lunes, 27 de diciembre de 2021

Diabolik: quando la realtà incontra la fantasia

Opinione di Fabio Viganò

Andrea Carlo Cappi è uomo calato nel presente, uomo che sa ben interpretare ed analizzare la realtà attuale soprattutto nelle sue opere. L’ultima sua fatica è rappresentata dal romanzo “Diabolik”, legato al film di cui tutti parlano. Queste poche righe che mi azzardo a scrivere narrano del libro.
Diabolik agisce in una Clerville che potrebbe essere ubicata ovunque regni il crimine. Diabolik è il crimine. Diabolik è un uomo, ma dalle doti incredibili, asservite a un solo fine: la riuscita del colpo. A qualsiasi costo, persino di vite umane. Diabolik non scherza e non ha mai scherzato, come l’autore del libro.
Tra le righe, che si leggono piacevolmente, si intravedono però inquietanti e attualissime coincidenze in cui lo stesso Diabolik, si può dire, rimarne spiazzato. Il potere corrotto della Giustizia di Clerville, rappresentato dalla figura del viceministro Caron, uomo dalle trame oscure, capace non già di amministrare onestamente la Legge, bensì di usarla a proprio beneficio, in un ricatto losco e sordido perpetrato nel tempo.
Diabolik è uomo solo in quanto non può fidarsi di nessuno. Sarà, paradossalmente, proprio lo scontro con la Giustizia corrotta, ricattatrice e arrogante a fare in modo che Lady Kant si innamori di lui, intellettivamente prima, fisicamente poi. Inutile che vi narri della fitta rete di inseguimenti e di piani di cui il libro è costellato. L’ordito è ben giocato!
La figura splendida di Lady Kant, Eva Kant, è a dir poco affascinante. Femminile, intelligente e nel contempo sensuale, rivendica in ogni occasione il suo dualismo, la sua scelta di vita innamorata, voluta e condivisa solo ed esclusivamente con "Lui", il “suo” Diabolik. Una coppia che da decenni fa invidia a tutta la popolazione non soltanto di Clerville ma del mondo intero.
L’analisi della differenza tra il Bene e il Male, ben definita nel romanzo dall’ispettore Ginko - sagace investigatore - e Diabolik, la dice lunga su ciò che sta accadendo oggigiorno e che ben si potrebbe riassumere con l’affermazione di Giovanni Giolitti: “La legge per i nemici si applica e per gli amici si interpreta”. Giolitti venne definito trasformista, proprio come Diabolik.
Un grazie infinito alla magnifica intuizione delle sorelle Giussani che ci regalarono questo gioiello del fumetto e ora del cinema e della letteratura. Ho detto "gioiello"? Zitti, zitti, non ditelo in giro! Diabolik potrebbe rubarlo…

