Articolo di Fabio Viganò
con un'intervista a Vania Negrini
La solitudine è indispensabile per l’uomo, perché acutizza la sensibilità e amplifica le emozioni. (Walter Bonatti)
È giunta l’ora. Dalla finestra il Monte Disgrazia è innevato come tutte le altre vette. Il silenzio regna sovrano, rotto soltanto dal cinguettio degli uccelli. In lontananza riecheggia lo scorrere dell’acqua di una cascata. Il sole tra poco sorgerà. Il peso dello zaino sulle spalle. È giunta l’ora!
Con due passi si è fuori dal Rifugio Zoia. Ci attende la salita. Ora, dopo lo strapiombo della vallata, siamo soli. Di tanto in tanto ci si ferma a prender fiato. Il respiro è in armonia con il passo. Ultimo sguardo allo Zoia di Emanuele, che ci ha ristorato. Il tempo è tiranno. A breve potrebbe diluviare, nonostante per il momento ci sia sole. Il tempo in montagna, si sa, è variabile.
Quanta pace! Gli affanni quotidiani sembrano così lontani e inutili, come le parole, quando si è al cospetto dell’eternità. L’ascesa è dolce, l’aspettativa ripagata. Qui tutto è poesia, musica… Basta saperla cogliere, in ogni minimo particolare.In lontananza è la diga di Campo di Moro. In lontananza…
Un sorso d’acqua. Il tempo regge. Non pioverà! Dopo due ore di salite e pianori eccoci alla meta. Intorno è il tutto e noi siamo il nulla. Si tolgono gli zaini e si ammira estasiati il panorama. ”Ci siamo?”,domanda la mia compagna di escursione e di vita. Un “Si” mi cade dalle labbra, mentre a bocca aperta ammiro il panorama che, ogni volta, mi rapisce sempre più, affascinandomi. Ritornare fanciulli… L’aria riempie i polmoni. La gioia è tanta. Il Rifugio Cristina è là. Lo si intravede, bello, nitido,oltre il pianoro! Pare ci aspetti.
Di lontano fotografiamo il mondo che abbiamo lasciato. Il peso dello zaino, ora, non esiste. Siamo come in un’altra dimensione. Ritroviamo quella dell’umano che la civiltà cerca di sottrarci ogni giorno. Le marmotte fischiano ad avvertire del pericolo.
Una pacca sulle spalle alla mia compagna, che mi ripaga con un sorriso. Il Pizzo Scalino è sopra di noi. Incombe. Forse lo scalerò… tempo permettendo! Il suono del campanaccio delle capre e delle mucche mi riporta alla realtà. Ero assorto mentre, passo dopo passo, mi accingevo a raggiungere il “Cristina”. Poi mi dico: Domani è un altro giorno, si vedrà.
Il Rifugio Cristina nasconde una grande storia d’amore. Vania, Marcello, Filippo e Pietro rappresentano la quarta generazione di gestori. Lei parla del suo bisnonno Ersilio, che nel lontano 1918 costruì il rifugio e lo dedicò alla moglie Cristina. Era tutto il suo cuore. Ora, a distanza di quasi cento anni dall’apertura, cerco di capire il perché di questa grande scommessa... il perché di questa grande storia d’amore. Solitudine, fatica, pazienza e spirito di sacrificio sono la quintessenza del rifugista.
Marcello, il marito, passa dalla costruzione di muri in sasso al lavoro di elettricista a quello di aiuto-cuoco. Vania il più delle volte funge da metereologa e da psicologa suo malgrado. Sara invece, con maestria e cortesia, serve ai tavoli. L’occasione è ghiotta e non posso lasciarmela sfuggire. Decido quindi di intervistare Vania che, di buon grado, si concede.
“Vania, quali sono le difficoltà che hai incontrato durante il periodo della tua gestione?”
“Manca l’allacciamento della corrente elettrica e siamo obbligati a produrla tramite una turbina ad acqua. L’accessibilità al rifugio durante il periodo invernale è difficoltosa per le forti nevicate e,senza una motoslitta, o a piedi con le ciaspole, qui non ci si arriva.”
“Qual è il tuo rapporto con la montagna?”
“A dir la verità ci son nata. La montagna per me è tutto ed è nel mio cuore. La mia vera fortuna è stata incontrare un uomo come mio marito, Marcello, che vive la montagna come me, in modo totalizzante.”
D’un tratto Vania si alza ed esclama: ”Nevica!” Corro alla finestra e scatto alcune foto! È sera. Ha dell’incredibile. Sembra tutto così surreale…
“Bah. Tanto…”, riprende lei con fare sconcertato.
“Vania, vi sono passeggiate che suggeriresti ai nostri lettori?”
