jueves, 24 de junio de 2021

Vita da pulp - La lingua batte dove il Dante duole


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Uno dei grossi problemi per chi scrive in italiano è... l'italiano. Una delle persone da cui ho imparato a scrivere e a lavorare, un giornalista di notevole cultura di nome Bartolo Pieggi, diceva che nella nostra lingua è sempre in agguato il conciossiacosaché. Ovvero l'uso di espressioni solenni e arcaiche - come appunto questa, un modo inutilmente complesso per dire poiché - impiegate per dare al linguaggio un tono illustre e per sfoggiare cultura, illudendosi che siano queste le regole del bello scrivere.
Il risultato è che da una parte c'è chi si trova in difficoltà con i congiuntivi o scopiazza espressioni sentite fin troppo spesso in televisione (o sui social network che ne hanno preso il posto), dall'altra c'è chi - avendo letto qualche libro o qualche brano di antologia scolastica - si perde in esercizi linguistici che molto spesso si risolvono in frasi incomprensibili o quantomeno artificiose. Tutt'intorno c'è chi mutua parole o costruzioni a caso dall'inglese pur senza conoscerlo, crea neologismi fastidiosi o annaspa quando deve descrivere qualcosa per cui esistono parole precise ma dimenticate.
In italiano c'è sempre stato uno scollamento tra la lingua scritta e la lingua parlata; oggi però quest'ultima si impoverisce così in fretta da rendere quasi impossibile usarla per scrivere. S'intende che narrazione e dialoghi devono essere coerenti con la storia, l'ambientazione e il contesto sociale. Sarebbe poco credibile un malavitoso di periferia che dice "Vi state burlando di me?", quanto lo sarebbe un nobiluomo del Settecento che si esprimesse come un ospite della Casa del Grande Fratello.

L'amica scrittrice Giada Trebeschi, autrice e interprete su vari social network de La rubrica delle parole desuete, propone quotidianamente con i suoi brevi sketch termini a volte legati a un determinato contesto storico, a volte relativi ad attività ormai tramontate, a volte invece di uso comune ma... non più abbastanza comune. Questi ultimi sono desueti loro malgrado (e nostro malgrado), perché il loro impiego corretto arricchirebbe la lingua e il nostro modo di comunicare.
C'è insomma desueto e desueto.
Non tutti sono in grado di fare la distinzione. Rimase celebre presso la redazione de Il Giallo Mondadori un manoscritto riproposto con insistenza (e bocciato regolarmente) in cui la trama faceva acqua da ogni parte, ma dominava un presunto bello stile che ai suoi tempi Dante Alighieri avrebbe trovato datato e di maniera. Tenete presente che:
-non si "nobilita" la letteratura di genere applicandole a forza modalità espressive fabbricate a tavolino sfogliando un vecchio dizionario e pompando il testo di similitudini ritorte, nella convinzione che così, sì, sarebbe un giallo (quindi letteratura di serie B) ma grazie alla sua finezza stilistica diventa subito un capolavoro della letteratura italiana, quindi si può perdonargli di essere un giallo.
-viceversa, non si diventa più realistici e noir se ci si esprime a tutti i costi in un linguaggio "da strada", nella convinzione che i personaggi siano "veri duri" se nei loro dialoghi (improbabili) sparano parolacce a sproposito.
-In effetti, per ogni testo e, nei dialoghi, per personaggi di tipologie diverse, occorre stabilire un adeguato registro linguistico; e, già che ci siete, i dialoghi devono essere credibili (può essere d'aiuto immaginare che siano all'interno di una conversazione tra voi e altre persone: parlereste davvero in quel modo?)

