8-TECNICHE DI RIABILITAZIONE
L'impostazione del trattamento terapeutico è di competenza medica, come l'assistenza risulta essere competenza infermieristica. Ciononostante l'infermiere è tenuto a conoscere i farmaci ed i loro effetti, per poter agire secondo scienza e conoscenza,in sinergia con la figura del medico. È altresì attento e premuroso, discreto,nell'osservazione degli effetti che i medicamenti inducono sul pazienzte, segnalando miglioramenti o involuzioni della patologia da cui il soggetto è affetto.
Esistono diversi programmi di tipo neurocognitivo, cognitivo-comportamentale, individuali e di gruppo, volti al recupero delle abilità quotidiane e del deficit socio-comportamentale. Tutto ciò per permettere all’individuo l’eventuale reinserimento in ambito lavorativo tramite categorie protette oppure in ambiente naturale.
Riguardo la schizofrenia, vi sono numerosi studi e svariate considerazioni. Un passo significativo risulterebbe essere l’affermazione che “mentre Sullivan e collaboratori stavano sviluppando le loro teorie interpersonali, i primi psicologi dell’Ego osservarono come un difettoso confine dell’Ego sia uno dei deficit principali nei pazienti schizofrenici. Federn (1952) dissentiva dall’affermazione di Freud secondo cui nella schizofrenia vi è un ritiro dell’investimento oggettuale. Al contrario, Federn sottolineò il ritiro dell’investimento energetico rispetto ai confini dell’Ego. Egli notò che i pazienti schizofrenici sono caratteristicamente privi di barriera tra quello che è dentro e quello che è fuori, perché il confine del loro Ego non è psicologicamente investito (come invece risulta essere nei pazienti nevrotici)”. Molte di queste prime formulazioni psicoanalitiche crearono profonde difficoltà tra i clinici che trattavano pazienti schizofrenici e le loro famiglie. Termini come “madre schizofrenogenica” generarono un’atmosfera di vergogna tra le madri dei pazienti, che si sentivano la causa della schizofrenia dei loro figli. Negli ultimi decenni sono emerse formulazioni psicodinamiche della schizofrenia più sofisticate. (Arlow, Brenner, 1969; Blatt, Wild, 1976; Grand, 1982; Grotstein, 1977; Mahler, 1952; Ogden, 1980, 1982).
La maggior parte di queste teorie è basata su ricostruzioni a partire dal lavoro fatto con pazienti adulti. In altre parole, i clinici hanno studiato i processi mentali nel setting psicoterapeutico e hanno poi estrapolato a ritroso le tematiche evolutive infantili. Sfortunatamente, molte delle formulazioni psicoanalitiche non integrano i dati della ricerca biologica nelle loro teorie eziologiche.
Diverse configurazioni psicologiche riflettono l’interfaccia tra il neurone biologico e lo psicologico, hanno un’avversione per le relazioni oggettuali che rende difficile il legame. L’ipersensibilità agli stimoli e la difficoltà di concentrazione e di attenzione sono tratti comuni della personalità preschizofrenica. Recenti ricerche hanno suggerito che diffuse perdite, a livello di determinate aree, del normale filtro sensoriale nel sistema nervoso centrale possono essere caratteristiche della schizofrenia (Freedman et al.,1996; Judd et al., 1992), cosicché i pazienti trovano difficile schermare gli stimoli irrilevanti e avvertono una sensazione cronica di sovraccarico del sensorio.
Robbins (1992) ha anche suggerito una correlazione tra gli stati emozionali dell’oblio e i riscontri di atrofia corticale e di diminuita attività nei lobi frontali dei pazienti schizofrenici. Questo insieme di caratteristiche, nel loro complesso, finisce per condurre a forme patologiche di simbiosi con figure genitoriali nel caso dei bambini.
Il disturbo cognitivo della schizofrenia è molto importante durante il periodo dell’invecchiamento. Vi sono diverse teorie a riguardo da parte degli studiosi. Come affermano Friedmann, Harvey et al. (1999), l’etereogeneità del decorso del disturbo schizofrenico appare ancor più marcata nell’invecchiamento. In alcuni casi i deficit cognitivi e funzionali comunemente riscontrati nei pazienti schizofrenici più giovani peggiorerebbero con l’incremento dell’età, da cui è derivata l’ipotesi del progressivo sviluppo di un processo simildemenziale; in altri casi, invece, tenderebbero a rimanere più stabili. Secondo alcuni autori (Zorilla, 2000; Rund. 1998; Harvey, 1996; Heaton, 1994; Hyde, 1994) nei soggetti schizofrenici anziani i deficit cognitivi rimarrebbero per lo più stabili, essendo stata dimostrata una progressione nel tempo non particolarmente intensa, pur in presenza di alterazioni cognitive sicuramente più marcate rispetto ai punteggi degli stessi soggetti nel corso dei primi episodi di malattia o di altri soggetti schizofrenici più giovani.
Studi condotti su pazienti ospedalizzati, già portatori di un marcato deterioramento delle funzioni mentali superiori evidenziabile dal punto di vista clinico, hanno mostrato in tali pazienti un numero relativamente basso di anomalie neuropatologiche degenerative; per questo motivo è stata esclusa nel campione dei soggetti esaminati l’esistenza di un processo di neurodegenerazione come caratteristico della malattia schizofrenica.
Questi risultati confermerebbero l’ipotesi per cui è sottesa al corso della malattia una condizione di “encefalopatia statica”, in rapporto al deficit cognitivo iniziale, piuttosto che quella di un processo simildemenziale. Harvey, del resto, in base ai risultati di un suo studio del 1996, ipotizza l’esistenza di una netta differenza nei meccanismi neurobiologici responsabili dei deficit cognitivi nella schizofrenia e nella demenza. In tale studio ha confrontato i deficit cognitivi in tre gruppi di pazienti, schizofrenici anziani istituzionalizzati, anziani con AD (Alzheimer Disease) e anziani di controllo. Sono emersi livelli prestazionali deficitari in entrambi i gruppi patologici con differenze significative fra di loro. Infatti il gruppo degli schizofrenici mostrava una maggior compromissione nella prassia costruttiva e al naming test presentava una lieve miglior prestazione al richiamo a breve termine.
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