jueves, 25 de septiembre de 2025

Vita da pulp - Il silenzio è duro


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi

Nel 1997 Andrea G. Pinketts, nella sua prefazione al mio romanzo Ladykill, mi definì "inopportunista", per la mia capacità di notare incoerenze, sollevare dubbi e ipotizzare risposte scomode. In quel caso avevo trattato, sotto forma di thriller, la morte di Lady Diana. Da allora, tra i molti generi che frequento nella narrativa, mi sarei dedicato in particolare allo spionaggio, ispirandomi spesso a eventi reali. Non si tratta solo di scrivere un romanzo di intrattenimento con tutte le caratteristiche di una buona spy story, ma anche di andare alla ricerca di possibili retroscena.
Che a volte ciò sia "inopportuno" fu evidente fin dall'autunno del 1997: un invito a un importante programma tv annullato all'ultimo momento, articoli sul mio libro pronti per la pubblicazione ma poi cancellati... In quei mesi buona parte dei media non ammetteva spiegazioni della morte di Lady Diana diverse dalla versione ufficiale. Solo con il passare degli anni la mia "ipotesi di complotto" sarebbe diventata socialmente accettabile. Ma intanto avevo trovato la mia vocazione di inopportunista.
Giusto vent'anni fa il premier italiano affidò a un portavoce la rettifica di una propria dichiarazione del 2003 alla rivista Time. Dopo due anni nessuno ricordava più quella sua frase infelice sulle "armi di distruzione di massa" di Saddam Hussein, ma io l'avevo appena citata nel romanzo Babilonia Connection. Poiché la collana Segretissimo di Mondadori che lo aveva pubblicato godeva di tirature e distribuzione da bestseller nelle edicole, qualcuno doveva essersene accorto. Da qui la dichiarazione correttiva con la consueta formula "In realtà il presidente intendeva dire che..."

Ironia della sorte, a pubblicare la prima edizione dei miei romanzi di spionaggio, allora come oggi, è proprio la casa editrice gestita dalla famiglia del premier di cui sopra. Apprezzo il fatto di non avere subito censure o ritorsioni per questo. Oltretutto per un certo periodo - anche se non retribuito - fui un ospite ricorrente del programma Mattino 5, sul principale canale televisivo degli stessi proprietari, con il compito di commentare i delitti del momento. E anche qui riuscii a dimostrarmi inopportuno.
Se non ricordo male, una mattina in cui mi trovavo in studio, il fattaccio del giorno riguardava uno spacciatore italiano e la sua convivente latinoamericana, uccisi in un regolamento di conti a Milano. In collegamento da Roma una politicante invocava i carri armati nelle strade per difendere la popolazione da una criminalità crescente, che lei attribuiva agli immigrati. Riuscii a farla educatamente tacere facendole notare che in questo caso l'unica immigrata era tra le vittime e che i regolamenti di conti tra spacciatori (italiani) non erano certo una novità. Il mio intervento fu gradito agli autori del programma, presumo, perché continuai a essere invitato.
Da molto tempo non sono più ospite di programmi televisivi, anche se ogni tanto mi capita di partecipare a videoincontri online. A preoccuparmi però è un fenomeno che riguarda la mia tribuna principale: la narrativa di spionaggio. Storicamente Segretissimo - che dal 1960 affianca in edicola Il Giallo Mondadori e Urania - veniva seguito con attenzione da persone di cultura di ogni orientamento politico; da alcuni anni però c'è chi lo considera una collana di libracci di sesso e violenza per un pubblico maschile e maschilista. A questo si aggiungono la graduale estinzione delle edicole, una distribuzione non più capillare e il sempre maggiore disinteresse in Italia verso la lettura in generale.

