jueves, 25 de marzo de 2021

Vita da Pulp - La Tecnica Westlake-Stark

Westlake e Cappi alla Fiera del Libro di Torino, 2004

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi


L'ultima volta ho esposto il metodo di Jeffery Deaver, che prevede un lavoro continuativo al proprio romanzo. L'unico aspetto cui non aderisco della tecnica di Jeff è la prestrutturazione, nel senso di elaborare in anticipo uno schema della trama a cui poi doversi attenere fedelmente. A me non piace sapere già da prima quali saranno e quando arriveranno i colpi di scena e le rivelazioni. Preferisco che ciò che dovrà essere una sorpresa per il lettore lo sia innanzitutto per me come autore.
Insomma, amo scrivere la storia scoprendola un po' alla volta, esattamente come farà il mio pubblico: è questo che mi fa percepire il lavoro della scrittura un po' meno "lavoro" e più "intrattenimento".
Per tale ragione fui ben lieto di scoprire che la pensava allo stesso modo uno dei miei autori di riferimento fin dall'adolescenza, del quale negli anni Duemila ho avuto la fortuna di diventare non solo traduttore ma anche editore e amico.

Donald E. Westlake (1933-2008), ho notato di recente, non è più molto ricordato. Qualcuno lo associa ancora ai suoi brillanti gialli umoristici (il più celebre fu Gli ineffabili cinque, portato al cinema con protagonista Robert Redford sotto il titolo La pietra che scotta), anche se la produzione con il suo nome non si limita a questo e comprende anche narrativa prossima al mainstream. Scrisse molto sotto vari pseudonimi, uno dei quali, Richard Stark, divenne famoso quanto il nome vero. Va detto che il sottogenere dominante nelle sue opere - con o senza umorismo - è il caper, ossia la storia criminale imperniata su preparazione, realizzazione e postumi di un "colpo", quello che ritengo uno dei filoni più raffinati e difficili da scrivere... e per questo poco frequentati da chi cerca di scrivere thriller e noir: è dannatamente difficile! (Dite la verità: si fa molto prima a scopiazzare commissari paciosi e serial killer stereotipati, vero?)
Per citare solo alcuni aspetti della sua straordinaria carriera, Westlake è stato candidato all'Oscar per la sua sceneggiatura di Rischiose abitudini, da un romanzo di Jim Thompson; gli fu commissionato un soggetto per un film di James Bond che non venne realizzato e che lui trasformò in un romanzo senza 007; tra le sue opere non seriali più recenti figurano la black comedy Two Much, che divenne un film di Fernando Trueba con Antonio Banderas e Melanie Griffith, e il pungente noir di satira socialeThe Ax-Cacciatore di teste, portato sullo schermo da Costa-Gavras; Donald girò un cameo in quel film passando sul set a Parigi il giorno prima che a Torino fosse scattata la nostra foto insieme.
Nondimeno, il suo personaggio più celebre, sotto la firma Westlake, è John Dortmunder, portato sullo schermo negli anni, oltre che da Robert Redford, da George C. Scott e Christophe Lambert. Ma Dortmunder è in realtà la versione comedy del suo protagonista più importante, i cui libri furono pubblicati sotto lo pseudonimo Richard Stark: il criminale professionista Parker, apparso per la prima volta sessant'anni fa nel romanzo Anonima carogne - divenuto al cinema Senza un attimo di tregua (con Lee Marvin) e Payback (con Mel Gibson) - poi protagonista di un lungo ciclo noir che avrebbe ispirato anche parecchi altri film, l'ultimo dei quali intitolato proprio Parker (con Jason Statham).
Il dualismo Westlake-Stark ispirò Stephen King per La metà oscura (e gli suggerì il "Richard" del suo pseudonimo Richard Bachman). Mario Gomboli, direttore e sceneggiatore di Diabolik, lo considera uno dei suoi autori di culto e ha notato i numerosi punti di contatto tra Parker e il personaggio delle sorelle Giussani, nati rispettivamente nel 1961 e nel 1962, entrambi così rivoluzionari all'epoca da essere ancora straordinariamente efficaci oggi. Per almeno un paio di generazioni di scrittori di genere, Donald è stato un punto di riferimento tanto per i suoi personaggi quanto per la costruzione delle sue storie.

La caratteristica di Westlake-Stark è di comporre trame ad alta precisione, che nulla hanno da invidiare a quelle di Jeffery Deaver, anche se in genere si svolgono nell'arco di 200-250 pagine, il formato standard dei pocket book degli anni Sessanta che Donald ha mantenuto in quasi tutta la sua produzione.
Si potrebbe pensare che Donald, come Jeff, preparasse uno schema dettagliato di ogni storia, prima di cominciare a scriverla. Non è affatto così. La tecnica Westlake-Stark era basata in gran parte sull'improvvisazione. Le vicende dei suoi personaggi si complicavano pagina dopo pagina, costringendoli a trovare di volta in volta vie d'uscita sul momento. Allo stesso modo lo scrittore doveva escogitare un modo geniale per risolvere la situazione. Tanto lui quanto loro ci riuscivano sempre. E alla fine della storia tutto tornava alla perfezione, con un meccanismo perfetto.
Donald lavorava in sostanza come un autore pulp, ma senza l'approssimazione che talvolta si nota anche nelle migliori firme del genere (pensiamo al celebre mistero dell'autista degli Sternwood ne Il grande sonno di Raymond Chandler: nemmeno l'autore sapeva chi avesse ucciso quel personaggio.)

