Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi Con questo articolo chiudo il lungo discorso delle ultime settimane, vale a dire
Come si è visto, a volte si comincia a scrivere un racconto o un romanzo e ci si ritrova con personaggi o universi che rimarranno con noi a lungo e che, se abbiamo molta fortuna, anche il pubblico vorrà vedere e rivedere. Tuttavia, nel momento in cui si inizia un ciclo di storie, non sempre si può prevedere quanto durerà, né quanti episodi se ne potranno scrivere, né che direzioni prenderà la saga. Dato che ho una lunga esperienza in materia, posso fare qualche esempio in prima persona, per poi trarne conclusioni generali.
Nella primavera del 2001 proposi a Segretissimo Mondadori, in quegli anni diretto da Sandrone Dazieri, il progetto del ciclo di Nightshade, che avrebbe avuto pubblicamente inizio con Missione Cuba, uscito nel marzo 2002. Ma, un anno prima, non sapevo nemmeno se sarebbe stato approvato: oltre al format presentai i primi capitoli del romanzo iniziale, che in caso di rifiuto, per non sprecarli, avrei pubblicato come lungo racconto autoconclusivo su qualche speciale di M-Rivista del Mistero; se così fosse stato, forse la carriera di Nightshade sarebbe finita lì. In ogni caso, fin dal principio avevo in mente due punti precisi: la morte di uno dei personaggi principali, cui sarei arrivato qualche romanzo dopo in Babilonia Connection (2005) e il confronto finale tra Mercy Contreras e il suo avversario principale, il cui momento sarebbe giunto in Protocollo Hunt (2012). Intanto nella serie erano accadute varie cose inaspettate: l'avvento della rivale della protagonista, Sickrose, che avrebbe acquisito grande importanza; la morte di un altro dei comprimari di Nightshade (anche se qualcuno ha sperato che non fosse vero); e un team-up con l'eroe della serie thriller made in Italy di maggior successo, Il Professionista di Stephen Gunn, pubblicata nella stessa collana di Mondadori. Senonché, fino ai capitoli finali di Protocollo Hunt, nemmeno io ero certo che Mercy uscisse viva da quel romanzo: Alan D. Altieri, che aveva preso il posto di Dazieri alla testa di Segretissimo, era propenso a chiudere Nightshade e a proseguire invece con la mia serie Medina.
Dopo qualche anno, invece, si interruppe Medina (ma senza decesso del protagonista) e continuò Nightshade, anzi Agente Nightshade. Saggiamente, nel 2012 avevo risparmiato Mercy, il che mi ha permesso di proseguirne le avventure fino a oggi, dar vita allo spin-off Sickrose e intrecciare il tutto, oltre che con Medina, anche con Black (e persino con Dark Duet, dove nel 1947 appare per un istante il padre di Nightshade... da bambino). In poche parole, è impossibile pianificare ogni cosa, tantomeno prevedere che un personaggio seriale abbia un successo sufficiente a mantenerlo "attivo" dopo vent'anni e oltre.
D'altra parte è questo che fa chi scrive pulp (sempre inteso nel senso originario del termine, che contrassegna questa rubrica): adattarsi come plastilina alle circostanze, senza per questo diventare il Paperback Writer pennivendolo dell'omonima canzone dei Beatles.
Ma qui entra in gioco, una volta di più, il già nominato cliffhanger, lo strumento che dovrebbe indurre il pubblico a continuare a seguire un serial. Da qualche decennio a questa parte lo abbiamo visto impiegato in tv, non solo tra un episodio e l'altro ma tra una stagione e l'altra; così come nei film seriali o nei cicli dei cinecomics, dove di solito viene inserito durante o dopo i titoli di coda. Qualcuno ne associa l'efficacia all'Effetto Zeigárnik, così chiamato in onore della psicologa lituana Blumia Zeigárnik (1900-1988), secondo la quale un'azione interrotta resta più a lungo impressa nella memoria rispetto a un'azione compiuta. Quindi la situazione sospesa stimolerebbe il pubbico ad anelarne la chiusura.