Ciò comporta che il pubblico dei miei libri di spionaggio, anziché aumentare, diminuisca, anche per la difficoltà di trovarne fisicamente una copia. Questo avviene in un'epoca in cui, al contrario, c'è più bisogno che mai di scoprire cosa succede dietro le quinte. Al contrario, ho la sensazione che il pubblico italiano sia bersagliato più di altri da disinformazione, propaganda e falsità strombazzate in televisione, riportate da giornali tendenziosi e infine ricopiate in post sui social network da persone ormai convinte di sapere tutto.
Quattro anni fa aprii un blog dedicato alle basi di cronaca e storia nei miei libri, annunciando i vari post sul mio principale strumento di comunicazione, Facebook. Tuttavia qualcuno si accorse subito che le mie idee erano troppo democratiche e, con una falsa denuncia di spam (assolutamente immotivata, ma nonostante le mie richieste i gestori non hanno mai fatto verifiche), ha imposto la censura al blog per sempre su quel social network. Di tanto in tanto, del resto, subisco denunce false per presunte "violazioni della normativa": poco tempo fa le mie foto di amici, libri e panorami dei cinque mesi precedenti sono sparite per alcuni giorni. Insomma, devo stare attento ai miei post, perché basta che un qualsiasi cretino faccia click su "segnala" e rischio di essere cacciato per sempre da quello che è da anni il principale veicolo per informare il pubblico delle uscite dei miei libri.
Quindi sui social network si possono diffondere liberamente pericolose menzogne geopolitiche mentre io, che forse ne so un po' più della media, devo tacere, altrimenti rischio di scomparire. Il silenzio è duro, quando ci si è obbligati da una censura invisibile e strisciante. Per il momento posso ancora dire la mia nei romanzi di spionaggio, se riuscite a trovarli: visto che i media non ne parleranno, vi informo sin d'ora che il prossimo inedito sarà in edicola nel dicembre 2025 da Segretissimo Mondadori, come sempre firmato con lo pseudonimo François Torrent (il mio nome vero appare in copertina solo a distanza di anni, nelle riedizioni di Oakmond Publishing su Amazon), si intitola Agente Nightshade - Ultima frontiera e tratta argomenti molto scottanti. Potrebbe aprirvi gli occhi su quanto sta accadendo nel mondo, quindi interessa anche a voi.

Continua...

(Immagine: fotocappi)




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito su Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato oltre settanta titoli tra romanzi, raccolte e saggi. Editor, traduttore, consulente editoriale, sceneggiatore di fumetti e fiction radiofonica, fotografo, illustratore, copywriter e videomaker, dal 1994 scrive la saga thriller Kverse, che riunisce diverse serie tra spy story e noir: MedinaNightshadeSickroseBlack e Dark Duet. Come autore di narrativa tie-in ha lavorato su Martin Mystère (vincendo nel 2018 il Premio Italia per il miglior romanzo fantasy), Diabolik e Profondo rosso. Ha dato vita inoltre alle serie Cacciatore di libriStanislawsky Danse macabre. Membro di IAMTW, World SF Italia e Associazione Andrea G. Pinketts, presiede la giuria del Premio Torre Crawford, di cui cura le antologie annuali; è membro delle giurie del Premio Di Marino-Segretissimo e del Premio Michele Serio; è direttore editoriale di M-Rivista del Mistero presenta (Ardita Edizioni) e della collana di spionaggio Spy Game-Storie della Guerra Fredda in ebook (Delos Digital).

jueves, 18 de septiembre de 2025

Mirò a Maiorca

 

Joan Miró, senza titolo, 1973 (fotocappi, Es Baluard, 2025)

Reportage di Andrea Carlo Cappi

Maiorca fa parte del DNA di Joan Miró, nato nel 1893 a Barcellona dall'orafo Miquel Miró e da Dolores Ferrà, originaria dell'isola. Già dall'infanzia gli sono familiari i panorami della più grande delle Baleari. La crescita come artista avviene a Parigi, che frequenta dal 1919 e dove si stabilisce dal 1921, entrando nel mondo della "generazione perduta". Nel 1929 sposa Pilar Juncosa a Palma di Maiorca.

Manifesto di una mostra a Casal Solleric, 1992

Malgrado durante la Guerra Civile dichiari apertamente e artisticamente la sua posizione in favore della Repubblica - sconfitta nel 1939 dalla dittatura franchista, che si protrarrà fino al 1975 - torna in Spagna nel 1940 quando la Francia viene invasa dai nazisti. Nel 1956 si trasferisce definitivamente a Cala Mayor (appena fuori da Palma di Maiorca), dove l'architetto Josep Lluis Sert gli ha progettato un'abitazione-atelier, oggi visitabile così come la ha lasciata l'artista, oltre che sede della Fondazione Pilar i Joan Miró. E qui Miró muore nel 1983, all'età di novant'anni, dopo che la fine del franchismo gli ha consentito finalmente di ricevere i riconoscimenti che meritava in patria.

Senza titolo, 1973, al Museu Es Baluard (fotocappi)

Proprio la Fondazione, insieme al Museo Nacional Reina Sofia, a Successió Miró e a varie entità locali come Casal Solleric e il Museo Es Baluard, è all'origine delle quattro mostre parallele che si svolgono a partire da luglio-agosto 2025 tra il capoluogo dell'isola e la sede di Cala Mayor, sotto il comune titolo di Paysage Miró. Vi sono approdate numerose opere di pittura e scultura da musei e collezioni private. In questo articolo indico luoghi, date e orari delle tre mostre che si tengono a Palma di Maiorca.