So di altri che preferiscono non sapere tutto della storia che si accingono a scrivere. Douglas Preston (autore in proprio e in coppia con Lincoln Child) conosce il punto di partenza e quello d'arrivo delle sue storie, ma definisce tutto ciò che sta in mezzo una terra incognita, che scoprirà solo durante il tragitto.
Andrea G. Pinketts - di cui amo sempre parlare al presente - usa una metafora analoga in versione padana: "Guido nella nebbia"; ovvero, anche lui sa dove vuole arrivare, ma nel corso della vicenda ci saranno soste, deviazioni e strade sbagliate del tutto impreviste. A mia volta, anch'io amo perdermi nelle nebbie della terra incognita.
Nel 2001, quando convinsi la casa editrice Sonzogno a celebrare l'anno dopo il ventennale di Martin Mystère con un romanzo dello stesso formato dei bestseller americani che l'editore pubblicava abitualmente, dovetti presentare uno schema preciso della trama. Ma non volevo togliermi tutte le sorprese prima di scrivere il libro ed evitai di specificare certi dettagli. A un certo punto della storia, per esempio, Martin si trova in una classica situazione pulp, intrappolato in una grotta che sta per essere invasa dalla lava di un vulcano: nella scaletta scrissi: "A questo punto l'autore e il protagonista troveranno un modo brillante per cavarsela". (Per la cronaca, quando arrivai a quel capitolo, ne scrissi due versioni diverse, ma tenni solo quella che trovai più efficace e appassionante).
Quanto al finale... avendolo dovuto decidere in anticipo, non mi dava la solita emozione, perché per me non era affatto una sorpresa. Quindi, anziché chiudere la storia nel punto indicato nel layout... con un altro classico espediente pulp feci sequestrare a sorpresa il protagonista, prolungando il romanzo di un altro lungo episodio che mi permetteva di chiudere in modo spettacolare tutti gli aspetti della trama rimasti in sospeso.

Il romanzo - apparentemente prestrutturato, ma scritto in realtà "alla Westlake" - ebbe un ottimo lancio e recensioni lusighiere, e fu accompagnato da un tour promozionale (erano decisamente altri tempi) in cui ero in coppia con Douglas Preston: lui presentava il mio libro, io presentavo un romanzo di Preston & Child che avevo tradotto per lo stesso editore. Mi guadagnai quasi subito una seconda edizione rilegata, un'altra tascabile l'anno successivo che vidi esposta alla Fnac con l'etichetta "Colpo di fulmine del libraio", e anni dopo la riproposta in una sorta di omnibus, anche se oggi purtroppo il romanzo non è più in commercio.
Questo dimostra però che la Tecnica Westlake-Stark funziona, decisamente funziona, anche se le circostanze che trasformano un romanzo in un bestseller erano difficilmente riproducibili allora e oggi lo sono ancora di più. Nel frattempo però avevo attivato una modalità molto efficace di autocritica alla quale mi affido tuttora, nella speranza di non deludere mai il mio pubblico. E di questo aspetto parleremo prossimamente. Ma non prima di avere affrontato l'importante questione della Regola Cussler.

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

sábado, 20 de marzo de 2021

Il punto di vista del misantropo


Nel marzo 2020 la gente cominciò a notare qualcosa di strano. Essendo del tutto priva di memoria storica, ignorava che giusto un secolo prima era successa la stessa cosa: una pandemia globale chiamata Spagnola (dal nome del paese in cui il virus fu identificato per la prima volta, anche se era già diffuso altrove) che totalizzò sul pianeta un numero imprecisato di morti - tra i 17 e i 100 milioni - su 500 milioni di contagiati. Non c'era nemmeno il mondo globalizzato di oggi, eppure la Spagnola era arrivata dappertutto. No, non era un complotto, non c'era un virus sfuggito a un laboratorio. All'epoca si lavorava perlopiù sulle armi chimiche, non c'era il 5G e la medicina era indietro, appunto, di un secolo.
Per dare un'idea, ecco qualche informazione che di solito non si studia a scuola, perché i programmi di Storia arrivano se va bene al XIX secolo. La Prima guerra mondiale causò circa 25 milioni di morti (escludendo dalla cifra la prima ondata della pandemia); la Seconda guerra mondiale arrivò a 70-85 milioni di morti (includendo i vari genocidi). Una pandemia può provocare un numero di vittime pari a una guerra mondiale.
Con il Covid-19, le misure approssimative, tardive e improvvisate, ma in qualche modo efficaci, sono riuscite a contenere il numero di morti: al marzo 2021 "solo" 2,7 milioni su circa 780 milioni di contagiati. Cifra che non considera i sopravvissuti (chi ha rischiato la vita o chi tuttora soffre della sindrome nota come Long Covid, che oltre a interminabili sofferenze fisiche comporta anche seri problemi alla memoria, con grandi difficoltà nella vita e sul lavoro) né le famiglie che non hanno più visto i loro cari, né chi ha perso o sta perdendo i mezzi di sostentamento.
Forse non si tratta di "una normale influenza"; sacrifici e cautele servono a limitare i danni e a ripristinare al più presto una situazione più vivibile. D'altra parte non dimenticate quello che hanno passato i vostri padri, nonni o bisnonni tra il 1940 e il 1945, quando per dare ascolto a un influencer che parlava alle folle esultanti da un balcone e via radio, l'Italia ebbe circa mezzo milione di morti (non se se nel conteggio siano inclusi i deportati nei campi di sterminio, vittime delle leggi razziali) e si ridusse a un cumulo di macerie.
Nel marzo 2020, tra le varie iniziative per mantenere viva la cultura in tempo di lockdown, ci fu anche quella del Caffè letterario Busto Arsizio, cui partecipai con un breve scritto che parafrasava il titolo di un racconto di Andrea G. Pinketts e che vi ripropongo qui.

