viernes, 13 de diciembre de 2019

Jacono Calibro 9000: il concorso letterario

La prima copertina di Carlo Jacono per "Il Giallo Mondadori"


Premio Jacono Calibro 9mila
9mila battute (spazi compresi) per un’immagine

In occasione della mostra "Jacono 90", presso WOW Spazio Fumetto dal 14 dicembre 2019 al 12 gennaio 2020, la Fondazione Franco Fossati (organizzatrice dell'esposizione), in collaborazione con Il Cerchio Giallo, l'Archivio Jacono, e Il Giallo Mondadori, propone il concorso letterario per il miglior racconto giallo / thriller / noir ispirato a una illustrazione di Carlo Jacono tra le novanta esposte nella mostra presso Wow Spazio Fumetto. 
Il vincitore sarà pubblicato nella collana Il Giallo Mondadori. Altri 8 racconti finalisti saranno pubblicati in un numero speciale della rivista Il Cerchio Giallo a cura de L'Archivio Jacono.
Ogni autore, dopo aver visitato la mostra e avere scelto l'opera alla quale dedicare il racconto, potrà partecipare con UN SOLO elaborato. Ecco i parametri da rispettare:

1) Il premio è aperto a tutti i cittadini italiani ed europei

2) L'opera partecipante deve essere scritta in lingua italiana e ambientata in Italia

3) L'opera deve essere inedita, ovvero non deve essere stata pubblicate mai, neppure sul web

4) La lunghezza dell'opera partecipante può essere al massimo di novemila battute (spazi inclusi)

5) Il racconto deve essere inviato o consegnato in busta chiusa, in 5 copie, al seguente indirizzo: "Premio Jacono Calibro 9mila" – c/o WOW SPAZIO FUMETTO, viale Campania 12, 20133 Milano – entro e non oltre il 31 gennaio 2020. Contemporaneamente una copia, in formato pdf, andrà inviata al seguente indirizzo di posta elettronica: info@excaliburmilano.it




Jacono 90: una mostra in giallo



Jacono 90, Il Maestro del Giallo, dal 14 dicembre al 12 gennaio 2020 al Wow Spazio Fumetto-Museo del Fumetto, dell’Illustrazione e dell’Immagine animata (viale Campania, 12, Milano; Info: 02 49524744/45. Ingresso libero. Orario: da martedì a venerdì, ore 15.00-19.00; sabato e domenica, ore 15.00-20.00. Lunedì chiuso.)

Inaugurazione sabato 14 dicembre alle ore 16.00, con
Maria Grazia Jacono, curatrice dell'Archivio Jacono,
Franco Forte, direttore editoriale de Il Giallo Mondadori,
Andrea Carlo Cappi, scrittore e ideatore dell’Archivio Jacono.

Segue una nuova presentazione del volume Delitti alla Milanese-Il nuovo Artusi dell'omicidio, edito da Excalibur, a cura di Gian Luca Margheriti, con racconti gialli milanesi illustrati da Carlo Jacono.



In occasione dei novant’anni dalla nascita di Carlo Jacono, WOW Spazio Fumetto espone una selezione di suggestive illustrazioni di questo talentuoso artista di fama internazionale, all’interno di una mostra che celebra l’estro dell’Uomo del Cerchio, proponendo un percorso espositivo inedito dedicato alle copertine più suggestive prodotte per Il Giallo Mondadori. Iniziato nell’inverno del 1951 a partire dal numero 108, il sodalizio tra il copertinista e l’illustre collana di libri prosegue fino al 1986 contando più di 3.000 titoli.

Alla mostra e alle tavole originali in esposizione è abbinato un concorso letterario.
Grazie alla collaborazione dell'Archivio Jacono, che si occupa di gestire e conservare la memoria dell'artista, saranno esposte 90 tavole originali, tante quanto gli anni che avrebbe compito lo scorso marzo, realizzate a partire dal 1952 e utilizzate come copertine per racconti, romanzi e fumetti. In questa esposizione sono stati privilegiati i gialli ma non mancano Segretissimo e le tante altre testate che si sono avvalse della perizia artistica di Jacono.

In mostra anche la prima e l'ultima copertina realizzata dall'artista per Il Giallo e per Segretissimo ma anche le prime copertine per la Serie Nera de Il Giallo e anche alcune copertine di gialli ambientati a Milano.


Fuori Wow-Brividi in osteria. In occasione della mostra Jacono 90, presso l'Hosteria di Porta Tosa in via Maestri Campionesi 22, Milano, si terrà una mostra di originali di Jacono dedicati al rapporto tra il giallo e alla cucina: 12 tavole utilizzate per illustrare i libri Delitti alla Milanese-Il nuovo Artusi dell'omicidio, e Brividi in cucina, un ricettario di piatti tratti dai gialli “più gustosi”. 


