jueves, 30 de agosto de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 6

Francisco de Goya Saturno divora il figlio (circa 1820)

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

6-SHIZOFRENIA E DINTORNI 

Passiamo ora ad analizzare la sindrome schizoaffettiva, la sindrome schizotipica e la sindrome delirante. 

La sindrome schizoaffettiva è un disturbo in cui sono presenti contemporaneamente aspetti caratteristici sia della schizofrenia sia di un disturbo dell’umore. Sintomi affettivi e schizofrenici sono entrambi preminenti nello stesso episodio di malattia. 

La sindrome schizotipica è un disturbo in cui il soggetto è caratterizzato da comportamento eccentrico, con anomalie del pensiero e dell’affettività, senza però la presenza di manifestazioni schizofreniche definite e caratteristiche. Il soggetto presenta: 
-affettività inappropriata, cioè apparenza fredda e distante 
-comportamento o aspetto strano, di solito eccentrico o insolito 
-tendenza all’isolamento sociale 
-strane convinzioni o credenze magiche, che tendono a influenzare il comportamento 
-sospettosità o idee paranoidi 
-rimuginazioni ossessive, spesso con contenuti dismorfofobici o sessuali 
-esperienze percettive non usuali, che comprendono illusioni somatosensoriali, depersonalizzazione o derealizzazione 
-pensiero vago, circostanziato, iperlaborato o stereotipato, linguaggio insolito. 
-occasionali scivolamenti psicotici transitori, caratterizzati anche da allucinazioni uditive. 
Purtroppo il decorso di tale patologia è cronico , caratterizzato da fluttuazioni d’intensità. Essa può sfociare in schizofrenia manifesta. 

La sindrome delirante, invece, è un disturbo in cui l’unica manifestazione è rappresentata da un delirio fisso incrollabile. In essa i deliri hanno la durata di almeno un mese. Essi sono ben organizzati, ben sistematizzati, e non risulterebbero essere assolutamente né bizzarri né frammentari. 
La risposta emotiva del “sistema delirante” è appropriata al contenuto del delirio. La personalità rimane intatta o si deteriora solo marginalmente. Spesso i soggetti sono ipersensibili o ipervigili e, pur mantenendo un elevato grado di autonomia, tendono all’isolamento sociale. Se non sotto stress, il soggetto potrebbe essere definito come privo di segni di malattia mentale. 
È da sottolineare il fatto che la sindrome delirante non risulta essere un sottotipo né uno stadio precoce prodromico della schizofrenia. 

La sindrome delirante indotta è una rara sindrome caratterizzata dal delirio e che verrebbe condivisa da due persone con uno stretto legame affettivo: soltanto una delle due vive un’autentica condizione psicotica; nell’altra i deliri vengono indotti e terminano solo quando i due individui vengono separati. I deliri sono generalmente cronici e a contenuto persecutorio o di grandezza . Le persone in causa sono isolate dagli altri. 

La schizofrenia, invece, è una patologia cronica e processuale, caratterizzata da dissociazione. In essa si possono riconoscere
-sintomi positivi
-sintomi negativi 
-deficit cognitivo 
-decadimento funzionale 
La schizofrenia è caratterizzata da progressione del deficit funzionale che può anche, a distanza di tempo, ripresentarsi in forma acuta ma in modo ingravescente.
Questo tipo di psicosi necessita di un trattamento dalla durata imprecisata, mirato, ma che sia nello stesso tempo flessibile. Esso deve puntare sia al raggiungimento contemporaneo di obiettivi parziali, sia al raggiungimento di obiettivi globali. Come capire allora se ci si trovi al cospetto di una persona affetta da schizofrenia? Il quadro clinico manifesterà i seguenti sintomi in numero di due o più : 
-deliri 
-allucinazioni 
-eloquio disorganizzato (con deragliamenti verbali, tangenzialità di ideazione che si manifesta talvolta con insalata di parole , incoerenza, etc.) 
-comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico 
-sintomi negativi, rappresentati dall’appiattimento dell’affettività, da abulia e da alogia. 

Il soggetto, di norma, presenta una manifestazione che viene riconosciuta con il termine di “disfunzione sociale/lavorativa”. Tale fenomenologia dovrebbe suonare come una sorta di campanello d’allarme.
Come si presenta? L’individuo, prima che insorga la patologia, tende a essere ipoattivo sia in ambito lavorativo che sociale. Il senso di autostima regredisce a tal punto da non curarsi più della propria igiene personale e del proprio aspetto. In definitiva, la cura della propria persona, confrontata con un periodo precedente l’insorgenza della malattia, risulta essere alquanto scadente. 
Qualora l’esordio insorga nell’infanzia o nella adolescenza, si manifesta un'incapacità a raggiungere le relazioni interpersonali o di poter “rendere” a sufficienza sia in ambito scolastico che lavorativo. 
Per quanto concerne la durata della patologia schizofrenica, di solito la sintomatologia persiste per almeno sei mesi. Questo lasso di tempo deve includere almeno un mese dall’esordio (a volte meno, qualora il paziente venga trattato con successo) delle sintomatologie precedentemente descritte. Può includere sintomi prodromici, cioè che precedano l’insorgenza della malattia, o residui. In questa fase, i sintomi del disturbo schizofrenico possono essere prevalentemente negativi, oppure anche positivi. Questi si mostrerebbero soltanto in forma attenuata, per esempio con percezioni inusuali o strane convinzioni. 

Esisterebbe una familiarità per la schizofrenia. Vi sarebbe, fatto molto interessante, una netta correlazione tra i sintomi negativi e i sintomi positivi. Questa affermazione risulterebbe essere suffragata dalla teoria ipo/iperdopaminergica. 
In cosa consisterebbe? Soprattutto, perché i sintomi negativi sarebbero in correlazione con quelli positivi? Semplicemente perché è a partire dai sintomi negativi che si originerebbero i sintomi positivi. Sarebbe come se dalla sintomatologia negativa si originasse, a mo' di “compensazione patologica”, il corollario della sintomatologia positiva. 
Il deficit patognomonico della schizofrenia sarebbe localizzato a livello della corteccia dorsolaterale prefrontale . Qui vi sarebbe una diminuzione del tono dopaminergico. La carenza dopaminergica causerebbe l’insorgere dei sintomi negativi e dei deficit neurocognitivi caratteristici della schizofrenia. Come conseguenza primaria, si manifesterebbe nei sistemi dopaminergici un abbassamento del tono dopaminergico corticale . Sarebbe proprio la riduzione del tono dopaminergico corticale a determinare il rilascio della normale inibizione a livello cortico-encefalico sui sistemi mesolimbici. Questi diverrebbero iperattivi, originando i sintomi positivi. 
Volendo analizzare la relazione esistente tra schizofrenia e lobo frontale encefalico , notiamo che è proprio a livello della corteccia dorsolaterale che è posto il deficit cognitivo manifesto con disfunzioni di brain-imaging. Il deficit riguarderebbe importanti funzioni come: 
-Esecutiva 
-Working memory 
-Fluenza 
Nella schizofrenia l’85% dei pazienti mostra deficit neuropsicologici di varia gravità. I deficit risultano essere stabili, presenti sin dall’insorgere della malattia e, secondo alcuni Autori, addirittura, precederebbero l’esordio (Rund 1998; Heaton,2001).

