A. C. Cappi al Bacardi (Bollate, MI) in una foto di Alberto Grifantini |
Riflessioni di un celebre scrittore ignoto di Andrea Carlo Cappi
Chi scrive narrativa di genere ha diversi problemi da risolvere. Il fatto che si occupi di un prodotto di intrattenimento, di "paraletteratura", di "lettura ferroviaria" - o altri termini più o meno volutamente riduttivi - non significa che debba per forza rifilarci un sottoprodotto raffazzonato, approssimativo e sgrammaticato.
Il primo problema riguarda la trama. Come dicevo la volta scorsa, la nostra vicenda - possibilmente originale, su questo bisognerà fare un lungo discorso - specie se si tratta di un giallo, dev'essere solida, efficace e coerente. Il che non significa che al di fuori del giallo classico - per esempio in un noir nell'accezione comune della parola - si possa scrivere a casaccio, pensando che tanto il lettore non presti troppa attenzione ai dettagli. Per esempio, se un personaggio cambia comportamento a metà libro, deve avere un vero motivo per farlo, non la semplice distrazione di chi ne scrive.
Il secondo problema riguarda la qualità della scrittura. Stiamo lavorando a una storia di intrattenimento, ma questo non ci autorizza a scriverla male, anche se ciò non significa applicare le regole di ciò che in Italia si crede sia "scrivere bene". Di questo parlerò in un'altra occasione.
Il terzo problema è che, se volete scrivere una storia di intrattenimento, dovete scriverla in modo che sia davvero di intrattenimento.
Questo è un aspetto delicato, che implica anche conoscere le regole di ogni singolo genere (quindi averne letto parecchio, non pensare che basti scopiazzare un paio di film o una serie tv). Una storia di genere può essere di puro intrattenimento e ha tutti i diritti di esserlo. Ma, se è costruita a tavolino, senza passione, diventa un gioco sterile: un romanzo di genere funziona se chi legge prova coinvolgimento e identificazione nei personaggi.
Se crea emozioni ed è ben costruita, la storua diviene intrattenimento intelligente anche se non ha altre pretese. I romanzi di Janet Evanovich con Stephanie Plum, che ho avuto il piacere di tradurre per qualche anno, raccontano (con una trama gialla e un pizzico di commedia) di piccoli conflitti umani e della vita quotidiana di una giovane donna del New Jersey, quindi in fondo della realtà di una figura in cui molte persone si possono riconoscere. Diviene, senza volerlo, un romanzo sociale. Vi sembra poco? Laddove in un fumetto di supereroi o di un albo della Bonelli, in cui dietro l'avventura più appariscente si può nascondere una viva e vitale commedia umana.
Una storia di genere offre quindi un enorme vantaggio: vi permette di raccontare qualcosa che vi sta a cuore in un modo più incisivo e coinvolgente per chi legge, rispetto a quando si scrive un saggio o anche una storia mainstream sullo stesso argomento... a meno di non essere un premio Nobel o giù di lì, ma suppongo che non sia questo il mio o il vostro caso. Il segreto è proprio che, se chi scrive infonde umanità ai suoi personaggi (anche se sta parlando di alieni in una storia di fantascienza) può far riflettere chi legge su questioni molto serie. L'importante è che il "messaggio" non prevalga in modo didascalico sull'intrattenimento.
Non arrivo a sottoscrivere completamente quella che potremmo chiamare "Legge di Goldwyn", da una frase attribuita al produttore Samuel Goldwyn della Metro-Goldwyn-Mayer: "Se devi mandare un messaggio, vai alla Western Union" (che all'epoca era leader americana del servizio telegrafico). Ma, se il tuo obiettivo è solo il "messaggio", non stai più facendo intrattenimento.
Porto come esempio la serie televisiva italiana del 1976 (all'epoca si definiva "sceneggiato" od "originale televisivo") che a tutt'oggi credo detenga il record assoluto per numero di spettatori alla sua messa in onda: ventotto milioni. Mi riferisco a Dov'è Anna?, scritto dall'infallibile duo Biagio Proietti e Diana Crispo, e diretto da Piero Schivazappa. Era il primo sceneggiato giallo della RAI ambientato in Italia - anziché all'estero come altri precedenti successi made in Italy - e in ogni puntata andava a toccare una tematica scottante in ambito sociale. Si era ancora ai tempi della Democrazia Cristiana al potere e certi aspetti non si potevano toccare: non venne realizzata una puntata in cui si parlava di prostituzione, anche se l'episodio viene raccontato per intero nella novelization scritta dagli stessi sceneggiatori, che divenne subito un bestseller.
L'impatto di Dov'è Anna? sul pubblico televisivo italiano fu tale che, dopo una puntata in cui si parlava di pazienti psichiatrici, fu cambiata una legge in proposito a furor di popolo. Ma l'efficacia dipendeva dal fatto che era un giallo e che il pubblico lo seguiva perché c'era una storia coinvolgente. Se Proietti & Crispo fossero partiti dall'idea di fare una serie su "problematiche sociali degli anni Settanta" basata solo sul "messaggio sociale", non l'avrebbe vista nessuno. Quantomeno non ventotto milioni di spettatori che volevano sapere dove fosse Anna.
Per questo ho scarsa tolleranza nei confronti dello scrittore che si presenta a un festival sul giallo (perché sa che la gente ci va e avrà pubblico), dopo aver scritto qualcosa che viene definito un giallo (perché sa che è di moda e la gente lo compra) però al microfono davanti a tutti dichiara "Sì, ma il mio non è proprio un giallo" (perché non vuole fare brutta figura di fronte agli amici "intellettuali" che ha invitato alla presentazione del libro). Primo, mi fai passare la voglia di leggerlo e, secondo, cosa ci vieni a fare a occupare un posto che potevi lasciare a chi i gialli li scrive veramente?
E poi c'è un quarto problema, che possiamo chiamare "Effetto Samsa", ma visto che mi sono dilungato sui primi tre, ne parlo la prossima volta.
Continua...
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.
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