Carlo Jacono nasce a Milano nel 1929: nell'anno nero della Strage di San Valentino e del crollo di Wall Street. Ma il 1929 è anche un anno giallo: in quel 1929, infatti, Simenon inventa il suo Maigret e Hergè il suo Tintin ma, soprattutto, Mondadori lancia in edicola i suoi Libri Gialli. E, proprio questa collana, divenuta Il Giallo Mondadori nel dopoguerra, darà a Jacono l'opportunità di mettere in scena il suo talento pittorico. Appena uscito da Brera, infatti, sarà ingaggiato da Alberto Tedeschi, lo storico direttore/traduttore/curatore de Il Giallo Mondadori, per illustrarne le copertine.
I Gialli erano caratterizzati fin dalla loro nascita da una copertina giallo canarino che includeva al centro un cerchio rosso (inizialmente un esagono rosso) che contornava l'illustrazione di copertina. A Jacono però quel cerchio sta stretto e ottiene da Tedeschi il permesso di poterlo ridurre. Wd ecco che, prepotentemente, i suoi disegni esplodono sulla copertina uscendo dal cerchio, che spesso rimane solo un accenno ridotto a un quarto della sua effettiva dimensione, per invadere il “giallo”. 
Opera di un maestro della prospettiva e del colore, i suoi disegni, una volta stampati, si trasformano in una porta su altri mondi: mondi criminali, mondi esotici ed erotici, mondi dove l'avventura regna sovrana. Le sue immagini incuriosiscono e spingono all'acquisto: non a caso per celebrare i novant'anni di vita della collana mondadoriana, nel 2019 sono state scelte dodici copertine classiche di Jacono per altrettanti romanzi de I classici del giallo. Il risultato: un ottimo successo di vendite.
Come tutti gli illustratori (seriali) Jacono non ha tempo di leggere i romanzi che deve illustrare, così riceve dai traduttori o dallo stesso Tedeschi brevi riassunti, nei quali gli vengono indicati la trama del libro e  possibili linee guida. Tuttavia, Jacono difficilmente le segue: preferisce fare di testa sua e seguire il proprio istinto; eppure chi acquisterà quel volume, stimolato e incuriosito dal suo lavoro, ritroverà sempre nella copertina tutti gli elementi caratterizzanti il romanzo appena letto. 
Il suo tratto è decisamente unico e in continua evoluzione: nelle sue copertine realizzate per Il Giallo alla fine degli anni '50 si respira l'aria fumosa delle ambientazione noir e dei romanzi di Fleming; negli anni '60 compare, specie sulle copertine di Segretissimo, la seduzione del pop e della Swingin' London, ma anche la suggestione del cinema. Gli anni '70 sono il periodo dei collage e spesso le sue copertine sono un mix di ritagli di giornali e colore steso con il pennello.
Jacono, a partire dall'inizio degli anni '50, collabora stabilmente con Mondadori e interviene su quasi tutte le testate della narrativa periodica da edicola della casa editrice: oltre a Il Giallo Mondadori, I Capolavori dei Gialli e I Classici del Giallo, così come molte copertine di Urania e tutte le illustrazioni interne dei primi 240 numeri. Sarà poi chiamato a realizzare le copertine di Segretissimo e lo farà per quasi 35 anni.
Sicuramente le storie di spionaggio gli sono più congeniali: non dobbiamo dimenticare che è stato il primo italiano a dare un volto a James Bond. È stato lui infatti a realizzare, tra le varie copertine (spesso non firmate) dei Gialli Garzanti, anche quelle dei romanzi di Fleming pubblicati nei primi anni '60. 
Grazie a Segretissimo, con le sue storie esotiche, ricche di bellissime spy girl, seducenti e mortali, Jacono mette in mostra la sua passione per l'erotismo, che lo porta a illustrare anche molte copertine dei fumetti sexy tanto in voga negli anni '70. Firmerà, per esempio, ben 240 copertine degli albi di Goldrake, agente alla James Bond con il volto di Jean Paul Belmondo creato da Renzo Barbieri e Sandro Angiolini.
Pur non amando i fumetti, non rifiuta mai un sfida ed ecco che le sue copertine “promuovono” Jacula e Jungla ma anche Walalla, l'indiana bionda scritta da Mario Gomboli, e persino Messalina. Le sue donne sono sempre sensuali, anche quando devono accompagnare racconti romantici pubblicati da Confidenze o Grand Hotel. Jacono ama molto l'azione e le sue copertine hanno sempre un taglio cinematografico. Ha una passione per l'Ovest americano e il western: i suoi primi lavori in questo campo appaiono sulla rivista True West, pubblicata nel 1958 da Tristano Torelli, che propone le storie vere del vero West. Da allora non mancheranno mai nelle edicole: sue sono le copertine di Dust, pubblicato dalla casa editrice Dardo, degli albi western dell'Intrepido, di molte testate tedesche e dei romanzi di Louis Lamour pubblicati negli Oscar Mondadori.
Un altro genere attraversato da Jacono è quello bellico: a partire dagli anni '60 collabora con lo Studio Creazioni D'Ami che lo fa conoscere alla Fleetway. La casa editrice inglese lo coinvolge prima nella creazione delle copertine per gli albi de L'artiglio d'acciaio e poi dei suoi albi di guerra. Da quel momento, per quasi una ventina, d'anni collaborerà con testate inglesi, da Commando a Battle, per la realizzazione di spettacolari duelli aerei e aereo-navali. Tutte questee copertine e altre, per un totale di oltre 300, saranno pubblicate anche in Italia da testate come RAF, U.S. Navy, U.S. Army, Marines e via guerreggiando.
Tuttavia, sotto sotto, Jacono era un pittore prestato all'illustrazione: negli anno '70, infatti, riprende a dipingere con ottimi successi di “pubblico e di critica”. Tra i suoi soggetti preferiti ci sono, potremmo dire ovviamente, i nudi femminili, ma anche splendidi paesaggi marini solcati da grandi velieri e soprattutto una serie di spettacolari guerrieri rinascimentali. Che, quasi a voler chiudere un cerchio, ci riportano alle sue molte illustrazioni fantasy realizzate per i mercati del nord Europa e alle tante favole o illustrazioni storiche realizzate per riviste come Atlante.
Jacono era un artista veloce nella realizzazione dei suoi lavori e questo gli ha permesso di realizzare, in quasi 50 anni di lavoro, oltre seimila copertine e illustrazioni. Negli anni, al contrario di molti altri artisti, Jacono ha certato di rientrare in possesso dei suoi originali e ora gran parte di questi sono conservati, grazie al lavoro di Grazia Jacono e del figlio Andrea, nell'Archivio Jacono e sempre più spesso tornano a nuova vita con la loro pubblicazione su riviste e libri. 

