"Ama, ama follemente, ama più che puoi e, se ti dicono che è peccato, ama il tuo peccato e sarai innocente." (William Shakespeare)
sábado, 8 de marzo de 2025
Vita da pulp - 8 marzo in (profondo) rosso
domingo, 8 de noviembre de 2020
Due detective e un Fantasma
Dietro le quinte di un giallo, di Andrea Carlo Cappi
Uscito in edicola il 3 novembre 2020 come numero 15 della collana I Gialli di Crimen e disponibile anche in ebook (epub e kindle), il volume Partita a scacchi per Sherlock Holmes porta in copertina i nomi dei due autori, Rino Casazza e Andrea Carlo Cappi. I lettori del primo non se ne sorprendono: da tempo incontrano nelle sue pagine eroi del giallo classico restituiti alla loro antica gloria. I lettori del secondo potrebbero pensare invece che io abbia deciso di dedicarmi a un apocrifo del leggendario personaggio di sir Arthur Conan Doyle. Chissà che non lo faccia davvero, un giorno. Ma il mio contributo a questo libro, pur essendo stato determinante per la sua esistenza... ha a che fare con Holmes solo in maniera molto trasversale.
Tutti conoscono Sherlock Holmes e il suo biografo-assistente dottor John Watson, creati da sir Arthur Conan Doyle intorno al 1887. Pochi sanno che prima di loro, nel 1841, era apparsa un'altra coppia investigativa: quella costituita dal cavalier Auguste Dupin, consulente della polizia di Parigi, e da un suo anonimo assistente-biografo che potrebbe coincidere, chissà, con l'autore stesso: Edgar Allan Poe. Ebbene sì: lo scritttore maudit ricordato per le sue storie tra gotico, incubo e irrazionale è anche, soprattutto con i suoi tre racconti dedicati a Dupin, il fondatore della letteratura mystery o, per usare il termine italiano, della narrativa gialla. Mai prima della trilogia di Dupin (I delitti della rue Morgue, Il mistero di Marie Roget, La lettera rubata) era apparso un personaggio che di mestiere facesse il detective.
Le analogie tra la notissima coppia Holmes-Watson e la meno famosa Dupin-anonimo sono inequivocabili. Il ruolo del biografo/co-protagonista è innanzitutto quello di intermediario tra l'eroe - un investigatore geniale i cui processi mentali sono di livello molto superiore alla media - e il lettore, che non capirebbe i ragionamenti del detective se questi non fosse costretto a spiegarli al suo accompagnatore che, come noi, non li ha capiti. L'abbinamento detective-assistente ideato da Poe e ripreso da Doyle si ritroverà in molte versioni diverse nella letteratura gialla successiva: Agatha Christie metterà a fianco di Hercule Poirot il capitano Hastings, alternato a molte altre spalle tra cui la scrittrice Ariadne Oliver, alter ego dell'autrice; Rex Stout attribuirà al sedentario investigatore Nero Wolfe il fido braccio destro Archie Goodwin, che è di fatto un detective hardboiled. Oltretutto (come notava Carlo Oliva nella sua Storia sociale del giallo) i protagonisti più geniali in questa lunga stagione letteraria sono sempre dipinti come individui solitari, eccentrici e pieni di manie, cui l'assistente fa da contraltare con la propria normalità.
Un altro aspetto significativo è che tanto Dupin quanto Holmes sono consulenti esterni delle forze dell'ordine, rispettivamente della Sûrété e di Scotland Yard. I poliziotti sono dipinti come burocrati o come sbirri buoni solo a inseguire e acciuffare ladruncoli in flagranza di reato, ma del tutto impreparati a risolvere un mistero. Quando si verifica un caso del genere, devono trovare qualcuno che ne capisca ben di più. Come ho scritto altrove, forse questo pregiudizio nasce dal fatto che la prima forza di polizia moderna, appunto la Sûrété, si è formata impiegando criminali usciti dalle patrie galere, bravissimi dunque a ragionare come i loro ex-colleghi, ma inadeguati di fronte a enigmi insolubili. Bisognerà aspettare l'era del commissario Maigret per assistere alla rivalutazione del poliziotto professionista.
Altro elemento in comune tra Dupin e Holmes è il metodo: l'attenta osservazione dei dettagli li porta a ricostruire un quadro completo della situazione. Ma c'è un aspetto fondamentale in cui i due investigatori sono diversi. Holmes distingue elementi chiave dove gli altri guardano senza vedere. Dai suoi rilievi sulla scena giunge per induzione a determinare l'accaduto, celebrando il trionfo del moderno metodo scientifico. Se nella letteratura britannica all'inizio dell'Ottocento la scienza era ancora ai confini con l'alchimia o addirittura con la magia (si pensi a Frankenstein), alla fine del secolo tenta il processo inverso, esplorando in modo nuovo persino i territori della superstizione: Holmes smitizza il Mastino dei Baskerville, mentre il Van Helsing di Bram Stoker affronta Dracula usando con rigore scientifico persino gli esorcismi della tradizione.
