viernes, 24 de febrero de 2023

Il racconto breve più politicamente corretto della storia della letteratura


di Andrea Carlo Cappi

La recente polemica riguardante la "riscrittura" in chiave politicamente corretta delle opere di narrativa per l'infanzia del grande Roald Dahl da parte di un suo editore, che pare si sia conclusa con la decisione di non far sparire i testi come sono stati scritti, bensì di far convivere le due diverse edizioni, quella originale e quella censurata, mi ha riportato alla mente che avevo affrontato il tema il 25 febbraio del 2011, quando su Facebook tenevo la mia rubrica "Il racconto del venerdì".
Com'è noto, oggi l'unico modo per risolvere questioni di razzismo, maschilismo e via dicendo non è combattere sul serio discriminazione e sopraffazione, per esempio insegnando alle nuove generazioni a non praticare l'una e l'altra. No, bisogna prendersela con la letteratura, i fumetti, la televisione o il cinema, vale a dire tutto ciò che, quantomeno a gente come me, ha insegnato a non essere razzista, maschilista e via dicendo. Il problema è che è impossibile rispettare la sensibilità di tutti, specie quella di fanatici intolleranti.
Per esempio, anni fa su questo blog pubblicai un racconto imperniato su una donna realmente vissuta un secolo prima (e vittima di un celebre caso di femminicidio ante litteram), illustrandolo con un'immagine ricavata dal "Corriere della Sera", l'unica esistente della protagonista della vicenda: una foto artistica in cui costei appare a seno parzialmente scoperto. Quando misi su Facebook il link alla pagina, il post fu bloccato dal noto social network e il blog messo in punizione per alcune settimane, perché vi si scorgeva un capezzolo femminile: una cosa che chiunque può vedere su una spiaggia, ma disturba la sensibilità dei talebani che vogliono le donne in burka (e per i quali sospetto che il femminicidio non sia nemmeno un reato).
In ogni caso già dodici anni fa avevo indicato la via da percorrere: scrissi un racconto "politicamente corretto al di là di ogni ragionevole dubbio o sospetto", prendendo "ogni possibile accorgimento per riuscirci. Questa volta nessuno, davvero nessuno si potrà offendere o trarre motivo alcuno di risentimento dalle parole di questa breve storia".
E quindi preparatevi a leggere...

Il racconto breve più politicamente corretto della storia della letteratura

"                    ?"          .
"                             '                 '   ?" .
"                                  ! ..."
                ,                    ,                 .
"                         ...?"
"                         ",            .
"                      ,                        ?"
"                                    ."


FINE

jueves, 23 de febrero de 2023

Vita da pulp - Questione di intelligence

Chistine Keeler, photo by Lewis Morley, 1963

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Riprendiamo l’argomento della spy story come riflesso dello spionaggio nel mondo reale, ossia la rappresentazione più o meno realistica (stiamo parlando di narrativa, soprattutto a scopo di intrattenimento) di una componente invisibile ma determinante della cronaca internazionale.
Oggi esistono computer, satelliti e droni, ma alla fine dei conti l’essenza dell’azione segreta rimane la stessa dei tempi di Sun-Tzu e del suo L’arte della guerra: un Paese deve spiare i propri nemici per sapere il più possibile sul loro conto, evitare che gli altri lo spiino a loro volta e infine inondare gli avversari di fake news fino a confonderli. Si vedano a questo proposito i miei documentari (artigianali) dedicati a incredibili ma veri episodi della Seconda guerra mondiale: quelli del maggiore inesistente e del falso generale, due inganni che salvarono il mondo e che furono poi raccontati in libri e film.
Un aspetto da non trascurare nell’attività di spionaggio, tuttavia, è la corretta analisi del materiale raccolto: puoi avere l'intelligence (inteso come l’insieme delle informazioni raccolte) migliore del mondo ma, se non sai interpretarlo, ciò che fornisci a chi deve farne uso non è altro che inutile o fuorviante bad intel, come si dice in gergo. Pensate a un’azienda il cui manager, circondato da yes-men, arriva a illudersi di avere un potenziale superiore a quello di un rivale e di conseguenza incorre in imbarazzanti sconfitte sul mercato. Lo stesso può capitare a un leader narcisista cui i servizi segreti forniscono solo rapporti compiacenti nel timore di deluderlo, infastidirlo e subire punizioni; con la differenza che il leader, una volta disconnesso dalla realtà, provoca un'inutile ecatombe; ne abbiamo un drammatico esempio da un anno a questa parte. Sun-Tzu scuoterebbe il capo.

