viernes, 25 de octubre de 2019

Tornatene a casa, Raskayu!

Pablo Picasso, Guernica  (1937)

Cronaca di Andrea Carlo Cappi

Prima di cominciare - scusandomi se per motivi tecnici in questo articolo manca qua e là un'accentazione corretta - vorrei ricordare le parole che sentii pronunciare da Manuel Vazquez Montalban quando presentò il suo libro dal titolo ironico ma dal contenuto molto serio, Autobiografia del General Franco. Il grande scrittore spagnolo dichiarò: "Para mi Franco es un asesino".
Ieri, 24 ottobre 2019, la salma del dittatore spagnolo Francisco Franco è stata esumata dalla sua tomba pubblica per essere traslata in un mausoleo privato: un evento di enorme importanza storica, di cui molti di sicuro non coglieranno il significato.
Un breve riassunto. Il generale Francisco Franco diede inizio il 18 luglio 1936 a un colpo di stato in Spagna, in quel momento una repubblica e una democrazia. Una repubblica perché aveva rigettato una monarchia a quei tempi non costituzionale, una democrazia perché si era liberata della dittatura di Primo de Rivera, fondatore della Falange, cioè un movimento non dissimile dal fascismo italiano.
Il colpo di stato di Franco, benché finanziato da un banchiere (ed ex-contrabbandiere) maiorchino che aveva conti in sospeso con la giustizia della Repubblica e voleva vendicarsi per avere passato qualche tempo in carcere, non ebbe successo completo al primo tentativo, dacché non tutte le città caddero subito in mano all'esercito golpista. Scoppiò così la Guerra Civile spagnola, che sarebbe durata fino al 1939 e fu, come insegnano gli storici, il laboratorio della Seconda Guerra Mondiale.
Le grandi potenze occidentali chiusero un occhio, come se si trattasse di una questione locale (un po' come in questi giorni per l'attacco turco contro i curdi), anche se nacquero le Brigate Internazionali che raccolsero in favore della Repubblica combattenti di mezzo mondo, fin dagli Stati Uniti. Consiglio un ripasso di Omaggio alla Catalogna di George Orwell e Per chi suona la campana di Ernest Hemingway.
Le potenze nazifasciste, cioè Germania e Italia, intervennero invece a favore di Franco con truppe, mezzi e finanziamenti. I fascisti conquistarono le Baleari, che furono teatro di gravi repressioni oltre che base di partenza dei bombardamenti sulla Catalogna da parte degli aerei italiani; pagine di storia che da noi non si raccontano molto spesso. I tedeschi diedero del loro meglio bombardando Guernica (il massacro reso magistralmente dal quadro di Picasso), mentre i loro complici spagnoli davano la colpa di quella strage di civili a fantomatici "dinamitardi comunisti" che avrebbero... fatto esplodere la città.
L'Unione Sovietica interveniva a sua volta, manovrando i movimenti marxisti a lei fedeli, perseguitando la sinistra non allineata con il Komintern e provocando danni irrimediabili. Il fronte repubblicano aveva infatti grossi problemi tra le sue file. C'era chi pensava che fosse il momento opportuno per fare la rivoluzione e si dedicò a uccidere preti e padroni (non tutti necessariamente colpevoli di qualcosa, ma vuoi mettere la soddisfazione di ammazzare impuniti chi ha il potere?) C'era chi obbediva ciecamente a Stalin, l'altro mostro dell'epoca, e cercava di sottomettere la Spagna a un regime di matrice diversa da quella di Franco. Con tanti fanatici al proprio interno e i nazi-fasci-franchisti all'esterno, nel 1939 la Repubblica venne sconfitta, condannando molti democratici all'esilio o alla repressione, spietata e prolungata. Di lì a poco aveva inizio la Seconda guerra mondiale, spostando i combattimenti dalla Spagna all'Europa e infine ovunque.
Nondimeno, Franco fu più abile degli altri dittatori dell'epoca. Non si lasciò trascinare nel nuovo conflitto, forse spinto dal banchiere maiorchino di cui sopra, pagato dai servizi segreti inglesi; forse consigliato dall'ammiraglio Canaris, capo del servizio segreto militare tedesco, avverso al nazismo. Il "generalissimo" seppe fare doppi giochi e alleanze opportune a livello internazionale, seppe persino ammorbidire certi aspetti della dittatura quando gli faceva comodo, aprendo il paese al turismo e al mondo. Anche se non risparmiava l'uso della garrota, uno degli strumenti più brutali per eseguire una condanna a morte.
Il rapporto del dittatore con la Spagna fu come le storie di violenza domestica che culminano nei femminicidi. Un giorno Franco le regalava fiori, treni, dighe, il giorno dopo riempiva le fosse comuni di oppositori del regime. Il paragone con il femminicidio non è campato in aria. Non a caso il ruolo della donna nella Spagna franchista era proprio quello di un contesto machista, con tanto di enciclopedia di regime in cui le si insegnava come essere una brava casalinga, ad avere rapporti sessuali per dare figli alla patria e, naturalmente, a essere cattolica osservante. Non parliamo poi di come veniva vista l'omosessualità. Da questo si capisce molto del senso liberatorio del cinema di Almodovar subito dopo la fine della dittatura.