Dupin, pur essendo il predecessore di Holmes, è già un passo avanti rispetto a lui, potremmo quasi dire che è già un detective postmoderno nonostante sia anche il primo detective moderno. Il suo metodo scientifico si basa infatti sul riconoscimento dell'errore. Quando lui viene chiamato a indagare, la polizia ci ha già provato, ma ha fallito. Dupin interviene, in un certo senso, con un'indagine sull'indagine, in modo quasi parassitario. Identificando i pregiudizi mentali o le sviste che non hanno permesso ai poliziotti di arrivare alla soluzione del caso, va a guardare dove gli altri non hanno proprio pensato di cercare. E, come insegna la magistrale conclusione de La lettera rubata, è proprio lì che si chiarisce il mistero.
Nondimeno, checché ne dica Conan Doyle, che al suo personaggio fa prendere dichiaratamente le distanze da Dupin, le somiglianze tra i due personaggi sono notevoli. Lo sa bene Rino Casazza, scrittore e cultore del giallo classico, tanto da dedicare una parte della sua produzione a eleganti pastiche, producendo anche curiosi e inediti incontri tra creature di autori diversi. Ho conosciuto Rino nel 1995, quando lavoravo come editor per Il Giallo Mondadori. Non a caso in quel periodo aveva dato vita a un personaggio di nome don Patrizio Bruni, un sacerdote detective che si rifaceva, in tempi moderni, al Padre Brown di G. K. Chesterton. Di recente è uscito per I Gialli di Crimen il suo Sherlock Holmes, Charlie Chan e il salvataggio del Titanic: tre miti in un solo titolo.
Ma l'origine di Partita a scacchi per Sherlock Holmes risale agli anni Duemila e il suo nucleo è una mia responsabilità. Mi era stato chiesto di partecipare a un'antologia (poi, come tanti bei progetti, non realizzata) contenente racconti i cui protagonisti fossero celebri cattivi della letteratura. Come autore dei romanzi di Diabolik, decisi di occuparmi del predecessore letterario del personaggio delle sorelle Giussani: Fantômas di Allain & Souvestre, ladro e assassino in grado di assumere mille identità. I due romanzieri francesi non avevano mai raccontato il primo scontro tra il criminale e il suo avversario, l'ispettore Juve, presentandoli entrambi quando la sfida tra loro era già in atto. Era uno spunto interessante da cui partire.
Immaginai dunque che Juve fosse ancora un giovane viceispettore, vessato da un superiore incompetente, e che per risolvere un caso inspiegabile in cui sospettava che fosse coinvolto un criminale inafferrabile si rivolgesse al più grande consulente della polizia parigina, ormai molto anziano e a riposo: nientemeno che Auguste Dupin. Era l'occasione per narrare uno scontro titanico tra un genio dell'indagine al tramonto e il genio del delitto in ascesa. Ne venne fuori una storia che potrebbe essere definita racconto lungo o, per la sua complessità, romanzo breve. In base a quanto Edgar Allan Poe aveva scritto in merito al gioco preferito di Dupin, intitolai la storia Il gioco della dama, anche perché la trama ruotava intorno a una belle dame coinvolta nel piano criminale.
L'antologia non fu realizzata, il racconto rimase inedito e me ne dimenticai. Dopo qualche anno mi ricapitò sotto gli occhi: non mi ricordavo quasi più la trama e rileggendolo ebbi qualche sorpresa; così lo pubblicai online a puntate e in seguito lo raccolsi in un ebook presso Dbooks, mentre scrivevo altre due storie su Fantômas, ribattezzato cautamente Phantômas per non inciampare in questioni di copyright e poi, per maggior sicurezza, rinominato "il Fantasma", il nome scelto anche da Stefano Di Marino per lo stesso personaggio nella sua serie sulle Brigate del Tigre. Una delle mie storie fu il brevissimo prequel Fuori di Senna, per un'antologia i cui racconti dovevano essere ambientati in varie edizioni delle Olimpiadi (scelsi quella di Parigi del 1900) ed essere lunghi esattamente 2012 battute. L'altra storia, per la rivista digitale Action diretta da Stefano Di Marino presso Dbooks, fu il sequel La rosa e il serpente, cronologicamente posteriore alla fine del primo ciclo del Fantômas originale di Allain & Souvestre; qui il criminale, che a questo punto della sua saga si sta facendo credere morto, si trova a Milano nel 1914 e vendica a modo suo l'assassinio della Rosetta della Vetra, celebre caso di cronaca dell'epoca celebrato da una famosa canzone della mala.
Ma nel frattempo Rino Casazza aveva letto Il gioco della dama e preso due decisioni: primo, da appassionato di scacchi doveva smentire le affermazioni di Dupin sulla superiorità, appunto, del gioco della dama; secondo, non poteva permettere che il primo detective della storia del giallo, tornato in attività, scomparisse di nuovo nell'oblio. Perciò mi chiese il permesso di continuare il ciclo, raccontando di scontri successivi tra il detective e il Fantasma, oltre a un precedente incontro tra Holmes e Dupin. Ecco come nacquero il prequel Sherlock Holmes, Auguste Dupin e il match del secolo, che ora apre il nuovo volume, e Il miglior gioco, che lo chiude; dopodiché Rino continuò la serie con altri romanzi.
