare un corteo funebre dei fan di Pippo che avrebbe intralciato al tempo stesso il Festival e il traffico di San Remo? 

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Tra un indiziato e l'altro approfittai per approfondire la conoscenza di Vittoria Belvedere. "Come mai ti sei fatta bionda?"
"Perché Pippo voleva una bionda angelicata in contrasto con quella bomba di carne della Arcuri."
"Siete diventate amiche?"
"Sì, molto. È un'attrice di un certo peso."
Ma per quanto riguardava le indagini, brancolavo nel buio.
Dopo la Ricciarelli e Ricci, dovetti escludere dalla lista dei sospetti anche Piombi.
Daniele Piombi aveva un alibi di ferro: all'ora del delitto era al Casinò a giocare a chemin de fer con Tito Stagno, Tiziano Ferro, Franca Rame e Dario Argento. Praticamente la nuova formazione dei Metallica.
Mi andò male anche con l'ultimo indiziato.
L'alibi del maestro Pippo Caruso fu sostenuto da Francesco Nuti: il maestro stava componendo la colonna sonora del remake del suo famoso film Caruso Paskowsky di padre polacco.
I quattro presunti colpevoli, una volta scagionati, per stemperare la tensione e dimenticare il lutto, si ritirarono a giocare a poker col morto.
E allora si avvicinava il momento della verità:
- chi era lo spilungone sul palco al posto di Pippo?
- l'arma del delitto era un microfono o la vecchia radio a galena?
- visto che gli unici quattro indiziati erano ormai esclusi dalle indagini, chi poteva aver eliminato il principe dei presentatori? 


La serata finale volgeva al termine. I giochi erano fatti. Tra poco il carrozzone sarebbe stato smantellato, anche in assenza di Renato Zero. A questo punto non mi restava che rassegnarmi all'evidenza del mio fallimento. Aprii lo sgabuzzino e tolsi il bavaglio al Gabibbo. "Va bene, sporco pupazzo rosso, mi arrendo! Dimmi quello che sai e ti cedo la metà del merito!"
"Tre quarti" trattò il Gabibbo.
"È andata!"
"Stavo spremendo Katia Ricciarelli, in cerca di elementi di sfottò contro Baudo. Lei, infastidita, mi ha risposto: 'Parlane pure male, non lo riconosco più. Da qualche tempo non è più lo stesso!'"
Eccola l'illuminazione! Era a portata di naso, come Pippo Franco. C'erano troppi Pippi in questa situazione. Mancava solo Pippi Calzelunghe.
Il Pippo sul palco stava per consegnare il premio al vincitore del suo decimo festival. Irruppi in scena e gli feci una domanda trabocchetto: "Chi ha scoperto Loretta Goggi?"
"Io!"
"Lorella Cuccarini?"
"Io!"
"L'America?"
"Io!"
Era inequivocabilmente lui. Tutti gli altri sapevano che l'America l'aveva scoperta Mike Bongiorno.
Fui arrestato in diretta TV per schiamazzi notturni.
Il giorno dopo Pippo venne a trovarmi in cella accompagnato dal Commissario Cajati, che confermò le mie ipotesi. Il falso Pippo era un fantasista mitomane di Militello, che ricorrendo alla chirurgia plastica era riuscito ad assumerne le fattezze. Aveva più volte cercato di importunare Katia Ricciarelli rivolgendole in pubblico apprezzamenti in dialetto siculo. La Signora Katia, rientrando a casa dal Pippo autentico, solitamente galantissimo, lo prendeva a schiaffoni. Il falso Pippo si era introdotto all'Ariston all'inizio del Festival e si era nascosto dietro una tenda. Ma al momento decisivo, resosi conto del suo folle proposito, si era tolto la vita colpendosi con un microfono, di cui non girava mai sprovvisto. La radio e il libro di Eco erano stati scordati da un vecchio attrezzista, ora pensionato, che voleva farsi una cultura.
Baudo era visibilmente turbato. Commentò: "Non potevo immaginare di aver creato una simile baudodipendenza in uno sconosciuto!"
"Ne è sicuro?"
"Non so."
Ma Pippo, Pippo non lo sa… 

(copyright 2002 Andrea Carlo Cappi, Davide Mangalavite, Andrea G. Pinketts)