Ma, prima che i soliti haters decidano di far censurare anche questo articolo, torniamo alla letteratura. Poiché la parte strettamente "umana" dello spionaggio e della politica internazionale non è sostanzialmente cambiata nei secoli, nella sua trasposizione letteraria certi elementi persistono con il mutare di luoghi, situazioni e scenari, da I tre moschettieri di Dumas a Dalla Russia con amore di Fleming. Quindi c'è molto da imparare tanto dai classici del genere quanto da storie scritte ora ma ambientate in altre epoche.
La narrativa spionistica come la intendiamo oggi nacque nei primi decenni del Novecento in Gran Bretagna, già patria del primo intelligence service moderno. Rispecchiando la realtà, mutuò caratteristiche dalla detective story, ma anche dal romanzo esotico-avventuroso e persino da quello erotico: il sesso è del resto un fattore inscindibile dallo spionaggio, se pensiamo a Mata Hari, al Salon Kitty di Berlino, a Christine Keeler (la protagonista dello Scandalo Profumo, in alto nella celebre foto di Lewis Morley) o ai seduttori professionisti della Stasi negli anni Ottanta. Il fenomeno letterario dello spionaggio, complice talvolta una componente propagandistica, esplose in Occidente tra la Seconda guerra mondiale e la Guerra Fredda. Esisteva peraltro anche una spy story sovietica e tra i fan che indusse a diventare eroici agenti del KGB (o, più spesso, biechi burocrati della repressione) ci sarebbe stato anche l'attuale leader del Cremlino.
Come dicevo la volta scorsa, è nel 1960 che appare nelle edicole italiane Segretissimo, collana di Arnoldo Mondadori Editore realizzata sul modello de Il Giallo Mondadori ma dedicata esclusivamente alla narrativa di spionaggio. La sua importanza è tale che viene pubblicata tuttora con successo, con una presenza crescente di romanzi italiani arrivata oggi a mettere in netta minoranza i contributi stranieri alla collana.

Come in ogni sottogenere della narrativa popolare, la spy-story può avere moltissime declinazioni e ibridazioni, la più clamorosa delle quali è quella fantatecnologica, da oltre sessant’anni familiare al grande pubblico attraverso alcune versioni cinematografiche di James Bond 007. Pertanto due film diversissimi come La spia che venne dal freddo (1963, tratto da un capolavoro di John Le Carré) o La spia che mi amava (1977, pellicola fantascientifica che conserva solo il titolo di un romanzo, curiosamente non spionistico, di Ian Fleming) possono rientrare entrambi nella categoria dello spionaggio.
La spy fiction si è mescolata anche con la fantapolitica (l’elaborazione di scenari possibili nel prossimo futuro, sulla base di situazioni attuali), il technothriller (basato su aspetti scientifico-tecnologici attuali, imminenti o ipotetici, in ambito bellico) e il combat thriller (incentrato su operazioni militari più o meno clandestine). E ormai una vicenda di spionaggio ambientata durante le guerre mondiali o la Guerra Fredda può considerarsi narrativa "storica". In tutto questo, s'intende si sono creati stereotipi e schemi ripetitivi, soprattutto a imitazione dei film di 007 di metà anni Sessanta. Ma, pur mantenendo le caratteristiche di base, il filone continua a evolversi: l'Undici Settembre, oltre alle Torri Gemelle, ha spazzato via buona parte dei cliché, insieme all'assurdo slogan secondo cui la spy story sarebbe finita insieme alla Guerra Fredda. Invece, come dichiarò proprio nel 2001 John Le Carré, c'è ancora molto da raccontare.
Nel frattempo, dicevo, si è finalmente consolidata una vera e propria scuola italiana della spy story, il che sarebbe di per sé una notizia se i media nazionali si fossero degnati di accorgersene in questi decenni. Quindi lo dico e lo ripeto. Oltre ai numerosi titoli made in Italy in edicola e ebook da Segretissimo, con e senza pseudonimo straniero in copertina, è appena rinata la collana in ebook di Delos Spy Game - Storie della Guerra Fredda, firmata esclusivamente da autrici italiane e da autori italiani. Eppure, proprio oggi, ci sono parecchi dubbi su cosa sia e come si scriva questo sottogenere fondamentale del mystery e del thriller. Una questione di intelligence, insomma. Vedremo di fare chiarezza nei prossimi articoli.