Da questo percorso nasce Partita a scacchi per Sherlock Holmes, in cui la parte centrale, intitolata Il Fantasma, riunisce le mie tre storie sul criminale: Fuori di Senna, Il gioco della dama, La rosa e il serpente. Quindi non ho scritto - per ora - neppure una riga con il personaggio di sir Arthur Conan Doyle, ma ho contribuito a restituire a quello di Edgar Allan Poe il ruolo di pioniere che gli spetta nella storia del giallo, mettendolo di fronte a un nemico che avrebbe dato filo da torcere ai migliori investigatori letterari di ogni tempo. Compreso Sherlock Holmes.
martes, 8 de septiembre de 2020
Io sono il Male
Imprecazioni di Andrea Carlo Cappi
Salve a tutti. Mi presento. Sono il Male.
Da cosa ne ho avuto conferma? Poco fa, a Milano, lavoravo fumando sul balconcino, seduto su uno sgabello con il computer appoggiato sul davanzale: una delle mie postazioni abituali. Stavo pensando che, finito il mozzicone di toscano, essendo il mio compleanno avrei potuto anche accendermi uno dei sigari centroamericani della mia scorta. Ma una signora mi ha avvistato e con molta cortesia mi ha fatto sapere che dalla finestra della sua cucina - almeno una dozzina di metri più in là, sfidando le leggi della fisica - entrava il fumo che la infastidiva.
Ora, è vero che io sono il Male, ma sono anche un gentiluomo. Se una signora mi lascia gentilmente intendere che devo spegnere il sigaro, lo spengo. Non rispondo con frasi sgradevoli tipo 'Signora, chiuda la finestra'. Non rispondo nemmeno 'Signora, già che è in cucina, apra il gas nel forno e ci metta dentro la testa', anche perché, da quando il metano ha preso il posto del gas-città, saturarne una stanza comporta non l'asfissia del singolo bensì la potenziale esplosione del caseggiato. Ma il metano, si sa, ti dà una mano.
Il problema non è il metano, che richiede prese d'aria sufficienti per non fare un cratere delle nostre case. Tant'è che non sarebbe neppure necessario tenere aperte le finestre, se non in piena estate. Del resto spesso in questa zona, dalle sette di sera alle otto del mattino, è opportuno tenere le finestre ben sigillate, a causa dei fetori che aleggiano per buona parte della notte. Non so cosa siano: sono diversi dall'odore chimico di smog che sentivo in un'altra zona della città da bambino nei primi anni Settanta, spesso abbinato a una nebbia che ricordo luminescente e fluorescente, come la rividi un decennio dopo ne Il ritorno dei morti viventi.
Questi fetori notturni sono diversi anche dalle emanazioni che sentivo salire dal cortile ai tempi del liceo e di cui, da lettore di gialli, riconoscevo il caratteristico aroma di mandorle amare. Per non parlare di quando vivevo ai margini dell'Area C, per cui il traffico si concentrava nella mia strada e oltre all'inquinamento c'erano anche le vibrazioni. Quell'odore di gas di scarico, qui lo ritrovo all'angolo della strada, dove una strettoia, con un semaforo e la fermata dei bus, si trasforma in una camera a gas. I fetori notturni invece non sono ancora identificati.
Ma il problema non è l'inquinamento. Il vero problema sono i fumatori. E ancora sono tollerati i fumatori di sigarette (convenzionali o elettroniche). Di fumatori di pipa se ne vedono pochi. Quindi la vera incarnazione del Male sono i fumatori di sigari. Capisco che il fumo ravvicinato, il fumo stantio in casa e via dicendo diano fastidio. Per questo fumo solo in ambienti dove ci sono solo io, oppure all'aperto e lontano da altre persone. Una volta ero solito fumare per strada, tenendomi a distanza dai passanti, dissimulato fra i tubi di scappamento. Ma ora all'aperto e in presenza di altri uso la mascherina, per proteggere dal mio alito mefitico e mefistofelico tutti coloro che si fermano sul marciapiede a chiacchierare a distanza ravvicinata e senza protezioni, salivando in libertà.
Ma il problema non sono gli imprudenti, né la folla che l'altra sera ho visto riempire la piazza della movida in una nota località di mare. Il problema sono i fumatori. Del resto in Spagna, sulla base di una teoria tutta da dimostrare, è stato da poco proibito di fumare all'aperto, perché: a) i fumatori sono più a rischio Covid degli altri b) il fumo trasporta il virus c) completando il sillogismo, il fumatore ti trasmette il Covid. Non lo sportivo che a fine allenamento ansima e sputacchia spompato. Non il tipo che ti si piazza davanti a cinquanta centimetri e ti parla senza mascherina, perché lui è immune e il Covid è un complotto di Big Pharma. A contagiarti è il fumatore.
In Spagna la vicina avrebbe potuto accusarmi di tentato omicidio. Be', anche in Italia, considerando il sospetto di fumo passivo. Inutile tentare di spiegare che, da quando fumo sigari, non soffro più di tutte le affezioni alle vie respiratorie che mi hanno perseguitato fino ai quarant'anni. D'accordo, è un'affermazione fenomenologica su un singolo, priva di dimostrazione scientifica. Ma, visto che su di me funziona, non voglio togliermi quella che potrebbe essere la mia barriera primaria contro il Covid, la peste suina e il gomito del tennista (i tennisti non fumano mentre giocano, infatti io non gioco a tennis).
