domingo, 29 de septiembre de 2024

Il futuro



Poesia di Fabio Viganò


Nei tuoi occhi leggo versi dolorosi
trascorsi mai passati, ricordati,
Il tuo silenzio, urlo assordante più del tuono,
una carezza non vale quanto il perdono.

Il sole scalda una terra morta, svanita,
non più rispetto o dignità in questa vita.
Troppo sarebbe ricordare del fantasticare
Il silenzio vale più di un urlo di dolore.

Lo vedi squarciato sanguinare il petto
non ti poni domande, non avrai futuro,
la sorte ti sarà forse amica nell’indifferenza,
cadrai e una risata coprirà il tuo pianto.



(Immagine: fotografia di A. C. Cappi)


miércoles, 25 de septiembre de 2024

Vita da pulp - Whisky, cenere e memorie

 

Foto: A. C. Cappi

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

La regola d'oro, per i blogger, dovrebbe essere fare post con regolarità e a scadenze fisse, per mantenere accesa l'attenzione del pubblico. Tutto questo richiede una quantità sufficiente di tempo libero di cui non sempre dispongo, come dimostra il fatto che la puntata precedente di Vita da pulp risale a circa un mese fa. Credo poi che un'altra regola non scritta (per influencer o aspiranti tali) sia quella di apparire costantemente su Instagram in luoghi differenti, dando l'impressione di non essere mai a casa, ma sempre in viaggio.
In fondo questo è lo stesso espediente usato in passato dalle celebrità vere o presunte, che ai tempi d'oro dei rotocalchi di massa dovevano manifestarsi su spiagge e in locali notturni alla moda per essere fotografati dal paparazzo di turno (qualcuno ricorda che il termine "paparazzo" deriva dal cognome di un personaggio de La dolce vita di Fellini,che faceva appunto quel mestiere?) In questo - anche se di rado appaio di persona nelle foto - me la cavo meglio: dopo il Festival Torre Crawford a San Nicola Arcella (Cosenza) il 6-7 settembre, ho compiuto un'incursione di due giorni e mezzo in Francia in cerca di nuove ambientazioni, per i motivi che ho spiegato in un post di tre mesi fa; ho scattato così tante foto che, mettendole con il contagocce sulla mia pagina Instagram, sembra che io sia ancora in giro.
In realtà, per la maggior parte delle ultime settimane, sono stato inchiodato alla mia postazione di lavoro sotterranea (v. foto sopra), dedicandomi a vari impegni, tra cui la preparazione dell'evento "Torre Crawford Milano 2024" di sabato 28 settembre. E qui riprendo il discorso sulla workstation cominciato nel post precedente.

Nel suo romanzo Il Crocifisso di Marzio, che ho tradotto la scorsa estate e che ora potete leggere, per la prima volta in italiano, nell'antologia Mea culpa, lo scrittore Francis Marion Crawford dedica un paragrafo agli scrittori e ai luoghi della loro creatività: "Nei suoi ultimi giorni, Théophile Gautier confessò che non riusciva a lavorare se non nell’ufficio del Moniteur: da qualsiasi altra parte, diceva, sentiva la mancanza dell’odore di inchiostro da stampa, che gli stimolava nuove idee. Gli artisti ben conoscono l’atmosfera dello studio... Balzac, una volta diventato ricco, scriveva nella sua stanza ovale, la cui tappezzeria color crema aveva un ruolo importante nelle sue riflessioni..."
Potremmo aggiungere all'elenco delle stravaganze anche Alexandre Dumas padre, che accanto alla sua residenza, il "Castello di Montecristo", si fece costruire anche il "Castello d'If", un edificio separato che usava come studio, anche se, sommerso da spese e debiti, dovette vendere dopo pochi anni l'intera proprietà. Quanto allo stesso Francis Marion Crawford, oltre che nella sua residenza di Sant'Agnello (Napoli), quando era "in vacanza" lavorava e riceveva gli ospiti in cima alla torre spagnola del XVI secolo che aveva affittato e restaurato a San Nicola Arcella e che ora viene chiamata in suo onore "Torre Crawford". 
C'è chi, come Andrea G. Pinketts, lavora dove capita: nel suo caso, in qualsiasi bar di qualsiasi città stesse visitando, scrivendo a mano su un quadernone con la sua Montblanc; il "bunker", come chiamava il suo appartamento milanese, era riservato alle compagnie femminili e alle visioni notturne di film, oltre a fungere da biblioteca. C'è chi, come Stefano Di Marino, si trova a proprio agio in un ambiente saturo di fotografie e cimeli di viaggi esotici, oltre che di libri e dvd. C'è chi, come me, condivide libri e dvd, ma scrive abitualmente e inevitabilmente in quello che potrebbe apparire come disordine assoluto. A questo proposito, quindici anni fa la rivista AD mi chiese di parlare di casa mia; fu mandata persino una fotografa, che - per motivi che saranno intuibili tra poche righe - preferì ritrarmi nell'ascensore a gabbia del palazzo. Nel mio pezzo, che uscì nell'agosto 2009 con il titolo Whisky, cenere e memorie, parlo dell'appartamento in cui vivevo allora e che nel 2018 ho dovuto abbandonare. Ma, come si vede dalla foto in apertura, la situazione di oggi non è molto diversa.