Il discorso vale sia per chi scrive, sia per chi traduce. La narrazione convenzionale di eventi contemporanei in terza persona, se non è inserita in contesti particolari o sperimentali che le impongano regole diverse, dev'essere equilibrata, non troppo elaborata ma nemmeno troppo povera di vocaboli. Al tempo stesso i dialoghi e le riflessioni in soggettiva devono essere fedeli ai personaggi.
Per fare un esempio, negli anni Duemila tradussi vari romanzi di Douglas Preston & Lincoln Child in cui ricorrevano il protagonista Aloysious Pendergast e i suoi comprimari. Tradurre il loro singolare agente dell'FBI era una delizia, come spiegai allo stesso Preston, che capiva a sufficienza l'italiano da cogliere certe sfumature: Pendergast è una persona di enorme cultura, quindi dispone di un lessico molto ricco e ha sempre il vocabolo adatto per ogni circostanza, sia quando parla, sia quando segue i propri flussi di pensiero; può persino concedersi qualche finezza linguistica che sarebbe di troppo in un altro personaggio. Laddove il suo amico e compagno di indagini Vincent Dagosta non ha lo stesso bagaglio culturale e si esprime in modo meno elaborato e più diretto, anche se non certo da illetterato. Quando entrava in scena l'ottocentesca Constance Greene, cresciuta tra i libri di una vecchia biblioteca, le riservavo un linguaggio volutamente datato, quello di una persona che non aveva familiarità con il modo di parlare moderno. In inglese le distinzioni erano meno evidenti, mentre in italiano personaggi così diversi dovevano parlare in modo differente l'uno dall'altro.

Le cose cambiano quando la narrazione è in prima persona, quindi tutta la storia viene raccontata dal punto di vista di un personaggio, il cui linguaggio - non solo nei dialoghi ma anche nella narrazione - deve coincidere con la sua stessa natura. Se il personaggio è un soggetto medio, il suo modo di esprimersi sarà nella media. Le cose cambiano se ha caratteristiche insolite o addirittura un linguaggio personale: mi viene in mente Alex, il protagonista di Un'arancia a orologeria (o Arancia meccanica, se pensiamo alla versione di Kubrick). L'edizione italiana del libro e del film sono un esempio di come i traduttori abbiano dovuto rendere nella nostra lingua lo slang ideato dallo scrittore Anthony Burgess.
Bisogna sempre tenere presente chi stia parlando. Quando, molti anni fa, facevo il revisore di traduzioni per Il Giallo Mondadori, trovai in un romanzo (ritradotto) di Agatha Christie termini che nessun personaggio di Agatha Christie avrebbe mai usato. Viceversa, in un romanzo di Ian Rankin, incontrai uno sbirro che in italiano parlava come un gentiluomo di altri tempi, mentre nel testo originale si esprimeva come... uno sbirro.
Per inseguire il realismo a ogni costo, la maggior parte dei personaggi di una storia di oggi dovrebbe ormai esprimersi in un italiano senza congiuntivi, perché non capita di sentirne molti in giro. Se devo far parlare un personaggio del genere... be', nelle sue battute di dialogo cerco il più possibile di formulare frasi che non richiedano il congiuntivo, in modo da evitare problemi, a meno che non voglia evidenziare il suo modo di parlare scorretto. Questo non evita, nella narrazione in terza persona, che congiuntivi e condizionali siano dove devono essere e come devono essere.