“Be', si! Il Passo Campagneda, sicuramente. Con i suoi laghetti è a dir poco fantastico. Anche l’Alpe di Acquanegra non è da meno in quanto a bellezza naturale. Infine suggerirei la scalata al Pizzo Scalino, 3300 metri, la montagna che domina l’alpeggio dove siamo noi del “Cristina”.
“Oltre a essere il gestore del Rifugio Cristina ne sei al momento anche la cuoca. Puoi suggere una tua ricetta ai nostri lettori?”
“Ah, sì! Direi… la torta di grano saraceno con le noci. La preparazione necessita di 250 grammi di farina di grano saraceno macinato fine. Quindi 50 grammi di farina di riso. Tre sono le uova, intere. Una busta di aroma di vaniglia, 250 grammi di burro, 100 grammi di noci e 250 grammi di zucchero. Dopo aver preparato tutti gli ingredienti bisogna miscelare sapientemente i componenti con le uova e lo zucchero. A questo punto si aggiunge l’aroma di vaniglia insieme al burro, che in precedenza è stato fuso. Infine si devono amalgamare ulteriormente le farine - quella di grano saraceno e quella di riso - sino a ottenere un composto omogeneo. A questo punto si aggiungono le noci e si versa il tutto in uno stampo ben imburrato e infarinato. Cottura in forno a 180 gradi per circa trenta minuti... e buon appetito”.
“Le vacche qui fuori con le capre?”
“Sono di Moira e Maurizio. Son saliti per la transumanza insieme a Samuele,Vanessa e Pippo… Poi prepareranno anche il formaggio,”
“Grazie Vania…”
Ora scappo fuori a far due foto. Il Rifugio Cristina, di sera e con la nevicata, ha un certo fascino che intriga e ispira quiete e pace. Alle spalle, iil Pizzo Scalino. Forse, domani, si vedrà...
La mattina ci accoglie con un sole raggiante. Vari alpinisti hanno rinunciato a scalare lo Scalino. Hanno trovato pioggia battente ghiacciata e neve. Avevo intravisto qualcosa…
Si parte, quindi, per l’Alpe dell’Acquanegra. Sin dalle prime ore del giorno il sole splende sopra il Pizzo Scalino. Con passo incerto si cerca il sentiero. Sono sassi e non vogliamo scivolare. Dopo una prima indicazione, il sentiero scompare come nel nulla… Poi ricompare. Da qui son passate le vacche di Moira e Maurizio. Le tracce sono palesi.
Il sentiero è gradevole. Un continuo discendere che ci svela scenari imponenti e maestosi a ogni passo. Si resta a bocca aperta a rimirar la Natura. Non ci sono parole. A volte si trattiene il respiro dallo stupore. È un reincontrarsi. È un ritrovarsi. I passi, leggeri, divengono tali dal desiderio di scoprire, di imparare e divenire. Dal nulla nasce il sentiero che diverrà strada maestra.
Guardo attorno: trovo la Vita. Guardo attorno e scopro la sofferenza che porta all’Amore e che andrà oltre la Morte. Guardo attorno e scopro l’eterno stupore negli occhi di mia moglie. Mi scopro felice. Capisco Vania e Marcello. Ersilio che dona tutto ciò che ha a Cristina… Non è poco. È l’immenso. È un sentimento che nessuno potrà mai negare. È donarsi completamente.
In lontananza, dopo aver attraversato una pietraia e l’ennesima salita, ecco apparire l’Alpe Acquanegra. Il silenzio regna. La gioia è riflessa nei tuoi occhi, sorpresi a scrutar l’orizzonte. Poi si scende… ancora. Si raggiunge l’Alpe Acquanegra e ci si ristora all’ombra dei pini. A breve dovremo tornare. Vania e Marcello ci attendono. Non possiamo tardare.
Al ritorno ci fermiamo per qualche fotografia.
Intanto,intorno è un continuo fischiar di marmotte… Chissà se riuscirò a fotografarne una.
Al ritorno Moira e Maurizio ci invitano a casa loro. Moira è svizzera, di Lugano. Maurizio, italiano, è di Caspoggio. Son saliti all’Alpe con Samuele e Vanessa, i loro figli, per la transumanza e per la mungitura delle capre. Dal latte faranno formaggio.Un duro lavoro, usurante.
Tornano alla mente le parole di Vania: “La montagna per me è tutto ed è nel mio cuore.La mia vera fortuna è stata quella di incontrare mio marito Marcello che vive la montagna come me,in modo totalizzante.” Marcello,dalle mani callose, che le vorrebbe forse dare di più. Marcello, cui piacerebbe lavorare per l’Enel. Marcello,un uomo dal cuore grande come una casa, come se ne trovano pochi! E dal nulla si arriva al sentiero…