Disposizione delle opere a Sa Llotja

La força inicial (Sa Llotja, plaça de Sa Llotja, fino all'8/2/2026, gratuita, chiusa il lunedì; gli altri giorni, orari 10.30-13.30, 16.00-21.00)
Lo spazio espositivo di Sa Llotja - la gotica loggia del mercanti, nella piazza omonima - ospita dieci opere in bronzo che si ricollegano alle tematiche ricorrenti della scultura di Miró.

"Oiseau lunaire", 1966, a Sa Llotja (fotocappi)

El color i la seva sombra (Casal Solleric, passeig d'es Born, 27, fino al 9/11/2025; gratuita, chusa il lunedì; orari da martedì a sabato 10.00-20.00, domenica 11.00-14.30)
Opere pittoriche e figure totemiche di Miró, provenienti da musei e collezioni private. Nello stesso palazzo sono visitabili altre mostre.

Opere in esposizione a Casal Solleric (fotocappi)

Pintar entre les coses (Museu Es Baluard, Plaça de Porta Santa Catalina 10, fino al 9/11/2025; biglietto 6.00 €, al venerdì contributo volontario; chiusa il lunedì; orari da martedì a sabato 10.00-20.00, domenica 10.00-15.00).
Pittura, scultura e arte performativa di Joan Miró. Nello stesso museo è visitabile anche la collezione permanente di arte contemporanea.

El abanderado, 1977, a Es Baluard (fotocappi)


lunes, 11 de agosto de 2025

Andrea G. Pinketts visto da Stefano Di Marino

Andrea G. Pinketts (fotocappi, 2012)

Il 12 agosto 2025 Andrea G. Pinketts (1960-2018) compie 65 anni. Per ricordarlo, questa volta prendo a prestito la voce di un autore di cui lui non perdeva un libro: ogni volta che usciva un nuovo romanzo del comune amico Stefano Di Marino - e ne uscivano parecchi all'anno - entro poche ore glielo vedevo in mano. Nel 2020 la Biblioteca Sormani di Milano pubblicò una trilogia di ebook gratuiti curati da me in collaborazione con l'Associazione Culturale Andrea G. Pinketts, contenenti racconti e articoli di "Pink": Stefano Di Marino (1961-2021) ricordò il loro incontro nella prefazione a uno dei volumi, che ripropongo qui oggi.

Andrea G. Pinketts e Stefano Di Marino (fotocappi, 2007)

"Io e il Pink" di Stefano Di Marino (12 ottobre 2020)