L'ispettore Callaghan in una copertina di Carlo Jacono

Carlo Jacono (17 marzo 1929 – 7 giugno 2000) è indubbiamente l’illustratore che più di tutti ha contribuito a rendere iconiche le copertine de Il Giallo Mondadori. Formatosi all’Accademia delle Belle Arti di Brera, inizia la sua carriera artistica come pittore. Convinto da uno studio pubblicitario muove i primi passi da copertinista «per caso e per necessità» realizzando layout di progetti grafici e illustrazioni per manifesti e campagne stampa.
Dopo una breve collaborazione per la produzione delle copertine della testata a fumetti La vispa Teresa, nell’inverno del 1950 riceve da Alberto Tedeschi l’incarico di illustrare le copertine de Il Giallo Mondadori, storica collana iniziata nel giugno del 1929, il cui enorme successo ha portato il colore delle sue copertine a designare per antonomasia il genere letterario poliziesco. Il primo volume illustrato da Carlo Jacono è il 108 del 1951, il sodalizio continua fino al 1986 per oltre 3.000 titoli.
La sua carriera prosegue poi come illustratore di copertine di Urania, testata di fantascienza per cui cura anche alcune illustrazioni interne in bianco e nero.
Sempre per Arnoldo Mondadori Editore illustra dal 1960 al 1990 le copertine della collana settimanale di spionaggio Segretissimo. Elemento importante in questi lavori è la rappresentazione della donna: «la donna era d’obbligo in primo piano, con sullo sfondo un’azione della vicenda». Per la stessa casa editrice lavora anche alle copertine de I Classici del Giallo, Cerchiorosso e I Libri dell’avventura
Negli anni Sessanta cura per le Edizioni del Gabbiano di Roma le copertine della collana Emilio Salgari, dedicata all’omonimo scrittore. Durante gli anni Settanta è impegnato a organizzare mostre personali di quadri dedicati alla parallela carriera pittorica apprezzata in Italia e all’estero.
Collabora poi con la produzione di 40 carte da gioco per la multinazionale Dupont e negli anni Ottanta illustra altre prestigiose riviste, tra cui Sorrisi e canzoni, la storica Domenica del Corriere, L’Europe e Sette, magazine allegato al Corriere della Sera. 
I suoi lavori appaiono anche nei libri Club degli Editori, di Euroclub e di Selezione del Reader’s Digest, su Grazia, Grand Hotel e Confidenze.
Oltre alle case editrici italiane ha collaborato con periodici inglesi, svedesi, norvegesi e statunitensi. In Giappone ha illustrato un libro di fiabe occidentali e una biografia di Richard Wagner.
Grazie al suo sconfinato talento nel 1970 vince il Premio Illustrazione. Altro importante traguardo è la vittoria del premio Amici del Quadrato per la Pittura (1974). Ha inoltre partecipato attivamente alle rassegne del giallo, della fantascienza e del fumetto, tra cui il Mystfest di Cattolica, Treviso Comics e la Mostra internazionale dei film di fantascienza di Roma.

Ufficio stampa WOW Spazio Fumetto
Enrico Ercole – 349/5422273

jueves, 12 de diciembre de 2019

La verità su piazza Fontana



Articolo di Andrea Carlo Cappi
(nel 50° anniversario, 12 dicembre 2019)