Il fatto è che un fumatore, specie di sigaro, si vede anche a una certa distanza. E la gente ha bisogno di un capro espiatorio visibile. Ora sono in piedi alla finestra del bagno, con il computer e il posacenere sul davanzale. La persiana è semiaperta, in modo da fare da barriera al flusso di aria nella direzione della vicina ma, soprattutto, da evitare che il fumo sia visibile. Del resto si sa: il Male si nasconde ovunque.
viernes, 4 de septiembre de 2020
Vita da pulp - Giallosapevo
Riflessioni di un celebre scrittore ignoto, di Andrea Carlo Cappi
Se, come abbiamo visto, la parola pulp è stata oggetto di equivoci, per il termine giallo l’interpretazione è ancora più ambigua, assimilando chi vi si dedica a una specie di sarchiapone.
È noto che in Italia l’impiego di giallo in relazione a misteri e delitti risale a un’usanza di Arnoldo Mondadori Editore negli anni Venti: pubblicare collane di narrativa contraddistinte da colori diversi. I Libri Verdi erano romanzi storici, I Libri Azzurri trattavano perlopiù di vicende esotiche. Nel 1929 I Libri Gialli proposero per la prima volta in modo sistematico al pubblico italiano le detective stories che ormai erano un genere consolidato all’estero. Nel 1933 nacquero anche I gialli economici, in formato rivista nelle edicole.
Gli autori erano soprattutto inglesi, primo fra tutti Edgar Wallace. Nelle due collane fecero capolino Agatha Christie con Hercule Poirot, gli americani S.S. Van Dine con Philo Vance (che inaugurò la collana) ed Erle Stanley Gardner con Perry Mason; qualche francese e persino qualche autore italiano. Il regime non amava la letteratura di delitti, né quella di provenienza straniera né tantomeno quella di produzione nazionale, tanto che l’allora esordiente Giorgio Scerbanenco dovette ambientare i propri romanzi a Boston, mentre nella traduzione di Orient Express (come fu intitolata la prima edizione di un celebre romanzo della Christie) l’autista italiano diventava... brasiliano. Gli italiani dell’Era Fascista non potevano avere a che fare con gli omicidi.
Dopo qualche tempo, perciò, la collana fu chiusa per ordini superiori, ma riaprì nel 1946 come Il Giallo Mondadori, in edicola a cadenza settimanale. C’era ancora in lista qualche pregevole autore italiano, ma la netta prevalenza era di romanzi inglesi e americani. Ed è a questo punto che si crea un primo equivoco, dovuto non solo alla diffusione in edicola, ma anche a traduzioni tagliate per ridurre la lunghezza dei libri, come capitò alle primissime pubblicazioni di Raymond Chandler nel settimanale mondadoriano, cui fu resa giustizia nelle edizioni successive.
Prima o poi, tutti gli editori vollero avere una propria collana di gialli: Garzanti, Longanesi, Feltrinelli, Rizzoli... Eppure tali libri erano considerati dalla critica un prodotto sbrigativo, semplice e di scarso valore. Letteratura ferroviaria. L’apparizione di collane imitative presso case editrici minori, che tra gli anni Cinquanta e Sessanta pubblicarono romanzi talvolta improvvisati di autori italiani sotto pseudonimo straniero o semplicemente buoni libri stranieri mal tradotti, contribuì a un’immagine negativa del genere.
Si consolidò inoltre un secondo equivoco: l’erronea convinzione che gli italiani non fossero capaci di scrivere gialli. Un sospetto che ogni tanto è venuto anche a me, esaminando dattiloscritti di aspiranti autori nazionali nel mio lavoro di lettore per case editrici. Ricordo una volta che durante un viaggio in treno dovetti leggere un testo ignobile proposto a Mondadori: nella stroncatura scrissi che, se il giallo dev’essere letteratura ferroviaria, quel romanzo invitava a guardare fuori dal finestrino; anche in galleria.
Il terzo equivoco è invece linguistico. Il Giallo Mondadori pubblicava un ampio ventaglio di romanzi che oggi potremmo classificare come giallo classico, noir, thriller, spionaggio (sottogenere che nel 1960 si guadagnò una collana a parte presso Mondadori, Segretissimo). Ma nel corso degli anni la parola giallo venne a indicare soprattutto la detective story tradizionale, il whodunit (ovvero: chi è stato?) ossia il giallo classico, per intenderci quello alla Agatha Christie.
Nel contempo, sui giornali, il vocabolo giallo cominciò a essere usato per indicare qualsiasi caso di omicidio irrisolto, in quella che peraltro si definiva cronaca nera. Mentre all’estero, con il successo mondiale dei film di Dario Argento e molti altri registi italiani alla fine degli anni Sessanta, giallo divenne la definizione di quel tipo di storie - da noi chiamate "thrilling", spesso imperniate su serial killer (ante litteram), talvolta persino con qualche elemento fantastico, un concetto assente e addirittura proibito nel giallo classico.
Altrove il percorso fu diverso: nel 1945 l’editore francese Gallimard inaugurò la collana Série Noire, che si orientò soprattutto sul filone hardboiled americano, da Dashiell Hammett in poi. Nel 1946 il critico francese (di nascita italiana) Nino Frank usò il termine film noir a proposito de Il mistero del falco, tratto appunto da Il falcone maltese di Hammett, consacrando la parola noir a definizione del sottogenere. Sicché anche in spagnolo si sarebbe poi parlato di novela negra.
