domingo, 2 de septiembre de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 8

Claude Lorrain Paesaggio con ninfe e satiri danzanti, XVII sec.



8-TECNICHE DI RIABILITAZIONE 


L'impostazione del trattamento terapeutico è di competenza medica, come l'assistenza risulta essere competenza infermieristica. Ciononostante l'infermiere è tenuto a conoscere i farmaci ed i loro effetti, per poter agire secondo scienza e conoscenza,in sinergia con la figura del medico. È altresì attento e premuroso, discreto,nell'osservazione degli effetti che i medicamenti inducono sul pazienzte, segnalando miglioramenti o involuzioni della patologia da cui il soggetto è affetto.


Esistono diversi programmi di tipo neurocognitivo, cognitivo-comportamentale, individuali e di gruppo, volti al recupero delle abilità quotidiane e del deficit socio-comportamentale. Tutto ciò per permettere all’individuo l’eventuale reinserimento in ambito lavorativo tramite categorie protette oppure in ambiente naturale. 

Riguardo la schizofrenia, vi sono numerosi studi e svariate considerazioni. Un passo significativo risulterebbe essere l’affermazione che “mentre Sullivan e collaboratori stavano sviluppando le loro teorie interpersonali, i primi psicologi dell’Ego osservarono come un difettoso confine dell’Ego sia uno dei deficit principali nei pazienti schizofrenici. Federn (1952) dissentiva dall’affermazione di Freud secondo cui nella schizofrenia vi è un ritiro dell’investimento oggettuale. Al contrario, Federn sottolineò il ritiro dell’investimento energetico rispetto ai confini dell’Ego. Egli notò che i pazienti schizofrenici sono caratteristicamente privi di barriera tra quello che è dentro e quello che è fuori, perché il confine del loro Ego non è psicologicamente investito (come invece risulta essere nei pazienti nevrotici)”. Molte di queste prime formulazioni psicoanalitiche crearono profonde difficoltà tra i clinici che trattavano pazienti schizofrenici e le loro famiglie. Termini come “madre schizofrenogenica” generarono un’atmosfera di vergogna tra le madri dei pazienti, che si sentivano la causa della schizofrenia dei loro figli. Negli ultimi decenni sono emerse formulazioni psicodinamiche della schizofrenia più sofisticate. (Arlow, Brenner, 1969; Blatt, Wild, 1976; Grand, 1982; Grotstein, 1977; Mahler, 1952; Ogden, 1980, 1982). 

La maggior parte di queste teorie è basata su ricostruzioni a partire dal lavoro fatto con pazienti adulti. In altre parole, i clinici hanno studiato i processi mentali nel setting psicoterapeutico e hanno poi estrapolato a ritroso le tematiche evolutive infantili. Sfortunatamente, molte delle formulazioni psicoanalitiche non integrano i dati della ricerca biologica nelle loro teorie eziologiche. 
Diverse configurazioni psicologiche riflettono l’interfaccia tra il neurone biologico e lo psicologico, hanno un’avversione per le relazioni oggettuali che rende difficile il legame. L’ipersensibilità agli stimoli e la difficoltà di concentrazione e di attenzione sono tratti comuni della personalità preschizofrenica. Recenti ricerche hanno suggerito che diffuse perdite, a livello di determinate aree, del normale filtro sensoriale nel sistema nervoso centrale possono essere caratteristiche della schizofrenia (Freedman et al.,1996; Judd et al., 1992), cosicché i pazienti trovano difficile schermare gli stimoli irrilevanti e avvertono una sensazione cronica di sovraccarico del sensorio. 
Robbins (1992) ha anche suggerito una correlazione tra gli stati emozionali dell’oblio e i riscontri di atrofia corticale e di diminuita attività nei lobi frontali dei pazienti schizofrenici. Questo insieme di caratteristiche, nel loro complesso, finisce per condurre a forme patologiche di simbiosi con figure genitoriali nel caso dei bambini. 

Il disturbo cognitivo della schizofrenia è molto importante durante il periodo dell’invecchiamento. Vi sono diverse teorie a riguardo da parte degli studiosi. Come affermano Friedmann, Harvey et al. (1999), l’etereogeneità del decorso del disturbo schizofrenico appare ancor più marcata nell’invecchiamento. In alcuni casi i deficit cognitivi e funzionali comunemente riscontrati nei pazienti schizofrenici più giovani peggiorerebbero con l’incremento dell’età, da cui è derivata l’ipotesi del progressivo sviluppo di un processo simildemenziale; in altri casi, invece, tenderebbero a rimanere più stabili. Secondo alcuni autori (Zorilla, 2000; Rund. 1998; Harvey, 1996; Heaton, 1994; Hyde, 1994) nei soggetti schizofrenici anziani i deficit cognitivi rimarrebbero per lo più stabili, essendo stata dimostrata una progressione nel tempo non particolarmente intensa, pur in presenza di alterazioni cognitive sicuramente più marcate rispetto ai punteggi degli stessi soggetti nel corso dei primi episodi di malattia o di altri soggetti schizofrenici più giovani. 
Studi condotti su pazienti ospedalizzati, già portatori di un marcato deterioramento delle funzioni mentali superiori evidenziabile dal punto di vista clinico, hanno mostrato in tali pazienti un numero relativamente basso di anomalie neuropatologiche degenerative; per questo motivo è stata esclusa nel campione dei soggetti esaminati l’esistenza di un processo di neurodegenerazione come caratteristico della malattia schizofrenica. 
Questi risultati confermerebbero l’ipotesi per cui è sottesa al corso della malattia una condizione di “encefalopatia statica”, in rapporto al deficit cognitivo iniziale, piuttosto che quella di un processo simildemenziale. Harvey, del resto, in base ai risultati di un suo studio del 1996, ipotizza l’esistenza di una netta differenza nei meccanismi neurobiologici responsabili dei deficit cognitivi nella schizofrenia e nella demenza. In tale studio ha confrontato i deficit cognitivi in tre gruppi di pazienti, schizofrenici anziani istituzionalizzati, anziani con AD (Alzheimer Disease) e anziani di controllo. Sono emersi livelli prestazionali deficitari in entrambi i gruppi patologici con differenze significative fra di loro. Infatti il gruppo degli schizofrenici mostrava una maggior compromissione nella prassia costruttiva e al naming test presentava una lieve miglior prestazione al richiamo a breve termine.





