Il racconto è una forma narrativa dallo strano destino. Occupa poco spazio, richiede poco tempo per la lettura, quindi dovrebbe essere di più facile fruizione. Ma nel contempo è anche disprezzato perché troppo breve («Quand’è che ti decidi a scrivere un romanzo?») e se viene unito ad altri per farne un libro, porta inevitabilmente a una raccolta di racconti («Le raccolte di racconti non vendono, quand’è che ti decidi a scrivere un romanzo?»)
Beninteso, se ti presenti con un romanzo, quasi nessuno ha tempo e voglia di leggerlo, e se prima hai scritto solo racconti... be’, c’è una replica anche per quello: «Non so se hai il fiato per scrivere un romanzo»
Eppure il racconto è senz’altro un esercizio importante, sia che si intenda continuare a scrivere sulla stessa misura, sia che si voglia passare a qualcosa di più lungo. È ciò che viene chiesto a volte per una rivista o per un’antologia. Inoltre, se si è esordienti o emergenti, esistono numerosi concorsi per racconti inediti che offrono la possibilità di mettersi alla prova e farsi conoscere. Per me, come ho già scritto da queste parti, cominciò proprio così più di trent’anni fa. Oltretutto la percezione di avere qualcuno che ti legge aumenta – o dovrebbe aumentare – il tuo senso di responsabilità quando scrivi.
Da molti anni sono dall’altra parte della barricata: sono io a far parte della giuria di concorsi per racconti di vario genere. È sempre un’esperienza interessante e istruttiva ma, per dirla tutta, se ne vedono di tutti i colori. Per esempio, in un concorso con centinaia di partecipanti mi passarono tra le mani fogli scritti a mano con grafia delirante e indecifrabile, di cui uno con incollati ritagli di un sussidiario delle elementari (almeno presumo: ho un confuso ricordo di illustrazioni di galline).
Da molti anni sono dall’altra parte della barricata: sono io a far parte della giuria di concorsi per racconti di vario genere. È sempre un’esperienza interessante e istruttiva ma, per dirla tutta, se ne vedono di tutti i colori. Per esempio, in un concorso con centinaia di partecipanti mi passarono tra le mani fogli scritti a mano con grafia delirante e indecifrabile, di cui uno con incollati ritagli di un sussidiario delle elementari (almeno presumo: ho un confuso ricordo di illustrazioni di galline).
Ma in generale non è frequente il proverbiale racconto scritto così male fin dalle prime righe da poterlo bocciare senza indugio: nella maggior parte dei casi bisogna leggerlo per intero prima di constatare che non c’è purtroppo alcuna possibilità di redenzione.
La vera minaccia per la salute mentale del giurato è però il Concorrente Seriale: ha un unico, bruttissimo racconto nel cassetto, che invia metodicamente a ogni concorso; ci riprova l’anno dopo anche con lo stesso concorso, nella speranza che da un’edizione all’altra siano cambiati i giurati. Se non altro, quando ti capita per la seconda o terza volta, sai già che puoi bocciarlo senza pietà. Quando ho posto le basi per il Premio Torre Crawford (qui il bando della quarta edizione), di cui dal 2020 presiedo la giuria, ho preso subito un mio accorgimento abituale: tutti i testi devono seguire a un tema preciso, ogni anno una diversa frase dallo scrittore Francis Marion Crawford, precisata nel bando. Quindi, se il racconto nel cassetto non corrisponde proprio a quel tema, bisogna scriverne uno apposta.
La vera minaccia per la salute mentale del giurato è però il Concorrente Seriale: ha un unico, bruttissimo racconto nel cassetto, che invia metodicamente a ogni concorso; ci riprova l’anno dopo anche con lo stesso concorso, nella speranza che da un’edizione all’altra siano cambiati i giurati. Se non altro, quando ti capita per la seconda o terza volta, sai già che puoi bocciarlo senza pietà. Quando ho posto le basi per il Premio Torre Crawford (qui il bando della quarta edizione), di cui dal 2020 presiedo la giuria, ho preso subito un mio accorgimento abituale: tutti i testi devono seguire a un tema preciso, ogni anno una diversa frase dallo scrittore Francis Marion Crawford, precisata nel bando. Quindi, se il racconto nel cassetto non corrisponde proprio a quel tema, bisogna scriverne uno apposta.
Come giurato sono fin troppo tollerante. Perdono gli errori di ortografia imputabili a refusi o cattive abitudini linguistiche invalse nell'uso comune, e fino a oggi non ho bocciato racconti solo per errori nel punto di vista o scarsa familiarità con la consecutio temporum; ma dopo i miei ultimi articoli in proposito (ai link evidenziati in giallo) mi riprometto maggiore severità, perché non avrete più scuse. Sopporto a stento, invece, i racconti basati esclusivamente su un linguaggio aulico fuori luogo: per questo vi rimando al mio articolo La lingua batte dove il Dante duole.
C’è anche chi vuole far passare per racconto il riassunto di una storia più lunga, oppure il primo capitolo di un romanzo. Ma il racconto, per essere tale, è una narrazione compiuta in sé: inizio, svolgimento e conclusione, in un numero di battute limitato.
Al di fuori dei concorsi, un caso tipico è quello del racconto da proporre all’ultima lezione di un corso di scrittura: l’allievo o l’allieva non si presenta perché si vergogna, oppure compare a mani vuote, oppure arriva con un racconto il cui tema è “Devo scrivere un racconto per l’ultima lezione del corso di scrittura e non ho nessuna idea”. Se vuoi scrivere, puoi e devi imparare le tecniche, ma se sei una scrittrice o uno scrittore, non puoi davvero non avere alcuna idea, con tutte le storie che abbiamo intorno e che aspettano solo noi per vedere la luce. A volte basta davvero solo una frase per cominciare una storia.
Continua...
C’è anche chi vuole far passare per racconto il riassunto di una storia più lunga, oppure il primo capitolo di un romanzo. Ma il racconto, per essere tale, è una narrazione compiuta in sé: inizio, svolgimento e conclusione, in un numero di battute limitato.
Al di fuori dei concorsi, un caso tipico è quello del racconto da proporre all’ultima lezione di un corso di scrittura: l’allievo o l’allieva non si presenta perché si vergogna, oppure compare a mani vuote, oppure arriva con un racconto il cui tema è “Devo scrivere un racconto per l’ultima lezione del corso di scrittura e non ho nessuna idea”. Se vuoi scrivere, puoi e devi imparare le tecniche, ma se sei una scrittrice o uno scrittore, non puoi davvero non avere alcuna idea, con tutte le storie che abbiamo intorno e che aspettano solo noi per vedere la luce. A volte basta davvero solo una frase per cominciare una storia.
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(immagine: A. C. Cappi in una foto di Oskar Felix Drago, 2013)
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker. È direttore artistico del Premio Torre Crawford.