sábado, 27 de octubre de 2018

Il morto (una storia vera di Fabio Viganò)

Tempus fugit, composizione di Giaco (2018), fotografia di A. C. Cappi

Premessa di Andrea Carlo Cappi: in aggiunta ai riconoscimenti che ha mietuto in questi ultimi mesi, Fabio Viganò riscuote a breve, in occasione del Premio Internazionale Agenda dei Poeti, una nuova menzione d'onore per il suo libro di poesie Rime perse (Otma2), un quarto posto per la poesia dialettale, un ruolo di finalista per la poesia a tema libero e - proprio grazie al racconto che segue - un'ulteriore menzione d'onore per la narrativa inedita!


IL MORTO
Racconto di Fabio Viganò (una storia vera)


Se c’è una certezza nella vita, questa è la morte. A tutti è data tale indiscutibile, ineluttabile, inevitabile fine. Il ricordo, a differenza della morte è ben altra cosa!
Mi occorreva solo un certificato per la famiglia. Dopo l’incidente, col braccio al collo, mi avviai mesto e ciondolante verso il Municipio, immerso nei miei pensieri. Destinazione: Ufficio Anagrafe.
All’ingresso del piazzale antistante il Comune incontrai i Vigili Urbani. Il comandante, appena mi scorse, domandò: "Ma non eri morto?"
Sbalordito - e ignaro di ciò che mi stesse per accadere da lì a poco - risposi ad alta voce, sorridendo: "Ma no!"
"Nemmeno in coma?" ribatté l’altro vigile.
Lo guardai con commiserazione. Scossi la testa esclamando: "Ecco l’effetto che fa bere di primo mattino!"
Risentiti, mi ripresero facendomi notare i gradi esottolineando persino il fatto di essere pubblici ufficiali.
Borbottai qualcosa simile a delle scuse, per niente sentite, e mi imbucai in Anagrafe.
La segretaria mi porse il certificato. Mi guardò fisso negli occhi.
L’anticipai dicendo: "Non è giornata! Ho appena incontrato i vigili. Fanno scherzi da prete!"
Mi rispose il silenzio.
Strano! Qualcosa mi parve di aver intuito, a buona ragione. Non sapevo ancora cosa fosse… ma nei suoi occhi avevo intravisto uno strano bagliore, come una sorta di lama di luce. Aveva la pupilla dilatata, felice, quasi da risata. Di sicuro sembrava divertita. Almeno così mi sembrò. Fu un attimo. Poi ritornò a essere la seria segretaria dell’Ufficio Anagrafe comunale che conoscevo da una vita.
Pagai le cinquecento lire e mi avviai verso casa, per nulla convinto dell’accaduto.
"Stammi bene…" fu il commiato della segretaria.
Mi voltai di scatto.La vidi! Stava palesemente sorridendo, anche se di nascosto. Il motivo? Oscuro. Non capivo il perché. Sapevo soltanto che era giunto il momento di porre un argine a tutte quelle stranezze.
Ancora non potevo sapere, dato che non conoscevo. Ma si sa: nemmeno la notte può immaginare ciò che possa accadere al mattino.
Sempre con il braccio al collo, esito dell’incidente in motocicletta, uscii dal Comune.

Era trascorso del tempo. Il sinistro - non a caso vien detto così - era stato tremendo. Una fatalità. Mi ero recato a salutare una suora, la mia insegnante delle elementari. C’erano le prove del Gran Premio D’Italia di Formula Uno, a Monza. Essendo brianzolo e del luogo, conoscevo le strade meglio delle mie tasche. Ero arrivato a destinazione smanettando il più velocemente possibile, percorrendo tutte le viuzze secondarie e alternative a viale Regina Margherita, a bordo della mia Vespa PK50, in modo da evitare il traffico. I pochi soldi che mi giravano in tasca li avevo spesi per Lei. Avevo comprato dei fiori!
La monaca si era fatta attendere in portineria. Sulle prime aveva sorriso nel vedermi. Un attimo dopo si era rabbuiata in viso. Aveva notato i fiori. Lilium regalis… mi eran costati una cifra! "Non posso accettarli. Dovresti saperlo! Comunque, grazie. Li offriremo alla Madonna", era stata la sua reazione, dopo due lustri che non mi vedeva.
Ricordo le sue parole una volta in Chiesa. "Diciamo una Ave Maria perché non ti accada nulla in moto durante il ritorno a casa."
Tra me e me pensai: I fiori…alla Madonna e ora la preghiera. E’ peggio del gatto nero!
Quindi, terminato di pregare, ero partito in vespa alla volta del paese. Non ci ero arrivato subito. Ero finito dritto in Pronto Soccorso dell’Ospedale San Gerardo di Monza, codice rosso, con una frattura all’omero destro e un trauma cranico. Una signora di Roma, ferma allo stop, non mi aveva visto e prontamente aveva accelerato. Nonostante gli occhiali e le lenti spesse un dito, non aveva sbagliato il bersaglio. Centro! Colpito e …fratturato. Mi aveva fatto volare per venti metri, nel blu dipinto di blu, mentre sull’autodromo, a mia insaputa, Senna e Prost duellavano contro il tempo. Il mio volo era durato poco, attratto verso il suolo dalla forza di gravità. Atterraggio sull’asfalto, cruentissimo! Il primo che mi era apparso, appena rinvenuto, era stato un prete. Credevo d’esser passato a miglior vita.
Una volta in Pronto Soccorso, la prassi era stata la solita: dimesso dopo gli accertamenti e le cure del caso. Non sapevo, nemmeno immaginavo, cosa si fosse scatenato in quelle due orette. Due orette infime, subdole, a dir poco maledette!
A dir la verità, qualcosa mi aveva insospettito sin da subito.A casa arrivavano decine e decine di telefonate. Mia madre mi aveva vietato di rispondere. "E’ il lavoro, Fabio… Vai via!” Nella sua decisione pareva un corazziere. Scendevo le scale e andavo a studiare in lavanderia.
Questi i fatti, prima di aver incontrato i vigili.