Durante il suo dominio, durato trentasei anni, Franco impose persino la riconciliazione postbellica, fabbricando El Valle de los Caidos, un cimitero in cui erano sepolti tanto i "nazionalisti" (franchisti) quanto i repubblicani... anche se alle famiglie di questi ultimi defunti di rado veniva richiesto il permesso per trasferire le salme. D'altra parte era già tanto che potessero sapere dov'erano sepolti i loro cari: molti parenti dei desaparecidos della repressione non hanno tutt'oggi questo privilegio.
Ma alla sua morte nel 1975, benché Franco pensasse di essere sepolto accanto alla moglie in un mausoleo di famiglia, il suo corpo venne inumato proprio nella tomba di maggior lustro della Valle, dove lo stesso dittatore aveva fatto traslare la salma del suo predecessore Primo de Rivera. Solo che Franco - a differenza di Primo de Rivera - non era un caduto della Guerra Civile. Era la causa della Guerra Civile, morto nel suo letto grazie alla sua spregiudicata capacità di sfruttare a proprio vantaggio la Guerra Fredda.
Nel 1975 la Spagna tornò alla monarchia, ma contro ogni previsione il re Juan Carlos I non volle mantenere lo status quo. Creò un'assemblea costituente, che portò alla Costituzione democratica del 1978, restituendo alla Spagna molti diritti finora negati per quarant'anni, tra cui autonomie e lingue regionali, ripristinando basco, catalano e galiziano come lingue ufficiali (ce ne sarebbero altre ancora), legalizzando i partiti di sinistra, insomma riportando il Paese ai tempi della Repubblica. Nel 1981 la Spagna resistette a un tentato golpe militar-franchista, quando il 23 febbraio il colonnello Tejero occupò il parlamento. 
Sono passati 40 anni perché, attraverso la Ley de Memoria Historica del 2007 e una decisione parlamentare del 2012, si risolvesse l'aspetto più delicato: cosa ci fa il dittatore nella "Valle dei Caduti"?
In questi ultimi giorni il governo socialista è riuscito a portare a termine un lavoro durato anni, cioè l'esumazione del dittatore - rispettosa di ogni diritto umano - dal luogo in cui giacciono le vittime di guerra di ogni parte politica, perché fosse sepolto nella sua tomba di famiglia. Guarda caso, per scelta dei parenti del dittatore, il sacerdote che ha officiato la cerimonia privata della nuova sepoltura di Franco è figlio del golpista Tejero. Affari loro e dei nostalgici che fuori dal cimitero esibivano le loro vecchie bandiere.
Ciò che importa è la lezione di democrazia, rispetto e memoria storica in un Paese che molti all'estero accusano ingiustamente di neofranchismo. Questo solo perché la Spagna nega alla minoranza dell'indipendentismo catalano - da quarant'anni al potere nel governo autonomo - la facoltà di imporre una dittatura tangentista e razzista a più di metà della popolazione della regione, che non è d'accordo ma è costretta al silenzio, quando non alla paura di ritorsioni in ambito sociale, scolastico o lavorativo. Di questo all'estero non si parla. E non solo: la stessa dictadura catalanista intende occupare le zone limitrofe, già soggette a pesanti intromissioni politiche e linguistiche. Altra cosa di cui all'estero non si parla.
Le spinte indipendentiste continuano a sabotare il governo del socialdemocratico PSOE, vincitore delle ultime due elezioni, costringendo la Spagna al voto il 10 novembre 2019. Si assiste nel frattempo, come reazione contro instabilità e secessionismo, all'ascesa politica di Vox, movimento di chiara ispirazione franchista. "Un fascista è un liberale spaventato", dice saggiamente un altro grande scrittore spagnolo, Juan Madrid. Non a caso, in Italia, Salvini fa il tifo per Vox e dal raduno della destra plaude agli indipendentisti catalani.
Ma ieri la Spagna ha ridimensionato finalmente il suo ingombrante dittatore. 
E qui mi viene in mente un brano datato 1943 del cantante maiorchino Bonet de San Pedro, che da poco ho scoperto nelle mie ricerche per alcune storie che sto scrivendo. Bonet citava una canzone di Louis Armstrong del 1932, You Rascal You, il cui testo diceva "Sarò lieto quando muori, mascalzon". Nella sua Raskayu il maiorchino scriveva "Raskayu, quando muori che fai tu? Tu sarai un cadaver, niente più." Fu un successo, malgrado il brano fosse stato censurato dalla Radio Nacional, perché qualcuno aveva intuito un riferimento a Franco.
Ci sono voluti più di settant'anni, ma Raskayu oggi è solo un cadavere, niente più.