sábado, 1 de septiembre de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 7

Rodin Il pensatore (fine '800), dettaglio (immagine da Wikipedia)

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò
7-PERFORMANCE COGNITIVE 

Ogni persona presenta “performance cognitive” nella vita quotidiana, che possono essere riepilogate come:

-Memoria secondaria: consiste, per esempio, nella capacità di ricordare un numero di telefono, la lista della spesa o di eseguire compiti preassegnati.

-Attenzione sostenuta: permette di mantenere la concentrazione durante il lavoro, studiare, guardare un film. 

-Attenzione selettiva: consente di trovare il prodotto che ci interessa al supermercato o un libro in libreria, di riconoscere in mezzo a più persone chi stiamo cercando, di scegliere. 

-Velocità e coordinazione psicomotoria: eseguire compiti e lavori manuali o interagire con l’ambiente in modo adeguato. 

-Funzioni esecutive: includono eseguire compiti di problem solving, adattarsi al feedback dell’ambiente (flessibilità), fare inferenze di ordine superiore, essere in grado di operare una pianificazione. 

-Fluenza verbale e semantica: includono ragionare in modo sequenziale, generare una strategia di ricerca verbale adeguata e appropriata, comunicare con gli altri.

-Working memory: ciò che permette di memorizzare e comporre un numero di telefono, eseguire calcoli a mente, ragionare tenendo presenti contemporaneamente più parti di un problema.

Nell’individuo colpito da schizofrenia queste capacità risulterebbero essere compromesse. Per tale motivo è importante programmare una strategia farmacologica individualizzata ottimale. 
Ciò significa effettuare la scelta, attraverso strategie sequenziali, del miglior farmaco per il paziente. O meglio, il medicamento dovrebbe determinare: 
-Gestione dei sintomi psicotici produttivi e mantenimento del compenso 
-Prevenzione delle riesacerbazioni 
-Efficacia sui sintomi negativi 
-Rallentamento dell’evoluzione deficitaria 
-Limitazione degli effetti collaterali 
-Buona compliance 
Un'effettiva risposta farmacologica permette di lavorare sul recupero delle abilità perse e migliorare la qualità di vita attraverso la riabilitazione, indispensabile per gli obbiettivi a lungo termine. 

Affrontiamo ora il problema degli obiettivi da raggiungersi durante il trattamento farmacologico della schizofrenia, nel caso di una esacerbazione acuta. Quali risultati dovremmo attenderci? 
-Risoluzione della sintomatologia produttiva (deliri, allucinazioni, disturbo formale del pensiero, disorganizzazione comportamentale ). 
-Riduzione della sintomatologia negativa secondaria aspecifica, collegata alla presenza dei sintomi positivi (ritiro sociale) 
-Creazione delle premesse per l’intervento riabilitativo e di reinserimento ambientale, centrali per la cura della sintomatologia “negativo-deficitaria” (anedonia, apatia, anergia, ritiro sociale) 
Un corretto trattamento a dosi adeguate permette una risoluzione dei sintomi produttivi o comunque una riduzione significativa in un periodo di 4/6 settimane circa. 

Per quanto concerne la terapia a lungo termine della schizofrenia, premetto e ribadisco un concetto già esposto in precedenza, in quanto rappresenta il modus vivendi della persona schizofrenica cronica. La condizione cronica della malattia occupa la maggior parte del tempo della malattia stessa, caratterizzata da deficitarietà, e cioè la perdita progressiva del funzionamento sociale, personale e lavorativo. In questa fase l’intervento terapeutico ha due scopi principali 
-Prevenire le riesacerbazioni: richiede il trattamento continuativo con il farmaco specifico che ha indotto la remissione della patologia 
-Arginare la processualità deficitaria e possibilmente invertirne la rotta verso il recupero funzionale: richiede un trattamento specifico delle disfunzioni comportamentali (autonomia, lavoro, relazioni) e dei sottostanti correlati neurocognitivi attraverso la riabilitazione. 

Riguardo la schizofrenia si è detto della sua familiarità. Gli studi meglio controllati suggeriscono una concordanza per la schizofrenia in gemelli monozigoti che oscilla tra il 30-40%, mentre la concordanza in gemelli dizigoti è grosso modo la stessa di quella rilevata tra i fratelli (Kety, 1996; Plomin et al., 2001). 
Tuttavia, come accade per tutti i disturbi psichiatrici, non si tratta di una chiara modalità di trasmissione di tipo mendeliano. Nessuna delle scoperte della ricerca biologica attenua però l’impatto di un fatto irriducibile: la schizofrenia è una malattia che colpisce una persona con una particolare configurazione psicologica. Anche se i fattori genetici fossero responsabili del 100% dell’eziologia della schizofrenia, ci si troverebbe davanti sempre a un individuo dinamicamente complesso, che reagisce a una malattia profondamente disturbante. 

