jueves, 14 de febrero de 2019

Quel "fuori legge" di Trevor Noah



Recensione di Andrea Carlo Cappi

Oggi Trevor Noah – trentacinque anni il 20 febbraio 2019 – dopo una carriera come stand-up comedian e conduttore televisivo in Sudafrica, lavora negli Stati Uniti come presentatore del programma tv di satira The Daily Show ed è considerato una delle trentacinque persone più potenti nei media di New York (secondo The Hollywood Reporter, 2017) e una delle cento più influenti nel mondo (stando a Time, 2018). Chi l'avrebbe detto che avrebbe fatto tanta strada un ragazzo di Johannesburg nato durante l'apartheid e cresciuto nei tempi difficili della transizione, visto e considerato che, per legge, non avrebbe nemmeno dovuto nascere? Come ciò sia stato possibile si capisce dal suo straordinario libro autobiografico, Nato fuori legge, successo per lettori e critici negli Stati Uniti, da poco pubblicato anche in Italia da Ponte alle Grazie, con la mia traduzione.
Il senso del titolo (nell'originale, Born a Crime) è chiarito nella prima pagina, che riporta fedelmente il testo di una legge promulgata nel 1927 in Sudafrica, secondo la quale i rapporti interrazziali erano punibili con cinque anni di carcere per l'uomo e quattro per la donna. La legge era ancora vigente nei primi anni Ottanta, quando la ventiquattrenne Patricia Nombuyiselo Noah ebbe una relazione con un quarantaseienne cittadino svizzero residente a Johannesburg. Trevor ne fu la conseguenza e fin dalla nascita i medici notarono che aveva la pelle troppo chiara. La madre se la cavò raccontando qualche bugia, ma il bambino era anomalo: come figlio di una donna nera, doveva per forza essere nero.
Per i bianchi – un quinto in rapporto alla popolazione nera, ma detentori del potere e della polizia – era nero; per la sua famiglia era pressoché bianco; ma la sua pelle era quella dei colored, discendenti delle unioni tra padri bianchi e madri nere anteriori al divieto. Gli incontri con il padre erano clandestini, ma al di fuori delle townships nere anche la madre non poteva essere vista con un bambino di un colore non compatibile. La vicenda narrata da Trevor non è dunque solo quella della propria infanzia e adolescenza, non è solo la storia di una coraggiosa e lungimirante madre sudafricana, al tempo stesso ossessivamente religiosa e mentalmente aperta. È anche la pungente esposizione dei paradossi di un sistema basato su regole assurde che valgono solo perché così è stato deciso, come in Comma 22 di Joseph Heller. Un libro che andrebbe letto con attenzione anche in Italia, di questi tempi.
Trevor racconta le sue disavventure infantili e giovanili, le imprese come dj e trafficante di cd piratati, il difficile rapporto della madre con il proprio nuovo compagno. Tutto questo con lo stile ironico che ha reso l'autore famoso in televisione, dando vita a un libro divertente, a tratti esilarante (ha vinto il James Thurber Prize for American Humor), senza risparmiare al lettore gli aspetti drammatici. Si prevede un imminente adattamento cinematografico prodotto e interpretato nel ruolo di Patricia dall'attrice kenyano-messicana Lupita Nyong'o, già premio Oscar per Dodici anni schiavo (ma i nerd tra noi la conoscono come l'attrice dietro il personaggio di Maz Kanata in Star Wars e come la splendida agente segreta Nakia in Black Panther).
Dal mio punto di vista personale: un traduttore di norma dovrebbe entrare nella mente dell'autore e dei suoi personaggi, il che non è così immediato quando si lavora su un'autobiografia e il narratore ha vissuto ciò che scrive e lo espone in modo irriverente. Ma in corso d'opera mi sono reso conto che il linguaggio in inglese di Trevor Noah era stranamente simile a quello di un mio personaggio ricorrente come scrittore, nella finzione figlio di una bianca e di un nero; presa coscienza di questo, mi sono trovato perfettamente a mio agio. Sarà che, a dispetto di quanto si vuole far credere, in realtà siamo tutti meticci.



miércoles, 13 de febrero de 2019

Sentirci, sempre



Il nostro blog non pubblica mai contributi di terzi, all'infuori delle interviste, ma questa è una doverosa eccezione: l'ospite è una scrittrice di cui si è già parlato in queste pagine qualche tempo fa e l'argomento è quello già affrontato nei nostri ricordi personali riguardanti l'amico Andrea G. Pinketts. Ma, in questa sorta di racconto-memoria, Cristina ci può mostrare un lato sconosciuto ai più dello scrittore ricordato dai giornali e pianto dai fan sulla pagina Facebook. Quello che solo chi lo conosceva dai tempi del liceo ha potuto vedere.

SENTIRCI, SEMPRE
di Cristina Cabelli Bonetti

Pinchetti. Presente.
Non è mai assente Andrea. Di solito arriva presto a scuola. Sulle scale, al mattino, c'è già l’odore del suo sigaro. Ma oggi non si sente nulla e lui non c’è. Ieri ha detto a tutti che qualcuno lo cerca per farlo fuori, se domani non mi vedete vuol dire che sono morto. E tutti gli hanno creduto. Siamo in due a sapere la verità. Vuole vedere la reazione, vuole vedere chi piange per la sua scomparsa. Piangono tutti. Poi a metà mattina arriva e si inventa una storia su come ha fatto a salvarsi la pelle.


Sono le quattro e mezza e fuori è buio. Stiamo uscendo dalla classe. Le nostre aule sono stanze di appartamenti. Per due anni al secondo piano, quello grande, adesso siamo sotto, con la Marylin che ci sorveglia. Andrea mi chiede se voglio sposarlo. Gli dico di sì, anche mia nonna gli ha detto di sì. Lo chiede a tutte per sentirsi rispondere di sì.