jueves, 3 de octubre de 2019

La Guerra Fredda secondo Giovanni Ingrosso


Recensione di Andrea Carlo Cappi

Presentazione del volume: giovedì 3 ottobre 2019, ore 19.00, Milano, Admiral Hotel, via Domodossola 16.

«Passato e presente sono contenuti nel futuro», diceva T. S. Eliot, «e il futuro è contenuto nel passato.» Questa è la chiave dell'esame che Giovanni Ingrosso – che già ho conosciuto e presentato come ottimo romanziere – fa dell'era della Guerra Fredda, unendo la conoscenza della storia alle sue capacità di narratore in questo saggio apparentemente breve (un centinaio di pagine) ma tanto denso quanto scorrevole. 
Chiunque scriva di quell'epoca – me compreso – non può fare a meno di andare a cercarne le radici indietro nel tempo: alla Seconda guerra mondiale, agli anni Trenta, talvolta alla Prima guerra mondiale. Ma l'autore di Un conflitto lungo cinquant'anni – Diversi sguardi sulla Guerra Fredda (edito da Il Cielo Stellato nella collana Quattro passi nella storia, 12,90€) va molto oltre. Con una brillante sintesi, riassume nei capitoli di apertura la storia precedente dei principali attori (USA, Russia, Regno Unito e Germania), identificando gli elementi che si riproporranno poi nel periodo 1946-1989. L'effetto è quello di guardare un grande quadro alla giusta distanza focale, anziché soffermarsi sui dettagli. Tratti e sfumature diventano molto più comprensibili.
Su questa base, Ingrosso può studiare equilibri e squilibri post-bellici, l'evoluzione della politica fino agli anni di Reagan e Gorbachev, le influenze reciproche tra politica ed economia (anche in chiave militare) e l'attività di intelligence; non a caso la Guerra Fredda è l'epoca che tutti percepiscono più legata al mondo dello spionaggio.
Ma l'autore non trascura i riflessi sull'arte e sulla cultura, elitaria o di massa – da La corazzata Potemkin a Rambo III passando per James Bond e Jackson Pollock, i Beatles e la fantascienza anni Cinquanta – e su come certe forme di espressione fossero modulate o interpretate in base a (o in funzione di) diverse necessità ideologiche o propagandistiche.
L'analisi sugli aspetti industriali ed economici è forse quella più stimolante, specie quando ci viene spiegato come proprio questi fattori abbiano determinato la fine della Guerra Fredda, esattamente trent'anni fa.
Ingrosso sottolinea infine un elemento importante che ha dominato tutto quel periodo: la paura. L'angoscia della contaminazione capitalista da una parte e dell'avvento del comunismo dall'altra. L'incubo dell'olocausto nucleare per entrambi i blocchi: una sensazione familiare anche per chi negli anni Ottanta non pensava solo all'edonismo reaganiano ma ricorda termini tecnici come MAD (sigla in inglese di mutual assured distruction, distruzione reciproca garantita) o le sequenze più agghiaccianti di The Day After di Nicholas Meyer.
Al termine della lettura vale ancora la citazione di Eliot su passato, presente e futuro. Quando l'autore parla di keynesismo militare, strumentalizzazione politica della paura e isolazionismo economico statunitense, ci offre spunti di riflessione sulla storia recente e sulla cronaca globale del momento in cui viviamo.