"Non vi consiglio di presentarvi a casa mia senza invito o senza appuntamento. Lo dico per voi. Se capitate nel momento sbagliato – e spesso lo è – potete credervi nell'antro di un serial killer e aspettarvi di trovare souvenir delle mie vittime in frigorifero. Oppure inciampate in un paio di scarpe da donna con tacco alto o in una bottiglia di whisky e chinate lo sguardo, scoprendo il pavimento ingombro di dossier, e pensate di trovarvi nell'ufficio del detective Marlowe. Ma, se guardate meglio, notate che sugli scaffali delle librerie, tra collezioni di gialli e di fumetti, spuntano le action figures di 007, Diabolik, Batman e Spiderman, la Bluesmobile e l'astronave Enterprise... E a questo punto avete la certezza di essere ospiti di un accumulatore nerd. In un certo senso è tutto vero: questo è l'appartamento di uno scrittore di thriller.
Ho deciso che sarebbe diventato casa mia quando lo visitai la prima volta nell'82: era di proprietà di mio nonno e, poiché a diciott'anni non avevo un soldo, mi rassegnai a vederlo affittare. Tornai alla carica un decennio più tardi: lavorando come 'cacciatore di libri', scrittore e traduttore, riuscii a prendervi alloggio nel '95. L'arredamento si è creato da solo, con i mobili di famiglia che ho ereditato nel tempo (compreso un pianoforte) e il mio tocco personale è stato quello delle stanze a tema: c'è una sala Bond, decorata con i poster di 007; la sala da pranzo Kill Bill, in cui tra i sagomoni di Uma Thurman campeggiano katane e nunchaku; la cucina spagnolesca, con vecchi manifesti di corride. E il mio studio, in cui sotto i ritratti di Hemingway, Che Guevara e Jean Gabin, nascono i miei libri. Non ci sono dubbi, questa è casa mia.
Il romanziere noir Stuart M. Kaminsky ci venne a cena e rimase affascinato dall'ascensore a gabbia che sale al sesto piano, degno di Angel Heart. Raymond Benson, autore di thriller e musicista, venne a suonarci il pianoforte durante un tour italiano, in mezzo a casse di libri ancora da sistemare. Per un certo tempo il mio amico e collega Andrea G. Pinketts considerava un rito di passaggio per le sue fidanzate quello di portarle a visitare la mia collezione di oggetti di James Bond. All'epoca convivevo con una modella che collezionava Barbie – identiche a lei – e sospettavamo che nottetempo le sue bambole si incontrassero di nascosto con i miei Action Man in smoking e Walther P99.
È una casa per cui ho lottato a lungo: dieci anni di battaglia legale in cui parenti non abbastanza lontani hanno cercato di portarmela via insieme al resto di un'eredità. Ai soldi ho detto addio, ma l'appartamento si è salvato. È la mia roccaforte, una trincea fatta di libri, dvd e memorie. Ogni tanto riesco persino a tenerla in ordine... fino al prossimo romanzo, quando posacenere pieni e bottiglie vuote si accumuleranno tra pagine di appunti e mappe di città lontane. Voi lo chiamerete caos, io lo chiamo casa."

Continua...




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato oltre una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Membro di IAMTW e World SF Italia, vincitore del Premio Italia 2018 (miglior romanzo fantasy), cura le riedizioni di Andrea G. Pinketts con l'associazione omonima e per Delos Digital la collana in ebook Spy Game.



viernes, 30 de agosto de 2024

Vita da pulp - Workstation

Foto A. C. Cappi

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Ed eccoci al post n.110 di questa rubrica, che con un po' di ritardo festeggia il suo quarto compleanno; ma, pur avendo passato l'estate alla mia postazione di lavoro, non ho avuto molto tempo libero. E oggi parlo proprio di questo: la postazione di lavoro è fondamentale, specie per chi ci trascorre quasi tutto il giorno; è l'habitat in cui si passa la maggior parte della propria esistenza. Nella mia vecchia casa a Milano, nei primi anni Novanta, cominciò con un cumulo di scatoloni - poi sostituito da una vera scrivania - su cui avevo allestito un computer. Mi ci piazzavo al rientro dalla Libreria del Giallo; mangiavo qualcosa intanto che scrivevo o traducevo, e lavoravo fino a quando venivo sopraffatto dal sonno; o meglio, fino a quando, in un momento di lucidità, mettevo a fuoco le frasi assurde che avevo scritto mentre dormivo, sotto l'effetto di sogni febbricitanti.
Quando divenni scrittore-traduttore-editor a tempo pieno, barcollavo dal letto al pc la mattina presto e viceversa a tarda notte. Davanti a me sulla parete vedevo una fotografia di Ernest Hemingway, un ritratto di Jean Gabin (dalla copertina di Carlo Jacono per Colpo grosso al casinò) e un poster di Che Guevara; sotto lo sguardo del quale una volta tradussi una raccolta di suoi testi, che alla fine però non fu pubblicata perché gli aventi diritto a Cuba avevano aumentato all'improvviso le richieste in denaro: la fine del comunismo. Cercavo di separare i pasti dal lavoro, ma andò a finire che in certi periodi trasferivo il portatile sul tavolo della cucina per ridurre al minimo le pause improduttive. Era l'epoca, durata molti anni, in cui lavoravo centoquaranta ore a settimana; se quaranta vi sembrano tante, allora questa vita non fa per voi.
Da quando nel 2018 dovetti cambiare casa - perché neanche gli avidi eredi del Che avrebbero potuto sostenere le sempre più proibitive spese condominiali - la mia nuova postazione di lavoro milanese è l'angolo di un sotterraneo, tappezzato di poster di James Bond. Stavolta non vado direttamente dal letto al computer: per raggiungere il mio antro devo percorrere un breve tratto di strada a piedi; un lavoro del febbraio 2021, la traduzione de Gli ultimi giorni di John Lennon, rimane associato nella memoria alla scadenza del coprifuoco della pandemia - le 5.00 a.m., quando si poteva uscire di casa - e alle scivolosissime lastre di ghiaccio che si formavano nella notte.