Nel 1996 condussi una piccola inchiesta sulla strage di piazza Fontana a Milano e sulla Strategia della Tensione, che portò ad alcuni articoli pubblicati su una rivista. In essi sottolineavo tanto i legami tra il terrorismo di destra e i servizi segreti americani, quanto le numerose analogie "tecniche" con varie operazioni della CIA degli anni Sessanta e Settanta.
Qualcuno avrà capito che per scrivere i miei libri ho alle spalle parecchi anni di studio nel campo dello spionaggio. Ebbene, è interessante notare, come ho indicato nella cronologia apparsa l'anno scorso su questo blog, che tra i primi artefici di questi intrighi italiani figura il nome di Clay Shaw, agente della CIA e unico imputato in un processo collegato all'assassinio del presidente Kennedy.
In particolare nella vicenda di piazza Fontana si riscontrano metodologie analoghe a quelle del caso Kennedy: sosia che ingannano testimoni, testimoni che muoiono in momenti opportuni, capri espiatori eliminati in circostanze poco chiare, prove schiaccianti che appaiono a scoppio ritardato come se fossero state inserite in un secondo tempo, persino magistrati che vengono screditati quando forse si avvicinano troppo alla verità, per poi essere assolti quando ormai è tardi.
Non sto facendo banale complottismo gratuito. Saranno solo coincidenze? O forse sono piuttosto tecniche che provengono dallo stesso "manuale" della CIA? Si tratta in fondo di metodi più che normali presso i servizi segreti: provocare eventi opportuni per poi pilotare i mezzi di comunicazione, in modo da trarre in inganno l'opinione pubblica. Fake news come si usa dire oggi, quando la principale sorgente di disinformazione non è più necessariamente la CIA.
Nel 1996, quando mi occupai della vicenda, era in corso una nuova inchiesta che portò quantomeno a delineare la verità, anche se non a punire i colpevoli. A cinquant'anni di distanza dalla strage che diede inizio a una lunga stagione di sangue in Italia, ripropongo l'articolo principale, che penso possa permettere la comprensione della vicenda a chi ne abbia solo sentito parlare. Conoscere il passato è sempre utile per riconoscerne i sintomi nel presente.

Il 1969 è un anno cruciale per l'Italia. Scioperi per il rinnovo dei contratti coincidono con l'avanzata della sinistra extraparlamentare. L'esplosione di numerosi ordigni pone le basi della cosiddetta Strategia della Tensione. Tra gli attentati più clamorosi, quelli del 25 aprile a Milano alla Fiera Campionaria e alla Banca Nazionale delle Comunicazioni nell'atrio della Stazione Centrale, bilancio complessivo una ventina di feriti. L'ondata successiva arriva nella notte tra l'8 e il 9 agosto, con sette attentati a bordo di treni affollati di turisti, totalizzando una dozzina di feriti tra viaggiatori e ferrovieri. Ma è solo l'inizio.
Il pomeriggio di venerdì 12 dicembre 1969, nell'edificio della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano, sono in atto le ultime contrattazioni prima della chiusura della settimana. Una bomba è stata collocata in una borsa di pelle nera, abbandonata sotto il tavolo ottagonale al centro del salone. Alle 16.37, un cratere si apre in mezzo al salone circolare, mentre nell'aria volano brandelli di carne umana e mortali schegge di legno, vetro e metallo. L'esplosione delle vetrate verso strada ferisce anche alcuni passanti, ma niente prepara i primi soccorritori all'orrore che li aspetta all'interno: tra i cadaveri straziati, i pochi superstiti, atterriti e mutilati, implorano aiuto. Il bilancio definitivo sarà di diciassette morti e ottantotto feriti.
In quello stesso istante, poco lontano da piazza Fontana, nella sede centrale della Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala, alcuni impiegati stanno esaminando con sospetto una borsa nera trovata abbandonata vicino all'ascensore. La borsa, molto pesante, contiene una comune cassetta metallica portavalori. Il frastuono dell'esplosione proveniente da piazza Fontana dà la conferma alla peggiore delle ipotesi. La banca viene evacuata. Per sicurezza, l'ingegner Teonesto Cerri, perito accorso sul luogo insieme agli artificieri, disporrà poche ore dopo che la bomba venga sepolta nel giardino interno della banca e fatta esplodere.
Alle 16.55, mentre a Milano si mobilitano decine e decine di autoambulanze, a Roma un'esplosione devasta il sottopassaggio che collega l'edificio della Banca Nazionale del Lavoro di via Bissolati a una dépendance in via San Basilio, causando il ferimento di quattordici impiegati.
Sempre a Roma, tra le 17.20 e le 17.30, altre due bombe esplodono sull'Altare della Patria. Ci saranno alcuni feriti, ma il valore di quest'ultimo attentato è prevalentemente simbolico. La prima fase, seminare morte e distruzione tra Milano e Roma, è completa. Ora scatta la seconda fase: indicare il capro espiatorio.

Poche ore dopo, a Milano, il commissario Luigi Calabresi invita il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli a seguirlo in questura. Sono molti gli anarchici fermati a seguito della strage di piazza Fontana: di loro si è cominciato a sospettare fin dalle bombe di aprile. Alcuni vengono trasferiti a San Vittore, altri rilasciati, ma Pinelli non è tra loro.
Trattenuto illegalmente in questura e sottoposto a un pressante interrogatorio, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre cade da una finestra in circostanze mai perfettamente chiarite.
Considerata al tempo stesso suicidio e ammissione di colpa, la sua morte viene usata come conferma della pista anarchica e si inquadra nella fabbricazione del colpevole "ideale".
Il candidato è Pietro Valpreda, ballerino milanese trentasettenne e, tempo prima, frequentatore del circolo anarchico di Pinelli. Trasferitosi a Roma, dove ha fatto parte del gruppo Bakunin prima di fondarne uno denominato 22 Marzo, Valpreda ha scritto articoli piuttosto accesi sulla rivista "Terra e libertà" e si è dedicato alla produzione di lampade liberty. Gira la voce che si sia vantato di responsabilità in attentati.
Saputo che la magistratura romana vuole interrogarlo, Valpreda, che si trova a Milano, si presenta spontaneamente a Palazzo di Giustizia la mattina del 15 dicembre. A Roma il pubblico ministero Vittorio Occorsio ha già pronto un mandato di cattura per lui. Valpreda viene immediatamente trattenuto e trasferito alla questura di Roma. Nei giorni seguenti, a partire da Giorgio Zicari del "Corriere della sera", la stampa costruisce su Valpreda l'immagine del mostro. Cinque anni dopo Zicari ammetterà di lavorare per il SID, il Servizio Informazioni Difesa la cui sigla apparirà più volte nelle inchieste sulla strage.
Ma intanto, nel 1969, la disinformazione fa i suoi effetti. Tutti si convincono della colpevolezza degli anarchici.