martes, 30 de noviembre de 2021

Vita da pulp - Ciao


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Do molta importanza al mio pubblico, senza il quale non potrei esistere come scrittore. Sicché cerco sempre di rispondere ai messaggi che mi giungono da lettrici e lettori, riguardo a ciò che scrivo o a ciò che traduco.
Anche se, lo confesso, ho un problema quando su Messenger o Whatsapp me ne arriva uno con scritto solamente: "Ciao".
E basta.
Forse si presume che io risponda a mia volta "Ciao" e dia inizio a un'amabile conversazione, nel corso della quale mi verrà spiegato il senso del messaggio. Ma non è detto che - sempre che me ne accorga in tempo reale - possa rispondere subito. In quel momento sto di certo facendo qualcosa: scrivendo, mangiando,  prenotando la prossima dose di vaccino, dormendo, rispondendo a un messaggio urgente di posta elettronica da cui dipende un bonifico in arretrato da due anni, correndo per prendere al volo il bus 42 alla fermata di Niguarda Nord...
Un po' come per le telefonate: non è detto che si possa sempre rispondere subito. Ricordo una volta che mi suonava ossessivamente il cellulare nella tasca ma non potevo rispondere, perché stavo attraversando di corsa da un capo all'altro l'aeroporto di Madrid, portando a tracolla il contenitore cilindrico dell'urna con le ceneri di mia madre; ho richiamato solo dopo l'atterraggio a Malpensa.
Quando mi arriva un "Ciao", la mia politica è aspettare di avere altre informazioni. In particolare, che mi venga esposta la questione del momento, dimodoché io possa rispondere in modo coerente.
"Ciao, perché hai scritto la tal frase..."
"Ciao, dove appare il tal personaggio..."
"Ciao, si trova ancora il tal libro in commercio..."
Una volta, mentre ero in metropolitana, mi arrivò un messaggio che richiedeva una risposta immediata, perché il mittente era in una libreria e voleva sapere se un tal romanzo da me tradotto fosse bello o una boiata (Ho risposto che era una boiata, ma c'era un'ambientazione interessante per cui l'ha comprato lo stesso.)
Facile dare una risposta, quando si sa quale sia la domanda.
"Ciao" è un graditissimo segno di cortesia ma, se la comunicazione si limita a questo, non è un indizio sufficiente a capire quale sia l'argomento. Tuttavia il mittente del "Ciao", vedendo che non rispondo, si arrende in preda alla delusione e non svela l'essenza di ciò che desiderava sapere da me. Dopodiché il "Ciao" svanisce nella marea di messaggi successivi e viene dimenticato. Rimane il dubbio che il testo completo fosse: "Ciao, come si disinnesca un ordigno nucleare quando il timer segna meno trenta secondi?" e che ormai il mittente si sia dissolto in una nube di radionuclidi.
Un'altra categoria di messaggi criptici è quella in cui buona parte del testo rimane nella testa del mittente. Per quanto possa essere una persona di cui si conoscono gli interessi, a volte da una singola frase è difficile immaginare di cosa diavolo stia parlando. Se ti arriva di punto in bianco il messaggio "Meglio stendere un velo pietoso" ma, a meno di possedere doti telepatiche, non sai quale sia l'oggetto dell'osservazione, è arduo replicare in maniera sensata.
Il mio modesto consiglio: lo so che le chat sono un mezzo di comunicazione rapida, ma a volte le 5W (what, who, where, when, why) possono essere utili anche nelle comunicazioni interpersonali.
Ah, dimenticavo: "Ciao".

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

(Immagine: A. C. Cappi in una foto di Daniela Basilico)

lunes, 29 de noviembre de 2021

jueves, 25 de noviembre de 2021

Genitori e prole


Riflessioni di Andrea Carlo Cappi

Ricevo da un amico, coinvolto in prima persona sull'argomento, la segnalazione del convegno di cui riporto qui sopra il programma, previsto a partire dalle 9.30 di sabato 27 ottobre all'auditorium dell'Umanitaria di Milano (v. S. Barnaba 48). Il tema principale è la situazione dei minori all'interno del rapporto tra genitori separati.
Non sono un genitore. Come ho scritto altrove, credo nelle riproducibilità dell'opera d'arte, ma non mi ritengo tale, quindi non mi riproduco.
Ma ho anch'io, in un certo senso, una prole: quello che scrivo. Non è certo la stessa cosa, ma so che, quando metto al mondo un testo, voglio che sia trattato bene, non che cada nelle mani di un editore incompetente o truffaldino, come talvolta è capitato. Non voglio che qualcuno abusi della temporanea proprietà che può esercitare su ciò che ho dato alla luce. Non voglio che me lo portino via per farne il proprio giocattolo.
Nel caso dei genitori, ci sono di mezzo la vita, il futuro e l'equilibrio di esseri umani: figlie e figli, per cominciare, ma anche madri e padri. Che dovrebbero avere tutti pari diritti, da rispettare e tutelare senza distinzioni o discriminazioni, senza che sia dato spazio a prepotenze e sopraffazioni per mettere le altre persone coinvolte di fronte a un fatto compiuto e a volte irrimediabile.
So solo cosa provo io quando un editore - mi è successo, una decina di anni fa - mi commissiona libri che io scrivo con cura, dedizione e partecipazione (altrimenti non avrei accettato di scriverli) per poi vedere loro e me ingiustamente sfruttati e maltrattati. E questo solo perché le spese legali per far valere i miei diritti come "genitore" possono essere insostenibili e, addirittura, insufficienti a ottenere il risultato.
Da quella e altre esperienze so che la sopraffazione spesso ha la meglio.
Ma ciò diventa inaccettabile, quando ci sono di mezzo esseri umani.

