miércoles, 23 de diciembre de 2015

Auguri dai Peccatori!


Auguri da Andrea Carlo Cappi & Fabio Viganò, mentre sulla nostra pagina Facebook proponiamo i link a una selezione di articoli del nostro blog: il meglio del 2015. Continuate a seguirci!
(Nella foto di A. C. Cappi: Palacio de la Almudaina y Catedral, Palma de Mallorca)

martes, 1 de diciembre de 2015

2 dicembre, Milano: la porta sugli AltriSogni



Mercoledì 2 dicembre, ore 21.30, all'Admiral di Milano (via Domodossola 16, ingresso libero) un nuovo appuntamento Borderfiction condotto da Andrea Carlo Cappi porterà il pubblico nei mondo fantastici di AltriSogni, un progetto della casa editrice dbooks che si è evoluto da rivista a collezione di libri e che, con una curiosa inversione di tendenza, nasce per il digitale e ma viene affiancato da un'edizione cartacea. Dopo vari numeri sotto forma di rivista dedicata alla letteratura fantastica italiana in tutte le sue declinazioni (fantascienza, fantasy, weird, horror...) AltriSogni è diventato una collezione di raccolte di racconti in ebook, inaugurata alcuni mesi fa da un vol.1, ora disponibile anche sotto forma di volume cartaceo. Nel corso della serata si parlerà inoltre di AltriSogni vol.2 e dell'antologia horror Ore nere. Saranno presenti alcuni degli autori, tra cui lo stesso Cappi (presente nel vol.1 con un inedito del ciclo di padre Antonio Stanislawsky) e Stefano Di Marino (ospite d'onore del secondo volume), l'editore Luigi Lo Forti e i curatori del progetto Vito di Domenico e Christian Antonini.

domingo, 29 de noviembre de 2015

30 novembre, Milano: un cocktail per Ian Fleming


Allo scrittore Ian Fleming, giornalista, stratega dei servizi segreti della Royal Navy durante la Seconda guerra mondiale, bonvivant e, soprattutto, creatore dell'agente 007, è dedicato il primo appuntamento "Cocktail noir" del DVerso, organizzato con la collaborazione di Radio Statale lunedì 30 novembre alle 21.30, in via Felice Casati a Milano. Partecipa Andrea Carlo Cappi, esperto e traduttore di James Bond, e autore a sua volta di romanzi di spionaggio, tra cui il recente Bersaglio ISIS.

sábado, 28 de noviembre de 2015

"Nina" e l'angoscia della forza


È l'unico personaggio femminile in un testo che prevede due co-protagonisti maschili e la breve apparizione di altri due attori ma, come lascia intendere il titolo, tutto ruota intorno a lei. Persino il suo ingresso, atteso e ben preparato, è di per sé un evento determinante. Come altre opere del commediografo marsigliese André Roussin (1911-1987), Nina - alla francese, con l'accento sulla a - va oltre la tradizionale commedia leggera del théâtre de boulevard, unendo al divertimento interessanti riflessioni umane e sociali. La pièce, rappresentata per la prima volta nel 1949 e rappresentata varie volte anche in Italia, ha avuto una versione cinematografica nel 1959, con Sophie Desmarets, Jean Poiret (il marito) e Michel Serrault (l'amante), diretti da Jean Boyer che ne realizzò l'adattamento a quattro mani con lo stesso Roussin. Oggi viene portato in scena per la regia di Pino Strabioli e Patrick Rossi Gastaldi, con Vanessa Gravina nel ruolo eponimo, Edoardo Siravo in quello di Adolfo Tessier e Riccardo Polizzy Carbonelli in quello di Gerardo Dupuy, con la partecipazione di Carlo Di Maio e Fabio Masco nei ruoli collaterali. La scelta di tradurre i nomi in italiano come nelle vecchie traduzioni d'epoca dà un tocco di atmosfera d'epoca.

Il primo personaggio sulla scena è Gerardo, benestante, nullafacente e debosciato, perennemente in giacca da camera, che gestisce telefonicamente i suoi appuntamenti con varie donne, bellissime e perlopiù sposate, amandole tutte e in realtà nessuna. Una vita di disimpegno e piccole menzogne, di cui sta cominciando a stancarsi, tanto da accarezzare - più per la nobiltà romantica del gesto che per un reale desiderio - l'ipotesi di un suicidio con il piccolo revolver che tiene nel cassetto del comodino. Ma, s'intende, è troppo vile e pigro per mettere in atto il suo proposito. Così come per troncare a sua relazione con Nina Tessier, che attende nel pomeriggio e che si non amare veramente. 