IL PUNTO DI VISTA DEL MISANTROPO
di Andrea Carlo Cappi

Il misantropo non esce nelle notti di luna piena. Anzi, se può, non esce mai la sera. Se gli dicono di restare a casa anche di giorno, non si sente affatto a disagio. Si sente a casa, appunto.
Le sue quattro mura sono anche il suo ufficio, da vent’anni. Ma prima che lo diventassero, ha letto e visto abbastanza storie di fantascienza da saper affrontare il virus Andromeda, il T-virus e il Lato Oscuro della Forza. Si rammarica solo che gli alieni non abbiano scelto proprio questo momento per invadere la Terra, perché – come insegna H. G. Wells – non durerebbero due settimane.
Per tutti gli altri, invece, l’alieno è lui. Viene guardato con sospetto perché non si adegua alle consuetudini. Oltre che misantropo – Oh, Lord – è pure misunderstood. Non è classificabile, quindi rientra nella categoria dell’ignoto. Gli altri umani hanno paura dell’ignoto, quindi sperano che si estingua. Perlomeno quando non sono preoccupati per la propria estinzione. Ma lui è abituato a sopravvivere.
Il misantropo è resiliente.
Sta per i fatti suoi. Non ulula sui social network. Quindi, a suo modo, è in perfetta armonia con l’universo. Non ama particolarmente gli animali, a parte The Animals. Ma non abbaia e non morde. È civile, solidale ed ecocompatibile. Gira a piedi e non inquina; fuma solo sigari, totalmente biodegradabili; quando esce di casa – giusto il tempo di andare in edicola, al tabaccaio o al supermercato, anche in tempi non sospetti – mantiene una distanza di due metri dagli altri, perché l’aroma del toscano non infastidisca i passanti. Se deve prendere il tram, dove non si può fumare, resiste alla tentazione di uccidere il vegliardo che nella carrozza vuota si piazza a cinquanta centimetri da lui per tossirgli addosso.
Il misantropo è resistente.
Crede nella riproducibilità dell’opera d’arte, ma non si ritiene tale, pertanto non si riproduce. Ora però si rende conto di dover preservare se stesso per salvaguardare la civiltà, nel caso un giorno interessasse ancora a qualcuno. Forse non molto, da come andavano le cose anche prima. Intanto lavora e fuma sul terrazzino, benché non sia ancora primavera: a qualcosa serve il riscaldamento globale. E, se anche gli altri restano a casa, l’aria di Milano è un po’ più respirabile.
Il misantropo non è ottimista. È un pessimista preventivo. Aspetta e spera che un giorno il mondo capisca di avere bisogno di lui. D’accordo, forse vive di speranze. Ma nel frattempo vive.

13 marzo 2020

Immagine: autoscatto di A. C. Cappi

viernes, 19 de marzo de 2021

Vita da pulp - Il Metodo Deaver

J. Deaver e A.C.Cappi in una foto di Seba Pezzani

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi


Vi ho parlato la volta scorsa del Modello Patterson, ovvero "rimboccarsi le maniche". Oggi vi parlo del Metodo Deaver, un particolare sistema di organizzazione del lavoro di scrittura. Jeffery Deaver è uno degli autori di thriller più letti al mondo. Vale anche per lui il concetto che, se uno scrittore in lingua inglese riesce ad avere successo sul mercato americano, il resto è tutto in discesa. "Jeff" però il successo se lo è conquistato e ha saputo mantenerlo. Non è da tutti.

Ve lo dimostro C'era una volta un autore (di cui ho parlato anche nell'articolo Chomplotto!) che vendeva sul vasto mercato americano e globale quanto io vendo, persino oggi, sul ben più modesto mercato italiano. Il suo agente proponeva i suoi thriller in giro per il mondo e tutti gli ridevano in faccia.
Poi un'enorme, spaventosa - e persino sospetta - campagna pubblicitaria ha trasformato un suo libro non eccezionale, scopiazzato a destra e a manca, in un megabestseller venduto a un pubblico enorme. Un pubblico che non era né quello solito dei thriller, né quello della particolare nicchia in cui si inseriva, per la quale il suo romanzo era solo un déjà vu.
Il trucco è efficace: se si riesce a far leggere un prodotto imitativo a chi non ha mai letto gli originali, questi lo scambia per una novità assoluta e sorprendente, e crede che l'autore sia un genio.
Gli agenti letterari dicevano agli editori "Questo libro è un bestseller" (prima ancora che l'autore finisse di scriverlo) e chiedevano una cifra da capogiro come anticipo. Sorretto dalla campagna promozionale globale e dal fatto che gli editori di tutto il mondo dovevano venderlo a tutti i costi, per rientrare della somma spropositata pagata per l'acquisto, il libro diventò un bestseller. A quel punto i romanzi precedenti dell'autore, fino a prima snobbati, furono rilanciati e venduti ovunque. Poi il fenomeno si è esaurito e i suoi (pochi) libri sono tornati a vendite modeste. L'ho intravisto mesi fa online mentre reclamizzava un suo corso di scrittura ma, francamente, secondo me, non ha nulla da insegnare.
Da Jeffery Deaver, invece, c'è moltissimo da imparare.

Jeff è molto rigoroso. Stabilisce quale sarà il tema del suo prossimo romanzo e comincia a documentarsi. Studia molto di più che se dovesse preparare il più complesso degli esami universitari. Diventa un autentico esperto su quell'argomento. Su tale base elabora una traccia dettagliata del romanzo, in cui ogni indizio, ogni colpo di scena, ogni mistero destinato a creare suspense viene progettato per costruire una macchina perfetta.
Solo a questo punto Deaver si mette all'opera. Ogni giorno, come se andasse in fabbrica, scrive i capitoli che si è prefissato.
Non esiste il timore della pagina bianca, sa già cosa deve fare.
Non c'è spazio per l'indolenza: entro sera deve essere arrivato al punto stabilito.
Non ci sono alibi del tipo: "Oh, oggi non sono ispirato..." Deve lavorare e lavora.
E, mentre scrive, Jeff deve tuffarsi nei lati più oscuri dell'animo umano, anche quelli in cui chiunque di noi avrebbe paura e guardare.
Affronta tutto come Michelangelo affrontava il lavoro nella Cappella Sistina: ci sarà senz'altro qualche noiosa fase tecnica, ma è essenziale per completare l'opera.
Quando ha finito, il romanzo è pronto ed è un bestseller fatto e finito.
Ci sono voluti ingegno, talento e creatività. Ma da soli non bastano, occorrono anche impegno, dedizione, tempo e lavoro.

Questo per dire che il successo di un singolo romanzo, anche mediocre e non originale, può essere dovuto a una costosa campagna promozionale, a un passaparola artificiale e all'imposizione forzata sul mercato, perché un volume di cui si stampa un milione di copie che vanno a riempire a forza le librerie ha più probabilità di vendita di un altro con una tiratura normale, i cui meccanismi di distribuzione sono quelli che ho descritto in altre occasioni in questa rubrica.
Ma un successo continuativo, la fidelizzazione di lettrici e lettori dal palato esigente, si ottengono solo con metodo e impegno, oltre che con le capacità di inventare trame e l'abilità nello scriverle.
Le autrici e gli autori che subiscono la spinta incessante a generare storie hanno bisogno di lettrici e lettori fedeli. Quindi si devono imporre rigore, disciplina e, come spiegherò in un'altra occasione, autocritica.
C'è solo un aspetto del Metodo Deaver in cui non mi identifico: personalmente preferisco la Tecnica Westlake-Stark, che trovo altrettanto efficace, anche se non meno impegnativa. Ma di questo parliamo la prossima volta.