Probabilmente non più del 10% dei pazienti schizofrenici è in grado di rispondere adeguatamente a un approccio terapeutico che consista solamente di farmaci antipsicotici e di un breve ricovero (Mc Glashan, Keats,1989). Il rimanente 90% necessita di approcci terapeutici dinamicamente orientati, che includono una farmacoterapia psicodinamica, una terapia individuale, una terapia di gruppo, approcci anche familiari. Non esiste una cosa come “il trattamento della schizofrenia”. Tutti gli interventi terapeutici devono essere “confezionati su misura” per i bisogni specifici di ciascun paziente. È necessario improntare un Programma Terapeutico individualizzato di tipo riabilitativo, che deve tener conto di una scelta in base alle esigenze cliniche e alle opportunità. La scelta deve essere: 
-Mirata al recupero funzionale 
-Disegnata attraverso programmi e obiettivi progressivi, specifici per il paziente 
-Effettuata in luoghi di cura (per esempio, Centro diurno, CRT), ma anche a casa, con la collaborazione dei familiari 
-Centrata sulla creazione di un’ambiente terapeutico esteso per il paziente, dove tutti gli atti sono volti al supporto del programma per perseguire gli obiettivi. Esso richiede anche contatto e interventi psicoeducativi con la famiglia 
-Effettuata con tecniche diverse ma a prevalente impronta cognitivo/-comportamentale su deficit specifici (autonomia personale, attività relazionale, attività di ruolo e/o lavorativa) 
-Condotta con la consapevolezza che un comportamento deficitario dipende, oltre che dai sintomi positivi e negativi, dalla perdita delle funzioni cognitive fondamentali per tutti i giorni, detti infatti fattori limitanti cognitivi. Pertanto deve intervenire anche su di essi affinché la persona stia meglio, ovvero abbia una risposta migliore alla riabilitazione.




jueves, 30 de agosto de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 6

Francisco de Goya Saturno divora il figlio (circa 1820)

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

6-SHIZOFRENIA E DINTORNI 

Passiamo ora ad analizzare la sindrome schizoaffettiva, la sindrome schizotipica e la sindrome delirante. 

La sindrome schizoaffettiva è un disturbo in cui sono presenti contemporaneamente aspetti caratteristici sia della schizofrenia sia di un disturbo dell’umore. Sintomi affettivi e schizofrenici sono entrambi preminenti nello stesso episodio di malattia. 

La sindrome schizotipica è un disturbo in cui il soggetto è caratterizzato da comportamento eccentrico, con anomalie del pensiero e dell’affettività, senza però la presenza di manifestazioni schizofreniche definite e caratteristiche. Il soggetto presenta: 
-affettività inappropriata, cioè apparenza fredda e distante 
-comportamento o aspetto strano, di solito eccentrico o insolito 
-tendenza all’isolamento sociale 
-strane convinzioni o credenze magiche, che tendono a influenzare il comportamento 
-sospettosità o idee paranoidi 
-rimuginazioni ossessive, spesso con contenuti dismorfofobici o sessuali 
-esperienze percettive non usuali, che comprendono illusioni somatosensoriali, depersonalizzazione o derealizzazione 
-pensiero vago, circostanziato, iperlaborato o stereotipato, linguaggio insolito. 
-occasionali scivolamenti psicotici transitori, caratterizzati anche da allucinazioni uditive. 
Purtroppo il decorso di tale patologia è cronico , caratterizzato da fluttuazioni d’intensità. Essa può sfociare in schizofrenia manifesta. 

La sindrome delirante, invece, è un disturbo in cui l’unica manifestazione è rappresentata da un delirio fisso incrollabile. In essa i deliri hanno la durata di almeno un mese. Essi sono ben organizzati, ben sistematizzati, e non risulterebbero essere assolutamente né bizzarri né frammentari. 
La risposta emotiva del “sistema delirante” è appropriata al contenuto del delirio. La personalità rimane intatta o si deteriora solo marginalmente. Spesso i soggetti sono ipersensibili o ipervigili e, pur mantenendo un elevato grado di autonomia, tendono all’isolamento sociale. Se non sotto stress, il soggetto potrebbe essere definito come privo di segni di malattia mentale. 
È da sottolineare il fatto che la sindrome delirante non risulta essere un sottotipo né uno stadio precoce prodromico della schizofrenia. 

La sindrome delirante indotta è una rara sindrome caratterizzata dal delirio e che verrebbe condivisa da due persone con uno stretto legame affettivo: soltanto una delle due vive un’autentica condizione psicotica; nell’altra i deliri vengono indotti e terminano solo quando i due individui vengono separati. I deliri sono generalmente cronici e a contenuto persecutorio o di grandezza . Le persone in causa sono isolate dagli altri. 

La schizofrenia, invece, è una patologia cronica e processuale, caratterizzata da dissociazione. In essa si possono riconoscere
-sintomi positivi
-sintomi negativi 
-deficit cognitivo 
-decadimento funzionale 
La schizofrenia è caratterizzata da progressione del deficit funzionale che può anche, a distanza di tempo, ripresentarsi in forma acuta ma in modo ingravescente.
Questo tipo di psicosi necessita di un trattamento dalla durata imprecisata, mirato, ma che sia nello stesso tempo flessibile. Esso deve puntare sia al raggiungimento contemporaneo di obiettivi parziali, sia al raggiungimento di obiettivi globali. Come capire allora se ci si trovi al cospetto di una persona affetta da schizofrenia? Il quadro clinico manifesterà i seguenti sintomi in numero di due o più : 
-deliri 
-allucinazioni 
-eloquio disorganizzato (con deragliamenti verbali, tangenzialità di ideazione che si manifesta talvolta con insalata di parole , incoerenza, etc.) 
-comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico 
-sintomi negativi, rappresentati dall’appiattimento dell’affettività, da abulia e da alogia. 