Ovunque si trovi, la caratteristica persistente di ogni mia workstation, oltre al posacenere traboccante di mozziconi di sigari toscani, è il caos dei libri di consultazione che invadono ogni superficie. Raggiunsi il record nel 2009, quando i testi che tenevo a portata di mano mentre lavoravo al saggio Le grandi spie costituirono sul pavimento alle mie spalle una barriera alta più di un metro e larga un paio, che soprannominai "il Muro di Berlino"; il mio Muro fu abbattuto all'inizio del 2010, poco prima dell'uscita del volume. Ma in altri casi, appena finisco un testo o una serie di articoli, devo cominciare subito qualcosa di nuovo e non ho il tempo di riporre i libri consultati, che presto rimangono sepolti da uno strato ulteriore.
In vari momenti della mia vita, però, si sono create situazioni alternative. Forse la più pittoresca risale a una ventina d'anni fa, quando ero ospite di una fidanzata in un'altra città. Poiché lei non gradiva che fumassi in casa sua e io non riesco a lavorare senza il conforto di un sigaro, la mia postazione era un tavolino su un balcone con vista su un castello del XIV secolo; ci lavoravo da prima dell'alba fino a dopo il tramonto, d'inverno sotto la neve in abbigliamento da alta montagna, d'estate in costume da bagno (di sudore).
Qualche ricordo più recente: durante il lockdown del 2020 mi rintanai a casa della mia attuale fidanzata e, sempre per questioni di sigari, quando il clima non consentiva di lavorare sul balconcino mi veniva concesso di occupare il bagno di servizio, con il pc sul lavabo e la porta sigillata. Da qualche tempo, durante le trasferte in campagna presso la mia "famiglia adottiva", all'unico fumatore presente è concesso di ritirarsi con il pc nella Stanza del Maiale, così chiamata perché per anni vi sono stati preparati salami e cotechini fatti in casa (ho fatto in tempo ad assaggiarne qualcuno); la colonna sonora è garantita dalla vicinanza del pollaio.

Dal 2010 però si è introdotta una variante molto significativa nella mia vita. A chi mi segue su Facebook e Instagram sarà capitato di vedere le fotografie che scatto dalla mia postazione di lavoro spagnola. Un amico (purtroppo scomparso), scrittore e saggista di fantascienza, con la sua fervida fantasia immaginò che fossi il proprietario di una villa a Maiorca da far invidia a Michael Douglas.
L'isola è quella, ma in realtà stavo solo ereditando l'appartamento in cui mia madre aveva trascorso l'ultimo decennio della sua vita, in un edificio degli anni Sessanta a Magaluf. I miei genitori non avevano mai avuto una casa di loro proprietà ma, grazie a un'eredità ricevuta da mia madre, riuscirono a comprarsi uno studio apartment in svendita nel luogo in cui andavano in vacanza dal 1971, con l'intenzione di trasferircisi negli anni della pensione; mio padre non avrebbe fatto in tempo ad arrivarci vivo.
L'acquisto risale a trent'anni fa, alla fine del 1994, proprio mentre pubblicavo la prima storia del Kverse, Milano da morire. Il mio contributo fu la scelta dell'appartamento, proprio in base alla vista sul mare, e la rimozione da mobili e pavimenti delle incrostazioni di sporcizia lasciate dalle centinaia di ragazzi britannici più o meno ubriachi cui la proprietà era stata affittata nelle ventisei estati precedenti; ricordo ancora un comodino, in origine bianco, segnato da intrecci di cerchi stratificati di chissà quanti bicchieri; quantomeno, non mi dovevo preoccupare se ci appoggiavo sopra un cuba libre.

Fino al 2009, quando venivo qui in visita, lavoravo dove capitava; talvolta in spiaggia, dato che spesso il mio bagaglio consisteva in voluminosi dattiloscritti stranieri da leggere per conto di case editrici. Più volte in ogni caso mi capitò di trascorrere il mese di agosto a Milano, torrida ma quantomeno silenziosa.
Poi nel 2010 cominciò il lentissimo processo per la successione dell'appartamento spagnolo di mia madre, durata dodici anni, nel corso della quale presi l'abitudine di trasferirmi a Maiorca appena gli impegni in Italia me lo consentivano, d'estate come d'inverno. Un tempo qui la temperatura era più mite, mentre ora con il cambio climatico mi ritrovo vestito come davanti al castello nevoso nei mesi più freddi e completamente nudo in quelli più caldi; per fortuna, nonostante l'inflazione, il costo della vita a Maiorca rimane inferiore a quello di Milano e il mare è gratis. Come sa chi ha letto le mie storie con lo squattrinato investigatore Toni Black, non è necessario essere una star di Hollywood o un oligarca russo per vivere a Maiorca.
Beninteso, non vengo qui in vacanza, ma a lavorare con gli stessi ritmi di Milano. A volte ho avuto fortuna, come nell'estate 2015 quando ho potuto scrivere Black and Blue quasi interamente a un tavolino del bar sotto casa sulla spiaggia; altre volte meno, come quando ho affrontato traduzioni monumentali in completa clausura, senza mettere piede fuori dalla porta per settimane se non quando si esaurivano le scorte di cibo e alcool. E devo dirvi che un po' mi dispiace quando dalla finestra vedo tutta quella gente in vacanza, mentre io sono inchiodato al computer. Ma riesco a mantenere ancora un mio rituale: se sto cominciando un romanzo d'estate, scendo al bar con carta e penna, per tracciare schemi e collegamenti tra fatti e personaggi mentre bevo una pinta di birra con vista mare; l'ho fatto anche quest'anno per il romanzo Sickrose-Compañera, in uscita il prossimo novembre da Segretissimo Mondadori.

Fino a qualche anno fa, a forza di adrenalina (niente additivi chimici), riuscivo a dormire solo quattro ore per notte; le giornate quindi erano "più lunghe" e, quando riuscivo a passare meno tempo al computer, me ne avanzava un po' per la vita privata. Ma le energie diminuiscono con il passare degli anni, sicché sono stato costretto a scendere intorno al centinaio di ore lavorative settimanali, quindi ho dovuto sacrificare molti interessi personali per mantenere costante la produzione pur aumentando il tempo dedicato al sonno e separando il più possibile i pasti dal computer.
Purtuttavia, ovunque mi trovi, continuo a mettermi all'opera verso le cinque del mattino. D'estate a Magaluf è l'ora in cui i ragazzi britannici ubriachi cominciano a uscire urlando e "cantando" dai peggiori bar di calle Punta Ballena, la strada che loro chiamano The Strip perché è più facile da pronunciare. Il resto della zona ormai si è ripulito e in autunno c'è persino un festival letterario, ma io sto proprio dietro l'angolo della Strip, in cui perdurano un paio di localacci gestiti da agenzie inglesi e destinati a giovani neoalcolizzati autodistruttivi.
Tra parentesi, da decenni mi chiedo perché i Brexit Boys debbano per forza sbraitare a fine nottata, come se questo testimoniasse il raggiungimento dell'età adulta. Qualche settimana fa hanno persino fatto festa grande quando la loro squadra di calcio è stata sconfitta dalla Spagna alla finale degli Europei, perché erano così sbronzi da non sapere né che erano in Spagna né che avevano perso. In ogni caso gli italiani in trasferta sulla Strip, pensando forse che questa sia un'usanza locale, non vogliono essere da meno e talvolta sento pure schiamazzi nella mia lingua natale.

