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Clive Cussler in una foto di A. C. Cappi |
Uno dei più piacevoli compleanni della mia vita fu quello dell'8 settembre del 2000. La casa editrice Longanesi mi aveva organizzato un'intervista con Clive Cussler al festival della letteratura di Mantova. Feci una chiacchierata con un autore brillante e di interviste poi ne pubblicai ben due diverse, una su "M-Rivista del Mistero" e una su "Quarterdeck", la fanzine dello 007 Admiral Club (in un suo romanzo, lo scrittore americano aveva giocato con un personaggio simile a James Bond, anche se nel confronto vinceva il suo eroe seriale, Dirk Pitt). A margine dell'incontro ricordo che Cussler, notoriamente appassionato e collezionista di auto d'epoca - con il suo successo se lo poteva permettere - voleva visitare il museo dedicato a Tazio Nuvolari. In quell'occasione rammento anche che parlò della sua nuova serie spin-off dedicata alla nave-spia Oregon, di cui anni dopo avrei tradotto diversi romanzi. Ma l'aspetto che più mi è rimasto in mente di quell'incontro è una sua osservazione sul lavoro di scrittura. Ricordo ancora mentre diceva: "Research, research, I over-research!" Ovvero: "Ricerca, ricerca, ne faccio fin troppa di ricerca!"
In una puntata precedente parlavo del Metodo Deaver, in cui una parte importante di un libro è appunto la documentazione. Lo stesso vale per Clive Cussler e per gli autori che hanno lavorato con lui e spero manterranno in vita i suoi personaggi, dopo che lo scrittore ci ha lasciato poco più di un anno fa. Quasi sempre nelle loro storie, oltre agli elementi tecnici, ci sono riferimenti a fatti storici che richiedono davvero un complesso lavoro di ricerca. La lezione vale per chiunque scriva.
Certo, non si può sapere tutto di tutto. Ma bisogna saperne abbastanza per rendere credibile la storia. Un certo margine di approssimazione - a mio avviso - è consentito: si tratta pur sempre di narrativa. Talvolta si deve anche barare, cambiando qualche dettaglio per assecondare la trama. Non dimentichiamo che ne Il prigioniero di Zenda Anthony Hope si inventa un'intera nazione, la Ruritania, forse l'esempio più famoso di geografia immaginaria al di fuori del fantasy (e di paesi fittizi so qualcosa anch'io, con i romanzi di Diabolik). Ma non si perde di interesse in un film anche se la Casablanca ricostruita in studio per il cult movie omonimo non corrisponde a quella della realtà, o se in qualsiasi film una scena ambientata in un luogo in realtà è stata girata altrove (ricordo l'inseguimento iniziale di Quantum of Solace, in cui 007 guida lungo il lago di Garda, svolta a sinistra per salire alle cave di Carrara e di lì a poco giunge a Siena).
In ogni caso, chi scrive una storia ha il dovere morale di documentarsi il più possibile sugli argomenti che tratta.
Dal momento che mi occupo di thriller, uno degli aspetti più delicati è la questione delle armi. Di recente Stefano Di Marino notava l'uso dei silenziatori sui revolver nel film Crimine silenzioso di Don Siegel. Su un'arma del genere un silenziatore ha ben poco da silenziare, dato che i gas si espandono già tra il tamburo e la canna. Immagino che fosse una scelta estetica del regista, visto che nel successivo Contratto per uccidere (basato su Gli uccisori di Hemingway, che a sua volta aveva già ispirato il film I gangsters) fa usare ai killer interpretati da Lee Marvin e Clu Gulager silenziatori che sembrano lattine di pomodori verniciate di nero. Gli esperti insegnano del resto che anche su un'arma automatica la detonazione non viene affatto silenziata (plop, plop) come si sente nei film e in tv.
Un'altra svista tipica è il dito sul grilletto: chi è addestrato all'uso delle armi lo tiene rigorosamente appoggiato sul ponticello, non in una posizione in cui potrebbe sparare un colpo per sbaglio, per esempio mentre muove incautamente la mano per fare cenno a qualcuno di spostarsi. Nei servizi fotografici (con armi finte, a volte fintissime!) che uso per promuovere i miei libri, spiego sempre alle modelle che non bisogna tenere una pistola come si vede fare nei film di James Bond. Oggigiorno anche il pubblico non esperto è diventato molto esigente, anche spesso perché chi realizza film e serie tv è più attento a certi dettagli.