L'espediente viene usato, in realtà, da molto tempo: dall'era del feuilleton, progenitore del vero pulp. È leggendario il caso di Rocambole, il personaggio di Pierre Alexis Ponson du Terrail (1829-1871) da cui deriva l'aggettivo "rocambolesco". Le sue avventure venivano pubblicate a puntate in appendice a quotidiani; quando un direttore cercò di disfarsi di Ponson per far proseguire il serial a un altro autore convenientemente sottopagato, gli risultò impossibile trovarne uno che sapesse risolvere una situazione "impossibile" rimasta aperta nell'ultima puntata; sicché accettò di rinnovare il contratto a Ponson... che pare abbia cominciato allegramente la puntata successiva senza degnarsi di dare spiegazioni su come Rocambole fosse riuscito a cavarsela: se l'era cavata e basta.
Insomma, il cliffhanger dovrebbe servire, anche, a evitare chiusure di serie, sostituzioni nel reparto creativo o deliranti scelte di marketing. Ma il marketing, quando diviene un'oscura divinità cui tributare sacrifici umani talvolta immotivati, è un nemico insormontabile. Quante volte abbiamo visto le case di produzione - diciamo pure, con un vago disprezzo del pubblico, oltre che di chi ci lavora - decidere che costava troppo girare un sequel o una stagione successiva, lasciando quindi per sempre irrisolta una situazione innescata nel finale precedente, che pure prometteva sviluppi appassionanti?
Mantenere le promesse è difficile di per sé. Ai tempi della serie tv di culto Il Prigioniero (1967) credo che sia uscito di scena l'unico autore che conosceva la soluzione dell'intera trama (George Markstein), lasciando chi restava (Patrick McGoohan) a improvvisare un finale sconclusionato che scatenò lettere di protesta da parte del pubblico.
C'è poi David Lynch, che ha elevato il metodo a livelli inediti di sadismo: dopo avere interrotto la storica serie Twin Peaks con un finale aperto, ne girò bellamente non un seguito ma un prequel cinematografico; solo dopo venticinque anni realizzò una nuova serie, in cui risolveva tutte le questioni in sospeso e dava finalmente un senso anche al prequel... per lasciarci di nuovo tutti di fronte a un nuovo magnifico, appassionante ma irrisolto cliffhanger.
Quando, come pubblico, vi trovate di fronte a una situazione del genere... pensate forse che chi scrive il serial sappia già come si risolverà tutto quanto? Beninteso, non posso parlare a nome di tutti, ma posso raccontare la mia esperienza. Spesso si ha un'idea generale su come tutto andrà a finire, ma come, in quanto tempo e in quanti episodi lo si scopre un po' alla volta.
Quando scrivo, per esempio, un serial narrativo con Martin Mystère (a una decina di pagine per ogni uscita) cerco di lavorare in modo continuativo e programmato: tutto dev'essere calibrato con attenzione, per mantenersi nello spazio disponibile su ciascun numero e nell'arco di tempo di pubblicazione prestabilito. Pertanto, quando innesco un cliffhanger nelle ultime righe di un episodio, so già come ripartire a quello successivo, che comincio subito a scrivere senza perderne il filo.
Le regole cambiano quando concludo un romanzo di cui presumo di scrivere il seguito di lì a un anno... e nel finale mi invento lì per lì una situazione a sorpresa. Non voglio destare solo la curiosità di chi mi legge, ma anche la mia, mettendomi di fronte a una sfida creativa che dovrò vincere contro me stesso e che renderà interessante la scrittura della trama successiva. Sono un autore di vero pulp: non dimenticate che per sorprendere chi mi legge devo essere io il primo a sorprendersi.
Così nel 2017, per un'ispirazione improvvisa, nell'ultima riga di Fattore Libia buttai lì il nome di un personaggio che avrebbe destato un brivido nel mio pubblico più affezionato. Di nuovo lui? Cos'avrebbe combinato stavolta? Nemmeno io lo sapevo, lo avrei scoperto al momento di scrivere Territorio Narcos... e in effetti il suo ritorno in scena fu perfetto per chiudere un ciclo e aprirne un altro. Perché la serie Agente Nightshade ha a che fare con un'altra continuity: quella della realtà del mondo in cui viviamo, di cui talvolta le storie di spionaggio sono un riflesso fedele. Ma di questo particolare argomento parleremo nel prossimo ciclo di articoli... (ovviamente, non potevo finire senza un po' di Effetto Zeigárnik).
Continua...
(immagine: A. C. Cappi)
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford e curatore della collana di ebook Spy Game (Delos)