Continua...




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Per Delos Digital cura la collana in ebook Spy Game.

jueves, 16 de febrero de 2023

Vita da pulp - Scuola di spie


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Per le persone nate e cresciuta in piena Guerra Fredda, alimentandosi di notizie, narrativa e cinema sulle tematiche di quel periodo, la letteratura di spionaggio è un concetto così familiare da non avere bisogno di spiegazioni. Oltre a essere un sottogenere importantissimo del thriller, spesso è uno strumento di estrema utilità per scoprire aspetti poco noti della storia recente o della cronaca contemporanea in fieri. Per questo non è facile scriverla, quantomeno se non si vuole realizzare un banale prodotto imitativo.
Mi accorgo però che, a oltre trent’anni dalla fine della Guerra Fredda, l’argomento “spionaggio” è ormai sconosciuto ai più, pur essendo tuttora di estrema attualità. Il pubblico "generalista" legge sempre meno spy-story, perché non sa cosa sia. Oppure la ritiene astrusa, poco interessante, troppo fantasiosa o "di azione"... e persino politicamente scorretta.
“Figurati se esistono davvero gli agenti segreti!” si sente dire. Il che conduce a un paradosso colossale: si ignora l’operato dei servizi di intelligence in un’epoca in cui questi influiscono persino su ciò che siamo indotti a pensare. Insomma, quando si parla di spionaggio, non solo nella narrativa ma anche nella realtà, la maggior parte delle persone non capisce o non ascolta. Più che alle spie, è molto più facile credere alle scie (chimiche).

La confusione generale contamina persino chi sa dell’esistenza della spy-story e vorrebbe addirittura dedicarcisi: come ho constatato da domande che mi sono state poste negli ultimi anni, non è più ben chiaro di cosa si tratti.
Urge un corso rapido di aggiornamento, che occuperà questa e altre puntate della rubrica Vita da pulp. Ripeterò alcuni concetti di cui ho parlato in precedenza, ma sarà inevitabile per fare un discorso unitario e, spero, illuminante. Quindi... benvenute e benvenuti alla mia "Scuola di spie" (letterarie, beninteso).
E, sì, non è un caso se affronto questo argomento proprio ora che riprende, sotto la mia direzione, una collana in ebook di Delos Digital creata nel 2019 da Stefano Di Marino, Spy Game - Storie della Guerra Fredda, alla quale partecipano autrici e autori della narrativa spionistica made in Italy

In primo luogo, lo spionaggio non è una finzione letteraria: esiste da tempo immemorabile. Ne parlava duemilasettecento anni fa il generale cinese Sun-Tzu (raffigurato nell'immagine qui sopra), quando ne L'arte della guerra teorizzava la possibilità di usare le spie per vincere senza nemmeno combattere. Si trattava, già allora, di raccogliere informazioni su quanto succede in patria e fuori, occultare i propri segreti e ingannare gli avversari. Nel corso del XX secolo la maggior parte dei paesi trovò necessario dotarsi di servizi segreti, i cui obiettivi sono appunto:
-lo spionaggio all’estero, quindi scoprire i segreti degli avversari, ma a volte anche quelli dei propri alleati, non sempre tutti davvero "alleati" sino in fondo; ciò avveniva anticamente mediante human intelligence (humint, ovvero notizie scoperte da spie o rivelate da infiltrati e doppiogiochisti in territorio nemico) e in tempi più tecnologici anche con il signal intelligence (sigint, ovvero intercettazione e decrittazione di messaggi segreti degli avversari), per poi arrivare ai tempi moderni in cui si aggiungono satelliti, droni e palloni meteorologici "spinti fuori rotta dal vento" 
-il controspionaggio in patria, che in certi regimi però implica anche la spietata repressione del dissenso e delle più basilari libertà individuali
-la disinformazione, che può consistere sia nell'illudere gli avversari di conoscere segreti altrui (che in realtà sono informazioni false fabbricate ad arte), sia nel diffondere notizie adulterate per orientare in modo conveniente l'opinione pubblica dei paesi rivali; questa tecnica, realizzata nel XX secolo pilotando organi di informazione all'estero e diffondendo trasmissioni radio di propaganda in diverse lingue, oggi si mette in pratica attraverso l'introduzione di fake news nelle reti sociali e procurandosi l'ignara collaborazione di chi le prende per vere e le propaga a sua volta, in preda all'indignazione.
La letteratura di spionaggio, intesa sia come opere ad alto livello, sia come narrativa popolare di intrattenimento, racconta tutto ciò. Sotto certi aspetti è molto simile alla letteratura mystery e thriller: non a caso, prima che l’editore Mondadori constatasse nel 1960 la necessità di creare una pubblicazione dedicata esclusivamente alla spy-story, cioè Segretissimo, i romanzi di spionaggio uscivano ne Il Giallo Mondadori, risorta nel 1946 dopo la chiusura per ordine del regime; lo stesso valeva per la collana Gialli Garzanti tra gli anni Cinquanta e Settanta. Come giallo e noir si ispirano alla cronaca nera per trarne vicende poliziesche e criminali più o meno realistiche, così la spy-story è un riflesso della cronaca internazionale presente o passata. È questo uno dei riferimenti da tenere sempre in considerazione, come vedremo nelle prossime puntate.