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Kamila Shamsie e il volto del "nemico"



Recensione di Andrea Carlo Cappi


Kamila Shamsie, l'autrice di Io sono il nemico (in libreria da Ponte alle Grazie), è in Italia sabato primo settembre per partecipare al Festival della Mente di Sarzana (La Spezia): l'appuntamento è alle 19.00 al Canale Lunense della città ligure. Non sempre arrivo a consigliare i libri di cui sono stato traduttore, ma questa volta si tratta di un testo importante, soprattutto per i giorni in cui viviamo.
Dopo il primo capitolo, in cui si avvertono subito i segni dei tempi quando la protagonista viene sottoposta a un interrogatorio prima di prendere un volo dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, il romanzo della scrittrice - che vive tra il Regno Unito e il Pakistan e conosce bene entrambi i mondi - potrebbe essere scambiato per una sorta di versione moderna di Romeo e Giulietta. Invece, come si vede proseguendo nella lettura, il punto di partenza e di arrivo è tutt'altro: Antigone di Sofocle. All'autrice era stata proposta l'idea di adattare la tragedia ai nostri tempi, per il teatro. Di fatto, ne è venuto fuori un romanzo.
Isma Pasha, il personaggio principale, è una ragazza londinese di origine pakistana, sulla cui famiglia grava un peccato originale: un padre irresponsabile e assente, partito per fare l'eroe della Jihad e morto in un paese lontano. La sua ombra pesa ancora e viene usata come leva su Parvaiz, fratello minore di Isma, da parte di un giovane reclutatore jihadista: il ragazzo deve essere "l'uomo" della famiglia, non può disonorare il padre, deve andare a combattere a sua volta, anche se si tratta di filmare decapitazioni sanguinose in Siria per conto dell'ISIS. Fino a quando Parvaiz non ce la fa più e trova il modo di fuggire, nella speranza di tornare in Patria - in Gran Bretagna - passando da Istanbul.
Ma la situazione è più complessa di quanto possa apparire. Negli USA Isma, finalmente libera di riprendere gli studi dopo avere di fatto cresciuto fratello e sorella alla morte della madre, ha conosciuto Eamonn Lone, figlio di un'americana e di un politico inglese a sua volta di ascendenze pakistane. Lone padre ha fatto carriera prendendo le distanze dalla comunità di cui fa parte la sua famiglia. È considerato un integrato. E viene nominato Ministro degli Interni (tra parentesi, il 30 aprile 2018 ha assunto tale carica proprio un cittadino inglese di ascendenze pakistane, quasi il romanzo fosse stato profetico). Quando Isma e Eamonn si ritrovano a Londra, tra loro nasce una relazione. Ma il figlio del titolare degli Interni non dovrebbe frequentare una ragazza figlia e sorella di jihadisti. Gli sviluppi della vicenda mettono a confronto, in modo drammatico e mediatico, cittadini britannici con quote variabili dello stesso sangue straniero. Chi è buono e chi è cattivo? Chi rinnega chi? Dove finisce la politica e dove comincia l'etica? Chi è il vero nemico?
Sono tutte domande sollevate dal romanzo di Kamila Shamsie: domande scomode per la Gran Bretagna, che ha tanta paura dei migranti da fuggire dall'Europa, ma scorda di convivere con i figli dei figli delle proprie ex-colonie, ormai parte indispensabile ma non sempre accettata del suo tessuto sociale. Sono domande scomode anche per noi italiani, che conosciamo solo da tempi recenti un fenomeno di immigrazione degno di questo nome... e si vede come stiamo reagendo.
Sono lieto che Salani abbia accolto la mia proposta per il titolo italiano (non sempre vengono accolti i suggerimenti in tal senso dei traduttori). Home Fire, il titolo originale, evoca il "focolare" cui le donne dovevano badare intanto che gli uomini andavano in guerra. Evoca anche un "incendio" che brucia nella tua stessa casa. Ma sono sfumature che si sarebbero perse nella nostra lingua. In questo momento storico, oggi più che mai, direi che Io sono il nemico sia, per l'Italia, il titolo più consono.

miércoles, 29 de agosto de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 5

Pubblicità di un adattamento teatrale del Dr. Jekyll, 1887

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

5-SINDROME AFFETTIVA BIPOLARE 

È un disturbo di tipo affettivo in cui le alterazioni della timia e dell’agire sono almeno un paio. Sono fondamentalmente distinte in ipomania, mania e depressione. Nella mania o ipomania il tono dell’umore è talmente esaltato che il soggetto sembra aver acquisito così tanta energia da indurre in prima battuta allo stupore – caratterizzato peraltro da estrema fragilità – che diviene di rado pianto di fronte a una specie di “incapacità di comprensione della realtà”. 
Non dobbiamo dimenticarci del fatto che il soggetto è in preda a uno stato dissociativo. L’individuo, pur dissociato, è come se vivesse uno “stato di grazia”. Si sente onnipotente e “tutto deve essergli concesso”. Tale manifestazione può durare da alcune settimane a diversi mesi, quattro o cinque di solito. L'esordio risulta essere, di norma, brusco. 
La fase depressiva del disturbo bipolare è caratterizzata da tono dell’umore deflesso, da profonde crisi di pianto, da deliri, non ultimo il persecutorio con stato confusionale persistente. Il soggetto, in questo periodo della patologia, è marcatamente ipoattivo, ombroso nell’atteggiamento. Ha l’habitus del depresso. Il suo pensiero, rallentato, è caratterizzato da biascicamento nell’eloquio , come non volesse farsi capire o fosse alterato da sostanze esogene quali l’alcool. Questo è un fenomeno non sempre presente. Vi è persino la comparsa del ritiro sociale con grado di autostima molto basso. 
Anche in questa fase la malattia cambia radicalmente l’individuo, infierendo spietatamente nell’animo. L’agito molte volte non è cosciente. Il soggetto è alla deriva, “in balia dei marosi della malattia”. Compie gesti che di solito non farebbe mai, come urinare o defecare per terra. Non è infrequente, ma del tutto comprensibile, il senso di angoscia e di vergogna che colpisce il soggetto, gettandolo in uno stato dapprima d’incredulità, quindi di disperazione cui segue la “prostrazione dell’animo”. La fase depressiva del disturbo bipolare risulterebbe essere piuttosto lunga: sei mesi o più. 

