domingo, 23 de agosto de 2015

L'ultimo paradiso del flamenco

Carmen de Pau (foto di A. C. Cappi)

Sproloquio di Andrea Carlo Cappi


Salve a tutti. Rimando a domani la nuova puntata di Capriccio espagnol e intanto vi parlo di quello che per me è diventato il tema dell'estate: il "ritorno" del flamenco.
La mia famiglia è legata alla Spagna da tre generazioni, contando anche me, e dal 1973 sono passato da Maiorca almeno una volta all'anno, spesso di più. Abbiamo visto la fine del franchismo e l'arrivo della democrazia, trepidato (dall'Italia) durante il tentato golpe a Madrid del 1981 e (a Maiorca) in occasione dell'ultimo attentato dell'ETA, nell'estate del 2009, costato la vita a due giovani della Guardia Civil.


La Toñi (foto di A. C. Cappi)

Qui ho imparato spagnolo e inglese, le lingue che da oltre vent'anni mi permettono di lavorare come traduttore. E qui torno ogni volta che posso per avere davanti agli occhi, anche mentre lavoro, uno dei miei panorami preferiti. Molti miei romanzi e racconti sono nati ai tavoli di un bar-ristorante sulla spiaggia di Magalluf che da diversi anni va sotto il nome di "El Ultimo Paraiso": ricorda un po' quello in cui si rifugia James Bond in Turchia nel film Skyfall, ma per fortuna qui non occorre dimostrare il proprio coraggio bevendo alcolici di dubbia fattura con uno scorpione che passeggia sulla mano.
La piacevole sorpresa di quest'anno: uno dei due fratelli che mandano avanti il Paraiso non solo si è rivelato un chitarrista flamenco, ma ha cominciato a organizzare settimanalmente spettacoli di musica e ballo abbinati a una cena con paella e sangría. Se le ultime due sono piuttosto facili da trovare da queste parti, non si può dire lo stesso del flamenco.
Così ogni venerdì sera alle nove sono in prima fila ad ascoltare le chitarre di Miguel Crespo ed Estéban Sánchez e assistere allo spettacolo in cui ho visto alternarsi sinora quattro bailaoras diverse. E sono ben lieto di ritrovare qualcosa di spagnolo... in Spagna, scoprendo anzi che il flamenco sull'isola ha tuttora un seguito molto vasto ed è coltivato anche dalle nuove generazioni.
Come molte tracce della cultura spagnola, temevo che anche il flamenco, che da sempre è una delle colonne sonore della mia vita oltre che di parecchi miei libri, stesse cominciando a sparire dall'area. I motivi? Da una parte una sorta di crescente globalizzazione. Questa è una zona molto turistica dell'isola, da anni poco abitata d'inverno e molto affollata d'estate, soprattutto da ragazzi in cerca di chiasso e alcool. Per molti di loro, soprattutto i britannici, non fa differenza se si trovano in Spagna o in Grecia e non sarebbero in grado di distinguere l'una dall'altra. Non a caso alcuni anni fa Magalluf (in marzo!) ha "interpretato" una località greca in un film sulle vacanze estive dei teenager inglesi, con la semplice aggiunta di insegne posticce su qualche bar e il travestimento ellenico di una cabina telefonica. La musica che si sente per le strade è quella che si sente dappertutto e di spagnolo sembra essere rimasto ben poco.
Ma dall'altra parte c'è un ulteriore elemento da non sottovalutare. Soffocata dal regime fino a metà degli anni Settanta, la lingua catalana - con la cultura di tutto rispetto a essa relativa - è riemersa grazie alla Costituzione del 1978 che dava spazio all'autonomia e al bilinguismo in varie zone della Spagna. E, come tutte le volte che una cosa viene repressa a lungo, c'è il rischio che quando torna diventi a sua volta oppressiva. Già nei primi anni Ottanta a Barcellona la segnaletica stradale era monolingue e certi negozianti si rifiutavano di rispondere in castigliano (ovvero lo spagnolo, una delle lingue più parlate nel mondo, a differenza del catalano) anche a clienti stranieri che gli si rivolgevano in quella che, in ogni caso, restava uno degli idiomi ufficiali.
Il fenomeno si è poi esteso anche alle Baleari. Non solo nelle scuole si insegna il catalano, ma alcune materie sono insegnate in catalano. Per ottenere alcuni posti di lavoro è obbligatoria la conoscenza del catalano... in un'area in cui, data la presenza dei turisti, la popolazione locale si sforza di parlare non solo inglese, ma anche l'italiano o il russo. Ci sono poi due dettagli fondamentali. Primo, il catalano non è propriamente la lingua delle Baleari: i dialetti locali sono una forma di catalano più arcaico, che ha oltretutto un illustre rappresentante in Ramon Llull (o Raimondo Lullo), filosofo maiorchino medievale; quindi molti autoctoni vedono questa lingua come un'imposizione che arriva da Barcellona. Secondo, il settore turistico ha sempre attirato lavoratori da tutta la Spagna e, oggi, anche dall'America Latina. Un mondo intero di persone unite dalla lingua castigliana... e in qualche modo discriminate mediante il catalano.
Giusto oggi dalla Catalogna in pieno fermento indipendentista - qualcuno di recente, sul modello di grexit ha coniato l'espressione catalexit - giungeva la proposta di costruire un grande paese catalano, separato dalla Spagna e fuori dall'euro. Uno stato che includerebbe - presumo come colonia - anche le Baleari. Mi auguro che l'idea non abbia seguito... e ve lo dice uno che, come proprio pseudonimo per una serie di libri con protagonista una ballerina di flamenco sivigliana, ha scelto il cognome catalano "Torrent". Ma in questo clima, qualcuno vede ciò che viene da altre zone della Spagna come il Male.

Per fortuna ogni tanto si trovano persone con una più ampia visione culturale, che unisce la tradizione andalusa alla paella valenciana e alla sangría, che forse ha origine (come del resto alcuni stili del flamenco) tra gli spagnoli emigrati oltremare e poi tornati in patria. Vi lascio ai video con Inma Crespo e Ika Santiago e rimango in attesa che qualche referendum sancisca se la crema catalana è indipendentista oppure si possa considerare catalana, spagnola ed europea.




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