Continua...




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Per Delos Digital cura la collana in ebook Spy Game.

miércoles, 8 de febrero de 2023

Vita da pulp - L'Effetto Zeigárnik


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di
 Andrea Carlo Cappi 

Con questo articolo chiudo il lungo discorso delle ultime settimane, vale a dire
Come si è visto, a volte si comincia a scrivere un racconto o un romanzo e ci si ritrova con personaggi o universi che rimarranno con noi a lungo e che, se abbiamo molta fortuna, anche il pubblico vorrà vedere e rivedere. Tuttavia, nel momento in cui si inizia un ciclo di storie, non sempre si può prevedere quanto durerà, né quanti episodi se ne potranno scrivere, né che direzioni prenderà la saga. Dato che ho una lunga esperienza in materia, posso fare qualche esempio in prima persona, per poi trarne conclusioni generali.
Nella primavera del 2001 proposi a Segretissimo Mondadori, in quegli anni diretto da Sandrone Dazieri, il progetto del ciclo di Nightshade, che avrebbe avuto pubblicamente inizio con Missione Cuba, uscito nel marzo 2002. Ma, un anno prima, non sapevo nemmeno se sarebbe stato approvato: oltre al format presentai i primi capitoli del romanzo iniziale, che in caso di rifiuto, per non sprecarli, avrei pubblicato come lungo racconto autoconclusivo su qualche speciale di M-Rivista del Mistero; se così fosse stato, forse la carriera di Nightshade sarebbe finita lì.
In ogni caso, fin dal principio avevo in mente due punti precisi: la morte di uno dei personaggi principali, cui sarei arrivato qualche romanzo dopo in Babilonia Connection (2005) e il confronto finale tra Mercy Contreras e il suo avversario principale, il cui momento sarebbe giunto in Protocollo Hunt (2012).
Intanto nella serie erano accadute varie cose inaspettate: l'avvento della rivale della protagonista, Sickrose, che avrebbe acquisito grande importanza; la morte di un altro dei comprimari di Nightshade (anche se qualcuno ha sperato che non fosse vero); e un team-up con l'eroe della serie thriller made in Italy di maggior successo, Il Professionista di Stephen Gunn, pubblicata nella stessa collana di Mondadori. Senonché, fino ai capitoli finali di Protocollo Hunt, nemmeno io ero certo che Mercy uscisse viva da quel romanzo: Alan D. Altieri, che aveva preso il posto di Dazieri alla testa di Segretissimo, era propenso a chiudere Nightshade e a proseguire invece con la mia serie Medina.
Dopo qualche anno, invece, si interruppe Medina (ma senza decesso del protagonista) e continuò Nightshade, anzi Agente Nightshade. Saggiamente, nel 2012 avevo risparmiato Mercy, il che mi ha permesso di proseguirne le avventure fino a oggi, dar vita allo spin-off Sickrose e intrecciare il tutto, oltre che con Medina, anche con Black (e persino con Dark Duet, dove nel 1947 appare per un istante il padre di Nightshade... da bambino).
In poche parole, è impossibile pianificare ogni cosa, tantomeno prevedere che un personaggio seriale abbia un successo sufficiente a mantenerlo "attivo" dopo vent'anni e oltre.
D'altra parte è questo che fa chi scrive pulp (sempre inteso nel senso originario del termine, che contrassegna questa rubrica): adattarsi come plastilina alle circostanze, senza per questo diventare il Paperback Writer pennivendolo dell'omonima canzone dei Beatles.