Come possiamo capire quando un soggetto sia ipomaniacale o maniacale? 
La fase ipomaniacale è caratterizzata da: 
-lieve e persistente esaltazione del tono dell’umore 
-incremento dell’energia e dell’attività 
-marcato senso di benessere e di efficienza fisica e mentale 
-accresciuta socievolezza e loquacità 
-aumento dell'energia sessuale 
-diminuzione del bisogno di sonno 
-irritabilità e comportamento presuntuoso 
-assenza di allucinazioni o deliri 
La fase maniacale è caratterizzata da: 
-tono dell’umore elevato, espansivo sino a raggiungere l’esaltazione 
-iperattività 
-aumento del flusso del linguaggio 
-ridotto bisogno di sonno 
-marcata distraibilità 
-autostima esagerata con idee di grandezza 
-perdita delle normali inibizioni sociali 
-comportamento pericoloso, avventato e inadeguato 
-talvolta deliri, generalmente di grandezza, o allucinazioni 
-estrema fuga delle idee 
-comunicazione incomprensibile o inaccessibile. 


Della fase depressiva si è già detto precedentemente. Vediamo ora, da un punto di vista eziologico, quali siano i fattori nella sindrome affettiva bipolare. 
Da un punto di vista dei mediatori chimici o neurotrasmettitori vi sono differenze radicali tra la fase depressiva e la fase maniacale. Nella fase depressiva si avrebbe un calo di serotonina e di noradrenalina. Nella fase maniacale alla carenza di serotonina corrisponderebbero livelli ematici elevati di dopamina e di noradrenalina 
È da sottolineare la presenza di familiarità da un punto di vista genetico per la sindrome affettiva bipolare. In questa malattia nel soggetto vivono sia la figura del dottor Jekyll sia quella di mister Hyde. Il paragone con il celebre romanzo di Stevenson non è azzardato, se si pensa all’alternanza di stati umorali che l’individuo deve “sopportare”. 
Inoltre è da evidenziare il fatto che sussiste una sorta di “compensazione patologica” nella sindrome affettiva bipolare. Infatti, lo stato maniacale bilancerebbe, in un certo senso, lo stato di profonda e lunga depressione patognomonico di questa malattia. Quindi se ne deduce che la fase maniacale risulterebbe essere un meccanismo di difesa contro la fase depressiva.

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lunes, 27 de agosto de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 4

Trattamento della follia in un dipinto di Hyeronimous Borsch, XV sec.

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

4-PSICOSI 

Parlando con un soggetto affetto da psicosi, nel formulargli domande mirate o che “mettano in difficoltà l’individuo”, questi è portato a fornire e dare spiegazioni di tipo delirante, quali il controllo telepatico, oppure l’installazione di microchip endocerebrali o endocranici o, addirittura, come detto precedentemente, di aver subito e subire continuamente il “furto dei propri pensieri”. 
È solo tramite l’esame della realtà che possiamo renderci conto dello stadio di gravità della patologia psicotica. Ma in cosa consiste l’esame obiettivo della realtà? Consiste nella capacità di discriminare il sé dal non-sé e l’intrapsichico dalle origini esterne delle percezioni e degli stimoli. In definitiva, si può definire come la capacità di valutare realisticamente ciò che accade intorno, ma anche gli stati d’animo, i comportamenti e i pensieri di un’altra persona secondo le norme sociali ordinarie. 
I cosiddetti “cardini sociali”, nel caso della psicosi, o sono poco saldi, quindi labili, oppure perturbati. Ne consegue che persino l’esame obiettivo della realtà risulti alterato, perché la capacità critica o di giudizio sono compromesse. 

Vediamo però cosa si intenda per “capacità di giudizio o di critica”. Altro non sarebbe se non l’essere in grado di riconoscere una corretta relazione fra le idee e pertanto di trarre conclusioni appropriate dall’esperienza. In caso di psicosi, tale funzione risulta essere alquanto precaria. 
L’affettività, cioè il tono soggettivo dei sentimenti che accompagnano un’idea è alterata negli psicotici. Può essere coartata, cioè limitata, sino all’anaffettività. In poche parole, il soggetto non è in grado di far trasparire emozione alcuna, almeno in apparenza , come nel caso della schizofrenia. Questi presenta, o può giungere a presentare talvolta una facies amimica. 
Di contro, l’affettività potrebbe essere sempre inadeguata, ma verso l’eccesso, come nel caso della fase maniacale del bipolarismo, non a caso definita come psicosi affettiva. Ma nello stesso momento il soggetto potrà manifestare, si noti bene, sentimenti che potranno diventare eventi, quindi atti, di tipo opposto. Sono gesti, in senso lato, paragonabili a una fenomenologia di “odio e amore” di catulliana memoria. 
Si tratta dell’ambivalenza, commistione di amore e morte, in grado di generare conflittualità nell’individuo ma soprattutto, a volte , contro il terapeuta. 
Una simile espressione di stato d’animo potrebbe essere imputabile – e sottolineo il potrebbe – a una sorta di richiesta d’aiuto continua, di difesa, instaurando il maternage dell’ambivalenza manipolatoria (mettere i componenti di una equipe terapeutica uno contro l’altro, al fine di ottenere vantaggi tramite la pratica della manipolazione). 
Soprattutto, questo sentimento di ambivalenza può manifestarsi nei confronti di oggetti, sino ad arrivare a manifestazioni di pantoclastia. La pantoclastia consiste nella distruzione dell’oggetto stesso o di più oggetti. È la distruzione dell’oggetto che interpreta il “detestato/a…” o viatico per lo sfogo istintuale pulsionale di tipo compulsivo. 

Nello psicotico sono presenti sia la depersonalizzazione che la derealizzazione. Nel caso della depersonalizzazione il soggetto vive un vero e proprio stato di disagio confusionale. 
Proviamo a immedesimarci nel suo stato d’animo, non nel delirio! Immaginiamo di sentirci, dall’oggi al domani, come se ci fossimo… persi. Noi non esistiamo più, o meglio… viviamo, ma non siamo noi a condurre la nostra esistenza. Abbiamo in realtà scoperto, tutto d’ un tratto , che altri “muovono i fili della nostra vita”. Il soggetto psicotico ha perso la propria identità, o crede di averla perduta. 
Come potrebbe sentirsi se non “diverso” o quantomeno strano? 
Ma non è solo “strano”. Si sente estraneo a questo mondo che non ritiene essere il suo. Vive nell’irreale, in un altro spazio, in un altro luogo, pur vivendo insieme a noi. È ormai derealizzato, sperduto e confuso come “Pollicino nel bosco”. Ma non ha punti di riferimento, né molliche di pane né sassi per ritrovare la strada che lo riconduca a casa. 
Tremendo. Vive di depersonalizzazione e derealizzazione, punti fondamentali e sempre presenti nei disturbi dissociativi nonché negli stati d’ansia. Vive in un disagio enorme. 

