viernes, 7 de septiembre de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 13

V. va de Velde Nave in alto mare, circa 1680

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

13-ANSIA 



L’ultimo tra i vari disturbi trattati in questa sede è rappresentato dal disturbo d’ansia generalizzato. A differenza della normale preoccupazione che ogni individuo può manifestare nel corso della propria vita, a seguito di eventi o situazioni, è fonte di stress significativo che interferisce con le attività lavorative e sociali di un individuo, determinando una profonda alterazione nello stile di vita quotidiano. Questa fenomenologia patologica può colpire anche il soggetto anziano. 

Ma vediamo, per meglio comprendere e intervenire in modo efficace da un punto di vista terapeutico, come l’ansia possa agire su di una persona. È subdola, invadente, sino a impossessarsi della vita della persona stessa. L’ansia pervade a tal punto l'esistenza dell’individuo sino alla massima concentrazione su fatti o eventi che rappresenterebbero i “bersagli dell’ansia”. 

L’oppressione è sempre presente, in crescita, sino a determinare lo scadimento della qualità della vita. Il soggetto risulta essere “in balia della quota d’ansia incombente”, costantemente in apprensione per il suo futuro, il suo stato di vita, la situazione finanziaria, rla possibilità che ai suoi familiari possa accadere qualcosa di spiacevole e nefasto. L’ansia preclude la possibilità di una vita serena. 
Può manifestarsi con tachipnea, tachicardia, irrigidimento del tono muscolare, sino a sfociare persino in un vero e proprio attacco di panico o altre fenomenologie psicosomatiche in grado di alterare ulteriormente lo stato di benessere fisico della persona. Riguardo al GAD (Generalized Anxiety Disorder o Disturbo d’ansia generalizzato) continuano a esserci pareri contrastanti a tal punto da farla apparire come un’entità patologica controversa. Secondo Goisman et al., 1999, quasi il 90% dei pazienti affetti da GAD ha avuto nel corso della propria vita almeno un altro disturbo d’ansia. 
Il GAD sarebbe, tra tutti i disturbi d’ansia quello associato con la più alta percentuale di comorbilità. Da un punto di vista terapeutico-farmacologico gli ansiolitici possono ridurre o eliminare lo stato d’ansia, ma possono alla fine rivelarsi una soluzione senza alcuna via di uscita. Il problema starebbe nel fatto che il farmaco sarebbe efficace sin quando assunto. La frequenza delle ricadute dopo che i pazienti sospendono l’assunzione delle benzodiazepine, per esempio, può essere stimata tra il 63-81% (Rickels et al., 1980, 1986). Le misure farmaco terapeutiche non affrontano i fattori che generano l’ansia. Per il disturbo d’ansia generalizzato i farmaci possono talvolta essere un fondamentale coadiuvante a breve termine degli interventi psicoterapeutici. I farmaci non devono essere presentati come la “risoluzione del problema”. Non lo sono! 
Sarebbe opportuno che i soggetti affetti da GAD imparassero a tollerare l’ansia come un segnale significativo nel corso della psicoterapia. Coloro i quali possiedono una forza dell’Ego sufficientemente valida giungono a considerarla come una finestra aperta sull’inconscio. Il trattamento deve iniziare con una valutazione psicodinamica approfondita, nella quale l’ansia venga considerata come una sorta di “punta dell’iceberg”. È necessario capire la paura del paziente e il ruolo dell’ansia in relazione alla struttura psichica del soggetto in trattamento. 

Soprattutto, nel trattamento risulta essere importante la tolleranza. È doveroso che il terapeuta sia tollerante nei confronti della persona affetta da ansia, specie quando focalizza la propria attenzione su sintomi somatici e altre preoccupazioni che parrebbero essere alquanto superficiali. Non lo sono per il paziente.
Dobbiamo sempre tener presente che ciò che per noi non è significativo o importante, per altri lo è! A riguardo possiamo aggiungere che il fatto di parlare e di rivolgere l’attenzione su “preoccupazioni superficiali” distrae il paziente da problematiche ben più profonde e disturbanti. 

Questo caratteristico schema difensivo di evitamento può essere legato a un attaccamento conflittuale insicuro dell’infanzia, così come a traumi precoci (Crits-Christoph et al., 1995). Come agire allora? Dopo essere entrati in sintonia con l’altra persona, ascoltandolo empaticamente riguardo le sue preoccupazioni o paure, il terapeuta può – allora e solo allora - cominciare a porre domande su relazioni familiari, eventuali difficoltà interpersonali e situazione lavorativa del paziente. Possiamo passare a questa fase in quanto la persona si fida di noi.La sua fiducia non deve essere mai tradita. I suoi problemi non devono essere mai sottovalutati o peggio “derisi”. La comunicazione perderebbe ogni efficacia e si peggiorerebbe il malessere del paziente. 

Mitigare lo stato di ansia deve essere l'obiettivo terapeutico. Sarebbe buona cosa utilizzare le fobie, di solito non reali, del soggetto in correlazione a una comunicazione “aperta”, dove il soggetto sia ricondotto, tramite sue scelte di pensiero convincenti e vincenti, sui “binari del razionale”. Ovvero l’ascolto attivo, l’utilizzo delle sue paure e la loro analisi, lasciando sempre all’individuo la scelta se le ritenga ancora fondate o infondate, per creare dal dubbio la certezza e la conseguente serenità. 

Il suo “star bene” non potrà essere immediato né duraturo. È necessario continuare e perseverare nel tempo con pazienza e calma. Molto importante è, nel parlare, evitare le frasi chiuse. Sarebbe opportuno che a ogni singola affermazione si chiedesse, appunto, il parere all’altra persona con interlocuzioni del tipo: “Mi sembra… Mi pare… Cosa ne pensa lei?” È possibile, tramite l’ascolto, sostenere la persona nelle traversie delle varie situazioni che sono motivo di ansia, così che le modalità di conflitto nelle relazioni comincino a emergere. 

È importante sottolineare che il soggetto non deve essere “forzato” nell’eloquio. L’atto del parlare, dialogando con il terapeuta, deve essere vissuto da parte dell’individuo affetto da GAD come evento liberatorio, dalla forte connotazione strettamente confidenziale e terapeutica. Quindi l’eloquio deve essere sempre spontaneo e vissuto come libera scelta. Se ne deduce inoltre l'importanza da un punto di vista clinico del capire quando poter intervenire nel modo più adeguato e consono possibile per poter essere più efficaci. 

Mentre le fonti dell’ansia vengono associate a conflitti ricorrenti, il paziente capisce che questa può essere controllata tramite la comprensione delle aspettative inconsce di fallimento nelle relazioni sociali e nel lavoro. Un esito positivo può anche essere rappresentato dalla capacità di “usare” l’ansia come segnale di un conflitto ricorrente che porti all’introspezione e a un’ulteriore discernimento tramite una metodica che fu tanto cara a Socrate: la maieutica. 


Bibliografia: 

-Valerio Monesi Istologia, Edizioni Piccin-Vallardi 
-Glen O. Gabbard Psichiatria psicodinamica, Raffaello Cortina Editore 
-Manglaviti-Marcenaro Deficit cognitivi nei pazienti psichiatrici 
-Giuseppe Guaiana: Riconoscimento dei principali sintomi e sottotipi di depressione, Roberto Cavallaro-Dipartimento di Neuroscienze Cliniche IRCCS Universitario Ospedale San Raffaele di Milano 
-Lodovico Bergamini Manuale di Neurologia Clinica, Edizioni Libreria Cortina di Torino

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