Il soggetto, di norma, presenta una manifestazione che viene riconosciuta con il termine di “disfunzione sociale/lavorativa”. Tale fenomenologia dovrebbe suonare come una sorta di campanello d’allarme.
Come si presenta? L’individuo, prima che insorga la patologia, tende a essere ipoattivo sia in ambito lavorativo che sociale. Il senso di autostima regredisce a tal punto da non curarsi più della propria igiene personale e del proprio aspetto. In definitiva, la cura della propria persona, confrontata con un periodo precedente l’insorgenza della malattia, risulta essere alquanto scadente. 
Qualora l’esordio insorga nell’infanzia o nella adolescenza, si manifesta un'incapacità a raggiungere le relazioni interpersonali o di poter “rendere” a sufficienza sia in ambito scolastico che lavorativo. 
Per quanto concerne la durata della patologia schizofrenica, di solito la sintomatologia persiste per almeno sei mesi. Questo lasso di tempo deve includere almeno un mese dall’esordio (a volte meno, qualora il paziente venga trattato con successo) delle sintomatologie precedentemente descritte. Può includere sintomi prodromici, cioè che precedano l’insorgenza della malattia, o residui. In questa fase, i sintomi del disturbo schizofrenico possono essere prevalentemente negativi, oppure anche positivi. Questi si mostrerebbero soltanto in forma attenuata, per esempio con percezioni inusuali o strane convinzioni. 

Esisterebbe una familiarità per la schizofrenia. Vi sarebbe, fatto molto interessante, una netta correlazione tra i sintomi negativi e i sintomi positivi. Questa affermazione risulterebbe essere suffragata dalla teoria ipo/iperdopaminergica. 
In cosa consisterebbe? Soprattutto, perché i sintomi negativi sarebbero in correlazione con quelli positivi? Semplicemente perché è a partire dai sintomi negativi che si originerebbero i sintomi positivi. Sarebbe come se dalla sintomatologia negativa si originasse, a mo' di “compensazione patologica”, il corollario della sintomatologia positiva. 
Il deficit patognomonico della schizofrenia sarebbe localizzato a livello della corteccia dorsolaterale prefrontale . Qui vi sarebbe una diminuzione del tono dopaminergico. La carenza dopaminergica causerebbe l’insorgere dei sintomi negativi e dei deficit neurocognitivi caratteristici della schizofrenia. Come conseguenza primaria, si manifesterebbe nei sistemi dopaminergici un abbassamento del tono dopaminergico corticale . Sarebbe proprio la riduzione del tono dopaminergico corticale a determinare il rilascio della normale inibizione a livello cortico-encefalico sui sistemi mesolimbici. Questi diverrebbero iperattivi, originando i sintomi positivi. 
Volendo analizzare la relazione esistente tra schizofrenia e lobo frontale encefalico , notiamo che è proprio a livello della corteccia dorsolaterale che è posto il deficit cognitivo manifesto con disfunzioni di brain-imaging. Il deficit riguarderebbe importanti funzioni come: 
-Esecutiva 
-Working memory 
-Fluenza 
Nella schizofrenia l’85% dei pazienti mostra deficit neuropsicologici di varia gravità. I deficit risultano essere stabili, presenti sin dall’insorgere della malattia e, secondo alcuni Autori, addirittura, precederebbero l’esordio (Rund 1998; Heaton,2001).

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Kamila Shamsie e il volto del "nemico"



Recensione di Andrea Carlo Cappi


Kamila Shamsie, l'autrice di Io sono il nemico (in libreria da Ponte alle Grazie), è in Italia sabato primo settembre per partecipare al Festival della Mente di Sarzana (La Spezia): l'appuntamento è alle 19.00 al Canale Lunense della città ligure. Non sempre arrivo a consigliare i libri di cui sono stato traduttore, ma questa volta si tratta di un testo importante, soprattutto per i giorni in cui viviamo.
Dopo il primo capitolo, in cui si avvertono subito i segni dei tempi quando la protagonista viene sottoposta a un interrogatorio prima di prendere un volo dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, il romanzo della scrittrice - che vive tra il Regno Unito e il Pakistan e conosce bene entrambi i mondi - potrebbe essere scambiato per una sorta di versione moderna di Romeo e Giulietta. Invece, come si vede proseguendo nella lettura, il punto di partenza e di arrivo è tutt'altro: Antigone di Sofocle. All'autrice era stata proposta l'idea di adattare la tragedia ai nostri tempi, per il teatro. Di fatto, ne è venuto fuori un romanzo.
Isma Pasha, il personaggio principale, è una ragazza londinese di origine pakistana, sulla cui famiglia grava un peccato originale: un padre irresponsabile e assente, partito per fare l'eroe della Jihad e morto in un paese lontano. La sua ombra pesa ancora e viene usata come leva su Parvaiz, fratello minore di Isma, da parte di un giovane reclutatore jihadista: il ragazzo deve essere "l'uomo" della famiglia, non può disonorare il padre, deve andare a combattere a sua volta, anche se si tratta di filmare decapitazioni sanguinose in Siria per conto dell'ISIS. Fino a quando Parvaiz non ce la fa più e trova il modo di fuggire, nella speranza di tornare in Patria - in Gran Bretagna - passando da Istanbul.
Ma la situazione è più complessa di quanto possa apparire. Negli USA Isma, finalmente libera di riprendere gli studi dopo avere di fatto cresciuto fratello e sorella alla morte della madre, ha conosciuto Eamonn Lone, figlio di un'americana e di un politico inglese a sua volta di ascendenze pakistane. Lone padre ha fatto carriera prendendo le distanze dalla comunità di cui fa parte la sua famiglia. È considerato un integrato. E viene nominato Ministro degli Interni (tra parentesi, il 30 aprile 2018 ha assunto tale carica proprio un cittadino inglese di ascendenze pakistane, quasi il romanzo fosse stato profetico). Quando Isma e Eamonn si ritrovano a Londra, tra loro nasce una relazione. Ma il figlio del titolare degli Interni non dovrebbe frequentare una ragazza figlia e sorella di jihadisti. Gli sviluppi della vicenda mettono a confronto, in modo drammatico e mediatico, cittadini britannici con quote variabili dello stesso sangue straniero. Chi è buono e chi è cattivo? Chi rinnega chi? Dove finisce la politica e dove comincia l'etica? Chi è il vero nemico?
Sono tutte domande sollevate dal romanzo di Kamila Shamsie: domande scomode per la Gran Bretagna, che ha tanta paura dei migranti da fuggire dall'Europa, ma scorda di convivere con i figli dei figli delle proprie ex-colonie, ormai parte indispensabile ma non sempre accettata del suo tessuto sociale. Sono domande scomode anche per noi italiani, che conosciamo solo da tempi recenti un fenomeno di immigrazione degno di questo nome... e si vede come stiamo reagendo.
Sono lieto che Salani abbia accolto la mia proposta per il titolo italiano (non sempre vengono accolti i suggerimenti in tal senso dei traduttori). Home Fire, il titolo originale, evoca il "focolare" cui le donne dovevano badare intanto che gli uomini andavano in guerra. Evoca anche un "incendio" che brucia nella tua stessa casa. Ma sono sfumature che si sarebbero perse nella nostra lingua. In questo momento storico, oggi più che mai, direi che Io sono il nemico sia, per l'Italia, il titolo più consono.