Riagganciandoci alla strutturazione della personalità, al fatto che una persona possa avere una personalità psicotica ma vivere serenamente, affrontiamo quindi ora la sindrome psicotica acuta o transitoria. 
In cosa consiste questo tipo di manifestazione acuta? Partendo dal presupposto che una persona possa “scompensare”, manifestando un evento psicotico, direi che il termine “transitorio” risulti essere alquanto esplicativo. La psicosi acuta o transitoria è infatti caratterizzata dal passaggio da uno stato di salute, senza alcuna manifestazione psicotica, a uno stato di psicosi eclatante nel giro di un paio di settimane. 
La temporalità è importante, a detta degli studiosi. Infatti si è visto sussistere un rapporto tra tempo di esordio e prognosi. Più veloce è l’esordio e migliore sembra essere la prognosi. Di norma, la patologia regredisce nell’arco temporale di alcuni mesi o addirittura di giorni. Vi è da sottolineare, però, che in alcuni casi si possono manifestare condizioni persistenti e a volte invalidanti. 

Le sindromi psicotiche acute o transitorie possono essere di tre tipi: 
-Sindrome psicotica acuta polimorfa senza sintomi schizofrenici 
-Sindrome psicotica acuta polimorfa con sintomi schizofrenici 
-Sindrome psicotica acuta schizofrenosimile 
Nella sindrome psicotica acuta polimorfa senza sintomi schizofrenici, l’esordio insorge nell’arco di 48/72 ore. Si manifestano allucinazioni, delirio con disturbi della percezione, variabili, da soggetto a soggetto e di giorno in giorno. 
Nella sindrome psicotica acuta polimorfa con sintomi schizofrenici sono presenti i sintomi schizofrenici . Tuttavia questi dovrebbero scomparire nel giro di un mese . 
La sindrome psicotica acuta polimorfa schizofrenosimile è caratterizzata dal fatto che i sintomi psicotici si manifestano in modo relativamente stabile e soddisfano i criteri per la schizofrenia. Da quando sono insorti, devono aver avuto una durata inferiore ai trenta giorni circa. 

La psicosi può essere organica o esogena. 
La psicosi organica può essere indotta da: 
- demenze 
- malattie metaboliche 
- malattie neurodegenerative 
- tumori 
- traumi. 
La psicosi esogena è determinata da abusi di sostanze.

Si è detto precedentemente del disturbo bipolare come rientrante tra le psicosi. Ma anche la depressione unipolare endogena o disturbo depressivo maggiore è da annoverarsi tra le fenomenologie psicotiche. 
La caratteristica molto importante è che tale patologia può incidere sulla vita di un individuo in modo significativo. La patologia ha una “familiarità” e di solito l’insorgenza non risulterebbe essere legata a un fattore scatenante. 
Il soggetto si presenta caratterizzato da tristezza o irritabilità. Il ritmo sonno/veglia risulta essere alterato. Alterati risultano essere anche l’appetito e il movimento. Il soggetto appare “rallentato”, con addirittura difficoltà di pensiero, di eloquio, di concentrazione e difficoltà mnestica. Può essere rallentato nel movimento, ma può anche manifestare agitazione psicomotoria. 
Essendo assente il “piacere di vivere”, sussiste quindi un elevato rischio suicidario. Il soggetto si sente svuotato e inutile. Non è in grado di dare un senso alla propria esistenza. Soprattutto, non vede via di uscita e si sente come “intrappolato in una gabbia di sofferenza”. L’idea ricorrente di morte può indurre il soggetto all’atto suicidario perché descritto “come unica possibilità per porre fine alla sofferenza”. 
Vogliamo soffermarci sul suicidio per chiarire un punto che sarà importante nell’operare dei terapeuti. Non è assolutamente vero che chi esprima il desiderio di togliersi la vita non lo farà mai! Il suicidio non è una malattia, bensì la conseguenza di patologie quali la depressione. Quindi, trattandosi di un fatto depressivo, sarebbe opportuno e importante non sottovalutare questa eventualità, che il paziente ne parli o meno. 
Il dolore è enorme e l’agito viene considerato come fatto liberatorio. Il soggetto suicidario vede solo ed esclusivamente il proprio soffrire insostenibile e non considera le conseguenze psichiche che l’atto del togliersi la vita coinvolgerà i propri cari e i propri amici. D’altro canto la sua vita è pregna di sofferenza e di deliri, oserei dire…inevitabili (si è visto precedentemente come il delirio sia un meccanismo di difesa). A volte sono persino presenti le allucinazioni. 
La prognosi risulterebbe essere , tutto sommato, buona. Nel 50% dei casi si avrebbe la guarigione totale; nel 30% si avrebbe una guarigione parziale , mentre nel 20% si instaurerebbe un decorso cronico. Colui o colei che giunga a porre fine alla propria vita è “lucidamente delirante”, in quanto crede fermamente di optare per la cosa giusta. Non sono contemplate le preoccupazioni per i propri cari in quanto, come si è detto, il soggetto in questione vive un disagio enorme e non vede l’ora di “smettere di soffrire”. Manca la motivazione a vivere. Esiste solo l’idea della Morte come atto liberatorio.

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Leggi la seconda parte
Leggi la terza parte

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 3

Illustrazione di Gustavo Doré

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

3-PENSIERO E DELIRIO 

Tra i disturbi dell’ideazione possiamo avere: 
-disturbi formali 
-disturbi di contenuto 
Nei disturbi formali il flusso ideico è abbondante, rapido, frammentario, poco coerente, povero e abbastanza monotono. Vi è l’arresto del pensiero. I nessi associativi si manifestano con ideazione dissociata, inceppamento, incoerenza logica, fuga delle idee, associazioni rapide, lasse e bizzarre. Si possono anche manifestare con ideazione confusa, incoordinata e “spezzettata”. 
Tra i disturbi del contenuto annoveriamo l’ideazione erronea e il delirio. 