Andrea lo conobbi veramente per la prima volta a Viareggio durante un Noir in Festival, manifestazione che per qualche tempo si tenne al mare d’estate. Era il 1992.
Per la verità Andrea lo avevo visto diverse volte in redazione alla Mondadori. Io stavo a Urania ma, visto che Lia Volpatti (caporedattore de Il Giallo) era la mia "compagna di banco", come diceva lei, e occupava la scrivania accanto alla mia, eravamo in famiglia.
Bei tempi…
Andrea veniva spesso perché collaborava attivamente con il "varietà" de Il Giallo Mondadori   Arrivava come un ciclone in redazione, lo sapete com’era… (N.d.R: quando la pubblicazione era settimanale, il "varietà" includeva i racconti, gli articoli e le interviste pubblicati in appendice al romanzo).
Ci eravamo presentati, guardati con un po’ di diffidenza all’inizio perché eravamo proprio due persone differenti. Io ero (allora) abbastanza schivo, concentrato sulle mie cose, lui era già una star, se non in libreria almeno nel “giro”, perché andava in tv, collaborava con Esquire ed era dotato di quella irruente carica di personalità che a me mancava.
Io avevo pubblicato un primo romanzo negli Oscar nella collana Nero Italiano dove lui avrebbe potuto entrare a testa alta, ma certe manovre di corridoio non lo avevano permesso. Ancora una volta, sapete com’è l’ambiente editoriale…
Insomma potete capire. Giovani (allora) leoni in erba, che si guardavano con quelle facce un po’ così che hanno appunto i cuccioli di felino quando scendono alla stessa pozza. Avremmo poi capito che i “nemici” nel nostro ambiente sono altri. Gli incapaci, quelli che vanno avanti a spinte e sgomitate.
Noi no. Anche se eravamo diversissimi pure nell’aspetto (lui alto e magro, io basso e tracagnotto) avevamo una cosa che ci accomunava.
La passione per il delitto. Di carta e di celluloide ovviamente.
Perché Andrea anche se i suoi scritti difficilmente sarebbero catalogabili come "gialli classici", della materia ne sapeva eccome. Bastava leggere i suoi articoli sul varietà del Giallo per rendersi conto che, dietro la continua invenzione linguistica, c’era una preparazione di ferro su autori, registi, film, storie, generi, che non era una verniciatura.
Il ragazzo aveva studiato, e non solo gialli, ne sapeva un po’ di ogni genere e ci metteva le mani con una scatenata capacità di cogliere il grottesco e l’assurdo anche nella storia più agghiacciante. Insomma faceva quello che poi ha sviluppato in una vita di presentazioni e promozioni, perché, non vorrei che si dimenticasse, con i più di vent’anni di Seminario per Giallo e Bar, Andrea è stato un bastione della narrativa popolare in Italia, ha aiutato moltissimi giovani autori e ne ha fatti scoprire altrettanti.
Come mi sarebbe piaciuto leggere una Storia del Giallo italiano firmata da lui! E chissà quali irriverenti trovate avrebbe escogitato per ridere di tutto e di tutti (prima d’ogni altro di se stesso), ma nel contempo creare un quadro vivido e realistico che non toglieva a nessuno, anzi dava a tutti ciò che era giusto.
A questo proposito mi vengono in mente due titoli di articoli che scrisse in quei tempi sulla narrativa popolare per due articoli e che sono un chiaro esempio… sì, del fatto che G stava per “Genio”.
Uno era un pezzo su H. P. Lovecraft che Giuseppe Lippi gli aveva chiesto per Urania. Lo intitolò con irriverenza: “L’Importante è non prenderlo nel Chtulhu...”. Irriverente? Forse. Provocatorio ? Di sicuro, ma il pezzo era centratissimo e lasciava capire che, al di là del burlesque, la materia la conosceva. Era così: irrefrenabile.
Come quando Davide Pulici gli chiese un pezzo di apertura per il primo numero di Nocturno, che è tutt’oggi l’unica rivista che tratta con cognizione di causa di cinema di genere, italiano e non. Con una mirabile crasi tra cinema e fumetto, tra horror e goliardico, Andrea intitolò il pezzo: “La notte che Evelyn uscì con il Tromba”, mostrando di conoscere e saper amalgamare gli elementi base della cultura popolare italiana (in questo caso esemplificati dal film di Miraglia La notte che Evelyn uscì dalla tomba e il fumetto sexy Il Tromba) che poi sarebbero stati la bandiera della rivista.
E così ci ritrovammo quella mattina davanti al Teatro Politeama di Viareggio, in attesa di partecipare a una panoramica dei nuovi giallisti italiani condotta da Raffaele Crovi. Io ero lì per il mio primo Segretissimo (N.d.R.: il titolo del romanzo era Sopravvivere alla notte, la collana era Segretissimo, sorella dedicata allo spionaggio de Il Giallo Mondadori e Urania) che era uscito da un mese e Andrea per Lazzaro vieni fuori. C’erano anche Lucarelli e Cacucci che, ai tempi, erano già famosi.
Perciò ci troviamo ben prima dell’orario di inizio (le dieci del mattino… folla oceanica…) al bar di fronte al teatro. Ora, non è che ci si potesse trovare con Andrea in un posto diverso da un bar. Io, intimidito, prendo un caffè e lui mi guarda con un divertito compatimento e mi allunga una pinta di birra per fargli compagnia (ne aveva già bevute un paio). Stomaco vuoto, poi mezzo Garibaldi… insomma mi sentivo un po’ a disagio.
Però nell’attesa (gli incontri con gli autori esordienti italiani iniziano sempre in ritardo) cominciamo a parlare di gialli, di come non ci piacevano i mystery e preferivamo gli hardboiled. Di come sarebbe stato bello che ci fosse una "Scuola dei Duri" milanesi. E scopriamo anche che, malgrado tutto, di "gialli classici" ne sapevamo parecchio tutti e due.
Sapete com’è… A volte si scoprono interessi e passioni che altri non capiscono. Si comprende di essere, pur con le rispettive differenze, a band apart. E così, tra una birra e un sigaraccio, venne l’ora dell’incontro e c’incamminammo verso il teatro.
Io e lui. Quasi l’articolo il, il corto (io) e il lungo (lui).
Il Giallo italiano…

martes, 5 de agosto de 2025

Vita da pulp - L'ideale del libro (di Stefano Di Marino)

Stefano Di Marino interpreta un suo personaggio:
ritratto di Roberta Guardascione da "I Professionisti".