Poiché in Francia tanto la collana di Gallimard quanto i film ispirati dai romanzi che questa pubblicava godevano di grande rispetto, di rimbalzo il termine noir ebbe in tutto il mondo un destino ben diverso rispetto a quello di giallo in Italia. Ancora oggi, in Italia, un autore di gialli è considerato uno scrittorucolo; non così un autore di noir, quello sì che è uno scrittore! Anche se, proprio per questo, a volte si classificano "noir" romanzi che andrebbero considerati "gialli", senza che questo significhi che sono scadenti. Ma se dici di scrivere gialli, di solito fai brutta figura in società.
«Giallosapevo che non era giallo», diceva Walter Chiari a Carlo Campanini nel leggendario sketch televisivo Il Sarchiapone, fingendo di sapere benissimo di cosa si trattasse e di che colore fosse. Se il sarchiapone è una misteriosa creatura risalente a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, il numero di Walter Chiari si ispira invece a una barzelletta scozzese, anche questa di ambientazione ferroviaria, in cui si parlava di un imprecisato macguffin.
Guarda caso, prendendo spunto proprio dalla barzelletta, questa è la parola con cui Alfred Hitchcock indicava il motivo per cui i personaggi di un suo film fanno quello che fanno: il macguffin può essere uranio in polvere in una bottiglia nascosta in cantina, o il segreto di un trauma sepolto nell'inconscio, oppure un microfilm dentro una statuetta. Pur essendo la chiave di un mistero, per lo sceneggiatore di turno non è poi così importante che cosa sia il macguffin, ciò che conta è che i protagonisti dovranno impedire che cada in mani sbagliate e nel frattempo si evolveranno i rapporti fra loro. In sostanza, è uno dei segreti del Mago del Brivido che, anche se non era classificato noir, sapeva benissimo come si realizzava un giallo.
Continua...
Immagine: A. C. Cappi sul set del film "Quantum of Solace", foto di Riccardo Mazzoni
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.
7-Se sapeste cosa c'è dietro...
8-Al buio gli scrittori sono neri
jueves, 27 de agosto de 2020
¡Cerrado!
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Cerrado n.0 Paradise Delayed (ph. A. C. Cappi) |
Fotografie e articolo di Andrea Carlo Cappi
C'era una volta nel Mediterraneo un luogo di vacanza elegante ma poco costoso e fiorente tutto l'anno: l'area di Palmanova e Magalluf, Costa de Calvià, sull'isola di Maiorca, Spagna. Ci ho messo piede per la prima volta nel 1973, ci ho vissuto e lavorato a lungo, per cui ne conosco le realtà, le apparenze e almeno in parte i retroscena. In questi ultimi anni ne ho parlato nei miei video della serie Magalluf Italian Style e nei miei racconti e romanzi con Toni Black. Nell'estate 2020 la situazione dovuta al Covid e a scelte politiche internazionali che poco hanno a che fare con la salute pubblica, ma molto con singoli interessi economici, hanno reso questa zona al tempo stesso una delle più sicure del Mediterraneo e una delle più disertate dai turisti. Il risultato è che in pieno agosto il panorama di alberghi. negozi e locali somiglia a quello che si vede d'inverno e che fin quasi a metà degli anni 2000 non si vedeva mai: cerrado, closed, chiuso.
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Cerrado n.1 (ph. A. C. Cappi) |
Fino agli anni Ottanta la zona di Palmanova-Torrenova-Magalluf, facente parte del municipio di Calvià, coniugava in modo equilibrato il turismo per famiglie a quello dei giovani in cerca di divertimento, con una forte presenza di britannici, tedeschi, scandinavi, francesi e successivamente anche italiani. Poi qualcuno - soprattutto nel Regno Unito - pensò di fare più soldi: una delle società in questione ha un nome che, tradotto in italiano, significa massacro. A Magalluf nacquero localacci rumorosi in cui si vendevano liquori di bassa qualità, mentre nella futura Brexitland si riempivano voli charter di ragazzotti in cerca di sbronza e sesso. La prima era facile, il secondo non saprei, date le condizioni in cui si riducevano i giovani turisti, che spesso non erano nemmeno coscienti di essere all'estero. I localacci erano perlopiù concentrati su una strada di cinquecento metri, la famigerata calle Punta Ballena, ma i media descrivevano tutta l'area di Magalluf come Sodoma e Gomorra.
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Cerrado n.2 (ph. A. C. Cappi) |
Un po' alla volta Magalluf acquisì l'immagine di luogo di perdizione, sottolineata da servizi delle tv britanniche che mostravano i giovani sudditi di Sua Maestà barcollanti per le strade, innaffiati di sangria sui battelli delle booze cruise o dediti al balconing, pratica che pare abbia fatto più vittime della guerra in Afghanistan. Per non parlare delle ragazze che, stando a un video di grande successo qualche anno fa, si davano al mamading, pratica quasi altrettanto rischiosa. Per sfruttare l'alone di scandalo sessuale, si moltiplicarono anche i postriboli e la prostituzione per strada; purtroppo, in mancanza di clienti sobri, le professioniste del settore spesso dovevano dedicarsi a furti e scippi per portare a casa la cifra richiesta ogni notte dal loro gestore-padrone. Insomma i soldi facili per pochi danneggiarono gli onesti guadagni per molti.