Nondimeno ancora per qualche giorno sono a Magaluf, dopo quasi due mesi dal mio arrivo a inizio luglio. Come al solito, in otto settimane pensavo di poter fare molte cose, ma sono arrivato a realizzare solo buona parte di quelle lavorative. A breve devo tornare in Italia, dove mi aspetta la quinta edizione del Festival Torre Crawford a San Nicola Arcella (Cosenza), venerdì 6 e sabato 7 settembre.
Lo scorso anno, a mezzo secolo dal mio primo approdo in Spagna, raccontai in un post sul blog Kverse i miei rapporti con queste terre. In sintesi, dal momento che quaranta-cinquant'anni fa ci venivo in vacanza e che negli ultimi trent'anni qui ho cominciato, o finito, o scritto per intero molti dei miei libri, quando ci torno un po' ho l'illusione di essere in ferie anche se non lo sono, un po' so che questo panorama mi darà ispirazione e creatività.
È uno stile di vita ibrido tra quello di Ian Fleming - che, ricco di famiglia, la mattina in Giamaica faceva una nuotata e un'abbondante colazione, poi scriveva giusto per qualche ora il suo prossimo bestseller globale, per scolarsi infine una bottiglia di gin prima di andare a dormire - e quello degli autori pulp americani degli anni Trenta, morti di fame che tra whisky e caffè passavano giorni e notti a battere come disperati sulla macchina da scrivere. Preferirei avvicinarmi al modello di Fleming, ma in ogni caso vorrei durare più a lungo di tutti loro quindi, anche se sto dietro l'angolo dell'alcolica Strip, cerco di limitarmi tanto nei liquori quanto nel caffè; e almeno un po' anche nei sigari, ma non si può rinunciare proprio a tutto nella vita.





Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato oltre una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Membro di IAMTW e World SF Italia, vincitore del Premio Italia 2018 (miglior romanzo fantasy), cura le riedizioni di Andrea G. Pinketts con l'associazione omonima e per Delos Digital la collana in ebook Spy Game.

miércoles, 28 de agosto de 2024

Per le strade con Julian Opie


Reportage e fotografie di Andrea Carlo Cappi

Ho incontrato i suoi personaggi quattro mesi fa per le strade del centro storico di Palma de Mallorca, ma non ho fatto in tempo ad approfondire l'argomento e a scriverne se non ora, a solo un fine-settimana dalla fine della sua esposizione pubblica e gratuita in una città sempre più vivace anche sul piano dell'arte contemporanea condivisa.
L'artista visivo e scultore Julian Opie, nato a Londra nel 1958 e attivo dal 1982, si ispira alla segnaletica stradale e alla sintesi del logo per esprimere ritratti ridotti all'essenziale, architetture condensate in profili e figure che richiamano quelle dei geroglifici egizi riadattate ai nostri tempi. La sede principale di questa sua mostra è La Lonja (o "Sa Llotja" nella lingua locale, il balearico-maiorchino), ovvero la loggia dei mercanti, costruzione gotica del XV secolo.



Nella piazza all'esterno torreggiano "Julia" e "Joshua" (2024), figure in acciaio galvanizzato su base di cemento (foto in apertura e sopra).





All'interno di Sa Llotja si incontrano sul lato destro i "ritratti" in cemento di Nethaneel, Jiwon, Charles ed Helena (2023, foto sopra).




Sulla sinistra si allineano le figure in alluminio, dipinte con vernice automobilistica, "Black Cap", "Blue Jeans", ""White Hat" e "Purple Bottle" (2023).




Al centro di Sa Llotja vediamo le torri "Universidade", "Estrela", "Se de Averio" e "Ildefonso" (2020, foto sopra), che ritroviamo sotto forma di vessilli in poliestere oscillanti al vento nella collezione "Portuguese Towers" esposta invece poco lontano, nel cortile di Casal Solleric sul Passeig d'Es Born (video sotto).


All'esterno, nella vetrina di Casal Solleric, vediamo invece animarsi le figure di "Daytime" (2021), cui si aggiungono le immagini double face di "Coffee" (2021) vicino alle Sfingi del Passeig d'Es Born, nei pressi di Plaça Reina, e di "Trotting Horse" (2023) lungo il Passeig de Segrera, a un passo da Sa Llotja.