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.


miércoles, 17 de marzo de 2021

Chomplotto!

Elucubrazioni di Andrea Carlo Cappi

Leggi anche gli articoli di Kverse - Il mondo thriller di Andrea Carlo Cappi

Terzo e ultimo (spero) articolo su conspiracy theories e fake news dopo Qomplotto!Komplotto! Entriamo subito nel vivo con due notizie-shock!
-Intollerabile. Non si può andare avanti così. Vi rendete conto? Non c'è neanche una donna tra i candidati all'Oscar come miglior attore!
-Il vaccino è così pericoloso che il mese scorso la signora M. è stata ricoverata per una trombosi e non è nemmeno ancora in lista per farlo!
E qui mi viene in mente quel brillante finto saggio scientifico di Isaac Asimov sulla sostanza che si scioglie ancora prima di essere messa in acqua. Beninteso, si trattava di un racconto di fantascienza.
Ma ci sono stati articoli falsamente scientifici - presentati però come autentici - contenenti teorie che si sono poi ampiamente diffuse: quando queste sono state smentite scientificamente, i loro sostenitori sono giunti alla conclusione che fosse in atto un complotto dei Poteri Forti per metterle sotto silenzio. D'altra parte, comprendere una dimostrazione scientifica richiede sforzo e competenza, mentre accettare una superstizione è molto più immediato. Così la civiltà si sbriciola, come recita il poster di Godzilla qui sopra. 

Nell'articolo precedente ragionavo sui motivi per cui si tende a credere ai complotti e sulla difficoltà di distinguere tra ipotesi che non vanno trascurate e altre che non stanno né in cielo né in terra: è davvero un labirinto impenetrabile.
Anni fa mi sono occupato di Marilyn Monroe e della sua morte nel 1962, con la ferma decisione di smentire le teorie di complotto. Tra le varie ricostruzioni, ne è emersa una molto plausibile di overdose accidentale. Dopodiché però nelle mie ricerche mi sono imbattuto a sorpresa nel nome di E. Howard Hunt, un agente della CIA che compare in parecchie vicende sospette di quegli anni, poi passato al servizio di Nixon e finito in carcere per il suo coinvolgimento nello scandalo Watergate. A questo punto la spiegazione "accidentale" rimane valida, ma il dubbio che ci sia sotto qualcosa mi è rimasto.
Hunt ha sempre smentito il suo coinvolgimento nell'assassinio di John Fitzgerald Kennedy nel 1963 (sì, il suo nome spunta anche in quell'occasione). La ben nota versione ufficiale è che il colpevole sia Lee Harvey Oswald, il "tiratore solitario" (lone gunman, da cui il nome di battaglia dei complottisti che aiutano l'agente Fox Mulder in X-Files). Intendiamoci: potrebbe essere davvero stato Oswald, da solo e senza trame oscure. Ma, poco dopo l'arresto, questi è stato messo a tacere a colpi di pistola in una centrale di polizia da tale Jack Ruby (individuo, pare, prossimo alla malavita) colto da un improvviso slancio di patriottismo: un po' sospetto lo è.
Il film JFK racconta l'indagine sul caso Kennedy del giudice Garrison e il processo a un collaboratore della CIA di nome Clay Shaw, poi assolto per non avere commesso il fatto. Per la legge, innocente, dunque. Peccato che il suo nome spunti anche in un'altra vicenda, la Strategia della Tensione. E ci troviamo daccapo: siamo di fronte a un onesto cittadino perseguitato da un magistrato ossessivo o a un artefice di trame nere che arrivano a intrecciarsi persino con la Loggia P2?

Quando qualcuno muore in circostanze anomale, chi cerca di dimostrare - specie se con qualche forzatura - che non ci sia stato alcun complotto non fa che gettare benzina sul fuoco. In particolare quando intorno a una morte sospetta e... tempestiva ruotano parecchi interessi. Anni fa ho scritto un romanzo intitolato Ladykill (che vi consiglio di acquistare, se vi interessa, nell'edizione Oakmond in uscita il 4 luglio 2021), basato sulla morte di Lady Diana: la mia intenzione non era di fare complottismo gratuito, ma di combattere l'anticomplottismo a priori, non meno dannoso.
Il che non vuol dire che il complottismo abbia sempre senso, specie quando sfocia nel negazionismo a ogni costo. Dal momento che nel 1945 Alfred Hitchcock collaborò come consulente a un agghiacciante documentario sui campi di concentramento nazisti, c'è chi ha sostenuto che i filmati (dal vero) fossero stati falsificati dal regista britannico mediante effetti speciali.
Nel 1976 la stessa teoria è stata applicata alle immagini degli allunaggi che, anziché riprese on location, sarebbero state realizzate in studio da Arthur C. Clarke e Stanley Kubrick (reduci dal successo di 2001: odissea nello spazio) e dalla Walt Disney Production. In realtà l'idea deriva forse da una scena del film Agente 007 - Una cascata di diamanti (1971) in cui James Bond si aggira in una sala di addestramento per astronauti nel Nevada, e a sua volta ha ispirato il film Capricorn One (1978) in cui a essere simulata in studio è una spedizione su Marte.
Di recente ho scoperto su Internet un'improbabile teoria di complotto: il portiere notturno dell'edificio Dakota di New York che fu testimone dell'assassinio di John Lennon nel 1980 era un esule cubano di nome José Sanjenis Perdomo, cui viene attribuito un passato nella polizia di Batista e nella CIA. Dato che Lennon era stato a lungo sorvegliato dall'FBI (ma non dalla CIA) ecco a voi la cospirazione: l'assassino non sarebbe Mark David Chapman - con la calibro 38 da lui acquistata (legalmente) in un negozio e i proiettili dum-dum procuratigli (illegalmente) dall'amico poliziotto Dana Reeves - bensì... il portiere-killer! E Yoko Ono, che era presente, non avrebbe visto nulla?
A volte la spiegazione del "tiratore solitario" è la più plausibile. Per questo trovo molto più convincente la teoria sul Mostro di Firenze come unico serial killer autonomo, esposta anni fa dagli scrittori-giornalisti Mario Spezi e Douglas Preston, rispetto a quella complicatissima della setta satanica, oggetto delle ultime indagini... che portarono addirittura all'arresto di Spezi e alla cacciata dall'Italia di Preston, proprio alla vigilia dell'uscita del loro libro-inchiesta sul caso in questione.