La situazione si complica ulteriormente se la vicenda è ambientata in un'altra epoca. Claudia Salvatori, scrittrice che ha ambientato molte sue opere in periodi del passato, osserva come nella narrativa "storica" contemporanea personaggi di tempi remoti "pensino, parlino e agiscano come se fossero appena usciti da un bar di provincia". Mi viene in mente un esempio. Tempo fa, in un romanzo storico ho trovato un dialogo tra personaggi, mi pare, del Seicento, in cui uno dei due diceva all'altro "Tieni un profilo basso"... Ora, è chiaro che non possiamo far parlare personaggi del passato esattamente come avrebbero parlato al loro tempo: anche se fossero stati "italiani", prima di una certa epoca non si sarebbero nemmeno potuti esprimere in italiano, bensì in latino, in dialetto o addirittura in lingue straniere.
Dobbiamo adottare un linguaggio convenzionale, che sia accettabile per un lettore contemporaneo, ma non sia troppo estraneo al tempo in cui si svolge la vicenda, il che esclude non solo espressioni entrate da poco nella nostra lingua, ma anche concetti che in quel periodo non esistevano. Non va dimenticato che in epoche diverse si ragionava in modo diverso. Persino una storia ambientata trent'anni fa si svolge in un mondo concettualmente e quindi linguisticamente diverso da quello in cui viviamo oggi. Immaginatevi quanto può essere differente una storia che si svolge all'epoca degli antichi egizi o degli antichi romani.
E l'errore è sempre dietro l'angolo, proprio come il proverbiale centurione nel film peplum il cui interprete si è scordato di togliere l'orologio, o la ripresa dei tetti della Roma papale ottocentesca in cui si notano le antenne televisive che brillano al sole. Rimpiango l'amico Paolo Brera, attentissimo a certi dettagli, che in una pagina del nostro romanzo a quattro mani mi corresse "bicchiere di vino" in "scodella di vino", perché in quel luogo e in quel contesto il vino si beveva in ciotole, non in bicchieri (e stiamo parlando solo di centocinquant'anni fa).
Il che comporta che, per scrivere una storia credibile ambientata nel passato, ci si debba documentare a tal punto da ragionare e quindi far parlare il più possibile i personaggi come se appartenessero a quel tempo. Ma, anche in questo caso, evitate costruzioni assurde, parole incomprensibili e termini di un italiano che, nella realtà, non è mai davvero esistito.

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker

miércoles, 23 de junio de 2021

25 giugno: Pinketts al MystFest 2021


MystFest 2021: Andrea G. Pinketts è presente in piazza I Maggio alle ore 21 di venerdì 25 giugno. Anche quest'anno "torna" a Cattolica lo scrittore che proprio qui esordì vincendo il Gran Giallo con il racconto Ah, sì? E io lo dico a Pinketts!, il giornalista investigativo qui insignito del premio "Una Remington per la strada", lo "sceriffo comunale" incaricato dal sindaco Micucci di indagare sulle infiltrazioni criminali nella zona, che portò a centosei arresti. E, naturalmente, l'autore di memorabili romanzi e raccolte di racconti, che vengono ora ripubblicati dall'Associazione Culturale Andrea G. Pinketts, in nuove edizioni corredate non solo di opportune prefazioni, ma anche di "contenuti speciali" scritti dall'autore stesso.
Pinketts non è "scomparso" il 20 dicembre 2018. Uno scrittore è presente fintanto che si possono leggere i suoi libri. 
Dopo Lazzaro, vieni fuori, ripubblicato nel 2021, esce per l'occasione Il vizio dell'agnello. Entrambi i volumi possono essere acquistati, oltre che al MystFest, direttamente presso l'Associazione Culturale Andrea G. Pinketts - inaugurata ufficialmente al MystFest 2019 - o su una libreria online di fiducia, seguendo questo link. Potete anche ordinarlo nella vostra libreria, se chi la gestisce sa il fatto suo.
Nel romanzo Il vizio dell'agnello, che fu pubblicato da Feltrinelli nel 1994 (e in Francia da Rivages), torna il detective suo malgrado Lazzaro Santandrea, che a Milano si spaccia per il Dottor Totem, specialista in tabù, coinvolto nella vicenda di un ex bambina buona convertitasi in assassina. Nei testi in appendice, Pinketts tratta di assassine celebri in Jackie la Squartatrice, spiega il suo rapporto con il maestro del noir milanese Giorgio Scerbanenco in Scerbanenco va alla guerra e racconta retroscena personali in Nato a teatro, un testo illuminante su un episodio del romanzo.
Il vizio dell'agnello viene presentato al MystFest dall'Associazione Culturale Andrea G. Pinketts, rappresentata dall'instancabile Elisabetta Friggi, già braccio destro dello scrittore per un decennio; da Rossella Marino, autrice presso Edizioni del Gattaccio della "metabiografia" di Pinketts intitolata Per qualche strana ragione io piacevo; da Andrea Carlo Cappi, che per venticinque anni ha condiviso con lui avventure culturali, editoriali e letterarie, già suo editor e ora curatore delle nuove edizioni dei suoi libri; e, in un video realizzato appositamente, da Mirella Marabese Pinketts, madre dell'autore e presidente dell'Associazione.
Nella serata sarà proiettato in prima visione il booktrailer de Il vizio dell'agnello,  
E a proposito di librai che sanno il fatto loro: quest'anno il Premio Pinketts, dopo lo scrittore Joe R. Lansdale e al cantante Morgan, viene assegnato a Rosario Esposito La Rossa, titolare della Libreria La Scugnizzeria di Scampia, detto anche lo "spacciatore di libri", che combatte con la cultura letteraria l'incultura della criminalità. Lo "sceriffo di Cattolica" è pronto a condividere la sua stella con lui.