Il taxista Cornelio Rolandi dichiara alla polizia di avere trasportato l'attentatore sulla sua 600 multipla. Poco prima dell'attentato un uomo con una pesante borsa nera è salito sul suo taxi in piazza Beccaria, chiedendogli di portarlo nella vicinissima piazza Fontana (135 metri). In realtà l'uomo ha fatto aspettare il taxi all'angolo di via Santa Tecla, è sceso, ha raggiunto la piazza a piedi (234 metri tra andata e ritorno) ed è risalito senza borsa per farsi lasciare all'imbocco di via Albricci.
Un tragitto molto improbabile per un attentatore che voglia passare inosservato. Ma nessuno sospetta che Rolandi sia stato vittima di una manovra di depistaggio e la sua testimonianza viene rapidamente strumentalizzata.
Gli viene mostrata una foto di Valpreda, quasi un invito al riconoscimento da parte del questore milanese Marcello Guida. Poi il taxista viene condotto a Roma, dove tra varie persone identifica facilmente l'indiziato. Sette mesi più tardi, il 2 luglio 1970, temendo per la salute di Rolandi i giudici romani raccolgono una sua deposizione "a futura memoria". Sorprendente prudenza, dato che Rolandi non è afflitto da alcun male incurabile. Eppure, oltre un anno dopo, il 16 luglio 1971, Rolandi verrà trovato morto nel suo appartamento. Il suo decesso sarà attribuito a polmonite secca senza febbre.
Un ulteriore dettaglio emerge il 2 febbraio 1970: tra i frammenti raccolti dopo che gli artificieri hanno fatto detonare la bomba nel giardino della Banca Commerciale di piazza della Scala, compare... improvvisamente un pezzetto di vetro colorato mai segnalato nelle settimane precedenti. Il vetro è analogo a quello usato da Valpreda per le sue lampade liberty e sembra messo a bella posta per suggerire che la bomba sia stata confezionata nello stesso laboratorio.
Su queste basi Valpreda rimarrà in carcere in attesa di giudizio per tre anni. Solo grazie a una legge varata nel novembre 1972 e detta appunto "legge Valpreda" potrà essere messo almeno in libertà provvisoria.

Può sembrare strana la rapidità con cui nel dicembre 1969 le autorità presentano i "colpevoli" all'opinione pubblica. In realtà tutto è stato ben orchestrato.
Le notizie di cui dispone la polizia sono di prima mano: del circolo 22 Marzo di Valpreda a Roma fa parte un certo Andrea, in realtà agente di Pubblica Sicurezza Salvatore Ippolito.
Diverso è il caso di un altro membro del gruppo, Mario Merlino, che al momento dell'arresto diviene il principale informatore della polizia. In realtà Merlino è un ex militante di estrema destra, amico del neofascista Stefano Delle Chiaie. Si tratta di un agente provocatore che, per entrare nel gruppo, ha dichiarato di avere abbandonato il fascismo e di essere passato prima al cattolicesimo (nella persona di don Mario Vanini, casualmente amico anche del commissario Calabresi) e poi all'anarchia. Grazie a lui, la magistratura romana punta immediatamente su Valpreda.
Vicino a Pinelli è invece Antonio Sottosanti, detto "Nino il Fascista" per le sue simpatie politiche precedenti la conversione all'anarchia. Sottosanti lavorava alla Fiera Campionaria il 25 aprile delle bombe. E il caso vuole che sia molto somigliante a Pietro Valpreda, circostanza notata, sulla base di una fotografia, dallo stesso testimone Rolandi. Questo è il primo di una serie di ipotetici sosia dell'accusato, che potrebbero avere realizzato un'operazione di depistaggio servendosi dell'ignaro taxista.
Ma la costruzione che vuole gli anarchici responsabili della strage non tiene conto di un imprevisto.

Entro la fine dell'anno Guido Lorenzon, insegnante veneto, informa la magistratura di Treviso dell'esistenza di un'organizzazione padovana di estrema destra, diretta dall'avvocato Franco Freda e dal libraio Giovanni Ventura. Amico di Lorenzon, Ventura gli ha più volte riferito dettagli relativi a diversi attentati, da quelli sui treni in agosto a quelli del dodici dicembre, compresi i problemi relativi al sottopassaggio della banca a Roma.
Ventura sperava di coinvolgerlo nelle proprie imprese, invece ha portato Lorenzon a rompere il proprio silenzio. Nei mesi successivi, Lorenzon è oggetto di forti pressioni da parte di Freda e Ventura affinché ritratti, ma senza successo. Inutilmente Ventura si finge di estrema sinistra per nascondere i suoi legami con Freda e con l'estrema destra. Col procedere delle indagini, ulteriori confessioni confermano il quadro delineato da Lorenzon e portano i giudici sulla pista giusta: la "pista nera".