viernes, 5 de noviembre de 2021

Vita da pulp - Seicento casse

 


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

"Il problema dell'intellettuale in fuga", diceva un personaggio del film Mon oncle d'Amérique, è decidere quali libri portare in salvo dalla propria biblioteca: "Balzac o Stendahl? Lenin o Trotzkij? Il novantacinque per cento finisce per non muoversi di casa perché non ha saputo scegliere."
Perché avere tanti libri, fino ad arrivare all'impossibilità di leggerli tutti?
Perché chi scrive, per cominciare, deve avere letto molto. E deve continuare a leggere. Se tratta argomenti storici o di attualità, deve anche documentarsi sui retroscena relativi, il che comporta non solo consultare Internet - stando bene attenti all'attendibilità delle fonti e cercando di trovarne più di una sullo stesso argomento - ma anche e soprattutto testi cartacei attendibili.
Ma chi si specializza nella narrativa popolare ha il dovere di tenere viva la propria mente, stimolandola con libri, fumetti, film e serie tv, confrontando le proprie idee con quelle di altri autori. Non bisogna trascurare nulla, neanche ciò che un intellettuale può considerare un sottoprodotto. Come diceva Robert Redford ne I tre giorni del Condor a proposito dei fumetti, "ho imparato lì molto più che nei libri".
E non ci si deve occupare solo delle ultime novità di cui parlano tutti. Bisogna tenere conto di un immenso patrimonio vintage che il pubblico attuale ignora o non ricorda o non ha più occasione di scoprire. (Per fare un esempio, ho appreso moltissimo su come strutturare una trama thriller dai telefilm di Mission: Impossible degli anni Sessanta-Settanta.)
Molto spesso ciò che il pubblico ritiene una grande novità non è che una rielaborazione, una sovrapposizione, un aggiornamento o - in molti casi - un'imitazione di testi preesistenti. Solo che il pubblico ha sempre meno memoria storica o, semplicemente, maggiori difficoltà a scoprire o accedere a quanto pubblicato in passato. Di recente ho menzionato Donald E. Westlake alias Richard Stark a un lettore attento e competente, che tuttavia non lo conosceva... per quanto sia stato un autore di riferimento per scrittori come Jeffery Deaver o Stephen King.