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Cerrado n.3 (ph. A. C. Cappi) |
Invano la zona si riqualificava con alberghi rinnovati, negozi graziosi, buoni ristoranti, e persino iniziative culturali, i media inglesi facevano del loro peggio per aggiornare i connazionali sulle vergognose estati di Magalluf, riprendendo i ragazzi ubriachi in calle Punta Ballena. Non che non ci fossero: io stesso, mentre lavoravo tra le cinque e le sei del mattino, li sentivo scendere in spiaggia ubriachi, urlando come ossessi a squarciagola: per i giovani inglesi dev'essere una sorta di rito di passaggio alla maggiore età. La parte più tranquilla di Magalluf cominciò persino a farsi chiamare Calvià Beach, per non essere associata all'area dello scandalo. Ma nel frattempo la pessima pubblicità si era sommata ad altri eventi.
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Cerrado n.4 (ph. A. C. Cappi) |
Alla fine di luglio del 2009 l'ETA, il gruppo terrorista che reclamava l'indipendenza dei Paesi Baschi e che già in passato, per attirare l'attenzione internazionale, aveva colpito zone turistiche spagnole, fece saltare in aria un Nissan Patrol della Guardia Civil (l'equivalente dei Carabinieri) nei pressi della caserma di Palmanova, facendo le sue ultime vittime. Nei giorni successivi altre bombe furono collocate nei bagni di ristoranti nel capoluogo, Palma di Maiorca, anche se la polizia fu avvisata per tempo e poté evacuare i bersagli e disinnescarle. Ma l'obiettivo era stato ottenuto: quell'estate il turismo in tutta l'isola subì un grave danno. Le spiagge erano deserte. Per la prima volta nell'estate di Magalluf regnava il silenzio. Si sarebbe detto che l'ETA fosse stata pagata da località di mare concorrenti. Fu l'ultima stagione di sangue e tritolo per i terroristi baschi: di lì a poco il governo Zapatero riuscì ad avviare un processo di pace che portò alla dissoluzione della banda armata dopo decenni di sangue.
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Cerrado n.5 Ghosts of summer past (ph. A. C. Cappi) |
Negli ultimi anni la maggior parte dell'attività si era concentrata soprattutto sull'estate. Con il calo del turismo del 2009, dovuto alla crisi globale oltre che alle bombe, d'inverno restavano solo le offerte speciali per i pensionati spagnoli. Molti alberghi e locali che tenevano aperto tutto l'anno presero l'abitudine di chiudere tra novembre e marzo, perché proseguire l'attività in carenza di clienti risultava troppo costoso. E così, per cinque mesi all'anno, compreso il periodo di Natale un tempo molto redditizio, Magalluf diventava una città morta, a dispetto dei numerosi residenti quasi fissi: personale di alberghi e negozi, ma anche pensionati britannici che ormai vivono qui.
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Cerrado n.6 Bar with no drinks (ph. A. C. Cappi) |
Da maggio-giugno ripartiva la giostra ed ecco che i media del Regno Unito si cibavano nuovamente di nefandezze giovanili a Magalluf, subito riprese dai media italiani per sconsigliare di frequentare certi luoghi proibiti (ovverosia: concorrenti delle spiagge della Riviera Adriatica). Ma, approfittando del mito negativo, ci si è messo persino un giallista svedese, tale Mons Kallentoff, con un thriller di routine in cui a una sedicenne di Stoccolma bastano poche ore di vacanza in questa perfida località per ubriacarsi, consumare droghe, essere rapita da un'organizzazione criminale e finire violentata e uccisa. Ovviamente nessuno ha mai parlato di cosa accadesse al di fuori di calle Punta Ballena: niente, a parte gente normale in vacanza al sole. Ma la quiete non crea scandalo e non fa notizia.
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Cerrado n.7 Shadows of forgotten ice-creams (ph. A. C. Cappi) |
Ed ecco che arriviamo all'estate del Covid. A Maiorca e in tutte le Baleari i casi non sono stati numerosi come invece nel resto della Spagna: la vigilanza sugli arrivi da porti e aeroporti era altissima già da fine gennaio, quando in tutto il resto d'Europa tutti si credevano immuni e sicuri. Per dare un'idea, in tutto l'arcipelago a metà agosto i casi totali dall'inizio della pandemia erano circa 4200, contro gli oltre 38.000 dell'Emilia-Romagna. Alcuni paesi si sono accorti che Baleari e Canarie erano destinazioni sicure e hanno imposto un cordone sanitario solo ai passeggeri proveniente dalle aree della Spagna peninsulare realmente a rischio; la Germania ha deciso solo di recente, non si sa in base a quale ragionamento (una corposa bustarella dalle Canarie?) che le Baleari erano improvvisamente pericolose, comportando la chiusura dal 26 agosto di 144 alberghi nella sola Maiorca. Ma Boris Johnson ha deciso già da inizio estate di imporre la quarantena obbligatoria a tutti i britannici di ritorno dall'intera Spagna, ben sapendo quante sterline i suoi connazionali fossero soliti spendere qui. La mia anziana vicina di casa inglese preferisce tuttavia restare al sicuro a Magalluf e tenersi alla larga dai pericolosi focolai dell'area di Birmingham.
