viernes, 14 de junio de 2024

Vita da pulp - I segreti del Grande Sceneggiatore


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

"Rammenta che qui tu non sei altro che l'attore di un dramma, che sarà breve o lungo secondo il volere del drammaturgo. E se a costui piace che tu rappresenti la parte di un mendico, vedi di interpretarlo come si deve. Lo stesso se ti è assegnato il ruolo di uno zoppo, di un magistrato, di un uomo comune. Poiché a te spetta solo di interpretare bene il personaggio che ti è destinato. Scegliere quale è il privilegio di un altro."
Epitteto, Manuale, I sec. d.C.

Questa citazione mi capitò non so come sotto gli occhi una quindicina di anni fa, mentre scrivevo un racconto di padre Stanislawsky (il mio ciclo di storie sparse di fantascienza) intitolato Il Grande Sceneggiatore. Guarda caso, me la ritrovo sotto il naso in questi giorni, intanto che lavoro a un altro tassello dell'avventurosa biografia del mio prete-peccatore del futuro, che si chiamerà La mossa del vescovo e uscirà in settembre come "racconto ospite" in Mea culpa, l'antologia del Premio Torre Ctawford 2024. Il Grande Sceneggiatore, scritto nel 2009 e pubblicato nel giugno 2010 nella raccolta giallo-fantascientifica mondadoriana Sul filo del rasoio a cura di Gianfranco De Turris, tirava le somme in merito a una questione su cui riflettevo da almeno vent'anni.
Anche se nel 1989 non ero ancora ufficialmente qualificato come "autore", fin dall'infanzia inventavo storie e dalle elementari cercavo di scriverle: conseguenza del fatto che sono sempre stato un avido consumatore di narrazioni sotto forma di libri, fumetti, cinema, radio e televisione. Come dico spesso, nel momento in cui si scopre che dietro a tutte quelle storie c'è chi le scrive, può venire la tentazione di passare dall'altra parte e cominciare a crearne di proprie. Ogni racconto o romanzo è lo sguardo su una piccola porzione di un universo più vasto: non a caso si parla di "universo" quando una o più persone lavorano a una saga fatta di molte storie con molti personaggi.
A differenza della vita reale in cui, come dice Epitteto, non siamo noi a decidere i nostri ruoli, nell'universo della storia che scriviamo possiamo "interpretarne" parecchi, perché tutti i personaggi - protagonisti, antagonisti, comprimari e comparse - sono in fondo nostre proiezioni, a nostra immagine e somiglianza. E non solo: possiamo decidere noi le regole di quell'universo, che a nostra discrezione sarà più o meno simile a quello in cui abitiamo. Siamo padroni della vita e della morte dei nostri personaggi, anche se, frequentandoli a sufficienza, potremmo notare che la coerenza dei loro caratteri impedisce loro di compiere certe azioni; potremmo persino scoprire, come insegna Pirandello in Sei personaggi in cerca d'autore, che dispongono di libero arbitrio e vogliono imporre la propria visione del mondo a chi li ha messi in scena. A volte nemmeno il loro creatore può obbligarli a fare qualcosa che si rifiutano di fare... compreso sparire nel nulla dopo la parola fine.

Nelle mie lezioni di scrittura creativa, comincio quasi sempre disegnando sulla lavagna la classica figura con l'occhio nel triangolo, come per dire che chi scrive una storia ne è il Creatore, il Motore Immobile, insomma Dio. Ma questa presa di coscienza ci riporta al nostro ruolo nella vita reale, che Epitteto paragona a un dramma, come del resto fa William Shakespeare nel 1600 in Come vi piace: "Tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e donne ne sono solo interpreti". Francis Marion Crawford entra ancor più nei dettagli in A cigarette-maker romance (1894).
"Veniamo al mondo e, prima ancora di sapere dove siamo, ci troviamo su una delle strade da percorrere nelle nostre poche dozzine d’anni tra la nascita e la morte. Oltretutto, il sentiero di ciascuno da un lato sale sul palcoscenico, dall’altro ne discende. Il Fato, impresario inesorabile, esige che ognuno arrivi in fondo alla propria commedia o tragedia, se giudicato degno del ruolo da protagonista; o alla sua scena o al suo atto nella pièce di un altro, se adatto solo come caratterista nella parte del gentiluomo o del servo sciocco, o come figurante addestrato meccanicamente, che appare di volta in volta quale soldato, marinaio, cortigiano, contadino, cospiratore o patriota dal berretto rosso. Pochi recitano bene, molti male, ma tutti vanno in scena e i più prendono applausi stentati e sonori fischi. Si considera grande chi è accolto con un clamoroso battimani e grida di approvazione tali da coprire la voce degli insoddisfatti; si dice fortunato chi, entrato in ritardo e farfugliata una battuta, esce di scena trionfante in coda al primo attore, su cui sono puntati gli occhi di tutti; si giudica felice chi, senza aver offeso nessuno, ha il permesso di andarsene in pace dietro le quinte."
Nella vita reale saremmo dunque i personaggi di una trama scritta da qualcun altro. Ma, rispetto ai tempi di Epitteto, Shakespeare e Crawford, sono nate altre forma di espressione, oltre al libro e al dramma: il cinema, la radio, la televisione e, con essi, la serialità. Esistono soap-operas che hanno seguito le vite dei propri personaggi per sessant'anni senza interruzione; una di esse, cominciata alla radio per poi passare alla tv, superò i settanta. Alla luce di tutto questo si potrebbe dire, citando Woody Allen in Mariti e mogli (1992), che "la vita non imita l'arte, imta la cattiva televisione". Siamo quindi i personaggi non di un grande drammaturgo, bensì di un "grande sceneggiatore"?