Si è detto riguardo i disturbi formali e le loro manifestazioni, come: 
-Interruzione del flusso del pensiero 
-Blocco del pensiero o barrage 
-Cambiamento del flusso del pensiero 
L’interruzione del flusso del pensiero si manifesta come una sorta di “deragliamento del pensiero” stesso, come se questo, d’un tratto, uscisse dai “binari della mente”, determinando lo stato confusionale. 
Questi sono processi che alterano decisamente il pensiero e l’eloquio, sino a produrre un miscuglio di parole incomprensibile, definito con il termine di schizofasia (insalata di parole). 
Nel barrage, o “blocco del pensiero”, il paziente si interrompe mentre parla, in quanto subentra l'interruzione del pensiero stesso, che viene descritta dal soggetto come “se qualcuno mi avesse rubato le idee e il pensare”. 
Nel cambiamento del flusso del pensiero si possono distinguere: 
-Affollamento di associazioni di idee 
-Perseverazione, ovvero una sola ideazione protratta nel tempo, anche a lungo, tramite meccanismo di evocazione mnestico/ rimuginativo. 
Nei disturbi formali il pensiero può essere circostanziale o concreto. Il pensiero circostanziale è caratterizzato da un fluire lento delle idee, in quanto il soggetto non “riesce a mettere a fuoco”, come fosse in un quadro, distinguendo la figura in primo piano dallo sfondo; soprattutto, non si è in grado di coglierne la differenza. Le associazioni sono quasi superflue e le risposte alle continue domande fatte, sono persino troppo ricche di dettagli. Questa fenomenologia risulta essere tipica della psicosi organica. 
Nel pensiero concreto, tipico della schizofrenia, vi è da parte del soggetto l’incapacità di astrazione del pensiero. Volendo azzardare un parallelismo, è come se il mondo delle idee non esistesse e non fosse mai esistito, in quanto il concetto stesso dell’idea è negato. 

Tra i disturbi dell'ideazione nonché del contenuto abbiamo: 
-ideazione prevalente 
-ideazione dominante 
-ideazione ossessiva 
-ideazione interpretativa 
-ideazione paranoica 
-ideazione delirante 
L’ideazione di tipo prevalente è comprensibile, ma risulta avere la priorità su tutto. 
L’ideazione dominante è caratterizzata da una forte partecipazione affettiva; non è criticata e nemmeno giudicata. 
L’ideazione ossessiva è prevalentemente ripetitiva e assurda nella sua compulsività. 
L’ideazione interpretativa è fondamentalmente frutto di un’interpretazione errata, non ponderata, non giudicata, che origina da idee di riferimento mendaci o non completamente veritiere. 
Nell’ideazione paranoidea tutto è autoriferito. Origina da ideazioni di riferimento personali, talvolta sfocianti in veri e propri “scivolamenti persecutori”, più o meno marcati. 
Infine abbiamo l’ideazione delirante o delirio. Ma in cosa consiste il delirio? In una visione distorta della realtà che viene sostenuta a tutti i costi, in modo incorreggibile. Il delirio è meccanismo di difesa. Esso consta di tre componenti: 
-l’insolita convinzione che sostiene il delirio 
-la non riconducibilità alla logica 
-l’assurdità o la falsità del contenuto, palese alle altre persone. 

Il delirio può essere: 
-elementare 
-strutturato 
-acuto 
-cronico 
Vi sono – possiamo in tal modo definirle – linee guida riguardo il delirio. Iniziamo col dire che il delirio è un’idea. Essa si origina, come le altre idee, a partire dalla percezione, dalla memoria, da uno stato emotivo o da uno stato interno. È fondata su di una prova distorta, quindi anch’essa falsa e incorreggibile. Il paziente è certamente convinto del proprio delirio ma non sempre lo agisce. Ma il delirio è una fuga e deve essere quindi interpretato come meccanismo di difesa. È come se il soggetto, “avvertito il pericolo”, si rifugiasse nella “fitta boscaglia del delirio” per difendersi, per nascondersi dalla realtà. 
A mio avviso il delirio riempie un vuoto o ha una funzione protettiva sull’autostima, copre la solitudine o la disperazione. Non bisogna credere che delirare equivalga a star male. Sicuramente è espressione di un disagio profondo, ma delirare, per il soggetto “scompensato” ha secondo me una sorta di “potere terapeutico” , quasi esorcizzante. Il delirio è in grado di donare la libertà oppure un nuovo senso d’identità, creato dalla mente delirante del soggetto. Ha una funzione, almeno ai suoi occhi, di “potere salvifico”. 

Il soggetto crede talmente tanto al proprio delirio, in cui – è bene dirlo – si è immedesimato, da poterlo definire come “il suo credo totalitario”. È motivo della sua esistenza e del suo vivere. Il soggetto è “in simbiosi” con l’ideazione delirante che la sua mente ha creato. 
Il delirio, ben si deduce, non è quindi modificabile con la sola opera di persuasione. Credo sia importante sottolineare che soltanto quando il delirio recede, venendo a mancare il meccanismo di difesa di una persona già fragile, questa debba essere ancor più aiutata e supportata. 
L’assistenza deve mirare, in primis, a promuovere l’autostima dell’individuo da parte del terapeuta, ma soprattutto a far sì che questi si “ri-accetti” come essere umano. I suoi sensi di colpa e, in particolare, di vergogna, devono essere mitigati sino a farli scemare completamente, evitando che ritornino, portando a una fuga dalla realtà, “nel cantuccio oscuro della stanza della vita”: il delirio, appunto. Può essere utile, come visto, la pratica dell’ascolto attivo, con una buona comunicazione valida da un punto di vista terapeutico. 

Riconosciamo diversi tipi di delirio: 
-Delirio di persecuzione, ove il paziente crede vi sia un’interferenza dall’esterno nella sua vita 
-Delirio erotico (erotomania) 
-Delirio di infedeltà (gelosia morbosa) 
-Delirio di grandezza,dove il paziente crede di essere il prescelto per una “missione speciale” 
-Delirio mistico (vedere la Madonna, vedere il Demonio…) 
-Delirio di colpa e di indegnità, tipico della depressione, con elevato tasso di suicidabilità 
-Delirio di povertà, di rovina e nichilistico 
-Delirio ipocondriaco 
-Follia comunicata (Folie a deux) 
-Delirio di controllo, dove il paziente crede che il suo pensiero sia in comune con quello di altre persone o, addirittura, sia persino controllato da altre persone, quindi potenzialmente, incessantemente… perseguitato.