Si può costruire una teoria di complotto su qualsiasi cosa, a patto di alterare lievemente la realtà. Io lo faccio di continuo, nei miei romanzi di spionaggio e in quelli con protagonista Martin Mystère. Con la differenza che nei primi spesso la realtà su cui mi baso è già piuttosto deviata di per sé. Ma si tratta di romanzi: è dichiarato in modo esplicito che si tratta di fiction.
Nel 1982 il trio di autori Baigent, Leigh e Lincoln pubblicò - proclamandolo invece non-fiction - un libro tanto appassionante quanto fantasioso, intitolato Il Santo Graal, in cui si descriveva un complotto della Chiesa per nascondere segreti inconfessabili. Il sedicente saggio - costruito su un cumulo di fandonie - ebbe peraltro il merito di ispirare a Umberto Eco lo splendido romanzo Il pendolo di Foucault (1988), in cui un complotto immaginario ideato dai protagonisti viene pericolosamente scambiato per vero. Nel 2003 l'opera di Baigent e soci fu clonata in un mediocre ma reclamizzatissimo thriller di un autore americano; molti dei suoi lettori si convinsero non solo che fosse tutta farina del suo sacco, ma che la vicenda narrata si basasse su fatti reali. Quindi l'unico vero complotto, riuscito, è stata la promozione del suo libro come bestseller globale.
Per restare in tema di religione, nell'aprile 2005 notai che il giorno dei funerali di papa Giovanni Paolo II a Roma si sarebbero riuniti circa duecento capi di stato, circostanze ideali per un attentato potenzialmente disastroso. Ci scrissi un racconto che sarebbe uscito nel marzo 2006 (potrete ritrovarlo in un volume della serie Nightshade in uscita da Oakmond nel 2022), ma dopo solo qualche settimana sentii una trama identica... come notizia alla radio, anche se non venne mai più ripetuta. Perché era una bufala o perché era vera e pertanto avrebbe potuto seminare il panico?
Ormai è difficile distinguere tra realtà e apparenza, quando si leggono titoli roboanti e apocalittici. La paura è uno strumento del marketing dell'informazione e non c'è bisogno che a crearla siano un Grande Vecchio o gli Uomini in Nero o i Nove Ignoti de I Tiranni delle Ombre, un bel romanzo d'avventure e complotti di Clive Cussler e Boyd Morrison che ho tradotto qualche mese fa, appena uscito in Italia. Ma in fondo anche la paura - quando è commisurata alla minaccia e non diventa panico irrazionale - serve a stimolare la cautela e a evitare inutili danni.





lunes, 15 de marzo de 2021

Komplotto!

 

"The War-Makers", illustrazione di H. Fisk (1936)

Considerazioni di Andrea Carlo Cappi

Leggi anche gli articoli di Kverse - Il mondo thriller di A. C. Cappi

Salve a tutti: state per assistere alla creazione di un'ipotesi di complotto mediante fake news. Non tutto quello che state per leggere è falso, ma sarà falsa la conclusione.
Attenzione! Non ve lo vogliono dire! Una persona è morta dopo avere visto il Festival di Sanremo! Il legame tra il Festival e gli eventi luttuosi che hanno colpito il nostro paese è evidente: il Covid è arrivato subito dopo l'edizione 2020. Dopo l'edizione 2021 si è verificata la terza ondata. I media tacciono, i Poteri Forti ve lo tengono nascosto, ma anche guardare un video del Festival su YouTube può essere pericoloso! Indignati e fai girare!

A questo punto, se volete ricamare sull'argomento, potete trovare ulteriori conferme dell'esistenza di un complotto, interpretando opportunamente i testi delle canzoni del 2020 e del 2021: troverete subito tracce del Grande Piano per controllare il mondo.
Che le informazioni che vi ho dato siano veritiere è innegabile: quando un evento riguarda milioni di persone, non ho bisogno di controllare chi sia morto e per quale motivo (Covid, altre malattie, cause accidentali), perché statisticamente so già che tra le persone decedute nella decina di giorni successivi al Festival qualcuno ne ha guardato almeno qualche minuto in televisione.
La presenza del Covid in Italia è stata riconosciuta nel 2020 dopo che si era tenuto il Festival (anche se in realtà è probabile che il coronavirus fosse arrivato in autunno e che abbia fatto vittime mai conteggiate già tra dicembre e gennaio, tra cui un mio amico, morto per cause all'epoca inspiegabili ma con i sintomi che oggi sono associati al "long Covid"). E casualmente la terza ondata è stata definita tale qualche giorno dopo l'edizione 2021 (ma, dato l'intervallo tra contagio e sintomi, la terza ondata è cominciata prima).
La verità è che non c'è nessuna relazione di causa-effetto. Però se si aggiungono un paio di frasi altisonanti (i media tacciono, i Poteri Forti ve lo tengono nascosto) ecco che si "spiega" perché nessuno parli di un'ipotesi di complotto che in realtà ho appena inventato. Mi scusino organizzatori, personale e partecipanti al Festival, così come il Comune di Sanremo.

Nel 2015 è uscito un libro dello psicologo e divulgatore scientifico Rob Brortherton, Suspicious Minds (il titolo proviene da una canzone scritta da Mark James del 1968, portata al successo da Elvis Presley l'anno dopo). Il sottotitolo è "Perché crediamo alle teorie di complotto" ed è diventato rapidamente la bibbia dello studio del complottismo.
Per quale motivo, riassumendo molto sbrigativamente il concetto del libro, siamo propensi a credere a ipotesi di trame oscure dietro certi eventi? A volte perché la spiegazione complottista coincide con i nostri pregiudizi (o con pregiudizi che ci sono stati trasmessi mediante fake news). A volte perché la casualità di una sequenza di eventi non ci pare una spiegazione soddisfacente e "logica", quindi abbiamo bisogno di qualcosa di apparentemente più solido. Il complotto implica un nemico potente che agisce nell'ombra, al quale possiamo attribuire i mali del mondo e, soprattutto, quelli che ci riguardano direttamente.
Il bello è che, qualsiasi teoria venga inventata, si troveranno sempre prove apparenti della sua veridicità. Un esempio riportato nel libro riguarda un ricercatore che proponeva come gioco la ricerca di prove di un Grande Complotto ordito dai vampiri o dagli extraterrestri per dominare il mondo. Bastava analizzare la storia recente per trovare conferme inequivocabili.
Dopodiché grazie a internet possiamo contribuire alla diffusione della teoria di complotto, perché diventa la "nostra" teoria, esattamente come facciamo il tifo per la nostra squadra di calcio. I meccanismi non sono dissimili: perché la tua squadra di calcio ha perso una partita? Perché l'ha semplicemente persa? No, perché l'arbitro fa parte di un malefico complotto per far vincere il campionato a qualcun altro.
Mentre fino a qualche tempo fa le questioni si risolvevano in chiacchiere da bar e nei programmi tv specializzati, negli ultimi anni la discussione si è estesa ai social network e anche ad argomenti che non riguardano il calcio. Ora che i bar sono chiusi e la tv si dedica prevalentemente a disinformazione sensazionalistica sul Covid, tutto si svolge in rete.