Ebbene, avete mai notato qualcosa di strano nelle vostre vite? Potrebbe esservi capitato di sentirvi come se d'un tratto tutto quello che vi accadeva, almeno per alcuni giorni, fosse parte di un grande piano, come ne L'uomo che volle farsi re di Rudyard Kipling (1888) e il relativo film di John Houston (1975). Avete mai fatto caso a improbabili coincidenze che vi conducevano a nuove scoperte, nuove sfide, nuove esperienze nella vita, come se qualcuno dall'alto le avesse messe intenzionalmente sulla vostra strada? E vi siete mai sentiti, invece, come se una potenza superiore si stesse dedicando con particolare cura a crearvi nuovi problemi o delusioni inattese, qualcosa che sembrava preso pari pari da Kafka o Dostojevskij... ma stava accadendo realmente a voi?
Pensate alla storia della fiction in generale. La maggior parte delle vicende che leggiamo e guardiamo non parlano di vite normali e noiose. Di solito trattano di:
1-coniugi, conviventi o amanti che tradiscono i rispettivi coniugi, conviventi o amanti
2-persone uccise in modi misteriosi e investigatori/trici che cercano di capire perché e da chi (variante: serial killer che uccidono in serie e investigatori/trici che tentano di identificarli)
3-guerrieri in guerra
4-agenti segreti che agiscono segretamente
5-pazienti che si ammalano e medici che cercano di salvarli
6-individui che inseguono successo e potere a ogni costo, almeno finché non ne sono inseguiti a loro volta
7-supercriminali che cercano di conquistare/distruggere il mondo e supereroi che fanno del loro meglio per impedirlo
8-e, d'accordo, gente che si innamora e ha un sacco di problemi, prima di riuscire felicemente a coronare il proprio sogno (ma cosa succede dopo? Si veda il punto 1)

Se avete fortuna, la vostra storia personale assomiglierà a un dramma borghese, altrimenti rientrerà in una delle molte altre categorie possibili, compresa quella del tipo che attraversa una strada di Tokyo proprio nel momento in cui Godzilla fa due passi. E se dunque le nostre vite fossero l'opera di un "grande sceneggiatore" che cerca semplicemente di rendere le cose più interessanti rispetto alla solita routine quotidiana, che finirebbe per annoiare il pubblico? Dopotutto ci vuole sempre qualcuno che finisca ammazzato da Freddy o Jason, o calpestato da Godzilla.
Ma in realtà di rado lo sceneggiatore di un serial lavora da solo: c'è un intero gruppo creativo che deve conciliare le storie dei singoli personaggi con un progetto comune. C'è la produzione che deve rientrare dei costi, il network che controlla preoccupato l'audience, l'ufficio marketing che decide che questo o quello non va più bene. Il che spiegherebbe perché, nelle nostre esistenze, vediamo di continuo premesse e promesse di sviluppi favorevoli ed esaltanti che, improvvisamente, vanno in fumo. Per quale motivo? Perché l'ufficio marketing ha deciso che quella sottotrama non era interessante e va cancellata, in modo da dare spazio al successo di altri personaggi? Ma a questo punto dobbiamo allargare il nostro pantheon: chi sono produttori, network e marketing manager? E, soprattutto... chi è il pubblico?
Una cosa è certa: una volta mi venne commissionato un testo teatrale e proposi un soggetto che avevo in mente da tempo: i personaggi di alcuni serial scoprono di essere, appunto, i personaggi di alcuni serial e cercano di comunicare con chi li sceneggia perché modifichi il loro destino. Il mecenate di turno - fervente cattolico - scoprì che ero l'autore de Il Grande Sceneggiatore e bloccò il progetto, temendo che potessi diffondere la pericolosa eresia contenuta in quel racconto. Ma il Grande Sceneggiatore fu clemente con me: mi venne pagato il lavoro che avevo fatto fino a quel momento.

Continua...

(Immagine generata con AI)




Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato oltre una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Membro di IAMTW e World SF Italia, vincitore del Premio Italia 2018 (miglior romanzo fantasy), cura le riedizioni di Andrea G. Pinketts con l'associazione omonima e per Delos Digital la collana in ebook Spy Game.

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