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Cerrado n.8 Distant light of the five stars (ph. A. C. Cappi) |
Alberghi, negozi e locali hanno dovuto fare i conti: parecchi gestori hanno deciso di non aprire, per non affrontare spese superiori ai guadagni; altri hanno aperto in ritardo o solo qualche giorno alla settimana. Inoltre, dopo un cauto tentativo a metà luglio, nelle zone più a rischio (per esempio su calle Punta Ballena a Magalluf) sono stati chiusi per decreto tutti i locali pubblici che non potessero garantire sicurezza anche all'esterno. Purtroppo ci sono andati di mezzo anche alcuni bar e ristoranti tranquilli e sicuri, ma vicini alla strada dello scandalo. Quindi quest'anno niente inglesini ubriachi... e devo dire che non ne sento la mancanza.
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Cerrado n.9 Wood and ropes (ph. A. C. Cappi) |
La manovra più sospetta è stata quella del Governo italiano: in prossimità di Ferragosto tutte le località estere scelte dagli italiani come destinazione per le vacanze sono state classificate a rischio, con obbligo di tampone al ritorno e quarantena in attesa dell'esito. Vale per Grecia, Malta, Croazia e tutta la Spagna: non solo le zone a rischio sulla penisola iberica, ma anche Baleari e Canarie, ben più sicure di molte località turistiche in patria. La Sardegna, per dirne una. Così molti italiani hanno dovuto annullare viaggi prenotati da tempo, per non rischiare attese in clausura di almeno una settimana per poter dimostrare ufficialmente di non essere contagiati. Oltre al vantaggio di far spendere i soldi agli italiani in Italia, non va dimenticato che queste località estere sono in genere servite da voli diretti di compagnie come EasyJet e RyanAir, i rivali low-cost dell'Alitalia. E la nostra compagnia di bandiera, un tempo gloriosa, da anni e anni viene tenuta in vita artificialmente con iniezioni di denaro pubblico e concorrenza sleale. Diciamo la verità: se non esiste un Grande Complotto del Coronavirus, ci sono in ogni caso i complottini di chi cerca a tutti i costi di guadagnare qualcosa approfittando della situazione.
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Cerrado n.10 Lost god of the beach bar (ph. A. C. Cappi) |
E alla fine questo è proprio l'anno in cui per molti è valsa la pena di venire in vacanza a Magalluf, silenziosa, rilassante e sicura. Certo, il mio locale preferito, la mia casa lontano da casa, cioè El Ultimo Paraiso, è rimasto chiuso e i miei amici che lo gestiscono hanno perso un'intera stagione, così come molti altri sull'isola. Ma spero che Magalluf sopravviva e che continui sulla strada di un turismo non solo privo di Covid, ma anche di chiassosi inglesini ubriachi.
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Cerrado n.11 Silence in the stereo temple (ph. A. C. Cappi) |
viernes, 21 de agosto de 2020
Vita da pulp - Fumo negli occhi
Per un fumatore di sigari è normale mantenersi lontano dagli altri. Lo era già prima che si parlasse di distanziamento sociale, anche perché se non si distanzia lui, lo fanno loro, di norma bofonchiando imprecazioni. Ora qualcuno però approfitta delle misure anti-Covid per proporre divieti di fumare all’aperto, anche per strada e a distanza di sicurezza (N.d.R. Questo articolo è stato scritto in Spagna nell'agosto 2020). Ha una sua logica: la differenza tra, poniamo, una sigaretta e un gelato da passeggio è che per fumare bisogna togliersi la mascherina antivirus, mentre per mangiare il gelato no. O sbaglio? Non so, di solito non mangio gelati da passeggio.
In ogni caso, le persone sagge d’ogni parte del mondo temono il fumatore, specie quello di sigari. Egli emana cattivi odori, porta malattie, viene da noi a rubarci il lavoro, distrugge le foreste pluviali e buca l'ozono. È persino corsa voce che il tabacco protegga dai coronavirus: in pratica un patto col diavolo. Il fumatore è la nuova strega e, dato che ha familiarità con le fiammelle, qualcuno potrebbe passare dal proibizionismo al rogo, anche per liberarsi del surplus di accendisigari.
Sono sensibile al tema perché spesso l’autore prolifico è anche un fumatore metodico. Non è obbligatorio, beninteso, ma dubito che Georges Simenon sarebbe riuscito a pubblicare centinaia di libri se non avesse potuto fumare in pace la sua pipa. Inoltre un vero scrittore non lavora solo quando è alla sua scrivania (o qualsiasi superficie utilizzi come supporto ai suoi strumenti), ma con la sua testa scrive sempre e dappertutto.
Quando è per strada, senza bisogno di essere Jack Kerouac. O nella vasca da bagno, luogo d’ispirazione dichiarato tanto per William Somerset Maugham quanto per Agatha Christie, la quale non fumava ma mangiava mele gettando i torsoli in acqua. O a un tavolino all’aperto di un bar, situazione ideale per Andrea G. Pinketts tra un sigaro e una birra; anche se a Milano, d’inverno, rischiosa per la salute. O su una spiaggia, meglio se deserta: Ian Fleming in Giamaica ne aveva una tutta per sé.
Se l’autore prolifico è anche uno scrittore pulp, eredita la fama di essere bevitore, oltre che fumatore. Non è obbligatorio e, sia ben chiaro, non bastano alcool e tabacco per diventare pulp. Ma forse è il momento di spiegare che cosa diavolo significhi pulp, dato che è un vocabolo su cui si sprecano gli equivoci.
