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Fotografia di Andrea Carlo Cappi |
Sproloquio di Andrea Carlo Cappi
Una quindicina di anni fa, ospite al Courmayeur Noir in Festival, il brillante autore di (meritati) bestseller John Grisham espresse un'opinione che condividevo: il miglior film basato su un suo libro era The Rainmaker, che Francis Ford Coppola aveva tratto da L'uomo della pioggia. Purtroppo, aggiungeva lo scrittore, il film era uscito nella stessa settimana in cui era stato lanciato Titanic, la cui pesante campagna promozionale lo aveva oscurato. Ogni tanto capita.
Per esempio - anche se le cifre in gioco sono molto inferiori - il sette aprile ultimo scorso è uscito un romanzo cui tengo molto, come mi capita quando scrivo qualcosa di radicalmente diverso da quanto ho fatto prima. Non che non mi piacciano gli altri miei libri: se così fosse, non li avrei scritti, perché a mio avviso se un libro non piace all'autore, non piacerà neanche ai lettori che pagano per poterlo leggere. Ma Black and Blue rappresenta qualcosa di nettamente diverso dalla mia produzione precedente, così come nel 1997 Ladykill-Morte accidentale di una lady si differenziava dalla maggior parte delle storie che avevo scritto sino da allora e nel 2014 Danse Macabre - Le vampire di Praga si distaccava nettamente dalla mia produzione principale.
Quando scrivo un libro, da qualche anno a questa parte, grazie ai social network faccio quello che in altri tempi avrebbe potuto fare l'editore: una campagna pubblicitaria. Scatto fotografie, realizzo video (attività in cui per anni mi ha aiutato l'amico scrittore-videomaker Francesco G. Lugli) e mi invento slogan. Poi inondo Internet di messaggi promozionali che cerco di rendere sempre curiosi e divertenti. È un lavoro che si sovrappone al lavoro, per rimediare al problema di base: l'invisibilità imposta alla maggiore parte dei veri libri di veri scrittori, includendo, sia chiaro, nella categoria i narratori che puntano all'intrattenimento. Ma l'intrattenimento destinato a un pubblico intelligente ha l'obbligo di essere a sua volta intelligente, quindi spesso è visto con estremo sospetto.
Al lancio il sette aprile 2016 di Black and Blue - figlio di un progetto cominciato tre anni fa - mi sono dedicato per cinque mesi. Mi sono occupato di persona di molti elementi: dato che sono, marginalmente, un fotografo, ho scattato la foto di copertina, cercando di immaginare cos'avrebbe fatto Helmut Newton se avesse dovuto illustrare un romanzo pulp; visto che sono stato uno dei primi a sostenere l'uso del booktrailer in Italia (partecipai a un convegno in proposito allo IED di Milano una decina di anni fa) ho realizzato diversi videoclip musicali con la colonna sonora di Signor Wolf Funk Exp, straordinaria band con cui ho avuto il piacere di collaborare; poiché da più di sei anni propongo quasi ogni settimana un mio racconto online gratis ai miei lettori, ho ideato una miniserie partita il sette aprile sul webmagazine Fronte del Blog, Insomma, un sacco di lavoro, fatto con passione, arrivando alla splendida serata al Balubà di Milano, sempre il sette aprile, con i colleghi Andrea G. Pinketts, Stefano Di Marino e Paolo Sciortino, in cui ho venduto tutte le copie disponibili, cominciando ancora prima della presentazione. Ormai, per promuovere il libro, mi mancano giusto i "rollinz" e le action figures dei personaggi.
Non avevo previsto però che lo stesso giorno, il sette aprile, uscisse anche il libro autobiografico firmato dal figlio di un boss, con tanto di apparizione televisiva in un programma di massimo ascolto, preceduta da una lunga polemica sull'opportunità o meno di mandarla in onda. Premetto che, essendo contro la censura, non sono contrario a priori né alla pubblicazione del libro né all'intervista in tv. Condivido pienamente l'opinione di un giornalista di grandissimo impegno e serietà come Edoardo Montolli in un suo articolo su Fronte del Blog e non solo perché siamo amici e lavoriamo insieme da quasi vent'anni. Di libri di mafiosi e figli di mafiosi di tutto il mondo ne sono stati pubblicati molti e alcuni sono testi fondamentali per conoscere retroscena, anche se bisogna sempre filtrare il punto di vista degli autori. Detto questo, non sento il bisogno impellente di leggere questo libro o assistere all'intervista, perché temo non siano illuminanti sulle questioni che importano davvero, ma potrei persino sbagliarmi.
Piuttosto, ciò che mi dà fastidio, è l'operazione commerciale che c'è dietro.
Primo, per un fatto personale: l'editore del libro in questione è lo stesso che due anni fa ha pubblicato il mio Le vampire di Praga, annunciandolo come il primo di una trilogia; non ho ancora potuto scrivere i volumi successivi e temo che il motivo sia che ho fatto presente all'editore le necessità retributive del proseguimento della collaborazione.
Secondo, perché l'editore non mi ha mandato da Bruno Vespa, ma da questo punto di vista lo posso anche capire: io non sono figlio di vampiri. Be', non sono neanche figlio di agenti segreti, ma per Le grandi spie Augias mi ha invitato lo stesso nel suo programma.
Terzo: perché lo "scandalo" dell'intervista serve a fare più pubblicità a un libro di quanto possa farne io per il mio. In un certo senso anche i librai che espongono il cartello in cui dicono che nel loro negozio non si tiene quel libro - alcuni, suppongo, come autentico atto di coraggio e impegno civile, altri forse solo per moda - contribuiscono a loro modo a reclamizzare un libro che si può comprare da un'altra parte.
Ma allora, quando ho scritto libri che raccontavano retroscena di questioni di enorme importanza (omicidi politici, guerre, terrorismo...) librai o edicolanti avrebbero dovuto esporre, con lo stesso impegno, un cartello che diceva che loro vendevano il mio libro. Ma non sapevano neanche di venderli (quelli che li vendevano). Perché la tattica migliore per far tacere un libro scomodo e evitare che si sappia in giro che esiste.
Ora però vorrei rivendicare il diritto degli autori veri di libri veri a far sapere che esistono. Anche perché a volte i nostri libri - scritti con passione e cognizione di causa - sono la nostra fonte di sostentamento. E, se continuate a correre dietro ai fenomeni da baraccone televisivo del momento, rischiamo di morire di fame. Di sicuro, non troverete i nostri nomi nei Panama Papers.