Berlino, 1979 (foto di Alessandro Cappi)

martes, 17 de septiembre de 2019

Federico Redigolo: quando il genio diventa arte


Incontro e fotografie di Fabio Viganò

Ricordo di averlo incontrato per caso. Bighellonavo in quel di Segrate, piuttosto annoiato. D’un tratto lo scorsi. Furtivamente, stava posizionando la sua ultima opera, una tartaruga intagliata nel legno, proprio sul marciapiede. È noto, da quelle parti si cammina in modo alquanto celere: il lavoro incombe. Quindi, attraversata la strada, si sedette sulla panchina posta all’altro lato della via, poco distante.
Ero con lui, a osservare. Federico si divertì sin da subito a guardare le persone che schivavano la povera e ignara tartaruga. Rideva, sghignazzava sommessamente. In realtà la sua non era altro che una sfida intellettiva. Nessuno avrebbe rischiato. Non vi era pericolo alcuno, nemmeno per la tartaruga ricavata dal legno.


Federico da sempre osserva la materia. Alla prima occhiata capisce cosa racchiuda in sé. Talvolta è un serpente, altre volte un cane, un coccodrillo, oppure, come nell’aneddoto riportato, una tartaruga. In lui è racchiusa la genialità dell’artista intagliatore del legno nonché la semplicità del bambino. A lui, e a pochi altri ancora, è dato capire cosa sia celato, racchiuso oltre l’apparenza del mondo quotidiano.


Persino un semplice bastone da passeggio, scolpito da lui, diventa un pezzo unico di rara bellezza, che pare sempre sul punto di prender vita. Il suo dono è la genialità. Non chiedetegli come faccia: per lui è naturale  redimere ciò che parrebbe non avere più senso nella vita. La natura morta diviene viva. Nelle sue mani e, prima ancora nel mondo delle idee, ovvero nel cervello, si rinnova la creazione.
Se lo vorrete scoprire non vi resterà che recarvi a Segrate, in via Mattei al numero 3. Vi aspetta una bella sorpresa!



jueves, 5 de septiembre de 2019

San Gaudenzio a Baceno



Fotografie di Fabio Viganò


La bellezza del romanico nella chiesa di San Gaudenzio (secolo XIII) a Baceno, provincia del Verbano-Cusio-Ossola.



























jueves, 29 de agosto de 2019

La chiesa di Mogno


Fotografie di Fabio Viganò


Chiesa progettata a Mogno (Canton Ticino, Svizzera) dall'architetto Mario Botta, completata nel 1996.













martes, 20 de agosto de 2019

Viva l'Italia!