Ma qui entra in gioco, una volta di più, il già nominato cliffhanger, lo strumento che dovrebbe indurre il pubblico a continuare a seguire un serial. Da qualche decennio a questa parte lo abbiamo visto impiegato in tv, non solo tra un episodio e l'altro ma tra una stagione e l'altra; così come nei film seriali o nei cicli dei cinecomics, dove di solito viene inserito durante o dopo i titoli di coda.
Qualcuno ne associa l'efficacia all'Effetto Zeigárnik, così chiamato in onore della psicologa lituana Blumia Zeigárnik (1900-1988), secondo la quale un'azione interrotta resta più a lungo impressa nella memoria rispetto a un'azione compiuta. Quindi la situazione sospesa stimolerebbe il pubbico ad anelarne la chiusura.
L'espediente viene usato, in realtà, da molto tempo: dall'era del feuilleton, progenitore del vero pulp. È leggendario il caso di Rocambole, il personaggio di Pierre Alexis Ponson du Terrail (1829-1871) da cui deriva l'aggettivo "rocambolesco". Le sue avventure venivano pubblicate a puntate in appendice a quotidiani; quando un direttore cercò di disfarsi di Ponson per far proseguire il serial a un altro autore convenientemente sottopagato, gli risultò impossibile trovarne uno che sapesse risolvere una situazione "impossibile" rimasta aperta nell'ultima puntata; sicché accettò di rinnovare il contratto a Ponson... che pare abbia cominciato allegramente la puntata successiva senza degnarsi di dare spiegazioni su come Rocambole fosse riuscito a cavarsela: se l'era cavata e basta.
Insomma, il cliffhanger dovrebbe servire, anche, a evitare chiusure di serie, sostituzioni nel reparto creativo o deliranti scelte di marketing. Ma il marketing, quando diviene un'oscura divinità cui tributare sacrifici umani talvolta immotivati, è un nemico insormontabile. Quante volte abbiamo visto le case di produzione - diciamo pure, con un vago disprezzo del pubblico, oltre che di chi ci lavora - decidere che costava troppo girare un sequel o una stagione successiva, lasciando quindi per sempre irrisolta una situazione innescata nel finale precedente, che pure prometteva sviluppi appassionanti?

Mantenere le promesse è difficile di per sé. Ai tempi della serie tv di culto Il Prigioniero (1967) credo che sia uscito di scena l'unico autore che conosceva la soluzione dell'intera trama (George Markstein), lasciando chi restava (Patrick McGoohan) a improvvisare un finale sconclusionato che scatenò lettere di protesta da parte del pubblico.
C'è poi David Lynch, che ha elevato il metodo a livelli inediti di sadismo: dopo avere interrotto la storica serie Twin Peaks con un finale aperto, ne girò bellamente non un seguito ma un prequel cinematografico; solo dopo venticinque anni realizzò una nuova serie, in cui risolveva tutte le questioni in sospeso e dava finalmente un senso anche al prequel... per lasciarci di nuovo tutti di fronte a un nuovo magnifico, appassionante ma irrisolto cliffhanger.
Quando, come pubblico, vi trovate di fronte a una situazione del genere... pensate forse che chi scrive il serial sappia già come si risolverà tutto quanto? Beninteso, non posso parlare a nome di tutti, ma posso raccontare la mia esperienza. Spesso si ha un'idea generale su come tutto andrà a finire, ma come, in quanto tempo e in quanti episodi lo si scopre un po' alla volta.
Quando scrivo, per esempio, un serial narrativo con Martin Mystère (a una decina di pagine per ogni uscita) cerco di lavorare in modo continuativo e programmato: tutto dev'essere calibrato con attenzione, per mantenersi nello spazio disponibile su ciascun numero e nell'arco di tempo di pubblicazione prestabilito. Pertanto, quando innesco un cliffhanger nelle ultime righe di un episodio, so già come ripartire a quello successivo, che comincio subito a scrivere senza perderne il filo.
Le regole cambiano quando concludo un romanzo di cui presumo di scrivere il seguito di lì a un anno... e nel finale mi invento lì per lì una situazione a sorpresa. Non voglio destare solo la curiosità di chi mi legge, ma anche la mia, mettendomi di fronte a una sfida creativa che dovrò vincere contro me stesso e che renderà interessante la scrittura della trama successiva. Sono un autore di vero pulp: non dimenticate che per sorprendere chi mi legge devo essere io il primo a sorprendersi.
Così nel 2017, per un'ispirazione improvvisa, nell'ultima riga di Fattore Libia buttai lì il nome di un personaggio che avrebbe destato un brivido nel mio pubblico più affezionato. Di nuovo lui? Cos'avrebbe combinato stavolta? Nemmeno io lo sapevo, lo avrei scoperto al momento di scrivere Territorio Narcos... e in effetti il suo ritorno in scena fu perfetto per chiudere un ciclo e aprirne un altro. Perché la serie Agente Nightshade ha a che fare con un'altra continuity: quella della realtà del mondo in cui viviamo, di cui talvolta le storie di spionaggio sono un riflesso fedele. Ma di questo particolare argomento parleremo nel prossimo ciclo di articoli... (ovviamente, non potevo finire senza un po' di Effetto Zeigárnik).