Tutto ciò comporta un effetto collaterale: avere la casa piena di libri, fumetti, dvd e persino videocassette. Una quantità che nel mio caso posso definire con precisione: seicento scatoloni di materiale accumulato dalla mia famiglia nell'arco di tre generazioni... e il mio contributo alla sua espansione è stato pari, se non superiore, a quello delle due generazioni precedenti, oltre a quello che ho scritto io stesso.
Seicento: questo è il numero di scatoloni necessari per imballare tutto quanto (lavoro che mi ha richiesto alcuni mesi tra il 2017 e il 2018) perché fosse caricato su tre camion dei traslochi. Il personale disse che avevo superato il record stabilito dal Signor No dei quiz di Mike Bongiorno, che non credo arrivasse a trecento. Il peso dei libri era tale da far strisciare gli autocarri sull'asfalto.
Per fortuna i traslocatori hanno preparato solo l'ultimo centinaio di casse: in seguito ho scoperto che uno dei requisiti fondamentali per fare quel lavoro è odiare i libri: da come certi volumi sono stati ficcati negli scatoloni - contorti e ripiegati - alcuni non torneranno mai più alla forma originale. Forse un libro ha morso i traslocatori da bambini, lasciando in loro un trauma indelebile.
Secondo effetto collaterale: una volta trasferiti gli scatoloni nella nuova casa, diventava quasi impossibile muovercisi. I pochi mobili erano sepolti dalla casse e per ritrovarne alcuni è stata necessaria un'operazione di tipo speleologico. E, dato che dovevo anche continuare a lavorare, mi sono dedicato agli scavi solo in qualche intervallo tra un romanzo e una traduzione. A quattro anni dall'inizio delle procedure, non ho ancora finito di disseppellire volumi. Quando è necessario consultarne uno che non è ancora emerso, parto per una lunga ricerca, sperando di localizzare lo scatolone giusto.
Terzo effetto collaterale: il vecchio palazzo in cui vivevo si trovava tra gli scavi della metropolitana e il cantiere di un nuovo edificio, e sui libri si accumulava uno strato di polvere ancora superiore alla media milanese e ormai resistente a qualsiasi Folletto. Lo scorso weekend mi sono preso a forza un po' di tempo libero per aprire casse ancora sigillate del 2017. Posso dirvi che la polvere sollevatasi quattro anni fa dalle viscere della città si è conservata perfettamente, liberandosi nell'aria e provocandomi un immediato raffreddore allergico. O forse scatenando un virus considerato estinto nel primo secolo d.C. e riemerso dal ventre oscuro di Milano, per il quale non ho più gli anticorpi necessari.
In sostanza, preservare la cultura comporta sacrifici. L'italiano/a medio/a che non legge e si limita a guardare le partite o le serie tv sui canali a pagamento non corre certo questi rischi. E non ha nemmeno problemi di spazio. Giusto qualche giorno fa, a Roma, concordavo con un paio di lettrici di Stephen King sull'utilità di piazzare le librerie in mezzo a una stanza, in modo da renderle accessibili da entrambi i lati, raddoppiandone la capienza.
Nondimeno, avere a portata di mano un'infinità di stimoli intellettivi è fondamentale per l'essere umano ed essenziale per un narratore. Ancorché pulp.

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

(Immagine: foto di A. C. Cappi)

miércoles, 22 de septiembre de 2021

Vita da pulp - Non si può piacere a tutti

A. C. Cappi in una foto di GialloLatino

Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Come sa qualcuno dei miei lettori, sono anche un autore di tie-in, per la precisione di romanzi con protagonisti famosi personaggi del fumetto italiano: Martin Mystère, il detective dell'impossibile creato da Alfredo Castelli, e la coppia Diabolik & Eva Kant delle sorelle Giussani. In questo periodo, in appendice agli albi a fumetti mensili in edicola di Martin Mystère, esce un mio insolito romanzo a episodi: insolito perché non è esattamente "un romanzo a puntate", ma una storia in cui ogni episodio è (quasi) un racconto autonomo, benché collegato a una continuity che si concluderà in occasione del quarantennale del personaggio, nell'aprile 2022.
Qualche giorno fa, sulla pagina Facebook di Sergio Bonelli Editore, mi ha fatto piacere leggere tra i commenti dei lettori che uno di loro aveva ricominciato a comprare gli albi di Martin Mystère proprio perché c'era la mia storia in appendice. Ma ho trovato anche il commento di un altro lettore che chiedeva di togliere dagli albi "l'inutile raccontino di Cappi" e metterci dieci pagine in più di fumetti. Verrebbe istintivo spiegare che, se non ci fosse il "raccontino", semplicemente l'albo sarebbe più corto di dieci pagine. E pure di suggerire di leggere cos'ho scritto senza pregiudizi perché, se si sfoglia qualcosa con fastidio premeditato, difficilmente si può cogliere il lavoro dell'autore per scrivere una "storia a puntate" che possa essere letta agevolmente una decina di pagine alla volta, con un mese di distanza l'una dall'altra, senza far perdere né il filo della vicenda né l'interesse.
Ma la verità è semplice.
Non si può piacere a tutti.
Non si può piacere, in particolare, a chi legge qualcosa avendo deciso a priori quale sarà la sua opinione. Come certi critici cinematografici che stroncano un film senza averlo neanche visto, con frasi prefabbricate del tipo "la trama è solo un pretesto per gli effetti speciali" oppure "ormai la serie mostra la corda". C'è stato un periodo in cui, per scegliere i film thriller o d'azione da vedere, mi basavo sistematicamente su quelli che una nota rivista di cinema bollava con una faccina triste (all'epoca non si chiamava ancora "emoticon"). Raramente restavo deluso. Mentre a volte lo ero da qualche thriller esaltato dalla critica come qualcosa di diverso dal solito: non vedendo mai pellicole del genere, quando il recensore di turno ne trovava una fatta passare per un'opera d'autore, scambiava per originalità qualcosa che per il cultore era solo aria fritta.
Amo citare il caso di una colta giornalista e scrittrice che qualche anno fa lesse e recensì un mio romanzo uscito da Mondadori in Segretissimo. che trattava temi vicini ai suoi interessi. Era la prima volta che leggeva un romanzo di quella collana - su cui gravano pesanti pregiudizi che ne sconsigliano la lettura agli intellettuali in generale e alle donne in particolare - e scoprì con sorpresa che quella pubblicazione non era il sottoprodotto ignobile di cui si parlava in giro e che il romanzo era un thriller che, usando la formula accessibile della narrativa popolare, toccava tematiche molto importanti. A volte leggere o vedere qualcosa prima di giudicarlo apre orizzonti sconfinati.
Ma non si può piacere a tutti.
Per limitarsi alla letteratura, ci sono cose che non piacciono neanche a me. Per esempio, i romanzi che pensano di "nobilitare" la narrativa di genere utilizzando una lingua inutilmente complessa; non sofisticata, si badi bene, bensì un'accozzaglia di frasi contorte e parole desuete non coerenti con il registro linguistico, il cui unico scopo è far vedere quanto si sia colti ed essere dunque riconosciuti come Grandi Autori. Di solito, quando chi scrive opere di questo genere si manifesta in un festival del giallo, si presenta subito come "autore noir" (il giallo, notoriamente, non può aspirare alla "vera letteratura") e tiene a precisare che il suo "non è davvero un noir" e che la trama "è un pretesto per affrontare problematiche molto più profonde", così da distinguersi dalla plebaglia come me.
Non ho nulla contro una lingua corretta e una prosa elegante, anzi ho una morbosa predilezione per l'uso opportuno dei congiuntivi e un rispetto assoluto per il trapassato (strumento fondamentale ma trascurato per raccontare un evento passato all'interno di una narrazione già al passato). Non sono prevenuto - come si vede dal mio articolo su Lo spettacolo delle desuete - contro le parole perdute od obsolete della lingua italiana, a patto che siano usate nel giusto contesto: tanto per fare un esempio, in un romanzo storico due amici si possono incontrare in una taverna, un'osteria o una locanda, non "al bar", e persino abbandonarsi alla crapula, vocabolo che può essere utilizzato anche in un contesto moderno, a patto che sia impiegato in modo ironico o sia consono al modo di esprimersi di un certo personaggio.
Insomma, come vedete, anch'io non sono immune dai pregiudizi. Più volte mi sono reso colpevole di avere impedito agli editori per cui lavoravo come consulente o direttore editoriale di prendere in considerazione testi che trovavo insostenibili fin dalla prima pagina. Un giorno, in una montagna di dattiloscritti, me n'è capitato uno talmente inaccettabile che l'ho gettato sul pavimento e mi sono messo a saltarci sopra insultandone (in assenza) l'autore, che pensava di avere scritto un capolavoro immortale.
L'unica differenza è che, se trovo qualcosa che non mi piace, in genere non ne parlo, pensando che possa piacere invece ad altri. Non vado su Amazon a scrivere critiche negative o ad abbassare apposta la media dei voti di un libro o di un ebook, come invece pare si usi adesso. Stefano Di Marino mi raccontava che un anonimo "lettore" (si presume sempre lo stesso) assegnava in modo sistematico un solo punto ai suoi romanzi, tanto da far pensare che seguisse puntuale le uscite solo per bocciarle. Se un autore o un genere non ti piacciono, si suppone che tu smetta di leggerli, no? Verrebbe quasi da credere che certi autori vengano boicottati con la precisa intenzione di farli sparire. In un mondo in cui escono migliaia e migliaia di libri, è fin troppo facile diventare invisibili.
Ma cosa vado a pensare?
La verità è solo che non si può piacere a tutti.

