Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi
La volta scorsa ho ripreso l'argomento dell'editing, uno dei cui obiettivi dovrebbe essere correggere eventuali sviste di chi ha scritto un racconto o un romanzo. Sviste che possono capitare, se chi scrive è alle prime armi e deve gestire troppi dati tutti in una volta; ma anche se si tratta di un/una professionista che sta lavorando a più testi contemporaneamente o a uno solo troppo in fretta.
Come mi ricorda un lettore attento, una delle sviste più tipiche è un personaggio che cambia nome nel corso del romanzo, perché l'autore X si è dimenticato come si chiamava, o ha deciso di cambiare il nome... ma non lo ha corretto in tutte le pagine (nelle macchine da scrivere non esisteva la funzione "trova e sostituisci"!) Una variante curiosa che mi è capitata sotto gli occhi di recente: un personaggio russo il cui patronimico risulta essere "Ivanovich" ma poche righe dopo si dice che suo padre si chiama Igor... quindi il patronimico dovrebbe essere "Igorevich", altrimenti che patronimico è?
In questi casi, più che un editing, servirebbe una semplice revisione accurata, a volte basta solo una correzione decente di bozze. Il problema è che questo non sempre avviene. Per distrazione (nessuno fa caso al cambio di nome del personaggio), ignoranza (nessuno sa cos'è un patronimico), oppure carico di lavoro intollerabile, per cui tutte le persone coinvolte nel processo editoriale stanno lavorando da giorni quasi senza dormire per aumentare la produttività.
Fatto sta che anche in libri pubblicati da importanti case editrici di tutto il mondo passano inosservate sviste grosse come case. Che diventano particolarmente imbarazzanti se ricadono sugli aspetti "gialli" di una vicenda destinata a un pubblico specializzato. Per esempio, il protagonista menziona qualcosa che ancora non può conoscere... e no, non è un indizio: è solo che l'autore lo ha fatto dire al personaggio al momento sbagliato, senza che l'editor se ne accorgesse perché non ha letto con attenzione.
Ricordo un romanzo per cui l'autore si era documentato a lungo per imparare una terminologia specifica, rivolgendosi a uno dei massimi esperti mondiali del settore in modo da descrivere ogni dettaglio in modo corretto e comprensibile. L'editor di turno, in preda a una furia isterica, si dedicò a togliere dal romanzo tutti i termini tecnici, sostituendoli con altri più imprecisi; ma non si accorse, in un altro capitolo, dell'incompatibilità negli orari di una certa azione che la rendevano impossibile. In accordo con l'autore, nella traduzione italiana ho rimesso a posto le cose, sia per la terminologia (per puro caso un po' m'intendo dell'argomento), sia per l'incoerenza. A volte basta solo modificare una parola per far tornare i conti, o quasi.
Ma non è l'unica volta che, in fase di traduzione mi sono trovato a rimettere in sesto un libro. Come nel romanzone storico in cui un perfido nobiluomo si libera della servetta incinta murandola viva in cantina; ma anni dopo qualcuno ci entra e trova i resti umani in un angolo. No, nessuno ha abbattuto il muro, è solo che dopo qualche centinaio di pagine l'autore si è scordato della sua esistenza e l'editor non se n'è accorto.
Ma ci sono due aspetti che diventano problematici in caso di editing raffazzonato o assente. E purtroppo mi capita di vederli sempre più spesso. Uno è quello del punto di vista del narratore, il cui uso scorretto o approssimativo a volte può persino rendere incomprensibile la lettura. L'altro è quello della consecutio temporum che, come dicevo qualche tempo fa, viene ormai bellamente ignorata.
Eh, sì. non è poi così facile scrivere.
In ogni caso valga questo duplice consiglio che ripeto spesso, dando per scontata una conoscenza sufficiente della grammatica: primo, rileggere ciò che si è scritto, possibilmente a distanza di tempo, in modo da prendere le distanze e aumentare le possibilità di notare sviste e omissioni; secondo, rileggere sempre le bozze, tanto per evitare le vostre sviste, quanto per correggere quelle di una eventuale revisione disattenta.
Continua...
(immagine: A. C. Cappi in una foto di Stefano Di Marino)
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford. Su Radio Number One tiene la rubrica "La Boutique del Mistero" la domenica pomeriggio alle 16.20.
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