Felice Donghi, Cinque Giornate di Milano, barricate (1848)

Riflessioni di Fabio Viganò

Non che si voglia insegnare niente a nessuno. Siamo italiani! Siamo persino orgogliosi di esserlo. Crediamo nella Costituzione perché la Costituzione è il nostro Vangelo. Crediamo fermamente nel fatto che la Repubblica  sia, per destino, deputata a tutelare la Vita dei propri cittadini nonché delle persone bisognose. Sottolinerei persone, in quanto oggigiorno gli esseri umani, come tali non sarebbero riconosciuti. Esisterebbero soltanto migranti o clandestini. Mai una volta che si parli di esseri umani!
A proposito di legge, che potrebbe essere indicata come motivazione  della scelta: ricordo che la legge tutela la Vita e non istiga all’omissione di soccorso né all’abbandono di persone incapaci, ricorrendo a minacce stravaganti di multe che nemmeno a Fantasilandia appiopperebbero. Stupisce tutto questo e infastidisce chi crede non solo nel valore del Tricolore ma nei sani principi di una politica istituzionale da troppo tempo ostaggio di fanatismi estremisti che tradiscono  gli ideali per cui i Nostri Padri si sono immolati.
Si vuole ricordare che essi si sono immolati per donarci valori impagabili quali Libertà e Democrazia. Nonostante tutto, credo ancora nel mio popolo che so essere sempre pronto al sacrificio, che so essere indomito e, di certo, essere fieramente orgoglioso di rappresentare le barricate di Milano, Napoli, battendosi e, se la sorte lo imponesse, sacrificarsi come Goffredo Mameli contro l’oppressione austriaca in quel di Milano.
La Storia siamo noi, il popolo. Scriviamola dunque, per difendere la sacralità  della nostra Costituzione, della Libertà e della Democrazia. Viva l’Italia!

viernes, 2 de agosto de 2019

Black - La Bodega (racconto del venerdì)

Salve a tutti e benvenuti al racconto del venerdì... evento sempre più raro, lo ammetto, data la scarsità di tempo libero. Ma ho appena finito una traduzione e un racconto per un'antologia di fantascienza e rock che potrete leggere tra qualche mese, sicché avevo voglia di improvvisare qualcosa su Toni Black. Del resto, non so voi, ma avevo la curiosità di sapere se ci sono stati sviluppi con Helena Vizard alias Cleo, dopo che si sono conosciuti in Agente Nightshade - Effetto Brexit. Oh, di sicuro ce ne sono stati sull'indagine di Nightshade, ma questo lo scoprirete verso metà agosto da un paio di quotidiani. Intanto, buona lettura e buon weekend dal vostro K.