L'esposizione - patrocinata dal Govern de les Illes Baleara e dall'Ajuntament de Palma, con la collaborazione della Galeria Mario Sequeira, che rappresenta l'artista in Portogallo - ribadisce non solo quanto Sa Llotja sia preziosa anche come spazio per mostre oltre che come opera architettonica in sé, ma anche il ruolo persistente di Casal Solleric come referente dell'arte e della cultura contemporanea. La mostra, inaugurata il 26 aprile, si conclude il 31 agosto 2024








martes, 16 de julio de 2024

Vita da pulp - Libri introvabili e dove non acquistarli


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Ho intravisto sulle reti sociali alcune osservazioni, presumo, di librai giustamente risentiti: giorni fa un articolo della versione online di un famoso quotidiano riportava la classifica di un noto premio letterario, con le schede dei libri relativi e un "pulsante" che rimandava alle pagine corrispondenti su Amazon. A infastidire i librai è il fatto che il titolo dell'articolo sia formulato nei termini "Dove acquistare il libro vincitore e gli altri finalisti", che suona come se, stando alla prestigiosa testata, questi si trovasserno solo ai link proposti.
Non sono in Italia in questo momento, ma suppongo che i titoli finalisti e quello vincitore del Premio Strega siano ben esposti nella maggior parte delle librerie della Repubblica. D'altra parte sono pubblicati da editori che hanno ottime possibilità di essere ben distribuiti. Quindi non dovrebbe essere un problema localizzarli e acquistarli nel modo più semplice: entrando in una libreria. Il problema sorge quando entrare in una libreria è invece il modo più sicuro per non trovare un libro. Ne ho spiegato il meccanismo in un post di quattro anni fa, riportando scene cui ho assistito di persona e altre di cui ho ricevuto testimonianze dettagliate.
Si dà il caso che per diversi anni anch'io sia stato un libraio, quindi conosco un po' il mestiere. Lavoravo alla Libreria del Giallo di Milano (nota anche come La Sherlockiana), che non si occupava solo di gialli, ma anche di altra narrativa di genere e di saggistica. La regola era che quando ci veniva chiesto un libro - anche se non presente in negozio, anche se estraneo ai "nostri" argomenti, anche se fuori commercio da tempo - facevamo tutto il possibile per recuperarlo. Nella maggior parte dei casi, se il titolo era in commercio, bastava richiederlo al distributore della casa editrice corrispondente. Ma non ci limitavamo a questo: in quegli anni assunsi l'identità del "Cacciatore di Libri", poi trasfigurato nel protagonista di molte mie storie, e girai Milano sulle tracce di volumi fuori commercio... trovandone un bel po'.

Si intuisce dunque che il mio concetto di libreria, "Se esiste un modo di reperire il libro che una persona desidera acquistare, glielo procuro quanto prima", sia molto diverso da "Se una persona entra a chiedermi qualcosa che non ho, col cavolo che glielo ordino: stia zitta e compri invece Il bruciore e la lagnanza, ché ce n'ho una pila avanzata dal Natale scorso e non ho ancora fatto il reso". Eppure constato che spesso la clientela viene trattata proprio in questo secondo modo, per cui case editrici interessanti, benché distribuite, sono bellamente ignorate in molti luoghi preposti a venderne i libri.
Un esempio recente. Da qualche anno mi sono appassionato ai gialli di Albina Olivati, che frequenta il sottogenere oggi chiamato cozy crime, anche se nel suo caso preferisco parlare di "commedia umana". Realizzo per lei i booktrailer e le relative inserzioni pubblicitarie online; una delle prime rimandava a una pagina web preparata da me, in cui non scrissi "Lo trovate in tutte le librerie". Sapevo bene che non sarebbe stato vero, dato che i primi due romanzi di Albina Olivati, Termine corsa e Il bagno di Apollo, sono editi da DrawUp, casa editrice per cui anch'io ho pubblicato due titoli, distribuita in libreria, ma vale quanto ho scritto sopra. Quindi saltai un inutile passaggio, indicando "dove acquistarli" con i link al sito dell'editore e a quattro diverse rivendite online.
Tuttavia la scena straziante è avvenuta lo stesso: "Sono andata alla Libreria Mondadori", ci scrisse una lettrice rattristata, "ma mi hanno detto che non c'era, che peccato." Non so in quale Libreria Mondadori fosse andata la signora, ma è evidente che chi se ne occupava omise volutamente di dirle che il libro poteva essere ordinato e arrivare in capo a una settimana. La libreria ha perso una vendita (o ha costretto la signora a comprare Il bruciore e la lagnanza), la cliente non ha trovato il libro che cercava e l'autrice ha perso una lettrice; moltiplicate per tutte le librerie che si comportano in questo modo e capirete come questo sistema permetta che solo certi libri diventino "bestseller", mentre altri non vengano neppure venduti, anzi, siano strozzati nella culla. Per la cronaca, il primo giallo della nuova serie di Albina Olivati, Brindisi per un delitto, è uscito da Oakmond Publishing, il cui distribuitore è Amazon: lo trovate in ebook o in edizione cartacea a questo link.

Del resto, non crediate che a tutti i libri pubblicati da grosse case editrici sia riservata una distribuzione equa. Quando una ventina di anni fa scrivevo, traducevo e curavo libri per Sonzogno Editore (Gruppo RCS), entrai in una grande Libreria Rizzoli (Gruppo RCS) a Genova; trovai in vendita giusto uno dei numerosi bestseller che avevo tradotto da poco e nessuno dei miei titoli recenti, nemmeno quello che aveva già superato le 20.000 copie; però vidi in scaffale un mio titolo di saggistica, con all'epoca 22.000 copie vendute, uscito da Mondadori (Gruppo Mondadori), che forse non avrei trovato in una Libreria Mondadori (Gruppo Mondadori). Dubito che ora le cose siano cambiate in meglio e di sicuro bastano molte meno copie per avere "un bestseller".
Ho già spiegato in un altro post di quattro anni fa i motivi per cui, dopo che molte piccole case editrici sono state costrette alla chiusura per come sono state trattate da promotori, distributori e (non ultime) certe librerie, siano nati marchi editoriali che usano Amazon come tipografo-distributore. In libreria non le trovate, ma non le avreste trovate lo stesso. In questo modo però abbattono gli ormai proibitivi costi di stampa per le tirature richieste dal sistema promozione-distribuzione, evitano le spese di magazzino per ciò che non viene promosso né distribuito, non hanno copie da mandare al macero e ogni tanto possono pagare qualcosa a chi il libro l'ha scritto. Per chi scrive vuol dire evitare l'estinzione forzata, anche di autrici e autori di successo che per oscure ragioni sono stati allontanati dal mercato. Per il pubblico vuol dire che diventano finalmente accessibili libri che resterebbero altrimenti inediti o introvabili: basta un click per scaricare l'ebook per Kindle o per ordinare un volume che, stampato dalla stessa Amazon, vi arriva a casa in due giorni. Certo, vi hanno raccontato che Amazon è amerikana e kattiva: ve lo ha detto anche un politico con una T-shirt discutibile, un mojito in una mano e un rosario nell'altra, che non ha esitato a reclutare nel suo partito l'autore di un libro autopubblicato su Amazon con enorme successo (e qualche accusa di razzismo e discriminazione). Se la pensate diversamente da loro, potrebbe piacervi il mio Black and Blue, appena ripubblicato da Oakmond su Amazon.
Ma come lettore di libri cartacei, ex libraio ed ex Cacciatore di Libri, continuo ad amare l'editoria tradizionale e la possibilità di entrare in una libreria per guardarmi intorno, scoprire nuovi titoli e sfogliare volumi, sapendo che inevitabilmente qualcuno di questi verrà a casa con me. Tra le mie ultime pubblicazioni (a parte quelle in edicola) ce n'è appunto una esclusivamente su carta, nel volume C'era una volta un ponte (290 pagine, 20 euro) pubblicato da una casa editrice distribuita in libreria, Palombi Editore. Oltre a un saggio serissimo e numerose immagini in bianco e nero e a colori, contiene un mio romanzo storico di 220 pagine intitolato Il ponte sospeso, che qualcuno dice essere tra le cose migliori che io abbia mai scritto. Non vi metto il link ad Amazon e a nessun altro: andatelo a cercare in libreria. Nel caso vi dicano che non ce l'hanno e si rifiutino di ordinarvelo, se mentre uscite fate cadere accidentalmente la pila di copie de Il bruciore e la lagnanza, non sono stato io a dirvi di farlo.