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 
con un articolo completo di Stefano Di Marino (1961-2021)

Questa volta non sono io a scrivere, mi limito a riportare una testimonianza importante sulla vera "cultura popolare" (nessun riferimento al Ministero che un secolo fa volle manipolarla e soffocarla).
Dal 2021, per le moltissime persone che, per amicizia o lettura, erano legate a Stefano Di Marino, alias Stephen Gunn e molti altri pseudonimi, il 6 agosto, oltre all'anniversario di Hiroshima - quest'anno l'ottantesimo - ospita una ricorrenza più diretta e personale: il suicidio di un uomo che, come ho spiegato in passato in questa rubrica, rappresenta il massimo livello del "celebre scrittore ignoto".
Non si può definire altrimenti un autore che, con centinaia di titoli di successo, migliaia di articoli, un lavoro enorme coronato da milioni di copie vendute (perlopiù a prezzi "popolari" e accessibili), è stato reso sempre più invisibile in vita, fino a essere indotto a morire - se non altro - alle proprie condizioni.
Ho già raccontato di come e perché io abbia acquisito la proprietà delle sue opere dell'ingegno per poterle portare in salvo dall'oblio. Ho cominciato con la pubblicazione dell'antologia I Professionisti, che oltre al suo La morte tatuata e a racconti di chi ha imparato molto da lui, raccoglie una serie di brevi saggi sulla narrativa popolare e, in particolare, la spy story come epica moderna. Oggi, a quattro anni dal suo addio, propongo qui un suo articolo molto significativo datato 5 aprile 2013. Scrive Stefano Di Marino:

Prima di cominciare questo lavoro (ventitré anni fa, ma probabilmente anche un po’ prima se consideriamo gli anni di collaborazioni varie non qualificabili come professionali, diciamo di "apprendistato") (N.d.R.: l'epoca cui si riferisce è quella del suo esordio ufficiale, il 1990) avevo un’idea completamente differente del mondo editoriale e delle meccaniche che lo regolano. Avevo l’ideale del libro ben scritto, avvincente, della professionalità che paga senza aiuti e spinte. Ero anche giovane e, quando si è giovani, è giusto tendere a un mondo dove certe brutture sono relegate ad altri campi, che non ci competono.
Essendo cresciuto con la passione per l’Avventura, raccontata ma anche letta e vista nei fumetti, nei romanzi (fossero questi in hardcover o in economica, non facevo differenza) e nei film. Tutto serviva ad alimentare la mia passione, il desiderio di migliorare, di imparare. Per poter dar vita al mio mondo immaginario.
Ero anche convinto che, se mai fossi riuscito a farmi pubblicare un paio di libri, il resto della mia carriera sarebbe proseguito speditamente. Non avrei avuto vincoli nella scelta dei tempi, la casa editrice mi avrebbe promosso e sostenuto, non avrei dovuto correre dietro a contratti e pagamenti come se uno chiedesse l’elemosina. Insomma stavo "studiando" per diventare narratore e ci mettevo tutto il mio impegno.
In seguito ho capito qual è la realtà. Non mi lagno. Alla fine, se mi guardo indietro, ho fatto tante e tali cose da poter essere realmente soddisfatto; e tutto ciò che di brutto, meschino, poco professionale che ho visto in seguito ben poco conta rispetto alla soddisfazione che ho avuto di poter vivere del lavoro che avevo scelto. A volte devo anche ricordarmelo perché, in tempi bui, è sin troppo facile lasciarsi prendere dallo scoraggiamento, vedere solo il bicchiere mezzo vuoto e lamentarsi perché altri godono di privilegi che vorremmo per noi.
Io sono ciò che sono. Un narratore (più che uno scrittore, l’ho detto più volte), ma anche un amante di viaggi, avventure di vario genere vissute nella realtà e rielaborate con la fantasia. Non mi interessa realmente essere inserito nella letteratura. Certo, mi fa piacere vedere il mio nome stampato in copertina, riterrei giusto ricevere qualche riconoscimento (e qualche soldino) in più, però, di fatto, ammettiamolo: io sono nato con la Cultura Popolare e credo di averla praticata con passione e successo. E ancora voglio continuare a farlo.
Non si tratta neanche di considerarlo un lavoro, anche se nel mio caso lo è diventato. Meno male, perché le difficoltà di oggi hanno un po’ azzerato la distanza tra "impiego normale" e "attività creativa". Pensate cosa vorrebbe dire fare un mestiere di routine con il rischio di perdere il posto, ma senza tutte le soddisfazioni derivanti dall’aver fatto ciò che si desiderava… È un’esperienza molto più totalizzante. Io credo che un po’ bisogna esserci nati.
Personalmente, non ricordo un periodo della mia vita in cui non sono stato immerso in questo mondo che mescola fantasia e realtà. Anche senza saperlo, mi stavo preparando per svolgere l’attività di oggi. Che si protrae per ventiquattr'ore al giorno, tutti i giorni. A volte anche senza che uno se ne accorga, perché tutto finisce per arrivare al momento creativo del tuo lavoro. E uno lo fa perché è la passione, il desiderio di esprimersi in questo modo, rielaborando esperienze personali esuggestioni fantastiche in un modo "suo", che è gusto e professionalità insieme.
Certo, se diventa un lavoro, la parte economica è importante ma alla fine non è essenziale. Io finisco per scrivere moltissimo, partecipo a eventi anche gratuitamente. Mi farebbe piacere che a livello economico ci fosse un adeguato riconoscimento per tutto. Ma, se a volte non succede e non è possibile, non è una ragione sufficiente per mollare. Sarà perché, di carattere, detesto l’ignavia, gli atteggiamenti rinunciatari.
Ovvio che a volte capitano batoste che per un poco ti lasciano al tappeto. Però poi la voglia di riprendere e di cercare una strada nuova riemerge sempre. Chiaro che un atteggiamento del genere in alcune occasioni ti porta a essere facile preda di chi sfrutta il tuo entusiasmo. Ma non avere entusiasmo è molto più meschino. Quasi come pubblicare una cosina e autodefinirsi anche pubblicamente "scrittori". Lo so, più volte ho affermato che questo lavoro andrebbe lasciato ai professionisti e sempre mi vien fuori il collega più giovane che magari ha pubblicato un libro e si sente già arrivato ma non può lasciare la sua altra attività, che si sente chiamato in causa.
So perfettamente che in Italia, oggi e agli inizi, se non si è dei geni o dei fortissimi raccomandati non si può vivere esclusivamente di scrittura. E che agli esordi tutti hanno un’altra professione. L’esclusività di cui parlo ha una radice diversa, più mentale che materiale. È, appunto, quel concetto di cui parlavo precedentemente: una professione, quella del narratore, che coinvolge ogni minuto. Perché la mente creativa non smette mai di cercare, di osservare, di elaborare, magari senza che ce ne accorgiamo, elementi che ci verranno utili in futuro.
A tutti quelli che vogliono intraprendere questo lavoro (che, ripeto, non è facile e forse riserva prove durissime più che soddisfazioni) vorrei raccomandare di farsi un bell’esame di coscienza. Se lo fate solo per diventare qualcuno, per vedere il vostro nome in copertina o addirittura per diventare ricchi…ripensateci. State sprecando tempo e basta. Se invece come me avete sviluppato un interesse quasi maniacale per la Cultura Popolare, per i racconti, le esperienze che vi portano a contatto con quel mondo che è dominato dal vostro gusto particolare, allora non abbiate paura di cercare, di sperimentare, anche se quello che preferite è "controcorrente".
Magari per tirar su un po’ di soldi sarò costretto a scrivere altro, a tradurre, a consigliare quel che si vende; ma dentro di me devo avere la coscienza del perché mi piace una cosa invece che un’altra. Di ciò che voglio leggere, vedere o raccontare. E crederci. Così sono nati i miei libri migliori, i saggi, le riviste, i fumetti. Ma è stata anche la linea guida che mi ha spinto di occuparmi di fotografia, di viaggi, di sport, di storia, a legarmi con alcune persone invece che altre, in modi e tempi che all’esterno possono essere apparsi poco produttivi.
Che importa? La mia attività creativa è un’espressione di me stesso. Mi fa un immenso piacere condividerla con altri e di certo mi sento lusingato quando ricevo degli apprezzamenti. Però, alla fine, sono sempre io quello che decide la strada da percorrere per quanto impervia essa sia. E sono sempre scelte che risalgono indietro nel tempo, a stimoli e cose viste e vissute da ragazzino che poi si sono sviluppate, approfondite.
Che senso ha scrivere un saggio su generi cinematografici magari dimenticati e poco praticati oggi? O intestardirsi a raccontare avventure con un piglio che appare controcorrente? Be’, alla fine lo stesso senso che ha andare a cercare un sentiero su una montagna lontanissima, o un vicolo in una vecchia città lontano dai quartieri turistici, a frequentare certe donne invece che altre, a praticare come permette l’età una disciplina che oggi non è più di moda. Sono tracce di me. E la Cultura Popolare che anima chi la produce e chi ne usufruisce di passioni ed emozioni dovrebbe essere così. Libera, semplice, personale.