Ma quando apre la porta della casa da cui si muove raramente, il centro della ragnatela di lusso in cui attende le sue amanti, si trova invece di fronte ad Adolfo Tessier, armato di pistola e desideroso di uccidere il rivale. Senonché Adolfo, impiegato ministeriale ipocondriaco e a sua volta privo di spina dorsale, sviluppa ben presto una strisciante ammirazione nei confronti di Gerardo, di cui ascolta voyeuristicamente le telefonate: vorrebbe essere come lui, il che incrina il suo intento omicida e nega all'annoiato playboy l'opportunità di passare a miglior vita per mano altrui.

Ed è a questo punto che entra in gioco Nina, in una scena che ribalta le situazioni della pochade: in questo caso, nascosto dietro una tenda è il marito, anziché l'amante. Fra le intrusioni occasionali di un ispettore di polizia (qui reso con una leggerissima e misurata caratterizzazione alle Clouseau) e di un altro marito tradito, con qualche equivoco divertente e dialoghi brillanti e a tratti paradollali, negli atti successivi emerge anche il lato sottilmente drammatico del testo.
Nina, dalla vita agiata ma insoddisfacente, si ritrova a fare da madre a un marito mediocre che ha avuto lei come unica donna della sua vita, e in fondo deve fare da balia anche all'amante che di donne ne ha avute troppe. Loro sono due adulti-bambini viziati, ognuno intrappolato nella propria routine. Lei è una personalità forte, che soffre di non potersi confrontare con qualcuno suoi pari e trova come sola rivalsa il potere che esercita come burattinaia dei deboli che ha intorno. Ed è lei l'unica in grado di vedere la verità, svelarla a tratti per quanto dolorosa, plasmarla quando le occorre. Ma anche così non riuscirà mai a ottenere davvero ciò che vuole.

In una storia in cui aleggiano tentati omicidi, suicidi e persino una coreografica scena da gunplay, Nina si rivela una donna tormentata che ride e cerca un piacere consolatorio nell'illusione dell'amore, ma anche tirannica e a tratti spaventosa nella propria lucidità e nella capacità di improvvisazione con cui riesce a dominare le situazioni critiche. Resa benissimo dal lavoro registico di Patrick Rossi Gastaldi e dall'interpretazione di Vanessa Gravina, affascinante e inquietante quando basta.
Mi ci è voluta una piacevole cena con la compagnia per convincermi che l'attrice non avrebbe estratto all'improvviso dalla borsetta una semiautomatica da autentica dark lady. In realtà l'unica nota oscura dopo la prima di ieri sera al Teatro San Babila di Milano era la notizia della morte quello stesso pomeriggio di Luca De Filippo, alla cui memoria è stata dedicata la rappresentazione.


miércoles, 25 de noviembre de 2015

25 novembre 2015: fuori dall'ombra della violenza





Appuntamento con Crimen


Mercoledì 25 novembre 2015 alle 21.30, presso l'Admiral Hotel di Milano (via Domodossola 16, ingresso libero), Andrea Carlo Cappi presenta la rivista investigativa Crimen, con la partecipazione del direttore Edoardo Montolli. L'occasione per fare il punto sulle indagini svolte dal mensile di misteri e delitti nell'arco dei suoi primi quattro numeri e sulle rivelazioni spesso riprese da altre riviste e quotidiani. E per scoprire quale ottica sulla cronaca nera contraddistingua Crimen rispetto alle numerose pubblicazioni sugli stessi argomenti.
Sul nuovo numero, tra i vari servizi: la prova scomparsa nel caso della strage di Erba; Bruno Contrada dice la sua sulle stragi del 1992; i segreti di Leonarda Cianciulli; piazza Fontana e la costruzione mediatica del falso colpevole; un articolo di Andrea Carlo Cappi sui personaggi celebri coinvolti nel mondo dello spionaggio; e un racconto inedito di Stefano Di Marino. Oltre che in edicola, la rivista è acquistabile anche online in versione digitale.