Mi chiamerà al telefono questa sera, dopo cena. Parleremo a lungo e mi racconterà le sue imprese. Dovrò insistere altrimenti non mi lascia andare via, parlerebbe per ore. Gli piace raccontare dei bar che frequenta, dei nemici che prende a pugni, di John Wayne e Dean Martin, di Pogo il dritto, dell’Alessandra Brasca che nessuno ha mai visto e delle compagne di classe che lui ha baciato.


Domani compito in classe di latino. La prof lo mette col banco vicino alla cattedra. E allora ci si organizza. Siamo in due. Io scrivo il compito, Veronique mette il foglio nella tasca dei jeans e va a chiedere alla prof una cosa qualunque. Andrea pesca il foglietto e il gioco è fatto.


La classe in quarta liceo fa schifo. Andrea non c'è più, hanno firmato per mandarlo via. Qualcuno ha detto che disturba e non riusciamo a fare lezione. Non è vero. La nostra classe è il fiore all'occhiello della scuola, è la classe di Andrea, la migliore, ma finisce con la terza B, perché senza di lui non è più la stessa cosa.

È morto mio padre, ti capisco non passa mai ma è giusto così, non può passare altrimenti non era importante. Siamo in Porta Romana davanti a piazza San Nazaro. Andiamo dalla Tecla come ogni giorno, così siamo sicuri di non perderci, MAI. Allora vengo a vedere quello che fai, al Portnoy, al bar in Corso Garibaldi, alla libreria del Giallo, a casa di Stefano. Dobbiamo sentirci, sempre, non perderci, MAI.


Questa sera non posso proprio, adesso ho un bambino piccolo, ma ci vediamo lo stesso, ogni giorno, sulla 61. L'aspettiamo insieme, davanti a casa di tua madre. Ti ricordi di quando ci siamo baciati in via Torino? Non me lo ricordo, ma faccio finta che sia vero, non cambia nulla e tu sei contento.

Ti brillano gli occhi perché Sergio e io ci siamo innamorati. Sei contento, per questo lo dici a tutti che siamo i tuoi compagni di scuola e ci siamo innamorati. Oh, loro sono miei compagni di scuola e adesso stanno insieme, si sono innamorati. Poi fai una risata, la tua risata, la risata della terza B.


Sentirci, sempre, questo è importante. È importante non perdersi, MAI. Ci vediamo giovedì al Balubà. Tutti i giovedì. Anche quando non viene più nessuno. Non bisogna perdersi, MAI.


Questa sera ti facciamo una sorpresa. Andrea aspettaci al Trottoir, arriviamo. Lascia stare che devi andare via, aspetta per favore. Hai fatto bene ad aspettare, hai visto chi ti abbiamo portato? Ti ritorna il sorriso da bambino, il bambino della terza B. Cos'è sta roba? Vai a farti vedere, me lo prometti vero?


Sei così magro ma sei un leone in gabbia. C'è troppa gente, parli di lavoro ma sei stanco. Basta Andrea, sei stanco, basta col lavoro, falli andare via. Non vedo l'ora che vadano tutti via. Adesso siamo soli, in silenzio, mentre mangi e ti scusi. Ma di cosa ti scusi? È finita, i riflettori sono spenti, puoi chiedere tutto quello che vuoi, ci sono io, c'è Sergio, puoi chiedere tutto quello che vuoi. D'accordo stiamo zitti, non una parola, seduti intorno al tavolo, in questo fottuto ospedale. Oggi ho fatto tutto il corridoio a piedi. Non ho più voglia di camminare, mi spingi tu la sedia fino alla stanza?

Ti stancherai troppo ma non puoi farne a meno. Noi ci siamo, stai tranquillo che ci siamo. Smettila di parlare del tempo, smettila di dire che non sarai più qui perché sarai da un'altra parte, speriamo fuori da qui, di nuovo sul pianeta Terra. Abbiamo capito, nessun altro ha capito.

Sei pallido Andrea, se vuoi Sergio ti porta via, lontano da tutti. Ti accompagniamo in reparto. Possiamo restare, se vuoi. L'hai sempre fatto quel gesto di portare la mano spalancata sul volto per pensare. Vuoi restare da solo, restare da solo a pensare. Tanto c'è il telefono per sentirci, sempre.


Ti addormenti, ci lasci col fiato sospeso. Poi ti svegli e vuoi leggere il giornale, parlare, telefonare, il telefono deve essere vicino per sentirci sempre, sentirci sempre. La rabbia non ti molla mai, la tenerezza non ti molla mai. Sergio ti fa ridere. Fissate gli angoli opposti della stanza, così vi portano in psichiatria. Che sollievo vedervi ridere, i vostri sguardi sono quelli della terza B. Restiamo soli. Mi siedo qui accanto. Sto zitta così chiudi gli occhi. Guardo il tuo respiro, aspetto la tua voce. Lo so che hai paura, anch'io ho paura. Non andare via Andrea, non dobbiamo perderci, MAI.


Portiamo a casa tua madre, ma ci vediamo presto. Tieni vicino il telefono. Ciao fratello, mi raccomando. Ciao tesoro. Ciao.

Adesso siamo qui in questa stanza con tutte le sedie vuote. Tutti ci hanno creduto, come quella volta a scuola. Siamo in due a sapere la verità. Volevi vedere la reazione, volevi vedere chi piange per la tua scomparsa. Piangono tutti. Perciò adesso arrivi e ti inventi una storia su come hai fatto a salvarti la pelle. Ti aspettiamo, dove vuoi tu, per non perderci, MAI.