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Westlake e Cappi alla Fiera del Libro di Torino, 2004 |
Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi
L'ultima volta ho esposto il metodo di Jeffery Deaver, che prevede un lavoro continuativo al proprio romanzo. L'unico aspetto cui non aderisco della tecnica di Jeff è la prestrutturazione, nel senso di elaborare in anticipo uno schema della trama a cui poi doversi attenere fedelmente. A me non piace sapere già da prima quali saranno e quando arriveranno i colpi di scena e le rivelazioni. Preferisco che ciò che dovrà essere una sorpresa per il lettore lo sia innanzitutto per me come autore. Insomma, amo scrivere la storia scoprendola un po' alla volta, esattamente come farà il mio pubblico: è questo che mi fa percepire il lavoro della scrittura un po' meno "lavoro" e più "intrattenimento".
Per tale ragione fui ben lieto di scoprire che la pensava allo stesso modo uno dei miei autori di riferimento fin dall'adolescenza, del quale negli anni Duemila ho avuto la fortuna di diventare non solo traduttore ma anche editore e amico.
Donald E. Westlake (1933-2008), ho notato di recente, non è più molto ricordato. Qualcuno lo associa ancora ai suoi brillanti gialli umoristici (il più celebre fu Gli ineffabili cinque, portato al cinema con protagonista Robert Redford sotto il titolo La pietra che scotta), anche se la produzione con il suo nome non si limita a questo e comprende anche narrativa prossima al mainstream. Scrisse molto sotto vari pseudonimi, uno dei quali, Richard Stark, divenne famoso quanto il nome vero. Va detto che il sottogenere dominante nelle sue opere - con o senza umorismo - è il caper, ossia la storia criminale imperniata su preparazione, realizzazione e postumi di un "colpo", quello che ritengo uno dei filoni più raffinati e difficili da scrivere... e per questo poco frequentati da chi cerca di scrivere thriller e noir: è dannatamente difficile! (Dite la verità: si fa molto prima a scopiazzare commissari paciosi e serial killer stereotipati, vero?)
Per citare solo alcuni aspetti della sua straordinaria carriera, Westlake è stato candidato all'Oscar per la sua sceneggiatura di Rischiose abitudini, da un romanzo di Jim Thompson; gli fu commissionato un soggetto per un film di James Bond che non venne realizzato e che lui trasformò in un romanzo senza 007; tra le sue opere non seriali più recenti figurano la black comedy Two Much, che divenne un film di Fernando Trueba con Antonio Banderas e Melanie Griffith, e il pungente noir di satira socialeThe Ax-Cacciatore di teste, portato sullo schermo da Costa-Gavras; Donald girò un cameo in quel film passando sul set a Parigi il giorno prima che a Torino fosse scattata la nostra foto insieme.
Nondimeno, il suo personaggio più celebre, sotto la firma Westlake, è John Dortmunder, portato sullo schermo negli anni, oltre che da Robert Redford, da George C. Scott e Christophe Lambert. Ma Dortmunder è in realtà la versione comedy del suo protagonista più importante, i cui libri furono pubblicati sotto lo pseudonimo Richard Stark: il criminale professionista Parker, apparso per la prima volta sessant'anni fa nel romanzo Anonima carogne - divenuto al cinema Senza un attimo di tregua (con Lee Marvin) e Payback (con Mel Gibson) - poi protagonista di un lungo ciclo noir che avrebbe ispirato anche parecchi altri film, l'ultimo dei quali intitolato proprio Parker (con Jason Statham).
Il dualismo Westlake-Stark ispirò Stephen King per La metà oscura (e gli suggerì il "Richard" del suo pseudonimo Richard Bachman). Mario Gomboli, direttore e sceneggiatore di Diabolik, lo considera uno dei suoi autori di culto e ha notato i numerosi punti di contatto tra Parker e il personaggio delle sorelle Giussani, nati rispettivamente nel 1961 e nel 1962, entrambi così rivoluzionari all'epoca da essere ancora straordinariamente efficaci oggi. Per almeno un paio di generazioni di scrittori di genere, Donald è stato un punto di riferimento tanto per i suoi personaggi quanto per la costruzione delle sue storie.