Continua...

sábado, 25 de agosto de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 2

Johann Heinrich Füssli Incubo, 1781



Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

2-ALLUCINAZIONI
Nella psicosi possiamo riconoscere una sintomatologia caratterizzata da disturbi della percezione ma anche dell’ideazione. Tra questi ricordiamo: 

-Distorsioni sensoriali, cioè percezioni alterate di oggetti reali 
-False percezioni, ovvero il percepire oggetti che non esistono, quindi le illusioni, le allucinazioni, le pseudo-allucinazioni.
Le illusioni possono essere di due tipi: 
-di completamento 
-emotive.
Queste non sono patologiche ma riescono a donare un senso all’ambiente circostante quando gli stimoli sensoriali appaiono essere – per il soggetto in questione – vacui, appiattiti, senza una sorta di “apparente significato soddisfacente”. Ecco allora che essi vengono “corretti”, alterati leggermente o in modo manifesto ed eclatante, con materiale mnestico o di pura fantasia. 
In tal modo l’intera esperienza percettiva risulta divenire, per l’essere umano, significativa. Finalmente “viene accettata”, riconosciuta come “degna di essere stata, oppure di essere vissuta”. 
Anche le pseudo-allucinazioni non risultano essere di natura patologica. Esse si verificano nello spazio interno soggettivo e non sono concretamente reali. Vengono descritte come “di salute”, di solito anteponendo il “come se…", etc. nel descrivere l’esperienza, quasi vi fosse una sorta di latente titubanza.
Le allucinazioni, secondo alcuni autori, sarebbero attribuibili a false percezioni reali che non rappresenterebbero in alcun modo distorsioni delle percezioni della realtà, bensì sarebbero una nuova esperienza, un “qualcosa di completamente innovativo”, e si manifesterebbero in associazione a percezioni reali. 

Le caratteristiche delle allucinazioni sono: 
-verificarsi in forma di immagine 
-derivare da sorgenti interne di informazione 
-essere valutate in modo del tutto scorretto, inesatto e mendace. 
-verificarsi in modo intrusivo 
In realtà cosa accade, allora, da un punto di vista soggettivo? 
Accade che ciò che il medico definisce con il termine “allucinazione” di fatto, per il paziente, risulta essere un’esperienza del tutto normale. 
Il soggetto allucinato è spesso convinto che altri non possano condividere la sua esperienza in quanto essa è del tutto unica, circoscritta nella sfera, cioè intima e individuale. Inoltre, il non poter avere prove a supporto di tale percezione attraverso altre modalità sensoriali o condivisioni può portare a trovare spiegazioni deliranti ma giustificative e confortanti per il soggetto. 

Le allucinazioni possono essere di svariate tipologie: 
-uditive 
-somatiche e tattili 
-olfattive e gustative 
-visive 
-ipnagogiche 
-ipnopompiche. 
Le allucinazioni uditive sono abbastanza comuni, soprattutto nell'ambito della schizofrenia. Vengono vissute come provenienti dall’interno della mente o del sé. Sono voci che impongono la loro verità quasi gridando, svelandola violentemente, modificando il pensiero del paziente. Non solo “rubano l’intimità del soggetto” ma sarebbero in grado di commentarla, criticando anche le azioni o le parole, sino a sfociare persino nel litigio tra di loro, discutendo, confabulando, esprimendo una profonda alterazione della delimitazione dei confini del sé. 
Il soggetto in questione adotta palesi strategie di supporto come i cambiamenti del comportamento, oppure della postura, attuando metodi cognitivi a lui consoni come per esempio il controllo dell’attenzione, oppure la soppressione della medesima. 
Le allucinazioni somatico/tattili possono essere superficiali quali: 
-le allucinazioni termiche 
-le allucinazioni aptiche (formicolii) 
-le allucinazioni idriche 
-le allucinazioni cinestesiche 
-le allucinazioni viscerali 
Vi sono inoltre allucinazioni olfattive e gustative, che risultano essere rare e spesso associate e/o commiste. Anche le allucinazioni visive risultano essere rare, presenti sovente nelle intossicazioni da sostanze oppure nel delirium tremens. 

Le allucinazioni ipnagogiche e le allucinazioni ipnopompiche non risulterebbero essere patologiche. Si manifesterebbero durante il periodo del “transito” del soggetto dal sonno al dormiveglia. Durante il sonno, il sogno – talmente coinvolgente da apparire veritiero – continua nella fase del dormiveglia e pare essere, nel bene o nel male, in base anche al vissuto, come realtà.

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 1

Illustrazione per Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde di R. L. Stevenson


Quando abbiamo aperto questo blog, Fabio Viganò e io non ci siamo posti limiti di argomento e di stile. Possiamo parlare in termini scherzosi e trattare questioni serie. Possiamo pubblicare poesie, racconti, articoli, sfoghi e sproloqui. Da oggi e per alcuni giorni affrontiamo un argomento serissimo. Tra gli italiani che nell'estate 2018 hanno dato il peggio di loro stessi su Internet, inneggiando a discriminazioni o assumendo ruoli che loro non competono con l'arroganza degli ignoranti che presumono di sapere tutto senza avere letto o studiato niente, spicca questo saggio divulgativo di Fabio Viganò, che tratta invece di cose di cui l'autore si occupa da molto tempo per lavoro. È fuori moda che a parlare di certe problematiche sia una persona competente per esperienza diretta. Ma forse è il caso che lo si faccia.
Fabio Viganò si occupa di problemi psichiatrici. Non è uno psichiatra, è un infermiere molto preparato che per molto tempo ha affrontato tali problemi giorno dopo giorno, sul campo, con in mente un unico obiettivo: il miglioramento delle condizioni dei suoi pazienti. E con una visione precisa: chiunque di noi potrebbe trovarsi nella stessa situazione e, nel caso, vorrebbe avere una persona altrettanto seria e impegnata al proprio fianco. Quindi il suo approccio, nello spiegarci la materia, è al tempo stesso quello di un esperto e quello di uno di noi.
Dalla sua esperienza possiamo trarre insegnamenti che valgono oltre l'argomento. Per esempio, quando ci spiega come i farmaci non siano sempre l'unica soluzione, ma siano spesso una parte di estrema importanza della soluzione. Personalmente, ne deduco che chi esclude i farmaci dai trattamenti psichiatrici ha la stessa “lucidità mentale” di chi combatte i vaccini: gente che per un sorta di fanatismo religioso – viviamo in tempi in cui il fanatismo religioso, del tutto acritico e per giunta spesso persino privo ormai di una religione di riferimento che non siamo bufale diffuse su Internet – vuole imporre il malessere a persone che potrebbero essere guarite. Poi ci sono medici approssimativi che eccedono nei medicinali come ci sono presunti esperti di informatica che ti rendono inutilizzabile un computer sostenendo ri rendertelo più efficiente. Non per questo bisogna fucilare tutti i medici, gli informatici, o anche i magistrati o gli appartenenti a qualsiasi categoria che possa creare danno se commette errori. Dopotutto, nessuno pensa di cancellare le automobili, anche se esistono automobilisti pericolosi a loro stessi o agli altri.
Ne deduco anche un'altra cosa. Leggete i sintomi dei vari disturbi esposti da Viganò. Molti di noi vi si possono riconoscere. Non significa che siamo tutti affetti da malattie psichiatriche, ma significa che possiamo notare il confine molto labile tra noi che ci consideriamo sani (be', voi, visto che per quanto mi riguarda non ne sono poi così sicuro) e chi viene ritenuto malato. Come recita un verso di Caetano Veloso divenuto da tempo uno slogan molto azzeccato, “da vicino nessuno è normale”. Tuttavia nessuno ha il diritto di imporre la propria versione distorta della normalità a tutti gli altri. 