Disinformazione sensazionalistica. Questo è un dato di fatto. Nel 2020 un sito specializzato in meteorologia, di quelli di cui vi appaiono titoli e immagini sui telefonini, alternava gli annunci di ondate di Covid a quelli sull'asteroide (in realtà più di uno) che stava per colpire la Terra: si direbbe che mai come nel 2020 tanti asteroidi abbiano sfiorato il nostro pianeta (ne ho messo anch'io uno in un'animazione del mio video su La guerra dei mondi). L'obiettivo è chiaro: l'utente dice "Aaaah, moriremo tuttiiiii!" e fa click sull'articolo: è quello che si definisce "acchiappaclick". Strano che i Poteri Forti non ne abbiano approfittato per rinchiuderci tutti in rifugi sotterranei preparati appositamente, per poi buttare via la chiave e dominare indisturbati sul pianeta.
Non è detto però che l'obiettivo sia solo acchiappare click. Può anche essere acchiappare voti. Basta proporsi come i difensori della Patria da un "nemico" (gli immigrati, l'Europa, Big Pharma, il 5G, i Rettiliani...), ingigantire o fabbricare le notizie che "attestano" la minaccia e raccogliere il sostegno elettorale della folla indignata. Nell'articolo intitolato Qomplotto! ho fatto l'esempio di come una situazione analoga si sia verificata negli Stati Uniti in questi ultimi anni.
Del resto uno dei più grandi successi nella storia della disinformazione di massa è I protocolli dei Savi di Sion, un falso clamoroso utilizzato per giustificare i pogrom antisemiti nella Russia zarista e l'Olocausto nella Germania nazista. Stiamo parlando di milioni di morti. Immaginate di prendere frasi da monologhi di Blofeld, Darth Vader e Thanos, poi ficcarle nel finto verbale di una riunione mai avvenuta di un gruppo di persone che, dite voi, vogliono dominare il mondo. E cosa c'è di più efficace, per fare paura, del "nemico tra noi", che avendo due occhi, due orecchie, eccetera eccetera è perfettamente in grado di mimetizzarsi per distruggere la società dall'interno?

Uno degli aspetti che tuttavia non vengono recepiti troppo spesso del libro di Brotherton è che a volte i complotti esistono. L'autore dice testualmente: "Trascurare qualsiasi ipotesi di complotto senza pensarci non è meno sbagliato dell'accettarla in modo acritico". Questa è la frase che ho posto in apertura del mio romanzo Sickrose-Sicaria (disponibile in questo periodo da Segretissimo Mondadori in volume in edicola, oltre che in ebook... sì, sto tirando l'acqua al mio mulino). 
Rammento una trasmissione televisiva del 1997 in cui un giornalista britannico, con un sorrisetto di compatimento, si burlava degli italiani che credono facilmente ai complotti. Fossi stato presente, gli avrei fatto notare che ne abbiamo ben donde, in quanto vittime di uno dei più clamorosi complotti del Novecento: la Strategia della Tensione, sul quale avevo scritto un documentato articolo l'anno prima.
Per cui, quando qualcuno cerca a tutti i costi di propinare al pubblico comode soluzioni prefabbricate a qualcosa che non torna, ho gli stessi dubbi di quando qualcun altro si mette a urlare al complotto. In un altro mio romanzo, Nightshade-Babilonia Connection (ora riedito in volume e ebook da Oakmond Publishing... sì, sto sempre portando l'acqua al mio mulino) rievoco le imbarazzanti fake news che giustificarono la Seconda Guerra del Golfo e, ribadisco: fake news sulla base delle quali è stata combattuta una guerra che ha avuto come conseguenza la nascita dell'ISIS e tutte le relative stragi terroristiche del decennio successivo.

Aggiungo un ulteriore dettaglio. Per me, autore di romanzi di spionaggio, il complottismo rappresentato dalle mie trame immaginarie è uno strumento di riflessione sui media e sugli interessi politici.
L'esagerato complottismo che oggi affolla le pagine dei social network, quello di chi è pronto a credere al sedicente messia che urla più forte, giustifica a lungo andare l'anticomplottismo indiscriminato. Quindi apre le porte ai veri complotti, quelli di cui non parla nessuno. Nel mio romanzo appena uscito, Sickrose-Sicaria, ma rincarerò la dose in giugno con il successivo Agente Nightshade-Nucleo Leningrad, racconto di complotti veri nascosti dietro complotti inventati. 
Pubblico romanzi di azione e intrattenimento, che tuttavia dovrebbero indurre il lettore al ragionamento critico, non certo al fanatismo. Gli argomenti che tratto sono scomodi. I media non ne parlano, quindi ne parlo solo io. Ho anche aperto un nuovo blog per farlo, Kverse - Il mondo thriller di A. C. Cappi, anche se a seguito di una falsa denuncia anonima ora è vietato a chiunque condividerne i post su Facebook. Nessun complotto, presumo: il principale indiziato è una persona che quattro anni fa proprio su Facebook ha dichiarato in modo esplicito che mi vorrebbe morto.
Ma, come vedete, basta una sola persona con la tastiera di un pc e cattive intenzioni per fare danni. Qualcuno che gli darà ascolto lo troverà sempre. (Indignati e fai girare!)

jueves, 11 de marzo de 2021

Vita da pulp - Il Modello Patterson

A. C. Cappi in una foto di Arianna Zini

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi

La scrittura implica impegno e lavoro. Chi nasce con una propensione al pulp, quindi con una spinta incessante a creare storie, deve conciliare il tempo dedicato alla narrativa con quello necessario per attività retribuite. Perché, specie sul mercato italiano, mantenersi con la scrittura diventa sempre più difficile. Ma in ogni caso, nemmeno nei tempi migliori e in qualsiasi land of opportunity, diventare romanzieri è mai stato facile, immediato o remunerativo. Anche se molti ancora lo credono, non è vero che chiunque possa scrivere un libro, diventare famoso e vivere di rendita.