miércoles, 29 de agosto de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 5

Pubblicità di un adattamento teatrale del Dr. Jekyll, 1887

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

5-SINDROME AFFETTIVA BIPOLARE 

È un disturbo di tipo affettivo in cui le alterazioni della timia e dell’agire sono almeno un paio. Sono fondamentalmente distinte in ipomania, mania e depressione. Nella mania o ipomania il tono dell’umore è talmente esaltato che il soggetto sembra aver acquisito così tanta energia da indurre in prima battuta allo stupore – caratterizzato peraltro da estrema fragilità – che diviene di rado pianto di fronte a una specie di “incapacità di comprensione della realtà”. 
Non dobbiamo dimenticarci del fatto che il soggetto è in preda a uno stato dissociativo. L’individuo, pur dissociato, è come se vivesse uno “stato di grazia”. Si sente onnipotente e “tutto deve essergli concesso”. Tale manifestazione può durare da alcune settimane a diversi mesi, quattro o cinque di solito. L'esordio risulta essere, di norma, brusco. 
La fase depressiva del disturbo bipolare è caratterizzata da tono dell’umore deflesso, da profonde crisi di pianto, da deliri, non ultimo il persecutorio con stato confusionale persistente. Il soggetto, in questo periodo della patologia, è marcatamente ipoattivo, ombroso nell’atteggiamento. Ha l’habitus del depresso. Il suo pensiero, rallentato, è caratterizzato da biascicamento nell’eloquio , come non volesse farsi capire o fosse alterato da sostanze esogene quali l’alcool. Questo è un fenomeno non sempre presente. Vi è persino la comparsa del ritiro sociale con grado di autostima molto basso. 
Anche in questa fase la malattia cambia radicalmente l’individuo, infierendo spietatamente nell’animo. L’agito molte volte non è cosciente. Il soggetto è alla deriva, “in balia dei marosi della malattia”. Compie gesti che di solito non farebbe mai, come urinare o defecare per terra. Non è infrequente, ma del tutto comprensibile, il senso di angoscia e di vergogna che colpisce il soggetto, gettandolo in uno stato dapprima d’incredulità, quindi di disperazione cui segue la “prostrazione dell’animo”. La fase depressiva del disturbo bipolare risulterebbe essere piuttosto lunga: sei mesi o più. 

Come possiamo capire quando un soggetto sia ipomaniacale o maniacale? 
La fase ipomaniacale è caratterizzata da: 
-lieve e persistente esaltazione del tono dell’umore 
-incremento dell’energia e dell’attività 
-marcato senso di benessere e di efficienza fisica e mentale 
-accresciuta socievolezza e loquacità 
-aumento dell'energia sessuale 
-diminuzione del bisogno di sonno 
-irritabilità e comportamento presuntuoso 
-assenza di allucinazioni o deliri 
La fase maniacale è caratterizzata da: 
-tono dell’umore elevato, espansivo sino a raggiungere l’esaltazione 
-iperattività 
-aumento del flusso del linguaggio 
-ridotto bisogno di sonno 
-marcata distraibilità 
-autostima esagerata con idee di grandezza 
-perdita delle normali inibizioni sociali 
-comportamento pericoloso, avventato e inadeguato 
-talvolta deliri, generalmente di grandezza, o allucinazioni 
-estrema fuga delle idee 
-comunicazione incomprensibile o inaccessibile. 


Della fase depressiva si è già detto precedentemente. Vediamo ora, da un punto di vista eziologico, quali siano i fattori nella sindrome affettiva bipolare. 
Da un punto di vista dei mediatori chimici o neurotrasmettitori vi sono differenze radicali tra la fase depressiva e la fase maniacale. Nella fase depressiva si avrebbe un calo di serotonina e di noradrenalina. Nella fase maniacale alla carenza di serotonina corrisponderebbero livelli ematici elevati di dopamina e di noradrenalina 
È da sottolineare la presenza di familiarità da un punto di vista genetico per la sindrome affettiva bipolare. In questa malattia nel soggetto vivono sia la figura del dottor Jekyll sia quella di mister Hyde. Il paragone con il celebre romanzo di Stevenson non è azzardato, se si pensa all’alternanza di stati umorali che l’individuo deve “sopportare”. 
Inoltre è da evidenziare il fatto che sussiste una sorta di “compensazione patologica” nella sindrome affettiva bipolare. Infatti, lo stato maniacale bilancerebbe, in un certo senso, lo stato di profonda e lunga depressione patognomonico di questa malattia. Quindi se ne deduce che la fase maniacale risulterebbe essere un meccanismo di difesa contro la fase depressiva.