Attraverso le inchieste promosse a Treviso dal giudice Giancarlo Stiz, a Padova dal giudice Giovanni Tamburino e, successivamente, a Milano dai magistrati Gerardo D'Ambrosio ed Emilio Alessandrini, si delineano le attività dell'organizzazione di estrema destra Ordine Nuovo, il cui gruppo padovano guidato da Freda e Ventura è attivo in tutta Italia.
Facciamo un passo indietro nel tempo.
Nel 1966 Freda e Ventura sono responsabili dell'invio di duemila lettere firmate "Nuclei di Difesa dello Stato" a esponenti dell'esercito, con l'invito esplicito alla presa di potere da parte dei militari.
Nel 1968, insieme ad Angelo Ventura (fratello di Giovanni), Massimiliano Fachini, Marco Pozzan e Ruggero Pan, i due maneggiano grandi quantità di armi ed esplosivi: è in questo periodo che a Padova comincia la stagione delle bombe.

Il primo a scoprire la pista nera è il commissario padovano Pasquale Iuliano, che nel giugno 1969 arresta Fachini (luogotenente di Freda) e alcuni suoi complici per possesso di armi. Ma il commissario, accusato di avere usato metodi illeciti per incastrarli, viene immediatamente sospeso. Inoltre l'unico testimone a suo favore, l'ex carabiniere Alberto Muraro, portinaio dello stabile in cui vive uno degli arrestati, viene trovato morto in settembre nel pozzo dell'ascensore e rapidamente sepolto senza autopsia.
Freda e Ventura possono continuare ad agire indisturbati: qualcuno veglia su di loro dall'alto.
Lo stesso Ventura ammette in interrogatorio di avere collocato personalmente, nel maggio 1969, una bomba al Palazzo di Giustizia di Torino e di essere stato al corrente di numerose azioni analoghe in altre parti d'Italia.
Tali bombe, dotate di innesco con fiammiferi antivento e contenute in cassette di legno all'interno di scatole di cartone per libri, sono state ritrovate inesplose.

Il problema dell'innesco mancato ricorre frequentemente negli attentati del gruppo. Paradossalmente, l'organizzazione dispone di grandi quantità di esplosivo, ma non di adeguate capacità tecniche.
La soluzione si è presentata quando Freda si è rivolto a un ingenuo elettricista, facendogli credere di essere interessato al lancio di razzi, presumibilmente per fuochi d'artificio. L'elettricista ha spiegato all'avvocato come fabbricare un meccanismo di innesco, utilizzando i fiammiferi antivento e le lancette di un orologio.
Erano i primi giorni dell'agosto 1969: il metodo venne immediatamente collaudato con discreto successo nelle bombe sui treni.
In settembre, sempre servendosi della consulenza dell'elettricista, Freda è passato dall'uso di una cassetta di legno come contenitore per la bomba a quello di una cassetta metallica, in grado di rendere l'ordigno più micidiale.
Due falliti attentati antisloveni preparati a ottobre vedevano appunto l'impiego di scatole metalliche per munizioni. L'elettricista suggeriva l'impiego di cassette portavalori e la sua proposta è stata accolta: le bombe del 12 dicembre saranno contenute in cassette prodotte dalla ditta milanese Juwel.
L'elettricista, benché totalmente estraneo al neofascismo, è ormai l'inconsapevole consulente tecnico del gruppo. Su suo consiglio, Freda ordina cinquanta timer alla ditta Elettrocontrolli di Bologna: sono timer della ditta Junghans-Diehl, cinque dei quali verranno impiegati per le bombe del 12 dicembre.

Interrogato sulla destinazione dei cinquanta timer, Freda racconta di essere in contatto con un'organizzazione araba, attraverso un fantomatico colonnello Hamid dell'esercito algerino. A lui, nel settembre 1969, Freda avrebbe consegnato i cinquanta timer, destinati a una serie di attentati filopalestinesi contro gli israeliani.
Solo nel settembre 1972, grazie a un articolo su "L'Espresso", emerge il fatto che già il 15 dicembre 1969 titolari e commessi della valigeria "Al Duomo" di Padova hanno segnalato l'acquisto di quattro borse identiche a quella impiegata per la bomba trovata alla Banca Commerciale di Milano il 12 dicembre. Si tratta di borse di fabbricazione tedesca, vendute solo in un paio di negozi in tutta Italia: una pista semplice da seguire eppure deliberatamente ignorata per tre anni.
L'acquirente viene identificato in Franco Freda.

Intanto, il 28 agosto 1972, viene emesso mandato di cattura per Freda e Ventura, stavolta con l'accusa di strage. Con le prime ammissioni di Ventura durante l'inchiesta di D'Ambrosio del marzo 1973, lo scenario si allarga.
Quello che nei primi giorni veniva fatto passare come l'opera di un gruppuscolo anarchico si configura invece come il frutto di oscuri legami tra membri di Ordine Nuovo, dell'esercito e dei servizi segreti (il SID). Gli uomini chiave di queste trame si chiamano colonnello Amos Spiazzi, Carlo Maria Maggi, Carlo Digilio e Marcello Soffiati.
Emerge inoltre una nuova figura: quella del giornalista Guido Giannettini, uomo del SID e referente di Ordine Nuovo a Padova. Nell'aprile del 1973, su consiglio del capitano Antonio Labruna del SID, Giannettini lascia l'Italia per Parigi e poi per Madrid, ricomparendo nell'agosto 1974 a Buenos Aires, dove si consegna al consolato italiano.
Non è l'unico e scegliere la fuga all'estero: nel 1973 il latitante Marco Pozzan è fuggito a Madrid con l'aiuto del SID. Lo stesso anno un'offerta analoga viene fatta anche a Giovanni Ventura: il SID gli procura la chiave della cella per farlo evadere, ma Ventura non accetta, temendo una trappola.