Tornato a casa - erano passati circa una decina di giorni dall’incidente - raccontai l’aneddoto a mia madre che, seria in volto, sentenziò il suo ricatto. "Se stai calmo, ti racconto tutto!"
Stavo per iniziare, mio malgrado, un triste e incredibile cammino nel delirio. Mettetevi nei miei panni: non so niente, mi si chiede se sia morto - semmai in coma - e ora mi si invita alla calma.
Perché dovrei agitarmi?

"Fabio, ricordi l’incidente?" chiese mia madre con tono mesto.
Risposi di sì, anche perché - incredibile - ma c’ero!
Lei continuò nel racconto. Dopo poche parole capii come mai Dante avesse scritto all’ingresso dell’Inferno Lasciate ogni speranza o Voi che entrate!
Ci stavo entrando.
“Vedi,  figliolo… quel giorno, due furono gli incidenti a Monza. Uno mortale, l’altro con un ferito. La Polizia invertì i nomi. Tu fosti dichiarato morto. Il morto divenne il ferito. Quindi comunicarono al Comune il tuo decesso!”
Stavo precipitando nell’assurdo. Un baratro mi stava inesorabilmente inghiottendo. Era il baratro dell’incredulità. Non stavo facendo quattro passi nel delirio: ero stato sparato nell’orbita dell’assurdità. D’un tratto tutto fu chiaro. Mi tornò alla mente la segretaria dell’Ufficio Anagrafe e quello che avevano detto i Vigili Urbani.
Chiesi soltanto: "Scherzi?".
Lei non rispose e continuò nella narrazione. "Fabio, il messo comunale è venuto fino a casa. Poi, non essendoci i paramenti, si è insospettito. Ha pensato fosse strano che la casa non fosse bardata a lutto e…”
La interruppi con un: "Eee…? Non c’erano i paramenti?Strano non si sia stupito della mancanza dell’annucio funebre! Ma voi scherzate… Ditemi che state scherzando!"
Mia madre aggiunse che a quel punto il messo comunale, amico di famiglia, per comunicare il mio decesso si era recato da mio padre in laboratorio,sperando di trovarlo…
Era troppo! Mi scappò un: "Ma noooo, così gli ha fatto venire un infarto! L’ha trovato?"
La risposta di mia madre fu laconica. "No. Ha trovato gli zii, che alla notizia hanno pianto per la tua dipartita. Morire a ventisei anni… è prematuro! Pensa: lo zio Ambrogio, poveretto, ha persino esclamato: 'Così giovane! Sono sempre i migliori che se ne vanno! Come faccio a dirlo a mio fratello?'"
Mia madre tratteneva il fiato in attesa della mia reazione.
"Mamma, una cosa non mi quadra", incalzai.
"Dimmi figliolo…"
“Mi avete tenuto all’oscuro di tutto?" chiesi con fare interlocutorio.
Non rispose.
Non insistetti. Il fatto era evidente.
Ricordo di aver soggiunto soltanto: "Ma sono vivo o morto?Giusto per saperlo!" La lasciai a bocca aperta. Era una domanda lecita, che a questo punto nasceva spontanea.
"Sei vivo… e non ti hanno cancellato dall’anagrafe”, mi fece notare, sorridente.
"Ah! Bene! Buono a sapersi! E le centinaia di telefonate che arrivarono a casa appena tornati dal Pronto Soccorso cui mi hai vietato di rispondere?" domandai incuriosito.
"Condoglianze! Erano condoglianze. Tutte condoglianze... Condoglianze persino dal Cile. Sai… i parenti.”
Il mondo, non solo l’Italia, mi aveva creduto morto.
Mi aveva spacciato per morto.
Per lo Stato ero morto.
Lo scoprivo solo ora. Il morto lo scopriva solo adesso! E dire che ero il morto!
Sospirai profondamente.Quindi rivolto a mia madre conclusi: "E’ uno schifo! Pensa a quella povera donna, ora vedova, madre di due figli. E’ andata in ospedale per accompagnare a casa il marito e si è vista condurre in obitorio. Non mi dovrei adirare? Volete un santo, non un uomo! Si,lo so, calma. Ti ho dato la mia parola. Lo so di aver giurato…"
In definitiva, però, avevo giurato di non arrabbiarmi.
Non avevo giurato di non indignarmi!

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