Andrea Carlo Cappi 





“Quale momento della vita non sarebbe triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso, senza il piacere, e cioè senza un pizzico di follia?” 


Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia 


Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò


1-STATI DI ALTERAZIONE 

Amo identificare il paziente non già come tale, bensì come persona che soffre e nelle cui condizioni potrei essere io stesso. D’altro canto, non è forse vero che la vita ci impone – volenti o nolenti – l’interlocuzione, sia essa simmetrica o asimmetrica, verbale o non verbale? Ma dialogare con altre persone rientra nella vita quotidiana. 
Il discorso vale in particolare per chi è affetto da patologie di tipo psichiatrico, che possono manifestarsi per varie ragioni, inclusa a volte l'età avanzata, il che dunque non esenta nessuno di noi da questa possibilità. 

L’essere umano è, da quando nasce, in continua evoluzione, in una sorta di “dinamismo del divenire”. L'anzianità non deve però venir identificata come “capolinea della vita”, soprattutto da chi è preposto alle cure. Nel soggetto anziano si deve considerare che, oltre alle problematiche fisiche, possono insorgere patologie invalidanti che pregiudicano la qualità della vita anche da un punto di vista psichiatrico: psicosi, depressione, ansia, disturbi cognitivi, demenze possono far parte del processo d’invecchiamento. 

Tra le psicosi rientrano tanto la schizofrenia quanto il bipolarismo, definito come psicosi di tipo affettivo. Prima però di addentrarci in queste tematiche sarebbe opportuno definire come sia strutturata la personalità da un punto di vista psichico di ogni singolo individuo. 
Secondo Freud essa risulta essere costituita da tre componenti: Es , Ego e Super Ego. 
L’Es è la sede di raccolta degli impulsi istintivi. L’Ego è l’organo “esecutivo” della psiche: controlla il movimento, la percezione, il contatto con la realtà e, attraverso meccanismi di difesa, modula l’espressione degli impulsi. Il Super Ego è una sorta di “guardiano sociale” del bene e del male riconosciuti nell'ambito della comunità: costantemente e instancabilmente, svolge il controllo del comportamento degli impulsi, dei pensieri, nonché dei sentimenti. 
L’Es è presente sin dalla nascita, a differenza dell’Ego che si sviluppa, che si modella, nei primi anni della nostra vita. Freud afferma che, qualora insorgano traumi gravi in età precoce, l’Ego non potrà formarsi. In questo caso, come conseguenza, sarà l’Es a prendere il sopravvento. Ciò significa che prevarranno le pulsioni istintuali. In tal modo si svilupperà la strutturazione di una personalità psicotica. 
Avere una personalità psicotica non è necessariamente (e doverosamente) sinonimo di malattia. Soltanto scompensando, ovvero manifestando il proprio disagio, l’individuo con una personalità psicotica sfocia in ciò che può esser definito come patologico. Ne discende quindi che vi siano persone con personalità psicotica che conducono una vita serena,senza manifestazione apparente di disturbo alcuno. 
Quando la personalità psicotica scompensa, manifesta la patologia che può ritrovarsi facilmente anche nella persona anziana: la psicosi. Il prevalere dell’Es sull’Ego è, oserei dire, patognomonico, cioè peculiare e tipico di questa malattia,in quanto l’Ego ha diverse funzioni quali: 
-Controllo e regolazione degli impulsi istintivi 
-Giudizio, cioè la capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni 
-Relazione con la realtà: cioè la capacità di distinguere ciò che “è fuori dal corpo” da ciò che “è dentro il corpo”, la capacità di distinguere le “fantasie interne” dalla realtà esterna, l’adattamento alla realtà, la capacità di formare relazioni vicendevolmente soddisfacenti con altre persone, la capacità di integrare diversi elementi in una “verità globale”. 
L’Ego, inoltre, sarebbe dotato di funzioni autonome che si distinguono in primarie e secondarie. Tra le funzioni autonome primarie si ricordano la percezione, l’apprendimento, l’intelligenza, l’intuizione, il linguaggio, il pensiero e la comprensione. Tra le funzioni autonome secondarie annoveriamo tutti i meccanismi di difesa. 

Si è affermato che quando una struttura psicotica scompensa, sfocia inevitabilmente e inesorabilmente nella psicosi. È interessante chiedersi quando ciò possa accadere. Questa fenomenologia patologica si manifesta quando le pulsioni interne, i desideri, le immagini mentali, i sogni e i bisogni risultano essere molto diversi dalla realtà. È un vero e proprio scontro… uno scontro terribile, succube della variazione omeostatica degli enzimi deputati alla naurorotrasmissione, ovvero un’alterazione del lavoro elettrochimico. Ossia: Lμ≠K (dove K indica la costante omeostatica presente in assenza di patologia). 

Da un punto di vista neurofisiopatologico la psicosi è determinata da alterazioni a livello dei neurotrasmettitori cerebrali. Tutto ciò sarebbe suffragato dall’ipotesi dopaminergica, che consisterebbe in una iperattività dopaminergica della neurotrasmissione. Tale iperattività sarebbe imputabile a una ipersensibilità dei recettori della dopamina o da un aumento dell’attività della dopamina stessa. 

Secondo il Monesi, 

“le sinapsi di ciascun neurone rappresentano generalmente terminazioni di moltissimi neuroni; l’attività di ciascuna cellula è quindi influenzata da molte altre cellule nervose. Lo sviluppo della microscopia elettronica all’inizio degli anni Cinquanta rivoluzionò gli studi sulla struttura delle sinapsi e delle varie parti del neurone, dimostrando, come si è detto, che a livello delle sinapsi non vi è una continuità citoplasmatica da un elemento cellulare all’altro e rivelando una complessa organizzazione della zona di contatto dei neuroni. Le brillanti osservazioni di microscopia elettronica, associate ai risultati delle indagini di biochimica e di elettrofisiologia, hanno condotto ad una conoscenza approfondita di queste importanti zone funzionali del sistema nervoso. Le sinapsi interneuronali sono molto simili nella loro organizzazione ultrastrutturale alle sinapsi neuromuscolari. Le microfotografie elettroniche della sinapsi mostrano la membrana presinaptica e la membrana postsinaptica affrontate e separate, nella maggior parte dei casi,da un sottile spazio intersinaptico di 200-300 Å. La fessura sinaptica è occupata da materiale mucopolisaccaridico di aspetto spesso filamentoso simile al glicocalice degli altri tipi cellulari. Le superfici sinaptiche delle due membrane, presinaptica e postsinaptica presentano ispessimenti circoscritti, dovuti alla condensazione dello strato di neuroplasma sottostante, che ricordano i desmosomi. La terminazione assonica in corrispondenza della sinapsi (bulbo presinaptico) mostra un’organizzazione ultrastrutturale caratteristica che la differenzia nettamente dal neurone postsinaptico col quale è in contatto; sono assenti i neurotubuli e si osservano numerosissimi mitocondri ed un cospicuo numero di piccole vescicole del diametro di 200-650 Å, rivestite di una membrana unitaria ,denominate vescicole sinaptiche. Nella porzione postsinaptica (dendrite o pirenoforo) sono completamente assenti le vescicole e si osservano invece molti neurotubuli che servono da elementi di riconoscimento del neurone postsinaptico .”
(Per una rassegna si veda Valerio Monesi Istologia, Edizioni Piccin & Vallardi). 