martes, 24 de noviembre de 2015

A proposito di... cultura

Dante Alighieri nella raffigurazione di Domenico di Michelino

Conversazione con Sandra Clerc 
di Fabio Viganò


Abbiamo rivolto alcune domande interessanti alla dottoressa Clerc dell’Università di Friburgo, già intervistata in merito alla figura di Francesco Ciceri, riguardo le origini della lingua italiana. Soprattutto abbiamo cercato di indagare sulla nascita di questa lingua, bella e unica, e su quali siano stati i passaggi evolutivi che hanno originato l’italiano attualmente scritto e parlato. Siamo partiti da lontano…
"Dottoressa Clerc, come avvenne il passaggio dalla lingua latina alla lingua italiana?"
"Come è facile immaginare, l’evoluzione delle lingue ha tempi lunghi. Le persone non sono andate a letto una sera parlando latino per risvegliarsi il giorno dopo e accorgersi di parlare un idioma diverso! Le trasformazioni linguistiche cominciano a manifestarsi nella lingua parlata. Per esempio, già all’epoca di Cicerone, nel I secolo a.C., il latino parlato e quello scritto avevano preso, a poco a poco, a differenziarsi. Con il tempo, la lingua parlata e quella utilizzata per la scrittura – in particolare nella produzione letteraria – possono distanziarsi al punto da diventare due lingue diverse. Così nasce la necessità di scrivere nella nuova lingua. Questo processo è avvenuto anche per l’italiano. Alcuni studiosi giungono ad affermare che l’italiano non sia altro che il latino parlato oggi. Pur non essendo del tutto d’accordo con questa definizione, che mi pare un po’ azzardata, è innegabile che l’italiano, come tutte le altre lingue che chiamiamo 'romanze' o 'neolatine', si sia evoluto a partire dalla lingua latina e in primo luogo dalla lingua latina parlata (detta anche latino volgare, il latino del volgo, cioè del popolo), e abbia subito nel corso dei secoli varie influenze esterne."
"Si è soliti pensare che l’indovinello veronese rappresenti il punto di svolta, il primo tentativo di 'abbozzare' la lingua italiana. Lei cosa ne pensa?"
"Il cosiddetto Indovinello veronese è un breve testo che risale probabilmente all’VIII o all’inizio del IX secolo d.C., scritto a margine di un documento più antico e scoperto nel secondo decennio del XX secolo. Questa la sua trascrizione:

Se pareba boves, alba pratalia araba
et albo versorio teneba, et negro semen seminaba
.

Questa potrebbe invece essere una proposta di traduzione in italiano moderno:

Teneva davanti a sé i buoi, arava prati bianchi
e teneva un bianco aratro, e seminava un seme nero.