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lunes, 27 de agosto de 2018

Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 4

Trattamento della follia in un dipinto di Hyeronimous Borsch, XV sec.

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

4-PSICOSI 

Parlando con un soggetto affetto da psicosi, nel formulargli domande mirate o che “mettano in difficoltà l’individuo”, questi è portato a fornire e dare spiegazioni di tipo delirante, quali il controllo telepatico, oppure l’installazione di microchip endocerebrali o endocranici o, addirittura, come detto precedentemente, di aver subito e subire continuamente il “furto dei propri pensieri”. 
È solo tramite l’esame della realtà che possiamo renderci conto dello stadio di gravità della patologia psicotica. Ma in cosa consiste l’esame obiettivo della realtà? Consiste nella capacità di discriminare il sé dal non-sé e l’intrapsichico dalle origini esterne delle percezioni e degli stimoli. In definitiva, si può definire come la capacità di valutare realisticamente ciò che accade intorno, ma anche gli stati d’animo, i comportamenti e i pensieri di un’altra persona secondo le norme sociali ordinarie. 
I cosiddetti “cardini sociali”, nel caso della psicosi, o sono poco saldi, quindi labili, oppure perturbati. Ne consegue che persino l’esame obiettivo della realtà risulti alterato, perché la capacità critica o di giudizio sono compromesse. 

Vediamo però cosa si intenda per “capacità di giudizio o di critica”. Altro non sarebbe se non l’essere in grado di riconoscere una corretta relazione fra le idee e pertanto di trarre conclusioni appropriate dall’esperienza. In caso di psicosi, tale funzione risulta essere alquanto precaria. 
L’affettività, cioè il tono soggettivo dei sentimenti che accompagnano un’idea è alterata negli psicotici. Può essere coartata, cioè limitata, sino all’anaffettività. In poche parole, il soggetto non è in grado di far trasparire emozione alcuna, almeno in apparenza , come nel caso della schizofrenia. Questi presenta, o può giungere a presentare talvolta una facies amimica. 
Di contro, l’affettività potrebbe essere sempre inadeguata, ma verso l’eccesso, come nel caso della fase maniacale del bipolarismo, non a caso definita come psicosi affettiva. Ma nello stesso momento il soggetto potrà manifestare, si noti bene, sentimenti che potranno diventare eventi, quindi atti, di tipo opposto. Sono gesti, in senso lato, paragonabili a una fenomenologia di “odio e amore” di catulliana memoria. 
Si tratta dell’ambivalenza, commistione di amore e morte, in grado di generare conflittualità nell’individuo ma soprattutto, a volte , contro il terapeuta. 
Una simile espressione di stato d’animo potrebbe essere imputabile – e sottolineo il potrebbe – a una sorta di richiesta d’aiuto continua, di difesa, instaurando il maternage dell’ambivalenza manipolatoria (mettere i componenti di una equipe terapeutica uno contro l’altro, al fine di ottenere vantaggi tramite la pratica della manipolazione). 
Soprattutto, questo sentimento di ambivalenza può manifestarsi nei confronti di oggetti, sino ad arrivare a manifestazioni di pantoclastia. La pantoclastia consiste nella distruzione dell’oggetto stesso o di più oggetti. È la distruzione dell’oggetto che interpreta il “detestato/a…” o viatico per lo sfogo istintuale pulsionale di tipo compulsivo. 

Nello psicotico sono presenti sia la depersonalizzazione che la derealizzazione. Nel caso della depersonalizzazione il soggetto vive un vero e proprio stato di disagio confusionale. 
Proviamo a immedesimarci nel suo stato d’animo, non nel delirio! Immaginiamo di sentirci, dall’oggi al domani, come se ci fossimo… persi. Noi non esistiamo più, o meglio… viviamo, ma non siamo noi a condurre la nostra esistenza. Abbiamo in realtà scoperto, tutto d’ un tratto , che altri “muovono i fili della nostra vita”. Il soggetto psicotico ha perso la propria identità, o crede di averla perduta. 
Come potrebbe sentirsi se non “diverso” o quantomeno strano? 
Ma non è solo “strano”. Si sente estraneo a questo mondo che non ritiene essere il suo. Vive nell’irreale, in un altro spazio, in un altro luogo, pur vivendo insieme a noi. È ormai derealizzato, sperduto e confuso come “Pollicino nel bosco”. Ma non ha punti di riferimento, né molliche di pane né sassi per ritrovare la strada che lo riconduca a casa. 
Tremendo. Vive di depersonalizzazione e derealizzazione, punti fondamentali e sempre presenti nei disturbi dissociativi nonché negli stati d’ansia. Vive in un disagio enorme. 

Riagganciandoci alla strutturazione della personalità, al fatto che una persona possa avere una personalità psicotica ma vivere serenamente, affrontiamo quindi ora la sindrome psicotica acuta o transitoria. 
In cosa consiste questo tipo di manifestazione acuta? Partendo dal presupposto che una persona possa “scompensare”, manifestando un evento psicotico, direi che il termine “transitorio” risulti essere alquanto esplicativo. La psicosi acuta o transitoria è infatti caratterizzata dal passaggio da uno stato di salute, senza alcuna manifestazione psicotica, a uno stato di psicosi eclatante nel giro di un paio di settimane. 
La temporalità è importante, a detta degli studiosi. Infatti si è visto sussistere un rapporto tra tempo di esordio e prognosi. Più veloce è l’esordio e migliore sembra essere la prognosi. Di norma, la patologia regredisce nell’arco temporale di alcuni mesi o addirittura di giorni. Vi è da sottolineare, però, che in alcuni casi si possono manifestare condizioni persistenti e a volte invalidanti. 