In origine il termine indicava la pasta di legno impiegata nella fabbricazione della carta e, da qui, la carta a basso costo su cui dagli anni Venti si stampavano negli USA le riviste di narrativa popolare. Erano nate alla fine del secolo precedente, ma in quegli anni ce n’era davvero per tutti i gusti: giallo, avventura, fantasy, fantascienza, western, sport... Tutti i generi che sarebbero presto trasmigrati nel fumetto, nel cinema, nella televisione, per arrivare fino a Netflix e Amazon Prime. Prezzi modici e larga diffusione ne fecero un fenomeno di massa, anche se pulp magazine di solito non era un complimento: come dire... cartaccia e storiacce. D’altra parte fu proprio la letteratura pulp a descrivere in presa diretta l’America negli anni del Proibizionismo, quando a essere cattivi non erano i fumatori bensì i bevitori, per la gioia del crimine organizzato cui il Governo donava una nuova e vasta clientela.
Dalle riviste pulp fantastiche uscirono autori leggendari come il signore del weird H. P. Lovecraft o il maestro della sword and sorcery Robert E. Howard, creatore tra gli altri di Conan il barbaro. Da quelle noir – o, per meglio dire, hardboiled – a partire da Black Mask emersero Dashiell Hammett, ex-detective privato che di fatto anticipò lo stile asciutto di Hemingway; Raymond Chandler, scrittore colto e fitzgeraldiano; Erle Stanley Gardner, che con Perry Mason inventò il legal thriller e con un suo romanzo evidenziò una falla in una legge dello Stato della California, facendola modificare. Chi dice che un libro giallo non possa essere utile?
Il pulp trasmigrò poi nei libri tascabili, che in Italia uscivano in edicola nei periodici Mondadori: Il Giallo, Segretissimo, Urania. Certo, Agatha Christie, l’autrice più venduta de Il Giallo Mondadori, non era pulp, nel senso che non era hardboiled. Ma nella stessa collana uscivano l’inventore del police procedural Ed Mc Bain o il maestro del romanzo criminale Richard Stark, eredi di quella tradizione. Come lo erano gli autori francesi, inglesi e americani editi da Segretissimo, che raccontavano avventurose storie di spionaggio traendo spunto dalla cronaca internazionale. In comune costoro hanno il gusto per la letteratura popolare, accessibile a tutti ma non per questo banale.
Ai racconti delle riviste hardboiled si riferiva Quentin Tarantino quando intitolò Pulp Fiction il suo celebre film costruito su storie interconnesse tra loro. Ma a questo punto nell’Italia degli anni Novanta nacque l’equivoco, alimentato dall’ottima operazione di marketing di un editore che scelse per una propria antologia un titolo provocatorio e la definizione "pulp", creando un fittizio ma vendibile movimento letterario. Da quel momento. se un autore – per esempio Andrea G. Pinketts – pubblicava storie un po’ noir, un po’ strane e un po’ violente, veniva definito pulp. Bebo Storti ne fece in tv la parodia in tempo reale con il personaggio di Thomas Prostata.
Ma il vero pulp, inteso come narrativa popolare, è un’altra cosa. Spesso coincide con una grande prolificità, perché diventa uno stile di vita. Se possibile, l’autore cerca di farne il proprio lavoro o la propria attività principale. Non scrive per diventare ricco e famoso ma perché, dotato di fantasia inesauribile, ha sempre in testa mille storie che chiedono di essere raccontate. Era fatto così Emilio Salgari, che un tempo – pur non essendo un autore per ragazzi nel senso odierno del termine – giungeva in mano a giovani lettrici e lettori (sì, senza distinzione di sesso!) appena la scuola le/li alfabetizzava, educandole/li al piacere della lettura e aprendo loro la mente e gli orizzonti. Vari scrittori di lingua spagnola, da Juan Madrid a Paco Ignacio Taibo II, considerano Salgari la loro iniziazione all’impegno politico e sociale. Chi ha detto che un romanzo di avventura non possa essere utile?
Altra caratteristica dello scrittore di narrativa popolare, specie in Italia, è che dev’essere ignorato dalla maggior parte dei media, in modo da limitarne il numero di consumatori. Come il tabacco, esiste ma non se ne può parlare. Motivo: non è un rappresentante omologato della cultura, non è un soggetto controllabile. Si consiglia di affermare che scriva solo per un pubblico maschile e insinuare che sia pure maschilista, in modo da allontanare le lettrici, la quota di mercato più importante per qualsiasi editore. Uscendo perlopiù in edicola, le sue vendite non sono misurate ai fini delle classifiche, il che rende più facile occultarne il successo e, quindi, contenerlo e ridurlo a lungo termine.
L’obiettivo finale è farlo sparire dal mercato, cosa cui l’autore in questione si oppone sfruttando – come vedremo – la propria creatività. Esiste una sorta di proibizionismo anche nei confronti della narrativa popolare, perché la critica – per restare in tema – lo vede come il fumo negli occhi. Non siamo ancora al rogo della narrativa pulp, ma teniamoci pronti a tutto, come suggeriva Ray Bradbury in Fahrenheit 451. Chi ha detto che un romanzo di fantascienza non possa essere utile?
Immagine: A. C. Cappi in una foto di Catilina Sherman
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.
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Berlino, 1979 (foto di Alessandro Cappi) |