Continua...

(In apertura: immagine generata con AI)




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato oltre una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Membro di IAMTW e World SF Italia, vincitore del Premio Italia 2018 (miglior romanzo fantasy), cura le riedizioni di Andrea G. Pinketts con l'associazione omonima e per Delos Digital la collana in ebook Spy Game.

domingo, 7 de julio de 2024

Vita da pulp - Sotto gli occhi di tutti


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Mi fa sempre piacere quando qualcuno nota che nei miei libri di spionaggio si scoprono informazioni e persino chiarimenti su fatti reali di cronaca o di Storia... anche se poi aggiunge che non se l'aspetterebbe da un "semplice" romanzo di intrattenimento. A dire il vero, come ho già spiegato in una serie di post sull'argomento, scrivere spy story non è così semplice e implica anche trattare argomenti "seri". I romanzi pubblicati da Segretissimo Mondadori hanno una lunga tradizione in proposito: l'approccio alla materia poteva essere più o meno fantasioso, ma da quella collana ho imparato parecchio di geopolitica e di intelligence, prima di diventarne a mia volta autore (sotto lo pseudonimo di François Torrent, identità ormai pubblicamente rivelata, tanto che nelle riedizioni da Oakmond Publishing in copertina figura il mio vero nome.)
Chi ha letto i miei libri osserva inoltre che non ho pregiudizi ideologici. In trent'anni ho criticato apertamente scelte politiche e belliche in patria e fuori, a ovest e a est; e, se oggi qualche "cattivo" di un certo tipo è più presente di altri, è solo colpa sua.
C'è poi una domanda che mi viene rivolta spesso: se io abbia "fonti segrete" che mi passano informazioni per i miei romanzi. La risposta è no: le mie fonti sono sotto gli occhi di tutti, grazie all'accesso via Internet a giornali online di tutto il mondo. Interpretando correttamente le notizie e conoscendo il modus operandi di certi servizi segreti, non è difficile fare due più due e arrivare a quattro prima di chiunque altro. In questo modo ho potuto denunciare complotti fasulli e ipotizzarne invece di plausibili... che in qualche caso si sono rivelati reali: per esempio la presenza russa in Catalogna nel 2017, di cui ho scritto in Agente Nightshade-Territorio Narcos prima che diventasse di dominio pubblico, e di cui riparlo nel romanzo appena uscito, Agente Nightshade - Legione Ombra.


"L'ignoranza è forza", affermava il Grande Fratello del 1984 di Geoege Orwell. E l'ignoranza si può alimentare con il silenzio su certi fatti, che nel tempo finiscono per essere rimossi dalla memoria collettiva. Uno di questi è un episodio del secolo scorso che riguarda l'Italia. Forse lo ignorerei anch'io, se da oltre mezzo secolo non passassi parte della mia vita in Spagna e non mi fosse capitato di sentirne parlare da gente con esperienza diretta. Cerco di riassumere il contesto in poche parole.
Dopo la caduta nel 1931 di un binomio monarchia-dittatura simile a quello italiano, la Spagna era una Repubblica e un paese democratico. Nel luglio 1936 tuttavia un golpe militare, che ebbe come figura principale il generale Francisco Franco, divise il Paese in due e scatenò una guerra civile tra le aree rimaste fedeli alla Repubblica e quelle finite sotto l'immediato controllo degli insorti. Franco non ce l'avrebbe fatta da solo e chiese sostegno ai due leader stranieri che gli erano ideologicamente più vicini, Mussolini e Hitler, i quali intervennero con uomini e mezzi al suo fianco. Grazie a loro, dopo quasi tre anni di sangue, nell'aprile del 1939 Franco ebbe il sopravvento. Rimase però fuori dalla Seconda guerra mondiale e questo, a differenza di quanto capitò ai suoi camerati in Germania e Italia, gli permise di restare dittatore fino alla morte nel 1975. Dopodiché tornò la monarchia e iniziò il processo di democratizzazione della Spagna.
Quando approdai a Maiorca negli anni Settanta, ero curioso di sapere come fosse andata la Guerra Civile da quelle parti: mi fu risposto che lì i combattimenti erano durati pochissimo. In effetti era vero: nel luglio '36 i franchisti avevano preso il controllo dell'isola; in agosto erano sbarcate le forze repubblicane, ma Franco aveva chiesto aiuto a Mussolini e il rapido intervento dei Legionari italiani (al comando di uno squadrista di nome Arconovaldo Bonacorsi) aveva fatto piazza pulita. La Storia ricorda che, da quel momento e sino alla fine della Guerra Civile, l'isola ospitò basi militari italiane da cui venivano condotti attacchi ai territori repubblicani peninsulari. Scoprii poi che i piloti italiani di stanza a Maiorca avevano fatto strage di cuori tra le ragazze del luogo: sicché nel romanzo Black and Blue accenno a quel periodo e rivelo che la bisnonna del protagonista (apparsa come personaggio in altre mie storie ambientate negli anni Trenta-Quaranta, nel volume Dossier Contreras e in un paio di episodi di "Spy Game") era la vedova maiorchina di un ufficiale dell'aviazione legionaria.