Il termine 'indovinello' fa riferimento alla lettura di questi due versi come metafora della scrittura: le mani scorrono sulla pagina bianca, tengono una penna d’oca che sparge inchiostro nero. L’aggettivo 'veronese' si ricollega al luogo del ritrovamento del codice (la Biblioteca capitolare di Verona) e alla probabile origine del copista, cioè di colui che ha redatto l’indovinello. Ancora oggi i critici e gli storici della lingua dibattono sulla natura di questo testo, che presenta sia caratteri riconducibili al latino tardo, sia elementi che sono invece già prettamente 'volgari', termine con il quale si indica generalmente la lingua parlata e scritta in Italia prima della codifica del Bembo, nel Cinquecento. La questione rimane aperta. I primi testi sicuramente scritti in un volgare italiano sono invece i Platici cassinensi, testimonianze giurate che risalgono agli anni 960-963, anche se alcune iscrizioni ritrovate nelle catacombe (di Commodilla, di San Clemente, etc.) sono più antiche e presentano già caratteristiche che non sono più quelle del latino.
"Quali sono, a Suo avviso, gli autori principali di tale cambiamento linguistico tuttora in atto?"
"La lingua italiana, come tutte le lingue, è in costante evoluzione. Gli effetti, come dicevamo prima, sono visibili in primo luogo nell’espressione orale, e passano soltanto in seguito nello scritto. Banalmente, la lingua che parliamo oggi non è uguale a quella che parlavano i nostri nonni, mentre la scrittura di buon livello di allora non si discosta enormemente da quella che possiamo leggere in un buon libro contemporaneo. La storia dell’italiano scritto è lunga diversi secoli, come abbiamo visto; ricordare gli autori principali sarebbe inevitabilmente fare torto a qualcuno. Ma se proprio vogliamo procedere per sommi capi, potremmo partire dalla Scuola siciliana, la prima ad aver elevato il volgare a lingua letteraria; e poi, naturalmente, Dante, Petrarca e Boccaccio, le 'Tre Corone'; Pietro Bembo, autore della codificazione linguistica che esce vincitrice dai dibattiti sulla lingua nel Cinquecento; poi, avvicinandoci a noi, Manzoni, Leopardi e Montale. Ma questa è, lo ripeto, una rassegna minima."
"Lei considera tuttora il latino come una lingua che possa insegnare qualcosa all’umanità, o è morta e sepolta?"
"A mio modo di vedere, non possiamo guardare al futuro senza tenere almeno un occhio rivolto al passato: la cultura e la civiltà antiche sono alla base della cultura e della civiltà moderne. Se vogliamo un motivo utilitaristico per dare importanza al latino, ricordiamo che, ancora oggi, i giuristi studiano i codici del diritto romano; i termini medici, botanici e di molti altri ambiti scientifici sono in latino. Ma, a ben guardare, gli studi umanistici, nati proprio in Italia nel XIV secolo, sono rivolti da un lato alla riscoperta dei classici latini e greci, dall’altro alla valorizzazione della vita civile; e riconoscono la centralità dell’uomo e la sua dignità. Mi pare che questo sia un insegnamento che l’umanità farebbe bene ad aver caro."
"Carlo Porta e Trilussa segnarono un punto di svolta nel cambiamento linguistico. Può ricordarci come?"
"Immagino si riferisca all’elevazione del dialetto a lingua della letteratura. Naturalmente Porta e Trilussa – il primo per il milanese, il secondo per il romanesco – sono stati importanti in questo senso, perché la loro scelta è ideologicamente connotata, di rifiuto di una lingua italiana imposta. Tuttavia, è bene ricordare che la letteratura dialettale ha una lunghissima tradizione, che da Il contrasto di Cielo d’Alcamo passa alla lingua pavana utilizzata da Ruzzante nelle sue commedie, al napoletano de Lu cunto de li cunti, fino a giungere alle poesie dialettali di oggi."
"L’attualità di Dante Alighieri nella politica di oggigiorno. Vi sono analogie, secondo Lei?"
"Tutti i classici, tutti i maggiori autori, hanno in comune, a mio modo di vedere, una caratteristica fondamentale: parlano ai lettori di tutti i tempi, indipendentemente dall’epoca nella quale scrissero. Dante è sicuramente un classico, uno dei sommi autori non soltanto della letteratura italiana, ma mondiale. Quindi, è certamente possibile collegare al presente le sue parole, che hanno valenza universale."
"Dottoressa Clerc, anche nelle opere teatrali vi è un cambiamento. Nel Cinquecento in particolare... Lei è un’esperta del settore. Può dirci qualcosa a riguardo?"
"Dal punto di vista della lingua, e per quanto riguarda il teatro del Cinquecento, bisogna distinguere tra commedie e tragedie. Le tragedie, genere alto per definizione, utilizzano una lingua italiana di stampo prettamente petrarchesco, cioè della migliore e più prestigiosa tradizione lirica italiana. Le commedie, invece, presentano varietà linguistiche molto più ampie, perché la lingua viene utilizzata anche come elemento comico: il “dottore” che parla un italiano infarcito di formule latine, il contadino che si esprime invece in dialetto, il soldato sbruffone che proviene dalla Toscana sono soltanto alcuni esempi. Le commedie di Ludovico Ariosto, che è stato un drammaturgo molto apprezzato nella sua epoca e organizzava personalmente le rappresentazioni, anche prendendovi parte, non sono scritte nella stessa lingua de La mandragola, il capolavoro comico di Machiavelli. Tanto che il ferrarese riscriverà da cima a fondo i suoi testi teatrali, inizialmente in prosa, per renderli in versi (e in versi sdruccioli), dopo aver ricevuto le critiche di un anonimo autore fiorentino, nel quale in molti hanno riconosciuto proprio l’autore de Il principe. Poi ci sarebbe il discorso riguardante le novità strutturali e sceniche introdotte nel teatro del Rinascimento, ma questo ci porterebbe un po’ distante."
"Grazie, a nome di tutto il pubblico de Il rifugio dei peccatori. Lei è sempre molto disponibile!"
"Grazie a lei!"