jueves, 24 de julio de 2025

lunes, 16 de junio de 2025

Vita da pulp - Wow Blues

Giardini Oreste Del Buono, fuori dal Wow (fotocappi)

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di
 Andrea Carlo Cappi

Mi aspettavo molto di più da una città come Milano. Avevo avuto una buona impressione quando il 7 dicembre 2021 il sindaco Giuseppe Sala consegnò la medaglia cittadina - l'Ambrogino d'oro, così chiamato dal patrono locale Sant'Ambrogio, che ricorre nel calendario in quella data - ad Andrea G. Pinketts, nelle mani di noi rappresentanti dell'Associazione Culturale dedicata al defunto scrittore. L'unica precedente consegna di Ambrogini d'oro cui mi fosse capitato di assistere risaliva agli anni Ottanta e dava l'impressione di celebrare i servi fedeli del Partito Socialista Craxiano che dominava la metropoli e non solo (c'ero capitato perché la mia fidanzata di allora era stata reclutata come valletta, in costume da marinaretto, il che dà l'idea dello stile della cerimonia a quei tempi).
Insomma, nel 2021 avevo sperato che Milano potesse tornare a essere una città che dava peso alla cultura, nonostante ciò che era diventata nei quattro decenni precedenti: un luogo in cui sostanzialmente conta solo il denaro, senza fare nemmeno troppo caso alla sua provenienza. Il che crea in tutto il resto d'Italia un fastidioso equivoco: l'idea che tutti i milanesi siano ricchi e pensino solo a far soldi. Un grave errore, perché i veri milanesi (di qualsiasi effettiva provenienza geografica) sono sempre stati gente che lavorava sodo, mossa più dal senso del dovere che dall'arricchimento personale.
Ma in questi giorni Milano ha fatto davvero una pessima figura e con essa l'amministrazione cittadina "di sinistra" (o presunta tale), portando acqua al mulino dei suoi detrattori.

A. C. Cappi alla Mostra di Diabolik al Wow (foto A. Pasini)

Nell'aprile 2011 a Milano, nell'area dell'ex fabbrica di panettoni Motta (ed ex rimessa tramviaria) in viale Campania 12 si insediò il Wow-Spazio Fumetto/Museo del Fumetto di Milano, gestito dalla Fondazione Franco Fossati. L'edificio, in affitto dal Comune, fu da questa rimesso in sesto e trasformato in un centro culturale attivissimo, sede di una vasta collezione e teatro di esposizioni, attività didattiche, incontri e presentazioni di libri, non solo a fumetti. Il FAI - Fondo per l'Ambiente Italiano - nella categoria "musei e biblioteche" lo annovera tra i "luoghi del cuore", primo a Milano e tra i primi dieci a livello nazionale.
In questi quindici anni di attività vi sono state ospitate duecento mostre, quindi in media più di una al mese (e altre cinquanta sono state allestite altrove con la collaborazione del Wow) sui temi del fumetto, dell'illustrazione, dell'animazione, con due criteri: le storie raccontate dai fumetti e le storie raccontate attraverso i fumetti. Io stesso non so a quanti eventi ho partecipato, come spettatore, ospite, relatore o sostenitore. In un caso, per seri problemi di salute di uno degli organizzatori, sono subentrato all'ultimo momento per rendere possibile un evento con numerosi ospiti che altrimenti sarebbe saltato. Lo scorso autunno, dopo avere conosciuto gli eredi di Quino, misi il Museo del Fumetto in contatto con l'agenzia che rappresenta il grande autore argentino, per realizzarne una mostra nella città che lo aveva ospitato negli anni dell'esilio. Ma non la vedremo molto presto.
Il Wow non è un'attività commerciale. La sua libreria è il bookshop di un museo, il suo bar non è un locale alla moda sui Navigli o una discoteca per VIP. In certi periodi, soprattutto dopo i due anni del Covid, dovendosi preoccupare di adeguare l'edificio alle necessità e alle normative... e anche di pagare il personale, si è trovato a corto di soldi e in ritardo con il pagamento dell'affitto, rimediando appena possibile. Sicché, avvicinandosi la scadenza della concessione e ben prima di aprire un nuovo bando per l'assegnazione dello spazio, il Comune di Milano gli ha mandato lo sfratto. Come un inquilino abusivo, un malefico parassita della società che ruba soldi ai contribuenti. Con quattro PEC e l'invio dei vigili urbani. Mettendo poi in giro la voce che fosse tutta colpa di quelli del Wow, "fumettari con la testa tra le nuvolette", "disorganizzati", e persino che quelle dello sfratto fossero fake news.