Gli ebook gratuiti della serie Ah, sì? E io lo dico a Pinketts!

Volume 1






viernes, 18 de junio de 2021

Vita da pulp - La pelle pulp


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Premessa importante per evitare equivoci: il termine "pulp" nel titolo di questa serie di articoli parte dal significato originario della parola, non dal suo improprio uso successivo. Un secolo fa e per qualche decennio ebbero grande successo negli USA riviste da poco prezzo su carta economica, da cui il nome di pulp magazines (dove pulp sta per "pasta di legno") in cui si pubblicava narrativa popolare di ogni genere: dal noir al romance, dall'avventura al western al fantastico, qualsiasi genere... di solito con copertine allusive.
All'epoca "pulp" era un termine spregiativo e non tutto, certo, meritava di passare alla storia. Ma da quelle riviste uscì buona parte delle grandi firme americane di narrativa popolare del Novecento (comprese molte ora considerate "letterarie") e qualcuno - Hemingway, per esempio - ne trasse importanti lezioni di scrtttura. "Pulp" continuò a indicare la narrativa si intrattenimento, di qualità o meno, anche nell'era dei paperbacks, con particolare riferimento al noir, che diede molte ispirazioni per il cinema. Chi scriveva pulp fiction aveva enorme fantasia e spesso un'estesa produzione, frutto di grande lavoro ed esperienza.
Nel 1994 uscì Pulp Fiction di Tarantino, il cui stesso manifesto richiama le riviste pulp. In Italia da qualche anno era nata una interessante e variegata produzione nazionale tra giallo e noir, horror e splatter. Nel nostro paese allora l'etichetta "pulp" fu applicata mediaticamente a una parte di quella narrativa che dava "scandalo"... fabbricato ad arte per evitare che passasse inosservata. Autrici come Alda Teodorani, autori come Andrea G. Pinketts, per citare due tra i miei preferiti, furono definiti "pulp" anche se, partendo dalla letteratura di genere da loro ben conosciuta, facevano già qualcosa di personale e diverso; ma prima non se n'era accorto nessuno.
Si creò una confusione immensa che permane tuttora. Ci si dimenticò del significato precedente di pulp, si ignorarono - o si soffocarono - gli autori italiani che lavoravano nel solco della narrativa popolare del feuilleton e del pulp. Nel pezzo che segue, "pulp" è sinonimo di giallo, noir, narrativa di avventure o qualsiasi altro genere di narrativa popolare. "Loro" sono quelli che sfruttano quando fa comodo le etichette dei generi, ma si ritengono superiori: l'unica vera appropriazione culturale, che portò al suicidio del maggior autore di (vero) pulp in Italia, meno di due mesi dopo l'uscita di questo articolo.