In tutto questo tempo, i processi per la strage compiono un'odissea attraverso tutta l'Italia. Quello contro gli anarchici del 22 Marzo, trasferito da Roma a Milano nel marzo 1972, viene nuovamente spostato dalla corte di Cassazione a Catanzaro nell'ottobre dello stesso anno, temendo che a Milano manchi la necessaria serenità. Nel 1974 tutte le inchieste e i processi su piazza Fontana sono unificati a Catanzaro.
Ormai l'indagine è diventata una ragnatela di fatti e personaggi. Sono inquisiti il generale Gian Adelio Maletti, il generale Vito Miceli e il capitano Antonio Labruna, appartenenti al SID. L'ex presidente del consiglio Mariano Rumor viene accusato di reticenza perché risponde alle domande con una lunga serie di "non ricordo". E intanto, il 30 settembre 1978, Freda scompare dal soggiorno obbligato di Catanzaro, imitato da Ventura il 16 gennaio 1979. Giusto in tempo per sottrarsi alla sentenza di primo grado, che li dichiara colpevoli.
Freda e Ventura vengono ripresi nell'agosto del 1979, rispettivamente in Costa Rica e in Argentina. Sono passati quasi dieci anni dalla strage.

La storia potrebbe concludersi a questo punto, se il 20 marzo del 1981 la corte d'appello di Catanzaro, avanzando dubbi su tutte le prove ritenute valide in primo grado, non ribaltasse la sentenza, decidendo per l'assoluzione.
La sentenza viene annullata, ma la corte d'appello di Bari, cui la Cassazione ha affidato il processo, giunge alla stessa conclusione: assoluzione per insufficienza di prove.
Freda e Ventura non potranno mai essere nuovamente processati per la strage di piazza Fontana.

Bisogna attendere gli anni Novanta perché la verità torni in superficie, grazie a un'inchiesta condotta dal giudice milanese Guido Salvini su La Fenice, un gruppo di Ordine Nuovo guidato da Giancarlo Rognoni.
La Fenice, con base a Milano, è responsabile dell'attentato dell'aprile 1973 sul treno Torino-Roma, in cui il neofascista Nico Azzi è rimasto ferito dal suo stesso ordigno, ed è sospettata per quello di piazza della Loggia a Brescia nel maggio 1974. Il gruppo di Rognoni si collega a un altro troncone di Ordine Nuovo con base a Mestre, che si configura come l'anello mancante di tutte le precedenti ricostruzioni della strage di piazza Fontana.
Nel 1994 la pista conduce a Martino Siciliano, che al tempo della sua militanza in Ordine Nuovo operava con il capo del gruppo di Mestre, Delfo Zorzi. Malgrado le pressioni dell'ex camerata, in autunno Siciliano decide di collaborare con la giustizia, riferendo alcune ammissioni fatte da Zorzi il 31 dicembre 1969 sulla propria responsabilità nella strage di piazza Fontana.
Dunque sarebbe Zorzi l'uomo che ha portato la bomba a piazza Fontana?
Un altro pentito, Carlo Digilio, ricorda un dettaglio importante: Zorzi gli ha rivelato di essersi occupato personalmente della collocazione della bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, operazione resa possibile dall'aiuto del "figlio di un direttore di banca".
Questa definizione potrebbe con qualche approssimazione riferirsi a Mario Merlino, di cui un rapporto del SID di poco posteriore al 12 dicembre 1969 afferma: "conoscerebbe bene il sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio e suo padre sarebbe amico del direttore della Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano."
Nel novembre 1994 riappare un'altra figura dal passato: si tratta dell'elettricista che venticinque anni prima ha insegnato a Freda le tecniche di innesco e lo ha consigliato sull'acquisto dei timer. Ormai sessantenne, libera la propria coscienza davanti ai carabinieri del ROS (Raggruppamento Operativo Speciale), svelando quello che per paura di ritorsioni ha sempre tenuto per sé e distruggendo con poche parole la linea di difesa che ha portato all'assoluzione di Freda e Ventura.
Nello studio di Freda, nel novembre del 1969, l'elettricista ha tenuto all'avvocato e al libraio una vera e propria lezione sull'uso dei timer. Dunque i timer erano ancora in possesso di Freda in novembre, cioè due mesi dopo la presunta consegna al fantomatico Hamid e poche settimane prima della strage.
Solo dopo il 12 dicembre l'elettricista capiva che Freda e Ventura non stavano preparando fuochi artificiali e, quando in primavera Freda gli proponeva una collaborazione continuativa, promettendogli denaro e protezione dall'alto, l'uomo declinava l'offerta.

