jueves, 16 de marzo de 2023

Vita da pulp - Spy story: scrivi e lascia morire


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Concludo la mia serie di interventi sulla spy story ritagliando e aggornando un mio articolo dallo stesso titolo risalente all'uscita de Le grandi spie nel 2010, per sottolineare non solo la stretta connessione tra la narrativa spionistica e la realtà dei servizi di intelligence, ma anche che le spie esistono e che molti eventi della storia e della cronaca ne sono la conseguenza.
Nessuno può negare, per esempio, che James Bond 007 sia l’agente segreto (immaginario) più famoso del mondo. E molti sono i personaggi reali che sono stati indicati nel corso degli anni come “il modello” a cui il suo creatore Ian Fleming si sarebbe ispirato. Fra i tanti ce ne sono due più attendibili di altri. Il primo è lo stesso Fleming, che durante la Seconda guerra mondiale lavorava per la Naval Intelligence Division, il servizio segreto della Royal Navy collegato al XX Committee, organismo che in quel periodo coordinava varie sezioni dell’intelligence britannico. Inoltre Fleming diede vita a un’unità speciale denominata Red Indians, un gruppo di “bastardi senza gloria” ante litteram che colpivano qua e là per l’Europa e il Nordafrica.
Nel 1952 creò 007 - pubblicato dall'anno successivo - perché non aveva potuto fare lui stesso l'agente sul campo, solo inventare strategie - in pratica scrivere spy story dal vero - e mandare altri a rischiare la vita. Ma non tutte le imprese letterarie di James Bond sono di pura fantasia: benché condite con una buona dose di avventura, si ispirano pur sempre alle pratiche reali dello spionaggio. E la realtà, come ho raccontato altrove, a proposito dell'Operazione Mincemeat, a volte rasenta l'incredibile.

Durante la guerra il succitato XX Committee organizzava la disinformazione a danno del Terzo Reich e gestiva doppiogiochisti che nominalmente lavoravano per Berlino ma in verità erano al servizio di Londra. Uno di questi si chiamava Duško Popov, nome in codice Trycicle; nato in Jugoslavia ed entrato nello spionaggio tedesco con il preciso scopo di fornirgli informazioni adulterate, fabbricate ad hoc dai servizi britannici. Per molti è lui - amante della bella vita, della compagnia femminile e delle case da gioco - il vero modello per James Bond.
Fleming e Popov si incontrarono probabilmente a Londra e al casinò dell’Estoril in Portogallo quando, pare, al primo toccò tenere d’occhio il comportamento del secondo al tavolo del baccarat: mai fidarsi di un doppiogiochista con i soldi per finanziare un'operazione nella tasca interna dello smoking... Poco tempo dopo, in America, Trycicle riuscì a farsi finanziare dai servizi segreti tedeschi, “per motivi di copertura”, un appartamento a Manhattan, una macchina di lusso e serate nei migliori locali al fianco della star del momento: l'attrice francese Simone Simon, che si apprestava a girare il suo film più famoso, Il bacio della pantera.
Non che Popov trascurasse il lavoro. Mentre ingannava attivamente i tedeschi, cercava di convincere quella testa dura di J. Edgar Hoover, capo supremo dell’FBI, che i giapponesi sarebbero entrati presto in guerra al fianco di Hitler e avrebbero bombardato senza preavviso una base americana, per esempio quella di Pearl Harbor... Ma non venne ascoltato.

Negli anni Cinquanta-Sessanta il nuovo ruolo di autore di bestseller portò Fleming a fare amicizia con Allen W. Dulles (direttore della CIA, che cercò invano di copiare i trucchi dell'Aston Martin di 007) e con John Fitzgerald Kennedy, che divenne il suo lettore-VIP più famoso nel mondo. A entrambi lo scrittore - che nel racconto Quantum of Solace dichiarò la propria simpatia per i rivoluzionari di Fidel Castro - diede consigli pacifisti riguardo a Cuba, che vennero ignorati e innescarono una serie di eventi cominciata con la fallita invasione alla Baia dei Porci e conclusa con l'assassinio di Kennedy.
Ma anche in questa drammatica vicenda pare che ci sia di mezzo un altro scrittore: si chiama E. Howard Hunt, noto negli anni Sessanta con lo pseudonimo di David St. John (dai nomi dei due figli: David e St. John Hunt) per una serie di romanzi su un agente della CIA di nome Peter Ward. Ma Hunt alla CIA aveva lavorato sul serio, coinvolto in alcune delle pagine più oscure e sanguinose della "Compagnia". Ci rimase fino a quando Dulles e lui non vennero costretti da Kennedy alle dimissioni, proprio dopo la mancata invasione di Cuba. Qualcuno ha riconosciuto Hunt in una fotografia scattata a Dallas il 22 novembre 1963 nei pressi della Dealey Plaza, il giorno e il luogo in cui Kennedy fu ucciso.
In ogni caso, Hunt fu uno dei responsabili del caso Watergate, per il quale fu arrestato e condannato. Ho parlato di lui nel mio romanzo Protocollo Hunt, ripubblicato di recente nella mia collezione presso Oakmond Publishing.

Questi sono solo un paio di esempi di scrittori di spy story che hanno avuto esperienza diretta dello spionaggio. Ma potrei citare William Somerset Maugham, che basò sulle proprie esperienze il romanzo a racconti Ashenden, o Graham Greene, che scrisse anche Il nostro agente all'Avana e Il fattore umano, oltre al più volte menzionato John Le Carré.
Per quanto riguarda la Francia, negli articoli precedenti ho nominato Jean Brochet in arte Jean Bruce, creatore di OSS117, anche lui impegnato nell'intelligence durante la Seconda guerra mondiale; e Gerard De Villiers, ideatore di S.A.S., che negli anni Settanta fu nominato "corrispondente d'onore" della SDECE e della DST, rispettivamente i servizi segreti francesi estero e interno. Questo non implica che, se volete scrivere storie di spionaggio dovete per forza avere un piede nei servizi segreti di qualche paese: come ho spiegato la volta scorsa, vi potete documentare anche "da fuori" (vedi nota in fondo.)
Lavorare sulla spy story non vuol dire fare complottismo gratuito: di quello ce n'è già a sufficienza sui social network. Non vuol dire nemmeno fare propaganda, anche se ciò è avvenuto in passato, né scrivere scempiaggini per un pubblico ignorante: ricordo un pessimo libro di un autore americano che qualcuno poi ha cercato di lanciare anche in Italia, in cui un dialogo tra due improbabili superagenti nemici era più o meno in questi termini: "Siamo cubani e quindi siamo proprio malvagi, ah ah ah!" Del resto l'ignoranza è uno dei più grandi pericoli, nella narrativa come nello spionaggio.

Nota: il mio libro Le grandi spie edito da Vallardi, in cui racconto un secolo di vicende di spionaggio reali, è disponibile ormai da anni soltanto in ebook (che trovate per esempio su IBS e su Amazon) ma di recente ho recuperato alcune copie ancora nuove del volume rilegato di oltre 320 pagine. La disponibilità è limitata ma, se siete interessati ad acquistarlo al prezzo di 20,00 euro (incluse spese di spedizione postale), mi potete contattare all'indirizzo email borderfictionzone@gmail.com indicando come oggetto "Le grandi spie".

(immagine: Selene Feltrin è Nightshade in una foto di A. C. Cappi)

Leggi anche gli articoli precedenti:

Guarda su YouTube il videocorso gratuito di spy story di Andrea Carlo Cappi





Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Per Delos Digital cura la collana in ebook Spy Game.

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