Le sindromi psicotiche acute o transitorie possono essere di tre tipi: 
-Sindrome psicotica acuta polimorfa senza sintomi schizofrenici 
-Sindrome psicotica acuta polimorfa con sintomi schizofrenici 
-Sindrome psicotica acuta schizofrenosimile 
Nella sindrome psicotica acuta polimorfa senza sintomi schizofrenici, l’esordio insorge nell’arco di 48/72 ore. Si manifestano allucinazioni, delirio con disturbi della percezione, variabili, da soggetto a soggetto e di giorno in giorno. 
Nella sindrome psicotica acuta polimorfa con sintomi schizofrenici sono presenti i sintomi schizofrenici . Tuttavia questi dovrebbero scomparire nel giro di un mese . 
La sindrome psicotica acuta polimorfa schizofrenosimile è caratterizzata dal fatto che i sintomi psicotici si manifestano in modo relativamente stabile e soddisfano i criteri per la schizofrenia. Da quando sono insorti, devono aver avuto una durata inferiore ai trenta giorni circa. 

La psicosi può essere organica o esogena. 
La psicosi organica può essere indotta da: 
- demenze 
- malattie metaboliche 
- malattie neurodegenerative 
- tumori 
- traumi. 
La psicosi esogena è determinata da abusi di sostanze.

Si è detto precedentemente del disturbo bipolare come rientrante tra le psicosi. Ma anche la depressione unipolare endogena o disturbo depressivo maggiore è da annoverarsi tra le fenomenologie psicotiche. 
La caratteristica molto importante è che tale patologia può incidere sulla vita di un individuo in modo significativo. La patologia ha una “familiarità” e di solito l’insorgenza non risulterebbe essere legata a un fattore scatenante. 
Il soggetto si presenta caratterizzato da tristezza o irritabilità. Il ritmo sonno/veglia risulta essere alterato. Alterati risultano essere anche l’appetito e il movimento. Il soggetto appare “rallentato”, con addirittura difficoltà di pensiero, di eloquio, di concentrazione e difficoltà mnestica. Può essere rallentato nel movimento, ma può anche manifestare agitazione psicomotoria. 
Essendo assente il “piacere di vivere”, sussiste quindi un elevato rischio suicidario. Il soggetto si sente svuotato e inutile. Non è in grado di dare un senso alla propria esistenza. Soprattutto, non vede via di uscita e si sente come “intrappolato in una gabbia di sofferenza”. L’idea ricorrente di morte può indurre il soggetto all’atto suicidario perché descritto “come unica possibilità per porre fine alla sofferenza”. 
Vogliamo soffermarci sul suicidio per chiarire un punto che sarà importante nell’operare dei terapeuti. Non è assolutamente vero che chi esprima il desiderio di togliersi la vita non lo farà mai! Il suicidio non è una malattia, bensì la conseguenza di patologie quali la depressione. Quindi, trattandosi di un fatto depressivo, sarebbe opportuno e importante non sottovalutare questa eventualità, che il paziente ne parli o meno. 
Il dolore è enorme e l’agito viene considerato come fatto liberatorio. Il soggetto suicidario vede solo ed esclusivamente il proprio soffrire insostenibile e non considera le conseguenze psichiche che l’atto del togliersi la vita coinvolgerà i propri cari e i propri amici. D’altro canto la sua vita è pregna di sofferenza e di deliri, oserei dire…inevitabili (si è visto precedentemente come il delirio sia un meccanismo di difesa). A volte sono persino presenti le allucinazioni. 
La prognosi risulterebbe essere , tutto sommato, buona. Nel 50% dei casi si avrebbe la guarigione totale; nel 30% si avrebbe una guarigione parziale , mentre nel 20% si instaurerebbe un decorso cronico. Colui o colei che giunga a porre fine alla propria vita è “lucidamente delirante”, in quanto crede fermamente di optare per la cosa giusta. Non sono contemplate le preoccupazioni per i propri cari in quanto, come si è detto, il soggetto in questione vive un disagio enorme e non vede l’ora di “smettere di soffrire”. Manca la motivazione a vivere. Esiste solo l’idea della Morte come atto liberatorio.

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Un pizzico di follia: vivere con un disturbo psichiatrico - 3

Illustrazione di Gustavo Doré

Vademecum per la cura della persona
di Fabio Viganò

3-PENSIERO E DELIRIO 

Tra i disturbi dell’ideazione possiamo avere: 
-disturbi formali 
-disturbi di contenuto 
Nei disturbi formali il flusso ideico è abbondante, rapido, frammentario, poco coerente, povero e abbastanza monotono. Vi è l’arresto del pensiero. I nessi associativi si manifestano con ideazione dissociata, inceppamento, incoerenza logica, fuga delle idee, associazioni rapide, lasse e bizzarre. Si possono anche manifestare con ideazione confusa, incoordinata e “spezzettata”. 
Tra i disturbi del contenuto annoveriamo l’ideazione erronea e il delirio. 