La volta scorsa citavo James Patterson. Oggi, dopo quarantacinque anni di attività, l'autore è titolare di un franchise di enorme successo ed è considerato lo scrittore più ricco del mondo. Data la grande quantità di co-autori accreditati che ora si alternano sulle sue serie e sui libri stand-alone, non è nemmeno chiaro quanto di ciò che esce sotto il suo marchio sia scritto personalmente da lui e quanto sia invece il lavoro di uno staff sotto la sua direzione e la sua garanzia di alta qualità.
Patterson è stato senz'altro avvantaggiato dallo scrivere in inglese, lingua che arriva in tutto il mondo, e di partire da un mercato vasto come quello americano... dove peraltro ci sono autori bravissimi che non hanno raggiunto la sua stessa visibilità. Le alchimie che portano al successo sono sempre imperscrutabili e forse la grande esperienza di questo scrittore in campo pubblicitario gli è stata d'aiuto per conquistare il proprio spazio.
Ma, per scrivere i suoi primi romanzi, Patterson si metteva all'opera ogni mattina a ore antelucane, così da avere qualche pagina al suo attivo prima di andare in ufficio. Tenace e professionale, giorno dopo giorno costruiva romanzi scanditi dalla suspense, con trame complesse e impeccabili. Non diceva "Come faccio a scrivere romanzi gialli se devo lavorare tutto il giorno?" Come si suol dire, si rimboccava le maniche.
Per restare dalle nostre parti, il collega e amico Stefano Di Marino - l'autore di narrativa di genere più prolifico, più venduto e più letto in Italia - consiglia di scrivere metodicamente cinque pagine al giorno: in un paio di mesi avete scritto un romanzo.

Scrittrici e scrittori di genere non hanno, di solito, la pretesa di creare opere d'arte. Preferiscono la definizione "artigianato". Ma ciò che fanno implica lavoro. Non è detto che sia adeguatamente retribuito - e spesso che sia retribuito - e di sicuro non avranno il successo e i guadagni di Patterson. Ma l'impegno è necessario. Dall'altra parte ci sono lettrici e lettori che non vanno turlupinati. Certo, alcuni saranno di bocca buona, altri saranno più esigenti e selettivi, e non accetteranno un prodotto mediocre, approssimativo, di routine.
Chi scrive ha l'obbligo di dare il meglio a chi, si spera, lo leggerà.
Quando sono entrato in questo mondo, negli anni Novanta, si poteva ancora vendere un racconto a una rivista (come ai tempi del pulp) e gli editori, quelli onesti, davano un anticipo alla firma del contratto per un libro. Non è durato a lungo. Ma per chi arriva oggi è ancora più difficile: oltre alla crisi post-Tangentopoli del 1992, quella globale del 2008, quella del Covid-19, abbiamo avuto decenni di disaffezione generale alla lettura.
Oggi non ci si può illudere di avere successo sul mercato italiano con un prodotto che ai nostri connazionali interessa sempre meno. Ormai è improbabile vedere un centesimo per un racconto e gli anticipi per i romanzi sono passati di moda: la maggior parte delle case editrici non se li può più permettere. Le tariffe nel settore sono ferme e talvolta scendono. Le royalties calano per la scarsità di vendite.
Vivere di scrittura è molto difficile, anche per un professionista.
Se non si vuole appendere la tastiera al chiodo, bisogna applicare il Modello Patterson: mettere d'accordo l'impegno di scrivere con il lavoro che ci dà da vivere. Forse l'abbinamento ideale sarebbe un impiego ben retribuito ma poco impegnativo in termini di tempo e sforzo mentale, che lasci ampio margine per il resto.
Beninteso, non so se esista nel XXI secolo.

Da questo punto di vista, mi considero molto fortunato. In un modo o nell'altro, mi sono sempre occupato di libri e da parecchi anni posso svolgere quasi interamente le mie attività ovunque mi trovi, a patto di avere un computer e un wi-fi, il che mi ha permesso di non chiudere bottega nel periodo di lockdown.
Certo, per i motivi che ho indicato sopra, i libri guadagnano sempre meno. L'unico modo per frenare il calo delle entrate è stato aumentare il carico di lavoro, almeno finché mi è stato possibile: un serio problema alla vista nel 2014 mi ha convinto che il corpo umano non sia fatto per superare senza interruzione le 135 ore settimanali, quindi attualmente anche nei periodi più impegnativi cerco di non andare oltre le 105.
Ma durante la pandemia abbiamo visto persone che hanno affrontato ben di peggio in prima linea nella lotta contro il Covid e c'è anche chi è caduto sul campo. Quindi non mi posso certo lamentare.
Tuttavia, se qualcuno mi invidia perché in pochi mesi pubblico più libri di quanti lui ne abbia scritti in tutta la sua vita, gli ricordo che a me nessuno ha mai regalato nulla, semmai il contrario. Chiunque abbia talento può provarci, a patto di ricorrere al Modello Patterson, al Metodo Deaver (di cui parleremo la prossima volta) e a una sana autocritica (parleremo anche di questo). 

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

miércoles, 3 de marzo de 2021

Vita da pulp - La vita glamour dello scrittore

A. C. Cappi in una foto di Catilina Sherman

Articolo pubblicato originariamente nel marzo 2021. Nella notte tra il 14 e il 15 maggio 2021, qualcuno ha tentato di farlo cancellare dal web - insieme ad altri post di questo blog (anche non miei) e, forse, nelle sue intenzioni, l'intero blog "Il Rifugio dei Peccatori" - con la falsa accusa di contenere malware o virus. A seguito di tale "segnalazione" (flagging) la piattaforma ha cautelativamente rimosso questo e altri tre post da Internet. Per fortuna, dietro mia richiesta, con estrema professionalità e serietà la piattaforma blogger li ha riesaminati e scagionati, autorizzandone la ripubblicazione. Se è stato questo articolo a scatenare l'ira dell'hater e il sabotaggio, il mio persecutore - già sospettabile in passato della manomissione della pagina a me dedicata su Wikipedia e nel gennaio 2021 di una falsa accusa di spam su un noto social network, facendovi censurare per sempre qualsiasi link al mio neonato blog Kverse - si è praticamente fatto riconoscere, visto che era già menzionato (anche se non ne facevo nome e cognome) nelle ultime righe.