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

jueves, 16 de septiembre de 2021

Lo spettacolo delle desuete

 

Giada Trebeschi e Giorgio Rizzo in scena

Cronaca dal Premio Torre Crawford, di Andrea Carlo Cappi

Venerdì 10 settembre 2021, nell’ambito del Festival Premio Torre Crawford a San Nicola Arcella (Cosenza), ho assistito finalmente a Lo spettacolo delle desuete di e con Giada Trebeschi e Giorgio Rizzo, di cui sentivo parlare da parecchio: non solo seguo quasi ogni giorno La rubrica delle parole desuete, a cui si ispira la rappresentazione, ma i due autori e interpreti sono miei amici ormai da tempo. Per questo sarebbe sconveniente (termine e concetto ormai desueti) definire questo articolo una recensione: potrei essere tacciato di scarsa obiettività. Sicché mi limito a farne cronaca e commenti personali.


In primo luogo, nella Rubrica la scrittrice (oltre che docente e attrice) Giada Trebeschi propone ogni giorno su Facebook e Instagram uno sketch da un minuto, in cui racconta etimologia e significato di una parola o una locuzione di uso non più comune: può trattarsi di qualcosa che definisce oggetti e mestieri del passato, di un termine filosofico (l’anno scorso sono stato ospite del video dedicato ad "atarassia") o di una parola non del tutto desueta... ma pericolosamente a rischio di estinzione. La perdita del linguaggio, ricorda Giada, comporta anche la perdita delle idee e l’impoverimento del pensiero.
Si nota in effetti negli italiani una carenza lessicale pari al disinteresse per la grammatica, in un gioioso ritorno all’analfabetismo di massa. Attenzione: a dire che "l’ignoranza è forza" era il Grande Fratello... inteso come l’oppressore del romanzo 1984 di Orwell, non come il reality show in cui giovani eroi del pubblico tv si gloriavano di non aver mai letto un libro in vita loro, lasciando intendere che questa sia la vita più facile per il successo.


La Rubrica va in sorprendente controtendenza: è seguita da mezzo milione di persone, il che fa di Giada un caso unico al mondo di influencer culturale. Ma l’importante è non prendersi sul serio: nei video la protagonista recita in modo scherzoso e spesso Giorgio Rizzo (musicista etnico, sceneggiatore, regista e molto altro) le fa da spalla comica in dialoghi assurdi pieni di equivoci. Nella versione teatrale Giorgio accentua il suo ruolo di ignorante che finge di sapere (l’uomo dei nostri tempi, insomma), facendo ampio ricorso a un patrimonio umoristico che risale alla commedia dell’arte, per poi lanciarsi a sorpresa in un assolo di percussioni in cui illustra le origini della musica, forma di comunicazione universale (v. video in fondo all'articolo o a questo link).
Il gioco tra i due, che sul palco vanno alla ricerca della parola desueta perfetta per la prossima puntata della Rubrica, diverte il pubblico e strappa applausi a scena aperta. Da una parte, perché l’abile Giorgio, in veste anche di regista, mantiene un ritmo pari a quello di uno show musicale anche durante i dialoghi; dall’altra, perché Giada non esita a fare ciò che nessuna influencer oserebbe al posto suo: una pungente parodia di se stessa.
La manifestazione che ha ospitato lo spettacolo, il Premio Torre Crawford, ha dimostrato una volta di più che la cultura è anche divertimento e intrattenimento. In questo, coincidono gli intenti del concorso letterario, degli eventi a San Nicola Arcella e della rappresentazione delle Desuete che, inaugurata lo scorso giugno al Salerno Letteratura Festival, prosegue ora con successo il suo tour per l’Italia. Alla perenne ricerca della parola desueta di oggi.