Il Visconte sfida l'Uomo Tigre al Wow (foto S. Di Marino)

Per il Wow il costo di un trasloco di tutto il materiale (seppellendolo in un magazzino) sarebbe tale da impedire di pagarne un altro per rientrare, qualora potesse soddisfare i requisiti del nuovo bando. Il polverone sollevato dalla notizia, a livello nazionale, ha fatto sì che il Comune si rendesse conto di quanto stava combinando e rimandasse lo sgombero delle masserizie almeno fino a quando si chiarirà a chi verrà assegnato lo spazio. La fine è ancora da scrivere. Ma intanto, la sera del 15 giugno, dopo che una folla enorme si era riversata al Museo del Fumetto per quello che potrebbe essere stato l'ultimo saluto, le sue porte sono state chiuse al pubblico.
Succede, con le proprietà del Comune di Milano. Tempo fa è sparito l'Urban Center nella Galleria Vittorio Emanuele, riconvertito in un più redditizio negozio di abbigliamento. Alla fine dello scorso anno si è parlato a lungo dell'affitto scaduto per Le Trottoir, situato in uno dei dazi di piazza XXIV maggio, locale divenuto un punto di riferimento artistico e culturale, grazie anche al fondamentale contributo di Andrea G. Pinketts; ma in quel caso, anche se duole dirlo (pensando oltretutto a quale destino possa toccare agli storici murales della sala dedicata allo scrittore) si trattava almeno sulla carta di un'attività commerciale. La colpa del Wow-Spazio Fumetto pare invece quella di essere esclusivamente un amatissimo polo culturale italiano e non una macchina per fare soldi. Quanto alle accuse di "disorganizzazione" che gli sono state rivolte, be', provate ad aspettare in piena estate sotto il sole il bus 42; o controllate lo slittamento della fine dei lavori alla linea tramviaria in via Suzzani, che continuano a creare problemi nel traffico. Chi non è senza peccato, eviti di lanciare cubetti di porfido.
Ma vedo anche, da certi commenti, che per qualcuno sono solo "due fumetti", quindi forse non si tratta di "vera" cultura da agiato salotto radical chic. Il che mi ricorda quando, otto anni fa, ho dovuto lasciare il mio vecchio appartamento milanese, appartenuto alla mia famiglia per settant'anni, perché non potevo permettermi di pagare spese condominiali sempre più gonfiate e insostenibili. A certa gente dà fastidio avere intorno noi poveri.

Roberta, studentessa alla Scuola del Fumetto, Milano,
all'ultimo giorno di apertura del Wow (fotocappi)

Continua...




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito su Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato oltre settanta titoli tra romanzi, raccolte e saggi. Editor, traduttore, consulente editoriale, sceneggiatore di fumetti e fiction radiofonica, fotografo, illustratore, copywriter e videomaker, dal 1994 scrive la saga thriller Kverse, che riunisce diverse serie tra spy story e noir: MedinaNightshadeSickroseBlack e Dark Duet. Come autore di narrativa tie-in ha lavorato su Martin Mystère (vincendo nel 2018 il Premio Italia per il miglior romanzo fantasy), Diabolik e Profondo rosso. Ha dato vita inoltre alle serie Cacciatore di libriStanislawsky Danse macabre. Membro di IAMTW, World SF Italia e Associazione Andrea G. Pinketts, presiede la giuria del Premio Torre Crawford, di cui cura le antologie annuali; è membro delle giurie del Premio Di Marino-Segretissimo e del Premio Michele Serio; è direttore editoriale di M-Rivista del Mistero presenta (Ardita Edizioni) e della collana di spionaggio Spy Game-Storie della Guerra Fredda in ebook (Delos Digital).

miércoles, 11 de junio de 2025

Al Diavolo!

Caronte, di Gustave Doré

Poesia di Fabio Viganò

Varcherò lo Stige e rivedrò la luce.
Sfiderò anche l'Ade, pur di rivedere te.
Dimenticherò il buio del mondo pavido,
del cammino di un uomo ormai perso.

Varcherò lo Stige, mi diranno beato.
Lucifero, qualora esistesse, s'inchinerà.
Caron occhi di bragia sorriderà
della mia astuta scelta di sapienza.

Tu resterai nella luce, farfalla inebetita,
circondata da falsità ed apparenti bontà.
Il mio amore è fuoco, impeto, passione.
Come al sole Icaro, tu, ignara, svanirai.