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi

Per essere un presunto blogger sono, lo ammetto, discontinuo. D'altra parte ogni tanto gli scrittori hanno da fare. Nell'immaginario collettivo, chi scrive libri tira l'alba fra gli stravizi, si alza tardi e per il resto della giornata gode di fama e successo, fino all'ora in cui torna agli stravizi: la vita glamour dello scrittore, insomma.
Be', credo che ci sia stato qualche equivoco, perché - se pure qualche volta mi è capitato di rientrare a casa quando l'aurora dalle dita rosate tingeva il cielo di Milano - in questo periodo il primo canto degli uccellini è il rumore che sento dopo la sveglia. Per sette giorni alla settimana l'orario di lavoro comincia alle cinque del mattino e non lascia molto spazio per socializzare. Il colore della "zona", là fuori, è irrilevante, contano solo le date di consegna. E non ci sono controfigure: certe cose o le faccio o le faccio io.
Succede anche ai grandi autori di bestseller americani. Prima di diventare l'imprenditore di se stesso, James Patterson si svegliava a ore antelucane per ritagliarsi qualche ora di scrittura, poi andava a lavorare alla JWT di New York. Io non sono certo l'autore-marchio più venduto al mondo, ma questo implica che se voglio arrivare da qualche parte - o almeno proseguire il mio cammino - devo lavorare più di lui.

Ci sono libri, ebook e articoli da scrivere, traduzioni da consegnare, curatori di antologie da rassicurare che il racconto promesso un anno fa arriverà solo con un accettabile ritardo. Ci sono stati il lancio del Premio Torre Crawford e le attività dell'Associazione Culturale Andrea G. Pinketts. E occorre anche fare un po' di promozione ai propri libri, cosa che da tempo ricade sull'autore, il quale deve ingegnarsi a trovare nuovi modi per comunicare con il pubblico.
Uno di questi è il mio nuovo blog Kverse - Il mondo thriller di Andrea Carlo Cappi, dedicato a una parte ingente della mia produzione: le numerose serie collegate tra loro che l'amico Claudio Bovino ha riunito sotto la pratica definizione "Kverse". Molto di quanto ho scritto negli ultimi trent'anni rientra in questo ciclo.
Eh, sì. A questo punto sono trenta.
Ho già raccontato in post come questo quali eventi mi abbiano permesso, tra marzo e giugno del 1991, di qualificarmi come scrittore. Non ci furono soddisfazioni immediate, solo parecchie complicazioni, ma ebbi la conferma che la mia intuizione di circa vent'anni prima era esatta: era questo che dovevo fare "da grande".
Il bilancio fino a qui: una sessantina tra romanzi, raccolte di racconti, saggi e novelettes, più una grande quantità di racconti sfusi, senza calcolare gli articoli pubblicati qua e là e le pagine di sceneggiatura. Non sono nemmeno così straordinario: la produzione dell'amico Stefano Di Marino è inarrivabile.

In ogni caso, non mi posso lamentare dei risultati e, anzi, le particolari circostanze mi impongono di celebrare non solo la ricorrenza, ma l'uscita pressoché simultanea di tre titoli. Non avrò troppo tempo per farlo, ma di sicuro ho molto da festeggiare.
Il 2 marzo 2021 sono usciti da Delos Digital il quinto episodio del ciclo in ebook Dark Duet, ambientato in Spagna nei primi anni della Guerra Fredda, e da Segretissimo Mondadori un nuovo libro che, oltre alla versione in ebook, il 3 marzo ha cominciato a essere distribuito in cartaceo nelle edicole italiane; è uno dei romanzi che firmo con lo pseudonimo François Torrent e il primo di una nuova serie, parallela a quella chiamata Agente Nightshade (il cui nuovo episodio uscirà invece alle soglie dell'estate, sempre da Segretissimo); e infine dal 4 marzo su Amazon è disponibile in cartaceo e in ebook il sesto volume della collezione di Oakmond Publishing dedicata ai titoli precedenti delle mie serie Medina e Nightshade (l'uscita dei successivi sarà il 4 luglio e il 4 novembre 2021).
Be', si vede che a qualcosa serve lavorare.

Ma ci dev'essere qualcuno che invidia la mia intensa vita glamour da scrittore. Avevo appena condiviso i primi post di Kverse su un noto social network, come faccio abitualmente con quelli dei blog a cui collaboro, e qualcuno li ha segnalati alle autorità corrispondenti come inappropriati.
Il risultato è che qualsiasi link che cominci con quell'indirizzo può essere condiviso, per esempio, su Twitter, ma non su quel social network; tuttora, a oltre un mese dalla mia richiesta di esaminare l'attendibilità della denuncia anonima, se cerco di farlo una finestra mi avvisa che l'indirizzo ha violato le regole, più o meno come se fosse un sito di cucina con ricette a base di infanti. Non è così: è un indirizzo https (ovvero un sito sicuro) sulla stessa piattaforma di Google che ospita il post che state leggendo. Potete verificare voi stessi, facendo click sulla parola Kverse in questa pagina.
Be', ogni giorno si impara qualcosa: se volete rovinare un'azienda o far tacere un giornale che abbia investito tempo e denaro su quel particolare social network per la sua comunicazione, a quanto pare siete liberi di farlo indisturbati. Le regole contro il bullismo sono usate a scopo di bullismo.
I casi sono due. Dietro la mendace denuncia c'è un oscuro qomplotto per impedirvi di leggere i miei libri. Oppure c'è qualcuno cui semplicemente non piace quello che scrivo o non piaccio io: c'è giusto un signore che anni fa ha pubblicamente deplorato sulla mia pagina di quel social network il fatto che fossi ancora vivo.
"Pochi nemici, molto odore", disse qualcuno.
Be', forse lo slogan non era proprio così, ma la faccenda puzza. Ora vi lascio: anche se qualcuno disapprova, mi chiama la mia vita glamour.

Continua...

Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.