Si è detto riguardo i disturbi formali e le loro manifestazioni, come: 
-Interruzione del flusso del pensiero 
-Blocco del pensiero o barrage 
-Cambiamento del flusso del pensiero 
L’interruzione del flusso del pensiero si manifesta come una sorta di “deragliamento del pensiero” stesso, come se questo, d’un tratto, uscisse dai “binari della mente”, determinando lo stato confusionale. 
Questi sono processi che alterano decisamente il pensiero e l’eloquio, sino a produrre un miscuglio di parole incomprensibile, definito con il termine di schizofasia (insalata di parole). 
Nel barrage, o “blocco del pensiero”, il paziente si interrompe mentre parla, in quanto subentra l'interruzione del pensiero stesso, che viene descritta dal soggetto come “se qualcuno mi avesse rubato le idee e il pensare”. 
Nel cambiamento del flusso del pensiero si possono distinguere: 
-Affollamento di associazioni di idee 
-Perseverazione, ovvero una sola ideazione protratta nel tempo, anche a lungo, tramite meccanismo di evocazione mnestico/ rimuginativo. 
Nei disturbi formali il pensiero può essere circostanziale o concreto. Il pensiero circostanziale è caratterizzato da un fluire lento delle idee, in quanto il soggetto non “riesce a mettere a fuoco”, come fosse in un quadro, distinguendo la figura in primo piano dallo sfondo; soprattutto, non si è in grado di coglierne la differenza. Le associazioni sono quasi superflue e le risposte alle continue domande fatte, sono persino troppo ricche di dettagli. Questa fenomenologia risulta essere tipica della psicosi organica. 
Nel pensiero concreto, tipico della schizofrenia, vi è da parte del soggetto l’incapacità di astrazione del pensiero. Volendo azzardare un parallelismo, è come se il mondo delle idee non esistesse e non fosse mai esistito, in quanto il concetto stesso dell’idea è negato. 

Tra i disturbi dell'ideazione nonché del contenuto abbiamo: 
-ideazione prevalente 
-ideazione dominante 
-ideazione ossessiva 
-ideazione interpretativa 
-ideazione paranoica 
-ideazione delirante 
L’ideazione di tipo prevalente è comprensibile, ma risulta avere la priorità su tutto. 
L’ideazione dominante è caratterizzata da una forte partecipazione affettiva; non è criticata e nemmeno giudicata. 
L’ideazione ossessiva è prevalentemente ripetitiva e assurda nella sua compulsività. 
L’ideazione interpretativa è fondamentalmente frutto di un’interpretazione errata, non ponderata, non giudicata, che origina da idee di riferimento mendaci o non completamente veritiere. 
Nell’ideazione paranoidea tutto è autoriferito. Origina da ideazioni di riferimento personali, talvolta sfocianti in veri e propri “scivolamenti persecutori”, più o meno marcati. 
Infine abbiamo l’ideazione delirante o delirio. Ma in cosa consiste il delirio? In una visione distorta della realtà che viene sostenuta a tutti i costi, in modo incorreggibile. Il delirio è meccanismo di difesa. Esso consta di tre componenti: 
-l’insolita convinzione che sostiene il delirio 
-la non riconducibilità alla logica 
-l’assurdità o la falsità del contenuto, palese alle altre persone. 

Il delirio può essere: 
-elementare 
-strutturato 
-acuto 
-cronico 
Vi sono – possiamo in tal modo definirle – linee guida riguardo il delirio. Iniziamo col dire che il delirio è un’idea. Essa si origina, come le altre idee, a partire dalla percezione, dalla memoria, da uno stato emotivo o da uno stato interno. È fondata su di una prova distorta, quindi anch’essa falsa e incorreggibile. Il paziente è certamente convinto del proprio delirio ma non sempre lo agisce. Ma il delirio è una fuga e deve essere quindi interpretato come meccanismo di difesa. È come se il soggetto, “avvertito il pericolo”, si rifugiasse nella “fitta boscaglia del delirio” per difendersi, per nascondersi dalla realtà. 
A mio avviso il delirio riempie un vuoto o ha una funzione protettiva sull’autostima, copre la solitudine o la disperazione. Non bisogna credere che delirare equivalga a star male. Sicuramente è espressione di un disagio profondo, ma delirare, per il soggetto “scompensato” ha secondo me una sorta di “potere terapeutico” , quasi esorcizzante. Il delirio è in grado di donare la libertà oppure un nuovo senso d’identità, creato dalla mente delirante del soggetto. Ha una funzione, almeno ai suoi occhi, di “potere salvifico”. 

Il soggetto crede talmente tanto al proprio delirio, in cui – è bene dirlo – si è immedesimato, da poterlo definire come “il suo credo totalitario”. È motivo della sua esistenza e del suo vivere. Il soggetto è “in simbiosi” con l’ideazione delirante che la sua mente ha creato. 
Il delirio, ben si deduce, non è quindi modificabile con la sola opera di persuasione. Credo sia importante sottolineare che soltanto quando il delirio recede, venendo a mancare il meccanismo di difesa di una persona già fragile, questa debba essere ancor più aiutata e supportata. 
L’assistenza deve mirare, in primis, a promuovere l’autostima dell’individuo da parte del terapeuta, ma soprattutto a far sì che questi si “ri-accetti” come essere umano. I suoi sensi di colpa e, in particolare, di vergogna, devono essere mitigati sino a farli scemare completamente, evitando che ritornino, portando a una fuga dalla realtà, “nel cantuccio oscuro della stanza della vita”: il delirio, appunto. Può essere utile, come visto, la pratica dell’ascolto attivo, con una buona comunicazione valida da un punto di vista terapeutico. 

Riconosciamo diversi tipi di delirio: 
-Delirio di persecuzione, ove il paziente crede vi sia un’interferenza dall’esterno nella sua vita 
-Delirio erotico (erotomania) 
-Delirio di infedeltà (gelosia morbosa) 
-Delirio di grandezza,dove il paziente crede di essere il prescelto per una “missione speciale” 
-Delirio mistico (vedere la Madonna, vedere il Demonio…) 
-Delirio di colpa e di indegnità, tipico della depressione, con elevato tasso di suicidabilità 
-Delirio di povertà, di rovina e nichilistico 
-Delirio ipocondriaco 
-Follia comunicata (Folie a deux) 
-Delirio di controllo, dove il paziente crede che il suo pensiero sia in comune con quello di altre persone o, addirittura, sia persino controllato da altre persone, quindi potenzialmente, incessantemente… perseguitato.

Continua...