La vita da pulp è - proprio come la letteratura pulp - un'interessante metafora della vita dell'essere umano. Nel momento in cui nasci, il tuo destino è già in buona parte segnato dal luogo e dalla famiglia in cui sei apparso rispettivamente sulla faccia della Terra e nel mondo dell'editoria. Se nasci con la pelle pulp, per molti - chiamiamoli "Loro" - sarai sempre pulp, per quante creme editoriali tu cerchi di usare.
Qualche volta Loro ti faranno entrare come spettatore nei salotti in cui tengono i loro incontri ad alto budget, con quelli che scrivono i libri veri, e tu potrai avvicinarti al loro ricco buffet (sì, anche tu, abituato a presentazioni conviviali su banchetti improvvisati tra i libri). Così loro potranno dire che hanno persino amici pulpMa Loro sanno che un pulp non è un vero scrittore. A volte per Loro può essere divertente averti intorno, questo sì, ma al momento opportuno i pulp devono tornare nel ghetto e starsene zitti al loro posto.
Poi capita che qualcuno di Loro vada oltre e decida che è bello essere pulp e adottare un po' di terminologia del ghetto. Canticchiano "Vorrei la pelle pulp". Allora Loro prendono qualcuna/o che scrive pulp - oppure lo conosce bene e ne trae ispirazione per scrivere cose personali - la/lo etichettano come pulp, si etichettano a loro volta come pulp e diventano un po' come i minstrels che si tingevano la faccia con il lucido da scarpe, ma a fine serata si ripulivano, ben lieti di tornare al loro colore naturale, il bianco.
Tuttavia, dopo essersi divertiti a mescolarsi con gli inferiori, creano nuove leggi per allontanare i quartieri pulp dal centro cittadino, perché non vogliono averti tra i piedi tutti i giorni.

Non sanno che un pulp può essere come loro. Un pulp può anche credere, sul serio, nei valori in cui Loro fingono di credere, dandosi di gomito mentre si scambiano prestigiosi premi letterari. Un pulp può persino essere migliore di Loro, anche se non lo dice in giro. Di certo Loro non lo dicono, perché si deve parlare solo di Loro e dei loro. Dei pulp non si dice una parola, se non di tanto in tanto, sottovoce e con un certo disprezzo.
I pulp vanno tenuti in questa condizione di inferiorità, in modo da essere sfruttati. Perché non hanno diritto agli stessi privilegi di Loro e devono lavorare di più per guadagnare di meno. Sono utili, perché c'è quell'altra razza che Loro considerano inferiore - i nerd, che per oscuri motivi trovano interessanti i pulp - e bisogna pur darle qualcosa in pasto. I pulp sono utili, perché possono svolgere lavori di vario genere nella macchina editoriale e hanno un innato rispetto nei confronti dei lettori. Dio non voglia, dunque, che si mettano in testa di avere gli stessi diritti di Loro.
Ma Loro non sanno bene cosa siano i pulp.
Non leggono certo quello che scrivono i pulp.
Quindi non sanno che i pulp non si vergognano di essere pulp. Non sanno che i pulp possono essere orgogliosi della loro pelle e della loro cultura. Non sanno che, mentre Loro banchettano nei salotti, i pulp mangiano in cucina, con il piatto accanto al computer su cui scrivono romanzi, racconti e traduzioni, su cui fanno editing e correzioni di bozze, su cui a volte scrivono non-fiction su commissione (ma con la stessa passione con cui scrivono tutto quanto) che furbi editori amici di Loro non pagheranno, sapendo che i pulp non possono mettersi contro una casta troppo potente, in un sistema giudiziario poco efficiente.
Ma i pulp mangiano e diventano forti. Lavorano molto e diventano ancora più forti. Forse non forti come Loro, ma i pulp non vogliono essere Loro. Vogliono restare pulp e lo resteranno. Vogliono far sentire la loro voce e la faranno sentire. E un giorno Loro si accorgeranno che i pulp, quelli veri, camminano sulle loro strade e non possono più essere fatti tacere.
Quel giorno, Loro avranno paura.

Continua...

Immagine: "Toni Black", fotografia di A. C. Cappi



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker