martes, 30 de noviembre de 2021

Vita da pulp - Ciao


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

Do molta importanza al mio pubblico, senza il quale non potrei esistere come scrittore. Sicché cerco sempre di rispondere ai messaggi che mi giungono da lettrici e lettori, riguardo a ciò che scrivo o a ciò che traduco.
Anche se, lo confesso, ho un problema quando su Messenger o Whatsapp me ne arriva uno con scritto solamente: "Ciao".
E basta.
Forse si presume che io risponda a mia volta "Ciao" e dia inizio a un'amabile conversazione, nel corso della quale mi verrà spiegato il senso del messaggio. Ma non è detto che - sempre che me ne accorga in tempo reale - possa rispondere subito. In quel momento sto di certo facendo qualcosa: scrivendo, mangiando,  prenotando la prossima dose di vaccino, dormendo, rispondendo a un messaggio urgente di posta elettronica da cui dipende un bonifico in arretrato da due anni, correndo per prendere al volo il bus 42 alla fermata di Niguarda Nord...
Un po' come per le telefonate: non è detto che si possa sempre rispondere subito. Ricordo una volta che mi suonava ossessivamente il cellulare nella tasca ma non potevo rispondere, perché stavo attraversando di corsa da un capo all'altro l'aeroporto di Madrid, portando a tracolla il contenitore cilindrico dell'urna con le ceneri di mia madre; ho richiamato solo dopo l'atterraggio a Malpensa.
Quando mi arriva un "Ciao", la mia politica è aspettare di avere altre informazioni. In particolare, che mi venga esposta la questione del momento, dimodoché io possa rispondere in modo coerente.
"Ciao, perché hai scritto la tal frase..."
"Ciao, dove appare il tal personaggio..."
"Ciao, si trova ancora il tal libro in commercio..."
Una volta, mentre ero in metropolitana, mi arrivò un messaggio che richiedeva una risposta immediata, perché il mittente era in una libreria e voleva sapere se un tal romanzo da me tradotto fosse bello o una boiata (Ho risposto che era una boiata, ma c'era un'ambientazione interessante per cui l'ha comprato lo stesso.)
Facile dare una risposta, quando si sa quale sia la domanda.
"Ciao" è un graditissimo segno di cortesia ma, se la comunicazione si limita a questo, non è un indizio sufficiente a capire quale sia l'argomento. Tuttavia il mittente del "Ciao", vedendo che non rispondo, si arrende in preda alla delusione e non svela l'essenza di ciò che desiderava sapere da me. Dopodiché il "Ciao" svanisce nella marea di messaggi successivi e viene dimenticato. Rimane il dubbio che il testo completo fosse: "Ciao, come si disinnesca un ordigno nucleare quando il timer segna meno trenta secondi?" e che ormai il mittente si sia dissolto in una nube di radionuclidi.
Un'altra categoria di messaggi criptici è quella in cui buona parte del testo rimane nella testa del mittente. Per quanto possa essere una persona di cui si conoscono gli interessi, a volte da una singola frase è difficile immaginare di cosa diavolo stia parlando. Se ti arriva di punto in bianco il messaggio "Meglio stendere un velo pietoso" ma, a meno di possedere doti telepatiche, non sai quale sia l'oggetto dell'osservazione, è arduo replicare in maniera sensata.
Il mio modesto consiglio: lo so che le chat sono un mezzo di comunicazione rapida, ma a volte le 5W (what, who, where, when, why) possono essere utili anche nelle comunicazioni interpersonali.
Ah, dimenticavo: "Ciao".

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

(Immagine: A. C. Cappi in una foto di Daniela Basilico)

lunes, 29 de noviembre de 2021

jueves, 25 de noviembre de 2021

Genitori e prole


Riflessioni di Andrea Carlo Cappi

Ricevo da un amico, coinvolto in prima persona sull'argomento, la segnalazione del convegno di cui riporto qui sopra il programma, previsto a partire dalle 9.30 di sabato 27 ottobre all'auditorium dell'Umanitaria di Milano (v. S. Barnaba 48). Il tema principale è la situazione dei minori all'interno del rapporto tra genitori separati.
Non sono un genitore. Come ho scritto altrove, credo nelle riproducibilità dell'opera d'arte, ma non mi ritengo tale, quindi non mi riproduco.
Ma ho anch'io, in un certo senso, una prole: quello che scrivo. Non è certo la stessa cosa, ma so che, quando metto al mondo un testo, voglio che sia trattato bene, non che cada nelle mani di un editore incompetente o truffaldino, come talvolta è capitato. Non voglio che qualcuno abusi della temporanea proprietà che può esercitare su ciò che ho dato alla luce. Non voglio che me lo portino via per farne il proprio giocattolo.
Nel caso dei genitori, ci sono di mezzo la vita, il futuro e l'equilibrio di esseri umani: figlie e figli, per cominciare, ma anche madri e padri. Che dovrebbero avere tutti pari diritti, da rispettare e tutelare senza distinzioni o discriminazioni, senza che sia dato spazio a prepotenze e sopraffazioni per mettere le altre persone coinvolte di fronte a un fatto compiuto e a volte irrimediabile.
So solo cosa provo io quando un editore - mi è successo, una decina di anni fa - mi commissiona libri che io scrivo con cura, dedizione e partecipazione (altrimenti non avrei accettato di scriverli) per poi vedere loro e me ingiustamente sfruttati e maltrattati. E questo solo perché le spese legali per far valere i miei diritti come "genitore" possono essere insostenibili e, addirittura, insufficienti a ottenere il risultato.
Da quella e altre esperienze so che la sopraffazione spesso ha la meglio.
Ma ciò diventa inaccettabile, quando ci sono di mezzo esseri umani.

viernes, 5 de noviembre de 2021

Vita da pulp - Seicento casse

 


Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi 

"Il problema dell'intellettuale in fuga", diceva un personaggio del film Mon oncle d'Amérique, è decidere quali libri portare in salvo dalla propria biblioteca: "Balzac o Stendahl? Lenin o Trotzkij? Il novantacinque per cento finisce per non muoversi di casa perché non ha saputo scegliere."
Perché avere tanti libri, fino ad arrivare all'impossibilità di leggerli tutti?
Perché chi scrive, per cominciare, deve avere letto molto. E deve continuare a leggere. Se tratta argomenti storici o di attualità, deve anche documentarsi sui retroscena relativi, il che comporta non solo consultare Internet - stando bene attenti all'attendibilità delle fonti e cercando di trovarne più di una sullo stesso argomento - ma anche e soprattutto testi cartacei attendibili.
Ma chi si specializza nella narrativa popolare ha il dovere di tenere viva la propria mente, stimolandola con libri, fumetti, film e serie tv, confrontando le proprie idee con quelle di altri autori. Non bisogna trascurare nulla, neanche ciò che un intellettuale può considerare un sottoprodotto. Come diceva Robert Redford ne I tre giorni del Condor a proposito dei fumetti, "ho imparato lì molto più che nei libri".
E non ci si deve occupare solo delle ultime novità di cui parlano tutti. Bisogna tenere conto di un immenso patrimonio vintage che il pubblico attuale ignora o non ricorda o non ha più occasione di scoprire. (Per fare un esempio, ho appreso moltissimo su come strutturare una trama thriller dai telefilm di Mission: Impossible degli anni Sessanta-Settanta.)
Molto spesso ciò che il pubblico ritiene una grande novità non è che una rielaborazione, una sovrapposizione, un aggiornamento o - in molti casi - un'imitazione di testi preesistenti. Solo che il pubblico ha sempre meno memoria storica o, semplicemente, maggiori difficoltà a scoprire o accedere a quanto pubblicato in passato. Di recente ho menzionato Donald E. Westlake alias Richard Stark a un lettore attento e competente, che tuttavia non lo conosceva... per quanto sia stato un autore di riferimento per scrittori come Jeffery Deaver o Stephen King.

Tutto ciò comporta un effetto collaterale: avere la casa piena di libri, fumetti, dvd e persino videocassette. Una quantità che nel mio caso posso definire con precisione: seicento scatoloni di materiale accumulato dalla mia famiglia nell'arco di tre generazioni... e il mio contributo alla sua espansione è stato pari, se non superiore, a quello delle due generazioni precedenti, oltre a quello che ho scritto io stesso.
Seicento: questo è il numero di scatoloni necessari per imballare tutto quanto (lavoro che mi ha richiesto alcuni mesi tra il 2017 e il 2018) perché fosse caricato su tre camion dei traslochi. Il personale disse che avevo superato il record stabilito dal Signor No dei quiz di Mike Bongiorno, che non credo arrivasse a trecento. Il peso dei libri era tale da far strisciare gli autocarri sull'asfalto.
Per fortuna i traslocatori hanno preparato solo l'ultimo centinaio di casse: in seguito ho scoperto che uno dei requisiti fondamentali per fare quel lavoro è odiare i libri: da come certi volumi sono stati ficcati negli scatoloni - contorti e ripiegati - alcuni non torneranno mai più alla forma originale. Forse un libro ha morso i traslocatori da bambini, lasciando in loro un trauma indelebile.
Secondo effetto collaterale: una volta trasferiti gli scatoloni nella nuova casa, diventava quasi impossibile muovercisi. I pochi mobili erano sepolti dalla casse e per ritrovarne alcuni è stata necessaria un'operazione di tipo speleologico. E, dato che dovevo anche continuare a lavorare, mi sono dedicato agli scavi solo in qualche intervallo tra un romanzo e una traduzione. A quattro anni dall'inizio delle procedure, non ho ancora finito di disseppellire volumi. Quando è necessario consultarne uno che non è ancora emerso, parto per una lunga ricerca, sperando di localizzare lo scatolone giusto.
Terzo effetto collaterale: il vecchio palazzo in cui vivevo si trovava tra gli scavi della metropolitana e il cantiere di un nuovo edificio, e sui libri si accumulava uno strato di polvere ancora superiore alla media milanese e ormai resistente a qualsiasi Folletto. Lo scorso weekend mi sono preso a forza un po' di tempo libero per aprire casse ancora sigillate del 2017. Posso dirvi che la polvere sollevatasi quattro anni fa dalle viscere della città si è conservata perfettamente, liberandosi nell'aria e provocandomi un immediato raffreddore allergico. O forse scatenando un virus considerato estinto nel primo secolo d.C. e riemerso dal ventre oscuro di Milano, per il quale non ho più gli anticorpi necessari.
In sostanza, preservare la cultura comporta sacrifici. L'italiano/a medio/a che non legge e si limita a guardare le partite o le serie tv sui canali a pagamento non corre certo questi rischi. E non ha nemmeno problemi di spazio. Giusto qualche giorno fa, a Roma, concordavo con un paio di lettrici di Stephen King sull'utilità di piazzare le librerie in mezzo a una stanza, in modo da renderle accessibili da entrambi i lati, raddoppiandone la capienza.
Nondimeno, avere a portata di mano un'infinità di stimoli intellettivi è fondamentale per l'essere umano ed essenziale per un narratore. Ancorché pulp.

Continua...



Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.

(Immagine: foto di A. C. Cappi)