LA BODEGA 

Una serata di Black e Cleo 



Racconto di Andrea Carlo Cappi 

Magaluf, Maiorca, 31 luglio 2019 

A Milano, mi spiega lei, alcune delle pizzerie migliori sono egiziane e la maggior parte dei ristoranti giapponesi è a gestione cinese. Per questo non si è stupita più che tanto quando le ho detto che La Bodega, a mio avviso il miglior tex-mex della zona di Palmanova e Magaluf, ha uno staff svedese.
Oh, lei è Helena. Helena Vizard, detta Cleo. A dispetto del nome, è italiana e collabora con un gruppo di persone con cui ogni tanto ho a che fare anch'io. Non ve ne posso parlare, caso mai chiedetelo al mio amico Paco Torrent. Sono autorizzato solo a dirvi che è una ventiquattrenne nera graziosissima, brillante e radiosa. È più bassa di me e in effetti potrebbe sembrare la mia sorellina minore, se non fosse che “radioso” non è il primo aggettivo che vi viene in mente se mi guardate in faccia. 
Mi faccio chiamare Toni Black, lavoro come fotografo per matrimoni, buttafuori e detective privato senza licenza. Ho conosciuto Helena qualche mese fa, quando abbiamo seguito un caso che riguardava la Brexit... che ancora non c'è stata, ma qualcuno ha cercato di renderla ancora più dolorosa del necessario. Helena è tornata a Maiorca per discutere con Paco e Harvey di questioni di cui – appunto – non vi posso parlare. 
Be', siamo in estate e lei ha finito presto. Quindi l'ho invitata a Magaluf per un aperitivo italian style a El Ultimo Paraiso, sulla spiaggia sotto casa mia; poi abbiamo fatto due passi, durante i quali mi ha raccontato di quando tre anni fa Nightshade l'ha tirata fuori dai guai in una città sulla costa libica; e intanto l'ho pilotata verso calle Pinada, per proporle una cena tex-mex a La Bodega. 
Per cui siamo seduti a un tavolino a deliziarci con un filetto di maiale Nuevo Mejico (lei) e una steak pimienta (io), insieme a una bottiglia di vino con l'etichetta de La Bodega, che poi è un pregevole rosso di Maciá Batle del 2018, servito alla giusta temperatura. Non posso negare che, da quando la conosco, Helena Vizard si è piazzata al primo posto come candidata a donna della mia vita (della mia vita). Il problema non è che lei sia più giovane: la mia età mentale è rimasta più o meno ai sei anni, quindi per me una che ne ha ventiquattro è una donna matura. Il problema è che io viaggio poco e preferisco lavorare sul mio terreno, mentre lei con il suo mestiere è sempre in giro per il mondo. 
Be', ora Helena è qui. Hic et nunc, direi, se sapessi il latino. Da mezzanotte alle sei lavoro come buttafuori a El Palacio Disco Pub: gli inglesi continuano a dire che lasciano l'EU, ma i loro ragazzi non hanno smesso di ubriacarsi qui in calle Punta Ballena. Però domani Helena ha tutto il giorno libero. Potrei portarla in spiaggia a Cala Falcó... 
Un taxi si ferma in calle Pinada. Dal lato della strada ne spunta un tipo alto, magro ed elegante, sui sessant'anni, con i capelli bianchi. Quando entra a La Bodega mi fa venire in mente un'espressione che usano gli americani: “come se il posto fosse suo”. 
A bordo è rimasto qualcun altro, che paga, poi fuoriesce laboriosamente dall'auto. Quando la sua mole ansimante si sposta sul marciapiede, il taxi sembra quasi rimbalzare in aria sulle sospensioni. Il secondo passeggero è un tipo più giovane, basso e obeso, che trascina con sé una valigetta metallica. Raggiunge l'altro facendosi largo fra i tavoli con il passo asfittico di un brontosauro sulla via di estinzione. 
Il proprietario del ristorante si avvicina sorridente ai due nuovi arrivati. Orbene: Richard detto “Ricardo” è un giovanotto sportivo che non assomiglia particolarmente né a Björn Borg né a Max von Sydow e nemmeno agli Abba. Ma, a prima vista, non mi fa nemmeno pensare a Totò o ai fratelli De Filippo. Quindi mi sorprendo quando il signore elegante si mette a parlargli in un napoletano stretto e indecifrabile. Scambio un'occhiata con Helena: quanto dice è incomprensibile anche per lei. 
Ancora di più lo è per Richard, che si rivolge a loro in spagnolo, chiedendo cosa desiderino. 