Sempre Monesi ci dice che 

“tali sostanze sono denominate mediatori chimici o neurotrasmettitori . Numerose sono le evidenze sperimentali a favore di questa teoria. Tra le più importanti vi sono i risultati degli studi biochimici sui cosiddetti sinaptosomi. Da omogenati di cervello si possono isolare particelle, denominate sinaptosomi, formate dalle terminazioni assoniche e dalle membrane postsinaptiche; le analisi biochimiche dimostrano che i sinaptosomi contengono il mediatore chimico. Esistono molti mediatori chimici della trasmissione dell’impulso. I più comuni sono l’acetilcolina , che rappresenta il neurotrasmettitore principale della sinapsi del sistema nervoso centrale, delle sinapsi neuromuscolari nei muscoli scheletrici (placche motrici), di quelle delle fibre simpatiche pregangliari e delle terminazioni parasimpatiche (sinapsi colinergiche), e la noradrenalina o norepinefrina, che sarebbe il mediatore chimico delle terminazioni postgangliari ortosimpatiche sulla muscolatura liscia e sulle ghiandole (sinapsi adrenergiche). Nel sistema nervoso centrale molte altre sostanze agiscono come mediatori, eccitatori o inibitori, della trasmissione dell’impulso: la noradrenalina (nel locus coeruleus e nell’ipotalamo), l’adrenalina o epinefrina, la dopamina (soprattutto nella substantia nigra del Sommering), la 5-idrossitriptamina o serotonina (globus pallidus, ipotalamo, amigdala), l’istamina, l’acido gamma-amino butirrico (GABA), l’acido glutamico, l’acido aspartico e la glicina. Ciascun neurone utilizza un neurotrasmettitore soltanto, ed uno solo (principio di Dale)”.
(Per una rassegna si veda Valerio Monesi Istologia, Edizioni Piccin & Vallardi).

jueves, 23 de agosto de 2018

Martin Mystère - Le guerre nel buio - Booktrailer



In edicola da Sergio Bonelli Editore per tutta l'estate 2018 il nuovo romanzo originale di Andrea Carlo Cappi con il detective dell'impossibile creato da Alfredo Castelli: Martin Mystère - Le guerre nel buio.

miércoles, 22 de agosto de 2018

MIST presenta Splatterchef - Sobrasada



Dopo la tortilla española e il tumbet, una videoricetta fusion da Splatterchef, il temibile cuoco nudo di Magalluf: risotto alla sobrasada maiorchina. Buon appetito!

lunes, 20 de agosto de 2018

Festa in Rosso a Verbania

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Promemoria di
Fabio Viganò

Nei prossimi giorni, il 25 e 26 agosto 2018, a Verbania ci sarà la Festa in Rosso del Partito Comunista Italiano. Si terrà a Trobaso, presso la Casa del Popolo. Sarà una grande festa, tra persone di buona volontà, al servizio dello Stato e della gente. Sarà una festa popolare, senza alcune distinzione di classe. Sarà una festa comunitaria, di unità d’intenti, di rispetto della Costituzione. Sarà, come si è sempre fatto, una festa nel riconoscimento della persona come essere umano. Sarà momento di riflessione e memoria storica.
Soprattutto occasione per ribadire concetti sacri, istituzionali, costituzionali, da tempo immemore volutamente dimenticati ma sempre validi e presenti nel libro più bello che mai fu edito, scritto a caro prezzo, con il sangue del popolo italiano ma anche a garanzia delle minoranze presenti in Italia. Sarà momento di cultura e di crescita comune.

"L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo,che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". L’Italia non riconosce e, giustamente persegue, "il lavoro in nero”, ovvero senza garanzie per la tutela della salute e del futuro. Il fatto poi che il popolo sia sovrano sancisce la capacità insita nella democrazia del popolo italiano: la scelta politica e la capacità giuridica del popolo,espressa nei tribunali. Infatti le sentenze sono pronunciate "in nome del popolo italiano".
Ora tutto questo potrebbe sembrare stucchevole, noioso e fuorviante dal contesto della festa. La Festa in Rosso, però, d’ampio respiro, vuole essere momento di ricordo, di crescita e di onestà intellettuale, e ribadire i concetti del Comunismo. In definitiva noi siamo l’Italia! Noi siamo l’Europa! Il nostro credo non ha confini perché è garanzia di giustizia, di legalità e di fratellanza con tutte le genti che abbiano intenti comuni.
Nell’articolo 4 della Costituzione si recita testualmente: "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società".
Noi quindi ci riconosciamo nel dovere di crescita della Nazione. Noi non distruggiamo, creiamo! Non abbiamo nulla a che spartire con gli stragisti, da piazza Fontana a Capaci, da via d’Amelio a via Palestro a via dei Georgofili... e ora Genova. Genova, ne sono certo,è tutti noi e tutti noi siamo Genova!
Non dimentichiamo: la tutela della salute pubblica è sancita dalla Costituzione. Il rispetto della Costituzione e della legge è garantito dal Parlamento e dal Consiglio Superiore della Magistratura, di cui il Presidente della Repubblica è a capo.

Nell’articolo 2 della Costituzione si parla dei diritti umani. Cito testualmente: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richieda l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Cosa significa? Semplicemente, che lo Stato garantisce i diritti umani in tutta la loro globalità, se ne assume la responsabilità a tutela del cittadino e invita alla solidarietà politica per il rispetto di tale norma. Ecco quindi che la Repubblica deve garantire il bene della collettività.
Ma, se avrete ancora dubbi, vi invito a recarvi sul lungolago di Intra, Verbania. C'è un monumento ai caduti che recita: "Perché la Patria viva, oggi si muore". Noi ci crediamo. Ci abbiamo sempre creduto. Aiutateci a ricostruire una nuova Italia. Venite alla Festa in Rosso. Ascolterete parole di speranza e di libertà da gente nata libera e che, costi quel che costi, forse cadrà, ma a testa alta e libera!