Arconovaldo Bonacorsi alias "Conte Rossi"

Nella primavera del 1939, costretto da promesse internazionali fatte dal Ministro degli Esteri italiano (Galeazzo Ciano, che poi avrebbe fatto una brutta fine) Mussolini restituì Maiorca a Franco. Ci sono però una terribile storia "dimenticata" - o meglio, ricordata in Spagna ma non in Italia - e una sconcertante storia "segreta", portata da poco alla luce da un giornalista di nome Manuel Aguilera Povedano. La storia dimenticata: dal settembre 1936 Maiorca fu, de facto, una colonia italiana e in autunno il succitato "proconsole" Arconovaldo Bonacorsi scatenò una sanguinosa repressione, con centinaia, forse migliaia di vittime civili, inclusi veri e propri desaparecidos fucilati e sepolti in fosse comuni, i cui cadaveri ancora oggi sono in corso di identificazione. Il magazzino di Can Mir fu trasformato in un carcere disumano (ne ho raccontato la storia in un ebook della collana "Spy Game", Nome in codice: Ombra). Intanto Bonacorsi, che sull'isola si spacciava per nobile e si faceva chiamare "Conte Rossi", cavalcava trionfante sulla Rambla locale, per suo volere poi ribattezzata Via Roma. Circolavano immaginette laiche in cui il Conte Rossi era definito "il Salvatore di Maiorca" (v. foto sopra), ma la sua mancanza di pietá fu tale che, a seguito di proteste internazionali, nel dicembre 1936 fu rimosso dall'incarico e spedito prima sul fronte spagnolo e poi nell'Africa Orientale Italiana; catturato dai britannici, dopo la II guerra mondiale tornò in patria, dove fondò un partito più a destra dell'MSI. Dato il numero di vittime, si può intuire perchè in Italia si preferisca non parlare della "nostra" occupazione di Maiorca. Per quanto riguarda la "storia segreta", vi rimando invece al saggio di Manuel Aguilera Povedano Un'occasione d'oro per Mussolini, pubblicato in Italia giusto un anno fa da LoGisma, e al mio romanzo Agente Nightshade - Legione Ombra, ora in edicola e ebook da Segretissimo Mondadori, in cui elaboro possibili intrighi sulla base delle scoperte del ricercatore spagnolo. E a volte due più due fa cinque.
Il libro di Manuel Aguilera Povedano svela che nel 1938, mentre l'Italia promette al mondo di restituire alla Spagna l'isola di Maiorca (irrinunciabile come base aeronavale per il controllo del Mediterraneo) Mussolini attua un piano a lungo termine che gli permetterà di colonizzare le Baleari e la Catalogna se la Spagna entrerà nella II guerra mondiale, cosa che però non avviene. Nel mio romanzo recupero questa storia e faccio un balzo in avanti di quasi ottant'anni: nel 2017 il governo autonomo in Catalogna, oltre a dichiarare la secessione dalla Spagna, ha il progetto di occupare i territori vicini, incluse le Baleari; a quel punto si presenta a Barcellona un emissario del Cremlino, che si offre di inviare militari russi per "garantire" l'indipendenza catalana (lo stesso metodo usato nel 2014 con gli "omini verdi" in Crimea), ben sapendo che l'area separatista Catalogna-Baleari - proprio il territorio strategico cui ambiva a suo tempo Mussolini - uscendo dalla Spagna si troverebbe di colpo fuori dall'Unione Europea e dalla NATO, e potrebbe quindi essere trasformata in una vasta Kaliningrad del Mediterraneo; per fortuna i catalanisti non accettano "l'aiuto fraterno" del Cremlino, consci che finirebbero, appunto, come la Crimea. Ma, se a Mosca l'idea avesse messo radici e qualcuno le offrisse una seconda possibilità...
Nota per chi non lo sapesse: Kaliningrad (un tempo la tedesca Koenigsberg, la città di Immanuel Kant) fu conquistata dai sovietici durante la II guerra mondiale ed è tuttora sotto il controllo russo: situata tra Polonia e Lituania, due paesi membri della NATO, oggi è una potente base aeronavale russa sul Mar Baltico munita di armi nucleari: i missili SS-26, pronti a distruggere l'Europa dall'interno. Quindi si può immaginare l'interesse del Cremlino a disporre di un'area strategica simile, stavolta però nel cuore del Mediterraneo. Certe informazioni, come dicevo, sono sotto gli occhi di tutti... e di nessuno. Ma, se ve le siete perse altrove, potete leggerle nei miei libri.




Continua...

(In apertura: il porto di Palma di Maiorca, in passato base navale italiana; foto A. C. Cappi)




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato oltre una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Membro di IAMTW e World SF Italia, vincitore del Premio Italia 2018 (miglior romanzo fantasy), cura le riedizioni di Andrea G. Pinketts con l'associazione omonima e per Delos Digital la collana in ebook Spy Game.


viernes, 28 de junio de 2024

Vita da pulp - Ma che posto è questo?