Il signore elegante passa a un italiano più comprensibile, ancorché accentato. «Sei tu Riccardo?» domanda. 
«», risponde Richard, che questo l'ha capito. 
L'uomo elegante fa un cenno al brontosauro, che appoggia la valigia metallica su un tavolo libero. «Allora, qui ci stanno i soldi che ti dobbiamo dare noi. Dove stanno quelli che ci devi dare tu?» 
Richard smette di capire. 
Mi alzo e mi avvicino. Un tipo nero alto un metro e ottanta, con baffi e basette anni Settanta, e aria incazzata, non ha difficoltà a entrare in qualsiasi conversazione. Mi rivolgo al tipo elegante. «Mi scusi», comincio cortesemente in italiano, senza preoccuparmi di occultare l'accento spagnolo. «È sicuro di essere nel posto giusto?» 
«E tu cosa vuoi?» dice il brontosauro. «Tornatene al tuo paese.» 
È evidente che questi si scordano di non essere per primi a casa loro. Né possono sapere che io sono nato qui e non sono venuto a rubargli il lavoro, le donne e chissà che altro. Ma non è perché sono un tipo comprensivo che evito di spaccargli la testa come una noce di cocco. 
Me ne astengo perché ho notato il movimento della mano destra del tipo elegante, che ha scostato di un centimetro la giacca come se dovesse sfilare qualcosa dalla cintola. E anche il brontosauro potrebbe essere armato, tra i rotoli di grasso sotto il camicione fuori dai pantaloni. Non è mai il caso di scatenare una sparatoria in uno dei propri ristoranti preferiti, specie se si è lasciata a casa la .327 Magnum. 
Continuo a fare il gentile e rivolgermi al tipo elegante. «È sicuro che sia questo il ristorante che cerca? Vede, il signor Richard è svedese e non parla italiano.» 
La mano dell'uomo lascia il lembo della giacca e pesca un biglietto da una tasca. «La Bodega Argentina di Riccardo LoTurco, El Arenal.» 
«Ora è tutto chiaro», gli sorrido rassicurante. «Qui siamo a Magaluf, a ovest di Palma, e questo è La Bodega. El Arenal è a est.» 
Il tipo elegante si guarda intorno: larghi sombreros e ghirlande di peperoncino che pendono dalle travi del soffitto. Ascolta la voce di Johnny Cash dagli altoparlanti, che in effetti non richiama alla mente Caminito. 
Poi dà uno schiaffo alla testa del brontosauro e lo apostrofa in napoletano. L'unica parola che capisco è gugolmeps. Si rivolge a Richard. «Mi chiama un taxi?»
Il proprietario non ha capito molto della situazione, ma il taxi arriva in un paio di minuti e i due se ne vanno con la loro valigia. Mentre l'auto risale calle Pinada, mi risiedo a tavola e prendo il cellulare. 
«Yañez? Toni Black. Scusa l'ora. È in corso un'operazione di riciclaggio. Tra una mezz'ora due italiani consegneranno una valigia piena di soldi sporchi a un certo Riccardo LoTurco in un ristorante a El Arenal, per andarsene con una di soldi ripuliti.» Gli do il nome del locale e una breve descrizione dei due, il tenente mi ringrazia e ci salutiamo. 
Helena mi sorride da dietro il calice di vino. «Che stile», commenta. 
Ricambio il sorriso. «Tra mezz'ora la Guardia Civil sarà al ristorante e li coglierà sul fatto.» 
Be', che altro dire? Richard è così gentile da offrirci gelato e whisky a fine pasto. Non so come andrà con Helena, ma domani ho una giornata da passare con lei. 
Carpe diem, direi, se sapessi il latino.



©Andrea Carlo Cappi, 2019




Jhelena nel ruolo di Helena Vizard in una foto di A. C. Cappi


Toni Black è il protagonista di "Black Zero", "Black and Blue" e "Back to Black" di Andrea Carlo Cappi, editi in volume da Cordero Editore e in ebook da Algama ("Back to Black" di prossima uscita in digitale).
Helena Vizard alias Cleo è apparsa in "Agente Nightshade-Fattore Libia", "Agente Nightshade-Territorio Narcos" e "Agente Nightshade-Effetto Brexit" di François Torrent, ora disponibili in ebook da Segretissimo Mondadori.
Non dimenticate le riedizioni dei primi volumi della serie "Nightshade", in uscita (anche in ebook) a partire da "Nightshade-Missione Cuba", già disponibile su Amazon e in libreria da Oakmond Publishing.

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