"Il problema dell'intellettuale in fuga", diceva un personaggio del film Mon oncle d'Amérique, è decidere quali libri portare in salvo dalla propria biblioteca: "Balzac o Stendahl? Lenin o Trotzkij? Il novantacinque per cento finisce per non muoversi di casa perché non ha saputo scegliere."
Perché avere tanti libri, fino ad arrivare all'impossibilità di leggerli tutti?
Perché chi scrive, per cominciare, deve avere letto molto. E deve continuare a leggere. Se tratta argomenti storici o di attualità, deve anche documentarsi sui retroscena relativi, il che comporta non solo consultare Internet - stando bene attenti all'attendibilità delle fonti e cercando di trovarne più di una sullo stesso argomento - ma anche e soprattutto testi cartacei attendibili.
Ma chi si specializza nella narrativa popolare ha il dovere di tenere viva la propria mente, stimolandola con libri, fumetti, film e serie tv, confrontando le proprie idee con quelle di altri autori. Non bisogna trascurare nulla, neanche ciò che un intellettuale può considerare un sottoprodotto. Come diceva Robert Redford ne I tre giorni del Condor a proposito dei fumetti, "ho imparato lì molto più che nei libri".
E non ci si deve occupare solo delle ultime novità di cui parlano tutti. Bisogna tenere conto di un immenso patrimonio vintage che il pubblico attuale ignora o non ricorda o non ha più occasione di scoprire. (Per fare un esempio, ho appreso moltissimo su come strutturare una trama thriller dai telefilm di Mission: Impossible degli anni Sessanta-Settanta.)
Molto spesso ciò che il pubblico ritiene una grande novità non è che una rielaborazione, una sovrapposizione, un aggiornamento o - in molti casi - un'imitazione di testi preesistenti. Solo che il pubblico ha sempre meno memoria storica o, semplicemente, maggiori difficoltà a scoprire o accedere a quanto pubblicato in passato. Di recente ho menzionato Donald E. Westlake alias Richard Stark a un lettore attento e competente, che tuttavia non lo conosceva... per quanto sia stato un autore di riferimento per scrittori come Jeffery Deaver o Stephen King.
Tutto ciò comporta un effetto collaterale: avere la casa piena di libri, fumetti, dvd e persino videocassette. Una quantità che nel mio caso posso definire con precisione: seicento scatoloni di materiale accumulato dalla mia famiglia nell'arco di tre generazioni... e il mio contributo alla sua espansione è stato pari, se non superiore, a quello delle due generazioni precedenti, oltre a quello che ho scritto io stesso.
Seicento: questo è il numero di scatoloni necessari per imballare tutto quanto (lavoro che mi ha richiesto alcuni mesi tra il 2017 e il 2018) perché fosse caricato su tre camion dei traslochi. Il personale disse che avevo superato il record stabilito dal Signor No dei quiz di Mike Bongiorno, che non credo arrivasse a trecento. Il peso dei libri era tale da far strisciare gli autocarri sull'asfalto.
Per fortuna i traslocatori hanno preparato solo l'ultimo centinaio di casse: in seguito ho scoperto che uno dei requisiti fondamentali per fare quel lavoro è odiare i libri: da come certi volumi sono stati ficcati negli scatoloni - contorti e ripiegati - alcuni non torneranno mai più alla forma originale. Forse un libro ha morso i traslocatori da bambini, lasciando in loro un trauma indelebile.
Secondo effetto collaterale: una volta trasferiti gli scatoloni nella nuova casa, diventava quasi impossibile muovercisi. I pochi mobili erano sepolti dalla casse e per ritrovarne alcuni è stata necessaria un'operazione di tipo speleologico. E, dato che dovevo anche continuare a lavorare, mi sono dedicato agli scavi solo in qualche intervallo tra un romanzo e una traduzione. A quattro anni dall'inizio delle procedure, non ho ancora finito di disseppellire volumi. Quando è necessario consultarne uno che non è ancora emerso, parto per una lunga ricerca, sperando di localizzare lo scatolone giusto.
Terzo effetto collaterale: il vecchio palazzo in cui vivevo si trovava tra gli scavi della metropolitana e il cantiere di un nuovo edificio, e sui libri si accumulava uno strato di polvere ancora superiore alla media milanese e ormai resistente a qualsiasi Folletto. Lo scorso weekend mi sono preso a forza un po' di tempo libero per aprire casse ancora sigillate del 2017. Posso dirvi che la polvere sollevatasi quattro anni fa dalle viscere della città si è conservata perfettamente, liberandosi nell'aria e provocandomi un immediato raffreddore allergico. O forse scatenando un virus considerato estinto nel primo secolo d.C. e riemerso dal ventre oscuro di Milano, per il quale non ho più gli anticorpi necessari.
In sostanza, preservare la cultura comporta sacrifici. L'italiano/a medio/a che non legge e si limita a guardare le partite o le serie tv sui canali a pagamento non corre certo questi rischi. E non ha nemmeno problemi di spazio. Giusto qualche giorno fa, a Roma, concordavo con un paio di lettrici di Stephen King sull'utilità di piazzare le librerie in mezzo a una stanza, in modo da renderle accessibili da entrambi i lati, raddoppiandone la capienza.
Nondimeno, avere a portata di mano un'infinità di stimoli intellettivi è fondamentale per l'essere umano ed essenziale per un narratore. Ancorché pulp.
Continua...
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.
(Immagine: foto di A. C. Cappi)
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