Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi
In questi giorni, sia come scrittore, sia come editor, mi sto occupando parecchio di narrativa di spionaggio: oltre alle nuove uscite in ebook di Spy Game, collana di Delos Digital che supera il n. 50, presso Ardita Edizioni sto per rilanciare un mio vecchio marchio (ve ne parlerò presto) a partire da un primo volume dedicato proprio alla spy story.
C'è dietro una decisione molto seria: una nuovissima casa editrice, che nasce proprio in questi giorni e si pone l'obiettivo di reinventare l'editoria tradizionale, sceglie come sua prima pubblicazione di narrativa una raccolta di storie di spionaggio. Come mi ha fatto notare la titolare di Ardita giorni fa, occorre sottolineare un aspetto: perché è importante leggere spy story oggi. La motivazione è lampante per me, che me ne occupo da una vita, ma forse non per tutti: non si tratta solo di narrativa, ma di qualcosa che riguarda tutti voi, giorno dopo giorno.
La spy story è il noir su scala mondiale. Se il noir è riconosciuto come romanzo sociale contemporaneo, perché rappresenta la realtà nei suoi aspetti più conflittuali, la spy story riflette crisi e tensioni della politica internazionale, mostrando i retroscena del mondo in cui viviamo.
Sono cresciuto negli anni della Guerra Fredda, un'epoca in cui tutti, dal pubblico di massa alla classe intellettuale - indipendentemente dall'orientamento politico e sessuale - leggevano romanzi di spionaggio: li identificavamo come lo specchio narrativo di quanto ci accadeva intorno. Le storie potevano essere in chiave avventurosa oppure thriller oppure noir; in alcune, eroi ed eroine scampavano a ogni pericolo; in altre, figure più realistiche subivano gravi sconfitte personali. Ma un fatto diventò evidente: la spy story è l'epica dei nostri tempi.
Quando nel 1989 la Guerra Fredda ebbe fine - o almeno così si credette - fu messa in giro la voce che l'era delle spie fosse conclusa e, con essa, anche quella delle loro storie. Ma, come ammonì John Le Carré nel 2001, tre mesi dopo il crollo delle Twin Towers, "La spy story non è affatto morta. Ha ancora molto da raccontare".
Oggi viviamo in un'epoca in cui le tre linee principali dello spionaggio - raccolta di informazioni, infiltrazione e disinformazione - permeano tutta la nostra realtà, solo che siamo molto più impreparati ad accorgercene rispetto al passato. Il diavolo, per citare Charles Baudelaire, è riuscito nel suo inganno migliore: far credere che non esiste. "Le spie esistono", rammentava invece Corrado Augias quindici anni fa, in un suo programma televisivo, in cui discutemmo di intrighi e operazioni del passato, del presente e persino del futuro. Conoscere la Storia aiuta: lo spionaggio si evolve sul piano tecnologico, tuttavia pratiche e finalità non cambiano nel tempo.
Se ne parla troppo poco, ma da decenni esiste una vera e propria scuola italiana di narratori e narratrici di spionaggio, con punti di vista diversi e originali. Pochi nomi, in principio, tra gli anni Ottanta e Novanta; poi il minore afflusso di romanzi di spionaggio dall'estero indusse la principale collana dedicata all'argomento - Segretissimo di Mondadori - a coltivare sempre di più la sua cosiddetta Legione, che ora non solo ha preso il sopravvento, ma si arricchisce ogni anno di nuovi talenti, anche attraverso i riconoscimenti intitolati a due veterani scomparsi, il Premio Altieri e il Premio Di Marino.
Non deve stupire che in Italia brilli la spy story, dato che svelare i meccanismi della politica tra Stati fa parte della nostra tradizione da secoli: ne scriveva Niccolò Machiavelli (1469-1527) ne Il Principe (1532). Significativa l'interpretazione che di quell'opera diede Traiano Boccalini (1556-1613) nei suoi Ragguagli di Parnaso (1613) in cui a Machiavelli - in un'immaginario processo - così fa difendere il proprio testo: "... gli scritti miei altro non contengono che quei precetti politici e quelle regole di Stato che ho cavate dalle azioni di alcuni prencipi... i veri fini che i prencipi hanno nelle azioni loro, ancor che artifici grandissimi usino nell’asconderli. E se i prencipi - per facilmente, dove meglio lor pare, poter aggirare i loro sudditi - vogliono arrivare al fine di averli balordi e grossolani, fa bisogno che si risolvino di venire all’atto, tanto bruttamente praticato da’ turchi e dal moscovita, di proibir le buone lettere..."
Proprio questo fa la spy story, in particolare la spy story italiana: permette al pubblico di scoprire metodi segreti e obiettivi nascosti dei potenti, una realtà che di norma sfugge nell'accavallamento (o nella distorsione) delle notizie. Un amico diceva tempo fa: "Non avevo mai sentito parlare della Transnistria finché non ne ho letto in un romanzo di Stefano Di Marino"; eppure scoprire cos'è successo in Transnistria, pur attraverso una narrazione che nasce come intrattenimento, permette di capire anche cosa accadrà altrove. La spy story racconta il nostro presente e, talvolta, anche il prossimo futuro. Ecco perché è importante leggerla, oggi più che mai.
(Immagine realizzata con AI)
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Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una settantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi. Editor, traduttore, consulente editoriale, sceneggiatore di fumetti e fiction radiofonica, fotografo, illustratore, copywriter e videomaker. Dal 1994 scrive la saga thriller Kverse, che riunisce diverse sue serie tra spy story e noir. Come autore di tie-in ha lavorato su Martin Mystère (con cui ha vinto nel 2018 il Premio Italia per il miglior romanzo fantasy), Diabolik e Profondo rosso. Membro di IAMTW, World SF Italia e dell'Associazione Andrea G. Pinketts, presiede la giuria del Premio Torre Crawford, di cui realizza le antologie annuali. Cura inoltre M-Rivista del Mistero presenta per Ardita Edizioni e la collana di spionaggio Spy Game-Storie della Guerra Fredda in ebook per Delos Digital.
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