Quando si tratta di questioni tecniche bisogna rivolgersi a chi ne sa più di noi. O quantomeno studiarsi con attenzione testi specializzati, sperando di non prendere ugualmente qualche abbaglio. Uno dei volumi di consultazione che mi sono procurato anni fa è lo stesso che il pittore Carlo Jacono usava per copiare le armi di molte sue copertine de Il Giallo Mondadori e Segretissimo.
Le armi da fuoco sono solo un esempio. Qualche anno fa ho scritto un romanzo in cui doveva, per forza, essere presente un sommergibile. Ricordavo la scena di un film, Getta la mamma dal treno, il cui protagonista insegna scrittura creativa e qualcuno tra i suoi allievi cerca appunto di scrivere di sottomarini senza saperne niente. A parte i testi di Tom Clancy che avevo sottomano, si trovano parecchie informazioni di veri sommergibilisti su Internet, ma la maggior parte è in inglese. Per mia fortuna, sono riuscito anche a trovarne qualcuno in italiano, in modo da fare opportuni raffronti e utilizzare un linguaggio tecnico (spero) verosimile.
La trappola più rischiosa è quella della narrativa storica, in cui si rischia di continuo di incorrere in qualche anacronismo. Non si tratta solo di evitare il classico orologio al polso dell'attore in un film in costume. Ancora oggi, nel mondo globalizzato, usi e costumi possono variare da un luogo all'altro e da un anno all'altro, ma solo nell'ultimo secolo la nostra vita quotidiana, nel luogo in cui viviamo, è cambiata in modo radicale. Con essa anche il nostro modo di pensare. Persino scrivere una storia ambientata negli anni Ottanta richiede un minimo di concentrazione perché, per dirne una, i personaggi non possono usare un telefono cellulare come faremmo noi. Figuriamoci se vogliamo risalire all'Antica Roma o agli Egizi, per citare due territori spazio-temporali molto frequentati.
Per informarsi, la rete è di sicuro una risorsa preziosa, ma va tenuto presente che chiunque può scrivere sul web di qualsiasi argomento... anche senza conoscerlo. Del resto non capita solo su Internet. Quindi bisogna non solo documentarsi, ma anche verificare l'attendibilità delle fonti, altrimenti si rischia di propagare sviste fatte da qualcun altro. Spesso studiare sui libri scritti da autori competenti, su carta o in formato digitale, può essere utile.
Possono occorrere giorni di preparazione anche solo per scrivere una riga o una parola... o per non scriverla, ma con cognizione di causa. Quando si studia un argomento per trattarne in una storia, non bisogna neppure cedere alla tentazione di parlarne più del necessario, con il rischio di diventare didascalici.
Ma come si concilia la Regola Cussler con la Tecnica Westlake-Stark di cui ho parlato la scorsa volta, che lascia ampio margine all'improvvisazione? Io risolvo il problema con un lavoro di pre-documentazione, che mi permette di familiarizzare con l'argomento e può anche determinare alcuni sviluppi della trama. Di questi, alcuni vengono scartati in corso d'opera, perché mi portano troppo fuori strada, mentre mi soffermo su altri, che devo approfondire con un ulteriore lavoro di ricerca più dettagliato. Per esempio, se decido che un certo evento avviene in un luogo e una data precisi, comincio a consultare freneticamente i giornali online per controllare che cosa vi sia capitato in quel periodo. Prima che cominciassi a scrivere Sickrose-Sicaria, mi era capitato di scambiare messaggi con un corrispondente a Città del Messico in periodo di lockdown, scoprendo dettagli che facevano parte della realtà locale di quel momento. Da qui ho deciso che alcuni capitoli si sarebbero svolti laggiù in quel periodo. Così, quando si avvicinava il momento di scriverli, mi sono messo a leggere i giornali e persino a guardare brani di telegiornale su YouTube corrispondenti alla data che mi interessava, per rivivere quel particolare momento quasi come se fossi stato a CDMX. L'anno prima mi era capitato di fare qualcosa di simile con giornali d'epoca per romanzare eventi realmente accaduti nel maggio 1943 in Spagna in una delle storie inedite di Dossier Contreras: conoscevo i fatti storici (che mi obbligavano a usare certe date), ma dove andavano i personaggi se volevano farsi un drink? C'era il sole o pioveva? Cosa succedeva in città nel frattempo? In entrambi i casi alla fine avevo più informazioni di quelle che mi occorrevano, tuttavia anche quelle in eccesso e inutilizzate mi servivano per entrare nell'atmosfera del luogo e del tempo. Ha ragione Cussler: bisogna fare più ricerche del necessario. Perché in realtà servono sempre, anche quando non si usano.
Continua...
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de
Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.