Continua...

(immagine: A. C. Cappi)




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford e curatore della collana di ebook Spy Game (Delos)

jueves, 2 de febrero de 2023

Vita da pulp - Continuity!


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Prima di chiudere (nel prossimo articolo) il lungo discorso delle ultime settimane, ci sono ancora alcuni argomenti da trattare. Innanzitutto la continuity, che è uno degli aspetti più delicati in una narrazione, ma si complica ulteriormente in una serie e, soprattutto, in un serial. È una questione di memoria applicata alla narrazione suddivisa.
Nelle storie seriali, che per loro natura escono a episodi distanziati nel tempo, è sempre stato utile il "riassunto delle puntate precedenti", tradizione passata dalla narrativa alla televisione fin dai tempi degli sceneggiati. Oggi siamo così smaliziati che, quando in un serial tv vediamo un riassunto in cui riappare qualche elemento risalente a episodi lontani del tempo, possiamo intuire che sta per essere ripresa una sottotrama latente.
Chi legge libri, a patto di avere sufficiente tempo libero, può anche divorarne uno intero in un'unica sessione; se protrae la lettura a intervalli per un periodo prolungato, dovrà a volte tornare indietro di qualche pagina per ricordarsi certi dettagli. A questo scopo, l'elenco dei personaggi all'inizio del volume (caratteristico de Il Giallo Mondadori e Segretissimo, ma usato anche, per esempio, nei romanzi del franchise di Clive Cussler) è utile da consultare quando ci si scorda chi sia chi.
Ma gli stessi problemi capitano anche a chi scrive le storie.
Se non lavora a un racconto rapido e breve, difficilmente avrà modo di completare la narrazione tutta in una volta. Se poi ha tempo di produrre solo poche pagine al giorno, oppure deve sospendere la lavorazione per altri impegni, impiegherà mesi o anni per arrivare alla fine. Quindi sarà facilissimo che si dimentichi di qualcosa in corso d'opera, per esempio il nome di un personaggio, una frase già scritta in precedenza o un dettaglio significativo. E immaginate quanto ciò possa essere importante, in particolare, in un giallo o una storia affine.

A meno di avere pianificato tutto con (noiosissima) precisione, quando scriviamo una storia, a ogni pagina ci si presentano infinite possibilità di sviluppo per ogni personaggio o sottotrama. Qualcuno ricorderà l'esempio, fatto tempo addietro in questa rubrica, del Dottor Strange che esamina tutti i futuri alternativi possibili per trovare quello "giusto". Noi ne scegliamo uno, ma può capitare che, cento o duecento pagine più avanti, non ci ricordiamo più quale direzione abbiamo imboccato... e riprendiamo una linea narrativa diversa che abbiamo ancora in mente, ma è incompatibile con quella che stavamo seguendo.
Può capitare a chi lavora a un romanzone di centinaia di pagine con molti personaggi. O a chi da solo deve occuparsi di più serie (o serial) contemporaneamente: vi farò tra poco un esempio illustre. O a diverse persone che lavorano su uno stesso universo condiviso, con decine o centinaia di episodi, come succede nei franchise narrativi, nei fumetti e nelle serie tra cinema e tv.
Quindi incoerenze e contraddizioni sono sempre in agguato. E non sempre si può fare conto sull'editing o sulla revisione: c'è chi riesce a notare una minima distrazione dell'autore (lodo e ringrazio sempre per questo l'attuale redazione di Segretissimo Mondadori) e chi invece si lascia passare sotto il naso sviste imbarazzanti. Lo si vede persino in importanti case editrici straniere. Diverse volte ho dovuto correggere in fase di traduzione errori clamorosi di continuity, spesso in libri non scritti da collaudati professionisti/e della narrativa, che non hanno avuto un editing sufficientemente attento.
Pertanto, una cosa importante che chi scrive deve scolpirsi nella mente è: rileggere il testo con estrema attenzione, possibilmente a distanza di tempo, in modo da distaccarsene quanto basta a notare eventuali sviste. Non sempre si può contare su mamma-editor che mette a posto ogni cosa. E, se possibile, rileggere sempre anche le bozze, perché se in editing o revisione qualcuno ha tolto senza motivo una frase o un paragrafo fondamentale, può essersi creata una contraddizione che prima non c'era.