La caratteristica di Westlake-Stark è di comporre trame ad alta precisione, che nulla hanno da invidiare a quelle di Jeffery Deaver, anche se in genere si svolgono nell'arco di 200-250 pagine, il formato standard dei pocket book degli anni Sessanta che Donald ha mantenuto in quasi tutta la sua produzione.
Si potrebbe pensare che Donald, come Jeff, preparasse uno schema dettagliato di ogni storia, prima di cominciare a scriverla. Non è affatto così. La tecnica Westlake-Stark era basata in gran parte sull'improvvisazione. Le vicende dei suoi personaggi si complicavano pagina dopo pagina, costringendoli a trovare di volta in volta vie d'uscita sul momento. Allo stesso modo lo scrittore doveva escogitare un modo geniale per risolvere la situazione. Tanto lui quanto loro ci riuscivano sempre. E alla fine della storia tutto tornava alla perfezione, con un meccanismo perfetto.
Donald lavorava in sostanza come un autore pulp, ma senza l'approssimazione che talvolta si nota anche nelle migliori firme del genere (pensiamo al celebre mistero dell'autista degli Sternwood ne Il grande sonno di Raymond Chandler: nemmeno l'autore sapeva chi avesse ucciso quel personaggio.)
So di altri che preferiscono non sapere tutto della storia che si accingono a scrivere. Douglas Preston (autore in proprio e in coppia con Lincoln Child) conosce il punto di partenza e quello d'arrivo delle sue storie, ma definisce tutto ciò che sta in mezzo una terra incognita, che scoprirà solo durante il tragitto.
Andrea G. Pinketts - di cui amo sempre parlare al presente - usa una metafora analoga in versione padana: "Guido nella nebbia"; ovvero, anche lui sa dove vuole arrivare, ma nel corso della vicenda ci saranno soste, deviazioni e strade sbagliate del tutto impreviste. A mia volta, anch'io amo perdermi nelle nebbie della terra incognita.
Nel 2001, quando convinsi la casa editrice Sonzogno a celebrare l'anno dopo il ventennale di Martin Mystère con un romanzo dello stesso formato dei bestseller americani che l'editore pubblicava abitualmente, dovetti presentare uno schema preciso della trama. Ma non volevo togliermi tutte le sorprese prima di scrivere il libro ed evitai di specificare certi dettagli. A un certo punto della storia, per esempio, Martin si trova in una classica situazione pulp, intrappolato in una grotta che sta per essere invasa dalla lava di un vulcano: nella scaletta scrissi: "A questo punto l'autore e il protagonista troveranno un modo brillante per cavarsela". (Per la cronaca, quando arrivai a quel capitolo, ne scrissi due versioni diverse, ma tenni solo quella che trovai più efficace e appassionante).
Quanto al finale... avendolo dovuto decidere in anticipo, non mi dava la solita emozione, perché per me non era affatto una sorpresa. Quindi, anziché chiudere la storia nel punto indicato nel layout... con un altro classico espediente pulp feci sequestrare a sorpresa il protagonista, prolungando il romanzo di un altro lungo episodio che mi permetteva di chiudere in modo spettacolare tutti gli aspetti della trama rimasti in sospeso.
Il romanzo - apparentemente prestrutturato, ma scritto in realtà "alla Westlake" - ebbe un ottimo lancio e recensioni lusighiere, e fu accompagnato da un tour promozionale (erano decisamente altri tempi) in cui ero in coppia con Douglas Preston: lui presentava il mio libro, io presentavo un romanzo di Preston & Child che avevo tradotto per lo stesso editore. Mi guadagnai quasi subito una seconda edizione rilegata, un'altra tascabile l'anno successivo che vidi esposta alla Fnac con l'etichetta "Colpo di fulmine del libraio", e anni dopo la riproposta in una sorta di omnibus, anche se oggi purtroppo il romanzo non è più in commercio.
Questo dimostra però che la Tecnica Westlake-Stark funziona, decisamente funziona, anche se le circostanze che trasformano un romanzo in un bestseller erano difficilmente riproducibili allora e oggi lo sono ancora di più. Nel frattempo però avevo attivato una modalità molto efficace di autocritica alla quale mi affido tuttora, nella speranza di non deludere mai il mio pubblico. E di questo aspetto parleremo prossimamente. Ma non prima di avere affrontato l'importante questione della Regola Cussler.
Continua...
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de
Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.