Quindi la "pista nera" era giusta e conduceva al gruppo padovano di Freda e Ventura, coadiuvato dal quello mestrino di Zorzi.
Ma un'altra serie di retroscena viene svelata tra il 1994 e il 1996 dai pentiti Digilio e Siciliano.
All'epoca della strage, per Ordine Nuovo, Digilio è "Zio Otto", prezioso esperto dell'uso di armi da fuoco: in questa veste visita un casolare a Paese, in provincia di Treviso, dove scopre una vasta riserva di armi ed esplosivi a disposizione dei neofascisti e dove incontra Delfo Zorzi.
In tale occasione l'uomo che accompagna Digilio, il professor Lino Franco, dà a Giovanni Ventura alcuni preziosi consigli, tra cui l'impiego di fiammiferi antivento per l'innesco: è questo il metodo in seguito adottato con successo da Freda e Ventura.
Digilio nega il proprio coinvolgimento nell'eversione e si ritaglia un ruolo di semplice osservatore nella preparazione degli ordigni nel casolare di Paese. C'è però anche chi, come Siciliano, ricorda Digilio come l'artefice degli ordigni antisloveni inesplosi dell'ottobre 1969 e lo sospetta come confezionatore delle bombe di piazza Fontana e di piazza della Loggia.

Ma dal 1967 Digilio è anche "Erodoto", fiduciario nel Veneto per conto della CIA, ovvero la Central Intelligence Agency, i servizi segreti USA: è un ruolo che ha ereditato dal padre Michelangelo, insieme al nome in codice.
Per conto della CIA Carlo Digilio osserva i movimenti dei neofascisti e li riferisce al capitano statunitense David Carrett, di stanza fino al 1974 presso la base FTASE (Forze Tattiche Alleate in Sud Europa) di Verona e quindi agente di un'organizzazione CIA-NATO.
Digilio non è l'unico agente americano inserito nella struttura neofascista: per la CIA lavorano anche Marcello Soffiati e Lino Franco, in stretto contatto con una delle menti del gruppo di Mestre, Carlo Maria Maggi.
E sempre per lo spionaggio americano lavora anche Sergio Minetto, ex combattente della Repubblica Sociale Italiana, legato a un'organizzazione filonazista tedesca denominata "Gli elmetti d'acciaio" (Der Stahlelmen). Questa organizzazione gestisce anche alcune esercitazioni dei Nuclei per la Difesa dello Stato (gli stessi della lettera spedita da Freda e Ventura). A tali esercitazioni partecipa in un ruolo direttivo il colonnello Amos Spiazzi, che viene arrestato nel gennaio 1974 come leader dell'organizzazione segreta Rosa dei Venti.
Da questo labirinto di nomi, nel quale è difficile determinare dove finisce la fedeltà all'Alleanza Atlantica e dove comincia la nostalgia per Adolf Hitler, si evince un unico dato preciso.
La Central Intelligence Agency statunitense, nell'ambito delle attività della NATO (vale a dire l'alleanza tra i paesi del Nord Atlantico, Italia inclusa) ha osservato e appoggiato le attività dei neofascisti dell'area veneta.
L'obiettivo di partenza era quello di organizzare un'efficace resistenza in caso di invasione sovietica, il che spiega la nascita di Stay Behind, più nota agli italiani come "Gladio".
Ma nel 1963 il generale USA Westmoreland stabiliva che il comunismo dovesse essere fermato a ogni costo: questa direttiva venne interpretata dando origine ai Nuclei per la Difesa dello Stato e offrendo aiuto a elementi dell'estrema destra eventualmente in grado di prendere il potere. I fascisti erano sicuramente anticomunisti.
Gli attentati compiuti dagli uomini di Ordine Nuovo vennero attribuiti alla sinistra, o quantomeno agli anarchici, creando un clima favorevole a un colpo di stato militare col pretesto di ristabilire l'ordine. Di fronte alla minaccia di (apparente) terrorismo rosso-anarchico, l'opinione pubblica avrebbe accettato più facilmente l'imposizione di un governo sul modello fascista-militarista: i piromani si sarebbero travestiti da pompieri e si sarebbero presentati come "salvatori della Patria" da un pericolo che in realtà avevano creato loro stessi.
Dal canto loro, gli USA sarebbero stati tranquilli: l'Italia - il paese con il più grande Partito Comunista al di fuori del blocco sovietico ma, in ambito NATO, fondamentale baluardo tra est e ovest - non avrebbe corso il rischio di diventare "rossa". Esattamente come non poteva diventarlo la Spagna, che dal 1939 al 1975 era sotto la dittatura di destra di Francisco Franco.
Il prezzo da pagare per gli italiani sarebbe  stato, naturalmente, tornare sotto un regime fascista-militare. Destino toccato invece alla Grecia con il colpo di stato dei "colonnelli" che impose la dittatura tra il 1967 e il 1974, anche questa sotto l'egida della CIA. Analoga sorte per il Cile, con il golpe del 1973 che portò al potere il generale Pinochet, destinato a restare in carica fino al 1990. L'Italia ha rischiato di fare la stessa fine: un colpo di stato "preventivo" dimodoché i nordamericani potessero essere sicuri che il territorio non passasse al "nemico".
Le vittime di piazza Fontana e delle altre stragi sono gli innocenti caduti in una delle fasi più oscure della Guerra Fredda, uccisi da un perverso meccanismo che molti conoscevano e che pochi hanno tentato di fermare.