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Ogni tanto, a chi scrive romanzi, qualcuno dal pubblico domanda: "Ma lei è stato in tutti i luoghi di cui parla nei libri?" L'ho sentito chiedere a John Le Carré, che non solo "c'era stato", ma in alcuni di essi aveva anche svolto lo stesso lavoro dei suoi personaggi. Una volta l'ho sentito chiedere anche a uno scrittore italiano che ambientava i suoi noir nella propria città - quindi c'era stato per forza - ma forse lo spettatore non ne aveva letto neppure le quarte di copertina.
La domanda ha senso, appunto, se rivolta a chi fabbrica storie che richiedono molteplici ambientazioni internazionali. Come raccontavo tempo fa a proposito di Ian Fleming, nel suo caso la risposta è sì: il creatore di 007 scrisse anche reportage dei propri viaggi, benché i due luoghi ricorrenti nei suoi libri siano Londra (per ovvie ragioni) e la Giamaica, dove ogni inverno si ritirava per dedicarsi alla nuova avventura del suo personaggio. Quando l'americano Raymond Benson ereditò l'incarico ufficiale di scrivere le missioni di James Bond, prese il suo ruolo molto sul serio: contattò corrispondenti in varie città, fece le valigie e girò mezzo pianeta per visitare i paesi in cui avrebbe fatto muovere il celebre agente segreto... riuscendo però a menzionare il suo vecchio quartiere a New York, il suo ristorante preferito nel Texas e la zona vicino a casa sua, fuori Chicago.
Tra i nostri connazionali, Giancarlo Narciso (noto anche come Jack Morisco) ha addirittura vissuto a lungo in molti dei luoghi di cui parla nei suoi romanzi, dall'America Latina all'Estremo Oriente; il che non gli ha impedito di scrivere anche vicende italiane, milanesi o trentine che fossero. Quanto al prolificissimo Stefano Di Marino (altrimenti detto Stephen Gunn) visitò moltissimi territori delle avventure del Professionista e di altri suoi personaggi, sviluppando legami particolari con l'Asia e soprattutto con Hong Kong, cui dedicò anche il saggio E nel cielo nuvole come draghi; ma fu per lui una grande soddisfazione - da autore noir milanese della prim'ora - poter ambientare alcune storie di Chance Renard proprio a Milano, dove, secondo certi editori poco informati, non sarebbero state "credibili" le storie dai risvolti internazionali.

In qualche occasione tornano utili luoghi visitati per altre ragioni. Per esempio, dopo essere stato ospite al Noir in Festival di Courmayeur, Donald E. Westlake (alias Richard Stark) scelse quella località per ambientarvi un insolito capitolo fuori dagli USA di un suo noir con protagonista Parker. Dopotutto i festival sono un'occasione per conoscere nuove località insieme a gente del posto. Addirittura, a GialloLatino, che si svolgeva tra Latina e provincia, scrittrici e scrittori ospiti erano invitati a trascorrere qualche giorno "sul territorio" per ambientarvi un racconto. Ci sono tornato per varie edizioni, sicché Latina ricorre in parecchie mie storie, dallo spionaggio alla fantascienza.
Fleming viaggiava a spese del giornale per cui scriveva i reportage e poi riutilizzava le proprie esperienze nella narrativa. Narciso (come lo fu Di Marino) è un globetrotter per natura e per stile di vita, che in veste di romanziere impiega ambientazioni e situazioni conosciute in modo diretto. Ma in generale è difficile per chi scrive "thriller internazionali" - e in particolare romanzi di spionaggio - visitare personalmente tutti i luoghi in cui ambienta una storia. Oltretutto i guadagni di chi lo fa per professione in lingua italiana non sono sufficienti a finanziare trasferte in quattro o cinque paesi diversi per ogni romanzo.
Io, per esempio, non ho viaggiato moltissimo. Cerco sempre di sfruttare luoghi che conosco, il che spiega perché nei miei libri si vedano spesso Italia e Spagna. Ma, per una questione improvvisa di geopolitica, può capitare che un capitolo si debba svolgere in qualche parte del mondo in cui non ho mai messo piede, per esempio un quartiere "caldo" di Beirut. A parte i rischi e i costi, non potrei partire dall'oggi al domani: in genere ho a disposizione un mese o poco più per scrivere un romanzo. Quindi devo risolvere il problema alla vecchia maniera: documentandomi.

All'inizio, come Emilio Salgari, potevo basarmi solo su libri, mappe e cartine, e racconti di chi in quei luoghi c'era stato o ci aveva vissuto. Poi con Internet, in particolare Google Maps e la sua funzione Streetview (ma anche, più di una volta, con video trovati su YouTube) si è estesa la possibilità di raccogliere informazioni e visitare virtualmente altre città. In ogni caso, non sempre Internet è sufficiente, specie se l'ambientazione è in un'altra epoca: a questo scopo, vecchie riviste e guide turistiche ormai datate possono ancora rivelarsi preziose.
Ma parlare di luoghi conosciuti di persona è sempre meglio. In passato ho ambientato parte di un romanzo a Lisbona perché c'ero stato da poco; ho scritto molto di Praga, che forse ha risvegliato in me qualche filamento di DNA di antenati boemi. A volte tengo persino da parte per anni qualche ambientazione, così da non bruciarmela troppo in fretta. In questi giorni però mi sono tolto la soddisfazione di un breve giro di location scouting: in una città che ho già "usato" di recente, ma intendo impiegare ancora; in un'altra che so essere necessaria per il prossimo libro; e in una terza che si è imposta da sola come ulteriore scenario.
L'importante è evitare quanto capita a volte anche in certi bestseller internazionali: può darsi che chi li ha scritti abbia visitato sul serio quei posti ma, se non ne ha colto l'atmosfera, cade in stereotipi che poteva benissimo riprodurre anche senza muoversi da casa propria.

Continua...

(In apertura: A. C. Cappi sulla riva del Mare del Nord)




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato oltre una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Membro di IAMTW e World SF Italia, vincitore del Premio Italia 2018 (miglior romanzo fantasy), cura le riedizioni di Andrea G. Pinketts con l'associazione omonima e per Delos Digital la collana in ebook Spy Game.