Stan Lee, creatore di personaggi leggendari della Marvel, disse che sceglieva spesso nomi e cognomi con la stessa iniziale (Peter Parker, Sue Storm, Reed Richards, Bruce Banner, Stephen Strange...) perché così li ricordava più facilmente. Non deve stupire: quando una persona scrive ogni giorno la sceneggiatura di un episodio di una serie diversa, seppur con protagonisti appena ideati da lui/lei stesso/a, rischia davvero qualche distrazione che tuttavia non sfuggirà al pubblico... o quantomeno a quella parte che rammenta ogni dettaglio.
Io, più semplicemente, cerco di tenere sott'occhio un elenco di nomi, cognomi e ruoli dei personaggi secondari. Ma, quando torno a lavorare a una serie dopo un lungo intervallo, devo ripassare gli episodi precedenti, perché non ricordo più tutte le linee narrative in sospeso... e, in qualche occasione, se sia vivo o morto un personaggio secondario di un romanzo scritto anni prima, che potrebbe tornarmi nuovamente utile. Anche chi scrive soffre dell'Effetto Scolapasta, come dicevo giorni fa a uno dei più fedeli lettori di questa rubrica.
Se un singolo romanzo può richiedere una lunga stesura, una serie/serial può durare anni o decenni, il che impone di tenere a mente una quantità incredibile di informazioni per non incorrere in errori di continuity o evitare di fare uso improprio di una retcon, che sta per "rettifica della continuity": uno strumento che va limitato a una serie molto lunga in cui un'affermazione fatta parecchio tempo prima non consente gli sviluppi successivi di una trama.
Chi si inserisce in una serie che ha già decenni di storie pubblicate deve studiare parecchio, ma non sempre ha tempo di leggere tutto quanto. In questi casi, bisogna avere la fortuna di conoscere gruppi di fan dalla memoria lunga e chiedere conferme del rispetto della continuity. Peraltro nel 2021, a proposito di un mio episodio narrativo di Martin Mystère, un lettore classificò come errore la mia datazione di un libro scritto dal protagonista (che nella finzione è anche un noto saggista e divulgatore). Nell'episodio in appendice al n.400 del giugno 2023 viene chiarito ogni dubbio in merito, ma non si tratta propriamente di retcon: semplicemente è un dettaglio che non era mai stato raccontato prima.
Tuttavia anche un universo che non abbia altrettante pubblicazioni richiede molta attenzione. Quello che raccoglie molte mie storie, il cosiddetto "Kverse", viene pubblicato dal 1994 e comprende (se ben ricordo) venti romanzi, quattro "romanzi a racconti" e un numero imprecisato di altre storie brevi o lunghe. Tutti i conti devono tornare: in un caso mi sono reso conto che la protagonista di un racconto nato per essere a sé stante, ma poi tornata come comprimaria in vicende successive, aveva cambiato leggermente nome tra la prima e la seconda apparizione, quindi l'ho dovuto uniformare alla scelta finale. Perder la memoria / quando si fa serial...
Proprio ora sto scrivendo il decimo episodio di Dark Duet per la collana in ebook "Spy Game" di Delos Digital: è un serial che ha visto la luce nel 2019, benché concepito quasi trent'anni prima; si collega ad alcune storie pubblicate in Dossier Contreras (praticamente una raccolta di prequel di varie serie del Kverse), ed è ambientato a fine anni Quaranta; quindi oltre ai collegamenti interni e quelli con le mie altre serie di ambientazioni successive, devo tenere presente anche un'altra continuity: quella della Storia, specie quando i miei protagonisti fittizi interagiscono con persone realmente esistite... e qui gli errori non sono ammessi.

Continua...

(immagine: A. C. Cappi)




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford.